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Autore: Feanoriel    06/02/2016    3 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DICIASSETTE:

TRUE HOPE LIES BEYOND THE COAST

Mirror mirror on the wall
True hope lies beyond the coast
You’re a damned kind can’t you see
That tomorrows bears insanity

[Blind Guardian| Mirror mirror]

Il suolo brullo dello Hithlum era difficile da varcare: i forti venti che spazzavano quella regione, e la nebbia fitta che spesso scendeva dal Nord ad investire quelle lande desolate rallentavano il cammino dell’esercito, per quanto i Maiar che marciavano innanzi alla colonna dei Noldor e dei Vanyar non si facessero scoraggiare tanto facilmente dalle intemperie.

Era stato solo grazie all’aiuto dei Maiar che erano riusciti ad attraversare indenni le alte ed aspre Montagne dell’Ombra, gli Ered Wethrin, senza riportare perdite, eccezion fatta per due soldati caduti in un crepaccio a causa di una disattenzione. Maglor sapeva che molti lì- specialmente i Vanyar- non avevano mai dovuto affrontare le difficoltà e i rischi che comportava un viaggio così in alta montagna, specialmente con l’inverno alle porte, per cui l’aiuto dei Maiar era stato di vitale importanza. Si erano appostati all’avanguardia, in modo da poter aprire la strada, e alla retroguardia, in modo che viveri e soldati non andassero persi, e spesso Maglor li aveva visti, durante la marcia, spiccare contro la neve di alta montagna, più alti di qualsiasi Elda. Alcuni, che si confondevano con il paesaggio, erano stati quasi impossibili da individuare, ma ormai il Fëanoriano era avvezzo ai trucchi dei Maiar.

Il viaggio era stato ugualmente lungo e difficile, non solo per le difficoltà che valicare quei monti aveva portato, ma anche per il timore che lui e suo fratello che avevano avuto di venire scoperti. Se così fosse accaduto, pensava, sicuramente non avrebbero avuto cuore di cacciare via due ragazzini così giovani, specie in una regione gremita dei servi di Morgoth e con l’inverno prossimo ad arrivare, ma avrebbero sempre potuto catturare ed imprigionare lui e Maedhros, memori delle azioni da loro commesse, e altrettanto decisi a punirli per esse. Forse li avrebbero addirittura consegnati a loro zio Finarfin, che Maglor non dubitava che fosse perfettamente a conoscenza di ciò che Celegorm e Curufin avevano fatto a suo figlio Finrod. E a quel punto recuperare i Silmarilli sarebbe stato impossibile.

Allontanarsi troppo dall’esercito sarebbe significato andare incontro a morte certa, almeno per Elrond ed Elros- dovevano pensare a loro soprattutto- ma correvano ogni minuto che passavano così vicini agli altri Noldor il rischio di venire scoperti. Perciò, era toccato loro usare ogni cautela, evitare di fare qualsiasi cosa potesse attirare la loro attenzione, nonché essere sempre attenti alle reazioni di coloro che gli rimanevano attorno, e sempre in vigilanza per quel che accadeva.

Fino a quel momento aveva funzionato. Certo, sicuramente qualche sospetto aveva cominciato a girare, ma finora erano sempre riusciti a sviare l’attenzione, tanto più che l’esercito aveva problemi ben più impellenti di cui preoccuparsi.  

Prese un respiro profondo, facendo scivolare la mano sull’elsa della spada. Il suo fiato si condensò nella fredda aria della notte: già nello Hithlum, l’antico regno di Fingolfin, spiravano i venti boreali che scendevano dai Thangorodrim. Ancora le ferali montagne di Morgoth non si vedevano, erano troppo lontane, ma gli sembrava quasi di percepirle, nascoste dietro la cortina della fitta nebbia che avvolgeva l’orizzonte.

Alzò lo sguardo verso il cielo stellato, ancora non del tutto coperto dalla coltre di nebbia. Si intravedeva la Valacirca, la Falce dei Valar, ed Eärendil fendeva le tenebre del Nord con la luce del Silmaril, impossibile da non individuare. Per la prima volta, in tutto quel tempo, Maglor si ritrovò a chiedersi quali fossero i pensieri del Marinaio. Non era qualcosa su cui avesse mai avuto a cuore di riflettere -era uno dei ladri del Silmaril, per Eru!- ma improvvisamente si ritrovò a chiedersi se anche Eärendil potesse vederlo in quel momento, così come lui poteva vedere Vingilot rifulgere della luce della gemma di suo padre. Forse stava guardando verso di lui in quel preciso istante, forse sapeva che lì, in una tenda non distante, a cui Maglor stava montando la guardia, riposavano i suoi figli, avvolti in un abbraccio, le teste sullo stesso cuscino e i capelli neri intrecciati. Emise un sospiro e fece cadere le spalle.

Non poté fare  a meno di chiedersi se Eärendil sapesse che contro ogni previsione, contro ogni logica, Elrond ed Elros avevano iniziato a guardare a lui come a una figura paterna, anziché al figlio di Idril e Tuor, che pure li aveva generati. Chissà che ne pensava, se provava del rimpianto per questo.

C’era una qual sorta di strana ironia, pensò, spostando il peso da una gamba all’altra, senza perdere di vista la Stella dell’Alta Speranza che brillava, fulgida contro il cielo nero, nel fatto che lui, che pure era un Fratricida, un assassino inviso agli Dèi, che aveva commesso ogni sorta di crimine nel corso delle ere, alla fine avesse ottenuto la pietà paterna che sarebbe dovuta spettare a colui che aveva ricevuto la benedizione dei Valar ed era stato assunto tra le stelle, l’eroe che era stato predetto secoli prima dalla Profezia del Nord, colui che per salvare il mondo aveva rinunciato alla propria famiglia.

Non dubitava che se ne fosse accorto anche lui, di quello strano scherzo del destino. Una macchia che guastava irrimediabilmente la sua santa, immacolata beatitudine, una crepa che rovinava la benedizione dei Valar.

Mentre per Maglor quei due bambini erano  l’unica speranza a cui potesse aggrapparsi, l’unica luce che avesse mai visto da quando era sprofondato nell’abisso della sua dannazione.

