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Autore: SofiFlo    06/02/2016    1 recensioni
Regina ed Emma sono due ragazze distanti dal mondo che si sono ritrovate ad abitare; ma forse sarà questo a far stringere le distanze tra loro.