                                                            ***

I giorni passarono, al seguito dell’esercito che lentamente, passo dopo passo, si avvicinava alla fortezza di Morgoth, tra la nebbia e i venti polari dello Hithlum, che mordevano e pungevano la pelle dei soldati, per quanto i Maiar di Aulë, creature di puro fuoco quali erano, tenessero costantemente accesi i fuochi dell’accampamento. Maedhros era riuscito a procurarsi una tenda, poco prima che iniziassero il valico degli Ered Wethrin, così i bambini non dovevano dormire esposti all’aria aperta, ma Maglor non era tranquillo. Non tanto per il freddo, quanto più per il fatto che ben presto anche Elrond ed Elros si sarebbero ritrovati nel mezzo dell’assedio che la gente di Aman avrebbe posto ad Angband.

Da quanto aveva saputo in giro, non c’erano bambini lì al campo, gli Etyangoldi che si erano uniti all’esercito non ne avevano, e coloro che possedevano delle famiglie, si erano recati presso Cìrdan, il sire di Balar, che aveva accolto tutti i rifugiati dell’Arvernien.

Maglor si chiedeva spesso se si sarebbero mai uniti all’esercito. In fin dei conti, Eru solo sapeva che sarebbe potuto succedere al Beleriand, con tutte quelle forze in campo. Balar non sarebbe rimasta un porto sicuro a lungo, sospettava, non con Ossë che intendeva smuovere il mare per mettere in difficoltà gli eserciti di Morgoth, che avevano il terrore dei flutti.  

Non sapeva se questo sarebbe stato un bene o un male. Se mai era sopravvissuto qualcuno dei soldati che li avevano traditi durante il massacro dell’Arvernien, dovevano essere andati a chiedere asilo a Cìrdan, assieme al popolo di Elwing – sempre che fossero davvero disposti a perdonare chi aveva sostenuto i Fratricidi. E sicuramente, pensava, sarebbe stato impossibile non farsi riconoscere dai loro vecchi commilitoni.

Maglor prese nuovamente a scrutare l’orizzonte. Da qualche parte lì, a Ovest, doveva esserci il fiordo di Drengist, là dove lui e i suoi fratelli erano sbarcati in Endor, là dove – Maglor non poté evitare di trattenere un brivido, al ricordo - Fëanor aveva dato fuoco alle navi dei Teleri, dopo averle conquistate a prezzo di tanto sangue e tante lacrime. Sperò che l’esercito non vi passasse troppo vicino, non avrebbe potuto sopportare di vedere quel luogo.

Fu Maedhros a richiamare la sua attenzione:- Fratello! Dove guardi?

-Cosa?- si voltò, colto improvvisamente di sprovvista.- Giusto … Stavo pensando che, oltre questa nebbia, là tra quelle cime che ora non possiamo vedere, a Ovest, si trova Losgar.

Non c’era bisogno di dire altro. Maglor vide suo fratello maggiore serrare la mascella in una linea dura, i suoi occhi lampeggiare. Lo vide arretrare improvvisamente di un passo, serrando a pugno l’unica mano che gli rimaneva. Gli stendardi di Finarfin, alle loro spalle, sventolavano pigri nell’aria gelida, la nebbia che alterava i loro colori, rendendoli grigi e nebulosi. Per un attimo, poté addirittura immaginare che il colore originario di quei vessilli non fosse bianco e oro, bensì nero e rosso, come quelli di loro padre.

Sapeva che per la mente di Maedhros stavano passando i suoi medesimi pensieri. Il ricordo era ancora troppo vivido nella memoria di entrambi, e non se ne sarebbe mai andato. Per lungo tempo, quel tremendo falò era tornato a visitarli nei sogni.

Gli parve addirittura di sentire nuovamente la voce di suo padre, alta e profonda, malgrado fosse distorta dall’odio e dalla follia, che dava quel maledetto ordine, la freccia infuocata che Fëanor aveva scagliato contro le navi colpire il bersaglio, e le fiamme divorare ben presto le tende candide della nave più vicina, prima di propagarsi a tutto il resto dell’imbarcazione. E altre frecce erano cadute sulle navi, l’una dopo l’altra, impietose, fino a che l’intera flotta non era stata avvolta dalle fiamme, creando una mostruosa corolla di fuoco che si era propagata fino alla volta celeste, tale che sembrava quasi toccare le stelle sopra di loro, e pareva quasi che fosse sorta una nuova, terribile alba, tanto il cielo era illuminato.

Maglor aveva sentito suo padre ridere, una risata che aveva sovrastato per un attimo perfino il crepitare assordante delle fiamme. E ricordava come quel suono gli avesse ghiacciato di colpo il sangue nelle vene.

La figura di Fëanor, stagliata contro il rogo delle navi, era parsa simile a una dei demoni di fuoco di Morgoth, quasi che fosse stato generato da quelle fiamme. Era stata la seconda volta nella sua vita, dopo quella notte di sangue ad Alqualondë, che aveva avuto paura di suo padre.

Sembrava che a  Fëanor non importasse più nulla della sua terra, che si era lasciato indietro per sempre, gli importava solo di tagliare qualsiasi via al suo fratellastro, di dimostrargli che per lui non valeva nulla e non era mai valso nulla, poco importava che avesse giurato di seguirlo, o che si fosse inginocchiato di fronte a lui, riconoscendolo come suo Re.  Maglor lo aveva udito gridare contro il clamore delle fiamme, la frase non gli era pervenuta del tutto, era riuscito a comprenderne solo qualche brandello, che il vento gli aveva trasportato.

-Che brucino le navi, dunque! E che il ramo marcio della Casa di Finwë rimanga per sempre nelle gabbie dei Valar, che il figlio bastardo di mio padre strisci di nuovo ai piedi di Manwë! Io lo maledico. Io li maledico tutti!   Questa è la fine che farà chiunque oserà tradirmi !

Maglor al ricordo serrò gli occhi.- Non credo l’esercito passerà di là. – era quello che sperava. Non sarebbe mai riuscito a tollerarlo.

-No- la voce di Maedhros era ridotta a poco più di un sussurro.- Non lo credo nemmeno io.

Maglor sapeva quanto suo fratello avesse provato a convincere suo padre a tornare indietro, a prendere con sé anche i loro consanguinei. Ma loro padre non aveva voluto sentire ragioni, era stato cieco e sordo perfino di fronte al suo figlio primogenito, l’unico che avesse osato sfidare la sua follia in quel momento. E sapeva quanto Maedhros ancora non riuscisse ad accettare ciò che suo padre aveva fatto, e quanto si fosse tormentato se per caso non l’avesse accidentalmente spinto lui a compiere quel gesto definitivo, col suo incauto nominare il figlio di Fingolfin.

Parte di lui voleva tendere la mano e sfiorare quella di suo fratello, fargli in qualche modo sentire che lui lo capiva, che l’incendio di Losgar non era colpa sua, che quella notte maledetta popolava i suoi incubi, esattamente come popolava quelli di Maedhros. Ma non sapeva se suo fratello avrebbe accettato quel contatto, perciò rimase lì immobile, la mano sollevata per metà, senza sapere se toccarlo o meno.

Maedhros però fece un passo indietro, e il momento passò.- Pensi mai … - Maglor vide suo fratello prendere un lungo sospiro, prima di parlare a bassa voce, tanto bassa che, se non si fossero trovati  tanto vicini, non l’avrebbe mai udita.- Pensi mai a coloro che abbiamo lasciato in Aman?

-Se ci penso?- Maglor sentì le sue labbra piegarsi in un sorriso colmo di tristezza.- A volte sì, fratello. Cerco di scacciare il ricordo, ma … - prese anche lui un respiro profondo. -È difficile dimenticarsi quanto nostra madre abbia sofferto, per colpa del nostro Giuramento.

Vide Maedhros irrigidire ulteriormente la mascella.- Lo so.

-Già- Maglor incrociò le braccia dietro la schiena, ed evitò di incrociare lo sguardo del fratello.- Io … Mi hanno detto che è nei Giardini di Lórien, ora. Forse Irmo ed Estë potranno trovare una cura per la sua pena, fratello. È la sua unica – la nostra- unica speranza che lei possa stare bene- Se mai sarà possibile per lei stare ancora bene, dopo le perdite che ha dovuto subire. E tutto questo per colpa nostra, pensò amaramente.

-Forse- Maglor vide le labbra di suo fratello curvarsi, ma non era un sorriso quello che apparve sulle sue labbra, quanto più una smorfia, carica di risentimento.- Forse i Valar avranno pietà di lei. Se decidono di avere pietà di lei. D’altronde, è pur sempre la moglie di un Fratricida, e la madre di altri Fratricidi.

Maglor sentì la propria mano serrarsi a pugno, le unghie affondarono nel cuoio spesso del guanto che indossava:- Non … Non dire così, fratello, ti prego. Non puoi credere che i Valar siano crudeli con lei … Lei che colpa ha, in tutto questo, se non aver amato nostro padre? Come può l’amore essere una colpa?

-Come se i Valar potessero davvero capire - la voce di Maedhros era ridotta a un sibilo.- Loro non possono sapere cosa sia.  E per loro ormai la stirpe di nostro padre è maledetta, tutta. Anche coloro che sono innocenti per il Fratricidio. Altrimenti non si sarebbero vendicati così duramente anche su Tyelperinquar, non credi? Per l’amor di Eru, lui era un bambino all’epoca di Alqualondë! Eppure, guarda quel che gli è successo. La maledizione di Mandos ha preso anche lui.

Maglor chiuse gli occhi. Celebrimbor era qualcosa a cui preferiva non pensare, non era altro che l’ennesimo pugnale che gli straziava il cuore. Ancora una volta, s’impose di dimenticarsi di quel pensiero, di ricacciarlo nelle profondità della sua mente, prima che iniziasse a fare troppo male.

Quando riuscì a riprendere il controllo di sé, riaprì gli occhi di scatto, e parlò, prima di riuscire a cambiare idea, le parole che gli fiorirono spontanee sulle labbra:- Dici che i Valar non hanno pietà, nemmeno degli innocenti. Fratello, non so cosa ha causato la scomparsa di nostro nipote …

-È stata la loro vendetta per le colpe di Atarinkë—

-Quello, o la maledizione del Mormegil?- Maglor incrociò le braccia. Suo fratello poteva obiettare quanto gli pareva, lui ormai era lanciato.- C’era anche quello da tenere in considerazione, fratello. Tyelpo non è stato l’unico innocente a trovarsi in mezzo, nella Caduta del Nargothrond. E quindi, dimmi—

-Non m’ importa del Mormegil –

-Fammi parlare!- Maglor prese un respiro profondo, e ricominciò.- Dimmi, fratello, se i Valar sono tanto spietati, anche con coloro che non hanno colpa, perché hanno salvato te, quando eri prigioniero di Moringotto? L’hai detto tu stesso, nostro cugino stava per scagliare la freccia …

-Non osare … - gli occhi di Maedhros ardevano quanto le braci della fucina di loro padre. O quanto le fiamme di Losgar. Maglor fece istintivamente un passo indietro, sapeva quanto l’ira di suo fratello potesse essere pericolosa, anche se non l’aveva mai diretta contro di lui.- Non osare nemmeno parlare di quello!

Forse non avrebbe dovuto tirare fuori l’argomento. D’altronde, anche lui aveva le sue belle colpe nella vicenda, dal momento che non aveva fatto nulla per strappare suo fratello agli artigli di Moringotto. Aveva eseguito gli ordini -gli ordini di Maedhros- ma ugualmente, quella colpa gli bruciava ancora, come sale su una ferita sanguinante.

Maglor spostò le braccia dietro la schiena. Nessuno meglio di lui sapeva quando era meglio tacere, in un discorso che rischiava di degenerare in una lite.

-Non parlerò- la sua voce era calma e controllata, malgrado suo fratello gli avesse appena urlato contro.- Non dirò niente, su quello. Ma ammettilo, fratello mio, i Valar possono essere sordi e ciechi, e perfino crudeli, quando vogliono- credi mi sia dimenticato l’Arvernien?- ma non credo possano esserlo fino a questo punto. Nostra madre non c’entra, con ciò che nostro padre ha fatto. Devono tenere conto anche di questo. E se davvero ora lei è a Lórien …

Maedhros non parlava più, le labbra piene serrate in una linea sottile, gli occhi ridotti a due fessure, in cui vi era tutto il fuoco del rogo di Losgar. Maglor si fece coraggio.

-Loro potrebbero davvero aiutarla. Io voglio solo sperare che nostra madre stia bene, e che il dolore per la morte di nostro padre, per quella dei nostri fratelli non l’abbia sopraffatta. Non posso almeno avere questa speranza, fratello mio? Questa unica speranza?

Passarono alcuni attimi, in cui Maedhros taceva, e in cui Maglor poté udire i rumori dell’esercito, dietro le loro spalle, il vento che portava il clamore delle armature e i nitriti dei cavalli. Elrond ed Elros non erano distanti, ancora nella loro tenda, passavano a dormire tutto il tempo libero che potevano avere.

-Spera quello che vuoi- Maedhros parlò all’improvviso, facendolo sussultare un attimo. Maglor s’irrigidì di colpo. – Anch’io vorrei sperare che nostra madre stia bene, che malgrado tutto, che malgrado sia la moglie e la madre di Fratricidi, i Valar le siano stati benevoli. Ma come posso saperlo? Come posso crederlo, dopo tutto quello che è successo? Dopo aver visto nostro padre dissolversi in cenere senza che loro muovessero un dito, o i nostri fratelli morire dopo l’altro, compiendo la loro maledetta profezia, o Findekáno venire ucciso in quel modo davanti ai miei occhi? Come?

Maglor non si mosse:- Nemmeno io ho fiducia nei Valar, non dopo aver visto esattamente ciò che hai visto tu. Ma loro possono essere crudeli con chi si è ribellato, ma non con chi non li ha mai sfidati. È quello che spero.

Maedhros lo guardò a lungo negli occhi, come se volesse leggergli una qualche traccia di sarcasmo in essi. Ma poi quando parlò, non sembrò più voler andare avanti:- La conversazione è chiusa, fratello. Va’ dai ragazzi, sicuramente ti cercheranno quando si sveglieranno.

Detto questo, se ne andò, lasciando Maglor solo, nella piana nebbiosa, con il vento che gli schiaffeggiava le guance nude, e i rumori dell’esercito dietro di loro nelle orecchie, lontano.  

                                                                       ***

Altri giorni passarono, e Maglor ebbe poche occasioni di parlare col fratello. Maglor sapeva quanto le sue parole potessero aver colpito Maedhros, là dove lui era più sensibile, e non si stupiva che suo fratello fosse così restio a parlargli. Tuttavia, per una volta tanto, era convinto di aver ragione. Suo fratello poteva dire quello che voleva, poteva essere convinto che il mondo fosse un covo di lupi e serpenti –indubbiamente per certi versi aveva ragione-- ma Maglor voleva averla vinta, almeno per una volta. Sua madre era addolorata per quel che aveva dovuto perdere, ma dubitava che gli abitanti di Aman l’avessero ostracizzata, come Maedhros credeva.

D’altronde, non era nemmeno l’unica donna ad aver perso un marito e dei figli a causa di Fëanor.

E Maedhros stesso aveva avuto le prove che il mondo non fosse totalmente corrotto, che ancora potessero esistere speranza e bontà, sia pure in quel carnaio dove ognuno lottava per la propria sopravvivenza. Dopotutto loro stessi, che pure erano fratricidi e traditori, che avevano commesso crimini che li avevano resi odiosi di fronte ai Valar, avevano avuto la pietà di risparmiare i figli di Eärendil, e di imparare ad amarli? Persino Maedhros era riuscito ad amarli, per quanto continuasse a mantenere un certo distacco da loro.

Maglor lanciò un’occhiata ai gemelli, che trotterellavano dietro di lui, ben avvolti nelle pellicce di volpe che aveva procurato loro. Ultimamente, erano molto più silenziosi del solito, forse perché il viaggio, lungo e stancante com’era, aveva finito per prendere tutte le loro energie. A Maglor quel comportamento ricordava, non senza un certo dolore, il primo periodo che aveva passato con loro, quello in cui i due gemelli altro non erano che due ostaggi, figli di due nemici. Non poteva fare a meno di chiedersi se si fossero accorti di essere vicini a entrare in guerra, e si fossero resi conto della gravità della situazione. Tanto più che avevano già avuto modo di vedere a cosa la guerra portasse.

L’unica cosa che sembrasse attirare un minimo la loro attenzione, in quel frangente, erano i Maiar che si mescolavano all’esercito dei Noldor. Forse perché il loro signore aveva più familiarità con quelli, ma erano soprattutto i Maiar di Aulë a frequentare i Noldor.

Maglor ne vide una, mentre camminava per l’accampamento, il cappuccio calato sul viso, tentando di farsi notare il meno possibile: una creatura alta almeno il doppio di un Elda, con lunghi capelli di fiamma che le incorniciavano il viso di una perfezione innaturale, più simile a quello di una delle statue di sua madre che non a una persona in carne ed ossa, ricoperta da un’armatura dorata e con una spada lunga al fianco. Era impossibile non notarla in quelle lande desolate, spiccava come un fuoco acceso in mezzo ad un ghiacciaio. Maglor faceva quasi fatica a guardarla: per quanto la Maia avesse assunto delle sembianze quanto più simili possibile a quelle dei Figli di Eru, sembrava ugualmente più un elemento della natura, una viva fiamma in mezzo al gelo, che non una creatura in carne ed ossa.

Maglor accelerò il passo, e tirò verso di sé i gemelli, sperando facessero lo stesso. Non si fidava dei Maiar, non quando c’era il rischio che avrebbero potuto facilmente scoprire chi era. Era impossibile mentire ad uno degli Ainur.

Fortunatamente, la Maia non parve notarlo, impegnata com’era a parlare con un Noldo che portava un arco a tracolla, che a giudicare dai vestiti che indossava, scuri ed adatti a mimetizzarsi con l’ambiente circostante, doveva essere uno degli esploratori di Finarfin. Parlavano a voce troppo bassa per far sì che Maglor sentisse ciò che stavano dicendo, ma ugualmente, per quanto le informazioni che si scambiavano potessero essere utili, lui desiderava solamente andarsene, e fare in modo che non lo notassero.

Certo, se fosse stato solo il problema non si sarebbe posto. Ma non era così, ed Elros, che non aveva mai visto una Maia, non poté fare a meno di voltarsi ad osservarla, e non riuscì a trattenere un gridolino di sorpresa.

-Ssssh!- Maglor gli fece cenno di tacere, mentre lo afferrava per il braccio destro. Il ragazzo fece un passo avanti, ma non poté fare a meno di guardarsi nuovamente indietro.

-È una Maia?- stavolta fu Elrond a parlare. Anche lui stava guardando incuriosito nella direzione della Aini, da sotto il cappuccio del mantello di pelliccia che lo ricopriva da capo a piedi, Maglor riusciva a vedere i suoi occhi chiari brillare di curiosità.

Il figlio di Fëanor storse il naso. Non poteva biasimare i due ragazzi per la loro curiosità- erano due bambini nati in Endor, e non avevano mai visto gli Ainur in tutta la loro vita- ma ugualmente, non poteva permettere che si avvicinassero alla Maia, non quando il rischio di farsi scoprire era troppo alto.

-Sì, lo è- Maglor parlò a voce più bassa che poté, stringendo la presa sugli abiti di pelliccia dei gemelli, per impedire che anche solo pensassero di andare dove non dovevano.- È una Maia di Aulë, e adesso, per favore, venite via.

Per qualche attimo i gemelli rimasero in silenzio, lanciando qualche occhiata di sottecchi alla creatura divina più in là, senza poter trattenere la curiosità, dopo di che, vedendo che Maglor non mollava la presa, si voltarono verso di lui e lo seguirono docilmente.

-Bene- quando furono lontani dalla vista della Maia, facendosi largo tra le tende dei Noldor, i cui colori parevano sbiaditi in quelle gelide pianure, Maglor finalmente ebbe l’occasione di parlare con loro faccia a faccia. Non voleva sgridarli, ma alle volte aveva come l’impressione che per Elrond ed Elros fosse tutto un gioco, che non si fossero davvero accorti di che cosa stavano andando incontro.

Forse non è meglio così?, pensò. Forse non è meglio lasciare che si godano ancora la loro innocenza? Non hanno già sofferto a sufficienza? E dovrei coinvolgerli in un’altra guerra, dopo tutto quello che hanno passato?

-Forse non vi siete resi conto, che non devono sapere che siamo qui- cercò di mantenere un tono il più basso possibile, ma, anche tenendo la voce bassa, le parole gli uscirono più dure di quanto avesse voluto.

I gemelli abbassarono lo sguardo, evitando di guardarlo in viso, come facevano sempre quando Maglor faceva o diceva qualcosa che ricordava loro che lui non era il dolce mentore che avevano imparato ad amare, non sempre. Maglor si pentì all’istante di aver usato quel tono.

-Ci spiace- mormorò Elros, strisciando un piede sul terreno coperto di brina.

Maglor rilassò il viso:- Non importa. Capisco che siate spaesati, che non abbiate mai visto tutto questo, ma vi chiedo ugualmente di fare attenzione. Non sarebbe bello, se scoprissero che siamo qui.

Perlomeno per noi, pensò. Ai gemelli sicuramente non avrebbero fatto nulla di male, ma per lui e suo fratello non era così.

E dubitava che Finarfin li avrebbe perdonati tanto facilmente, o che avrebbe intercesso presso i Valar per loro. Per quanto dei figli di Finwë Finarfin fosse quello più gentile, sicuramente tutti i lutti che aveva dovuto sopportare non avevano contribuito ad addolcire il suo animo. Specialmente quando era stato Fëanor la causa di quei lutti.

-Ci spiace- Elrond ripeté quel che aveva detto suo fratello.- Staremo più attenti, la prossima volta. Davvero.

-Lo so- Maglor incrociò le braccia.- Ora basta parlarne, so che avete capito. Andiamo, devo parlare con mio fratello.

                                                                                      ***

Maedhros ci mise più di quanto Maglor avesse previsto, per farsi vedere. Maglor rimase a lungo assieme ai gemelli, che ultimamente erano più stanchi che mai per colpa della lunga marcia, poco propensi a fargli delle domande o a disturbarlo con le loro richieste. Dopo cena, si stesero sulle pellicce all’interno della tenda, che costituivano il loro letto, e Maglor si sedette accanto a loro. Non ci volle molto prima che Elros iniziasse a sbadigliare, e che la testa di entrambi a ciondolare.

Maglor, adagiato sulle coperte, tirò fuori pigramente l’arpa. Non la suonava da mesi, ormai, per paura di farsi riconoscere - nessuno era in grado di emulare il suo canto- ma spesso la tirava fuori dalla bisaccia, anche solo per guardarla. Si sentiva stranamente incompleto, senza la musica- come se fosse stato privato di una parte importante di sé. Come faceva suo padre, quando era stato costretto a non poter usare la sua fucina per lungo tempo?

-Suoni?- la voce di Elrond lo riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo era accoccolato tra le coperte, di lui si vedeva unicamente la testa, coperta dalla lunga massa di capelli neri e arruffati, e per quanto faticasse a tenere le palpebre aperte, gli brillavano gli occhi per la curiosità. Era tanto che Maglor non cantava, non solo per loro, ma anche per sé stesso.

-No- Maglor sospirò.- Possono sentirci, e il mio canto … io non sono un menestrello qualsiasi, quando canto … beh, immagino che perfino chi è nato in Aman dopo la mia partenza sa chi sono.

-Oh- c’era così tanta delusione, in quell’unica sillaba, che Maglor si sentì stringere il cuore per un attimo, e non riuscì a mettere via l’arpa, nemmeno  per evitare la tentazione di suonarla.

In fin dei conti, che male c’è?, si ritrovò a pensare, sfiorando pigramente le corde, che vibrarono per qualche attimo, tentatrici quanto le illusioni che Ulmo aveva intessuto attorno alle Isole Incantate, per evitare che i marinai le varcassero. È solo una piccola canzone. Se riesco a cantare a voce abbastanza bassa, non riuscirà ad udirmi nessuno, tanto più che i rumori del campo dovrebbero coprire il suono della mia voce.

Era un pensiero ingenuo, falsamente illusorio, e lo sapeva bene che comportarsi così era da sciocchi, ma era talmente tanto che non usava la sua arpa … Ed Elros ed Elrond desideravano ascoltarlo almeno quanto lui desiderava cantare, lo sapeva bene.

Le dita ebbero ancora per un attimo il tempo di toccare leggermente le corde, prima che Maglor le lasciasse ricadere inerti sulle coperte. No, si disse. La sicurezza di lui e suo fratello era più importante di qualsiasi cosa, perfino della sua arte e della sua incapacità di vivere senza di essa.

Alzò lo sguardo verso Elrond ed Elros, e prese un grosso sospiro.- Meglio non usare l’arpa, non qui, almeno. Possono sentirci- prima però che i gemelli avessero il tempo di mostrarsi delusi, andò avanti con la frase.- Ma posso ugualmente cantarvi qualcosa … Una canzone non troppo lunga, e non a voce troppo alta … per voi va bene?

I gemelli, per quanto fossero troppo stanchi per parlare, annuirono entrambi con vigore, come se fossero una persona sola.

 

Non passò molto tempo prima che si addormentassero. Maglor cantò loro una canzone breve, una semplice melodia molto simile a quelle che sua madre cantava in Aman –o a quella che aveva cantato la prima notte dopo la morte di Amrod ed Amras- che non richiedeva particolari note o l’utilizzo di un’arpa, a voce bassa, in modo che sentissero solo i due piccoli. Fu solo quando finalmente udì il loro respiro rilassarsi, e i loro occhi chiudersi definitivamente, che smise di cantare.

Allungò la mano, scostando la coperta quel tanto che bastava per coprire le mani di Elros, in modo che non prendesse freddo lì. Per qualche attimo rimase a guardarli, gli parevano così piccoli, così fragili ed indifesi, malgrado avessero ormai già più di dodici anni, che non poté non sentire una fitta al cuore. E ben presto avrebbe dovuto trascinarli all’ombra di Angband, in una guerra dove era incerto se sarebbero sopravvissuti.

Non era una preoccupazione nuova, questa. Era un pensiero che non gli dava tregua, un problema a cui non riusciva a trovare soluzione.

Peccato che non fosse ancora riuscito a parlare con suo fratello di quel tarlo che lo rodeva.

Si stese sulle coperte, chiudendo gli occhi ma tenendo l’udito ben vigile, in attesa che Maedhros si avvicinasse alla tenda, non si trovava poi troppo lontano da lì, dopotutto.

Non dovette attendere poi molto, infatti, prima di sentire un familiare rumore di passi venire nella sua direzione. Maglor si tirò su di scatto, mettendosi a sedere sulle pellicce, attento però a non svegliare i gemelli. Scostò leggermente l’imboccatura della tenda, giusto per vedere suo fratello ritto di fronte a lui.

-Eccoti- mormorò laconico, scostandosi per farlo entrare.- Non svegliare i ragazzi.

Maedhros non gli rispose, si limitò a sbuffare, lievi tracce di vapore che si dispersero nell’aria fredda, prima di entrare anche lui dentro la tenda, il più in fretta possibile per non far entrare il gelo dello Hithlum.

Maglor rimase fermo sdraiato, mentre lasciava che Maedhros si stendesse anche lui sulle coperte, non troppo distante dal punto dove lui si ritrovava. Sentì suo fratello muoversi cercando di mettersi comodo, e di al contempo di trovare una posizione che non desse fastidio anche agli altri occupanti, alto com’era non occupava certo poco spazio.

Maglor attese qualche minuto. Ben presto sarebbe arrivato il momento del suo turno di guardia, e avrebbe dovuto alzarsi ed uscire nel freddo della notte, ma non aveva fretta, non solo perché desiderava godersi qualche altro minuto il calore della tenda, ma anche perché sentiva che, inevitabilmente, doveva arrivare il momento per parlare con suo fratello.

Ebbene, il momento era giunto.

-Allora?- domandò a Maedhros, passato qualche minuto.

-Allora cosa?- il tono di Maedhros era leggermente alterato, e Maglor ad un certo punto si chiese se non stesse troppo tirando la corda. Ma non aveva intenzione che il fratello si chiudesse nel suo mutismo, non un’altra volta.

-C’è un discorso che avevamo iniziato—cominciò a parlare, ma il fratello non gli diede il tempo di finire. Maglor lo vide alzare l’unica mano che gli rimaneva, in un gesto seccato.

-Basta così- la voce era bassa, in modo da non fare rumore, ma il tono era d’acciaio.- Ne abbiamo già parlato. Che altro ti devo dire?

Maglor incrociò le braccia sul petto. Sapeva di avere ragione, per quanto Maedhros fosse troppo orgoglioso per ammetterlo. Certo, sapeva anche che non gliel’avrebbe mai fatto dire ad alta voce, ma le sue parole avevano fatto breccia nel fratello, in qualche modo. E che Maedhros aveva avuto modo di rimuginare su quello che gli aveva detto.

-È che sembri fare di tutto per evitare di parlarmi- obiettò Maglor, voltandosi improvvisamente a guardarlo negli occhi.- Di nuovo. E non voglio che accada.

-Io evito di parlarti?- il tono pareva meno duro, ma Maglor intuì ugualmente in esso una scintilla di biasimo, che lo mise sull’attenti.- Sono giorni che sto cercando di parlarti, Kano, ma tu sembri avere tutt’altro per la testa.

Maglor serrò le palpebre:- Hai detto tu che il discorso era chiuso … Di cosa vorresti parlarmi, esattamente?

Maedhros si voltò su un fianco, e i suoi occhi verdi brillarono per qualche istante nel buio.- Allora sei disposto a darmi retta. Bene, te lo dirò.

-Sei misterioso, stasera- commentò Maglor, piccato. Ma non era tranquillo, non gli piaceva il modo in cui Maedhros lo guardava, e nemmeno il suo tono enigmatico, aveva dei brutti presentimenti a proposito.

Maedhros lo ignorò. Si tirò sui gomiti, sistemandosi sulle coperte in modo da essere mezzo seduto, prima di piantare lo sguardo nel suo.

-Qualche giorno fa, ho assistito a una conversazione dei rifornitori. Dicevano qualcosa a proposito del fatto che tra non molto tempo, circa un mese al massimo, prima che l’esercito devi definitivamente verso Nord, si incontrerà  con Cìrdan e col figlio di Artaher.- Maedhros prese un sospiro profondo.- Non credo parteciperanno alla guerra. Il figlio di Artaher è poco di più che un ragazzo, può avere guidato delle spedizioni, ma non ha l’esperienza necessaria per contribuire a una guerra come questa.

-Ebbene?- Maglor cercò di rimanere calmo, ma il cuore gli accelerò i battiti. Il tono di suo fratello non lo rassicurava affatto.

-Dovrebbero limitarsi a darci gli ultimi rifornimenti necessari, ma da come ne parlavano, sembra che Cìrdan abbia intenzione di accogliere nel suo popolo tutti coloro che non riusciranno a compiere il viaggio verso Nord.

Maglor ammutolì di colpo. Ora aveva capito dove davvero suo fratello voleva andare a parare.

-No- la parola gli uscì dalla gola prima ancora avesse il tempo di riflettere su ciò che suo fratello aveva detto. Ma non poteva lasciar andare Elrond ed Elros, non dopo tutto quello che era successo, non con tutto quello che i due bambini significavano per lui.

Maedhros serrò gli occhi:- No? Makalaurë, cerca di ragionare, ho sempre ammirato la tua intelligenza. Come, no? Cosa vorresti fare, portare Elrond ed Elros nel Nord, di fronte alle porte di Angband? Trascinarceli dietro quando scenderemo in campo contro le schiere di Morgoth, contro le legioni degli orchi, i Balrog, e i draghi?

Per un istante, Maglor rivide la Dagor Bragollach, i suoi soldati che bruciavano vivi nel rogo scatenato dalle fiamme di Glaurung, le schiere di Morgoth lanciare urla di vittoria al cielo, gli arieti degli orchi distruggere il portone della sua roccaforte. Gli sembrò addirittura di risentire il puzzo immondo della carne bruciata, e si portò una mano alla gola, nel tentativo di scacciare la nausea.

No, portare Elrond ed Elros in mezzo a tutto questo avrebbe finito per significare la loro morte. Sarebbe stato un atto crudele, almeno quanto lo era stato strapparli alla loro casa natale, e trattarli come merce di scambio per avere indietro il Silmaril.

Ma ugualmente, non poteva lasciar andare così facilmente quei bambini. Non dopo che aveva iniziato a riversare su di loro l’amore che sarebbe dovuto andare ai figli che non aveva mai avuto.

Strinse le mani a pugno, nel tentativo di calmarsi, di impedire che la voce gli tremasse. Le unghie gli si conficcarono nei palmi delle mani, e Maglor fu grato della piccola fitta di dolore che sentì, che gli schiarì la mente per un attimo.

-Cìrdan vorrebbe ospitare chi non può venire al Nord? E dove, visto che Ossë inabisserà l’isola di Balar?- la voce gli uscì ferma, anche se più stridula di quanto avesse desiderato, e non poté impedire che le sue labbra si stirassero in una smorfia astiosa.

-Sugli Ered-Luin. La gente di Ulmo vuole creare dei valli d’acqua per separare le terre del Beleriand e costringere Morgoth alla ritirata. Le navi dei Falathrim dovrebbero passare agilmente sopra di essi, e a quel punto sarebbero lontani da ogni pericolo.

E Maglor sapeva bene di chi suo fratello stava parlando. E aveva ragione, non poté fare a meno di ammettere con una stretta al cuore. Maedhros gli stava proponendo quella che era un’idea sensata, e in un’altra occasione, in qualsiasi altra occasione, si sarebbe convinto e gli avrebbe dato retta. Ma non così, non ora che c’erano anche Elrond ed Elros di cui tener conto.

-E come potremmo convincere Cìrdan a tenerli?- Maglor tentò l’ultima carta.- Insomma, guardaci, fratello! Siamo le ultime persone che la gente del Beleriand ascolterebbe.

Maedhros aggrottò le sopracciglia:- E chi ha detto che debba ascoltare noi? Cìrdan era amico di Eärendil, tanto dovrebbe bastargli per essere contento di sapere che i suoi figli sono ancora vivi. Tanto più che sono sette anni che nessuno sa più nulla di quel che è successo ai figli di Elwing … potrebbero aver addirittura pensato che li abbiamo uccisi.- per qualche istante la voce gli si incrinò, e Maglor desiderò posare la mano su quella del fratello, fargli capire che gli era vicino, ma il momento passò, e Maedhros riacquistò l’autocontrollo, l’ombra che era passata per un attimo nei suoi occhi svanì.

-E dopotutto questo tempo … - Maglor serrò le labbra. Suo fratello aveva ragione, Cìrdan sarebbe stato solo contento di sapere che i figli di Eärendil erano ancora vivi. Così come lui avrebbe dovuto essere contento di sapere che erano al sicuro, lontano dalla guerra che si sarebbe scatenata da lì a poco nel Beleriand, e a tutto ciò che avrebbe portato.

Avrebbe dovuto esserne contento. E allora perché non riusciva ad accettare l’idea che Elrond ed Elros lo lasciassero?

-Io— Maglor prese un respiro profondo. Rimase in silenzio per qualche istante.- Permettimi di pensarci su, Nelyo, per favore. Ne ho bisogno.

Gli occhi di Maedhros si fissarono per un’ultima volta nei suoi:- D’accordo- la sua voce era atona.- Ti permetterò di pensarci su, dal momento che ne hai bisogno. Ma dammi una risposta al più presto. Entro poche settimane Cìrdan ci raggiungerà, non abbiamo tempo da perdere.

Maglor annuì piano, senza più riuscire a dire nulla. Si limitò a prendere la sua spada e ad aggiustarsela alla cintura, prima di uscire dalla tenda. Evitò di far rumore, non voleva svegliare i gemelli che dormivano tranquilli, totalmente ignari di ciò che si aveva in serbo per loro.

L’aria gelida della notte fu come uno schiaffo sul suo viso nudo, ma Maglor lo accolse con piacere. Si strinse addosso il mantello foderato di pelliccia che indossava, il vento che tentava di insinuarsi sotto i suoi vestiti, e si calcò il cappuccio sui lunghi capelli neri. Il freddo, per una volta tanto, non gli diede fastidio: gli aiutò a schiarirsi la mente, e a tenersi lucido.

Con un sospiro, fece scivolare la mano sull’elsa della spada, mentre camminava stancamente tutt’attorno alla tenda, scrutando nelle tenebre, ben attento a qualunque segnale potesse rivelarsi allarmante per loro. Ma attorno a loro non c’erano altro che l’oscurità della notte, rotta dalle migliaia di torce accese nel campo, e le tende di altri soldati poco distanti dalla loro.

Camminare si rivelò un piacere per la sua mente in subbuglio, riusciva a ragionare meglio, se il corpo era impegnato in qualcos’altro.

Strinse la mano a pugno, l’altra saldamente appoggiata all’elsa. Suo fratello aveva ragione, si disse stancamente ancora una volta. Eppure—

Eppure, come poteva lasciar andare così facilmente Elrond ed Elros? Ormai erano parte di lui, come se quei bambini li avesse generati lui dai suoi lombi e dal suo spirito, anziché strapparli dalla casa di Eärendil, tra il sangue e il fuoco.

Sapeva che portarli in guerra avrebbe significato la morte, per loro, lo sapeva fin troppo bene. Ma come avrebbe potuto fare senza averli accanto a sé? Senza sentire le loro vocine squillanti interpellarlo su ogni cosa, senza vedere i loro visini storcersi in espressioni incuriosite? Come avrebbe potuto fare senza quei bambini, che erano l’unica gioia che la vita gli avesse lasciato?

Premette le dita guantate contro le tempie, massaggiandosele. Era un pensiero egoista, lo sapeva fin troppo bene. Ma non poteva lasciarli andare. Non così, non dopo che era stato costretto a lasciare tutti coloro che amava, con la sola eccezione di Maedhros.

Ecco la dimostrazione che non sono il genitore che essi meriterebbero si ritrovò a pensare ad un certo punto, lo sguardo puntato ad Ovest, là dove si trovava Aman. Mia madre ci ha lasciati seguire nostro padre, nonostante abbia poi voluto indietro i gemelli. Un padre, un vero padre, farebbe qualsiasi cosa per tenere al sicuro la sua prole, anche a prezzo di questi sacrifici … e io cosa sono, se non riesco a pensare di lasciar andare via Elrond ed Elros, nemmeno per affidarli a qualcuno che potrà proteggerli meglio di quanto farei io? Come posso ritenermi degno di chiamarli figli miei?

Alzò lo sguardo verso Gil-Estel. La stella del vespro, come ogni volta che l’aveva vista, fendeva le tenebre attorno a sé, più luminosa di qualsiasi altra stella attorno a sé, ma quella vista non lo consolò, anzi, una stilettata di dolore gli attraversò il cuore, facendolo sussultare.

A differenza sua, non sarò mai davvero degno di essere definito loro padre , pensò amaro, stringendo per un attimo le palpebre. Sarò per sempre un Fratricida e un traditore, maledetto agli occhi dei Valar. E tutto questo dopo che io li allevati, io li ho cresciuti, io ho consolato i loro pianto.Io, non lui.

Non seppe mai esattamente quanto tempo rimase lì di guardia, camminando su e giù lungo il perimetro del terreno accanto alla tenda. Ma i suoi pensieri, ogni volta, inevitabilmente, tornavano sempre sulla stessa questione: suo fratello aveva ragione. E fare diversamente, rifiutare la sua richiesta, sarebbe stato solo dare retta al suo rovinoso egoismo, e avrebbe avuto il sangue di due innocenti sulla coscienza, ancora una volta.

Le ore passarono lente, lunghe, senza portargli sollievo, o una risposta che fosse differente da quella che sapeva già. Il cielo stava iniziando già a schiarire, quando Maglor tornò sui propri passi, avvicinandosi alla tenda. Scostò lievemente il lembo dell’entrata, giusto in tempo per vedere suo fratello aprire gli occhi, appena svegliatosi.

Fece ricadere il lembo di tessuto dietro di sé, nell’entrare, e rimase lì, ritto in piedi nel calore della tenda, l’unica lanterna che oscillava lievemente, il silenzio rotto solo dal lieve respiro dei due bambini. Fu allora che si decise ad incontrare lo sguardo del fratello.

-Eccomi- mormorò.- Sono pronto a comunicarti la mia decisione.

NOTE:

Artaher: nome Quenya di Orodreth. In questa storia viene seguita la versione della HoME dove Orodreth è figlio di Angrod e non di Finarfin, e dove Gil Galad è a sua volta figlio di Orodreth e non di Fingon (versione dovuta a un errore poi ammesso dallo stesso Christopher Tolkien).

non è proprio canonico al 100% che i gemelli vennero recuperati da Gil Galad e da Cìrdan, circa il recupero dei gemelli (su cui riporterò la citazione esatta più avanti) ci viene detto che furono recuperati genericamente da ‘alcuni Elfi’, senza specificare se fossero Noldor, Sindar o quant’altro, perciò lascia un certo margine d’interpretazione che mi sono permessa di sfruttare. Ammetto che ho ancora molti dubbi circa questa svolta, non fosse altro perché si tratta di un punto cruciale, che mi fa muovere con estrema cautela, spero ugualmente il risultato possa essere gradito!

mi scuso profondamente per il ritardo, avrei dovuto aggiornare prima di così, sono in ritardo sulla mia tabella di marcia, spero almeno di farmi perdonare con questo capitolo! avverto fin da subito che nei prossimi mesi gli aggiornamenti saranno abbastanza lenti (non che sia una novità, LOL) perché sarò in alto mare per conto mio, ma ugualmente, cercherò di postare al meglio delle mie capacità. grazie mille ancora a chi mi recensisce, chi mi preferisce, chi mi segue, chi mi ricorda, e anche solo a chi si limita a leggermi. grazie a tutti, Feanoriel
   
 
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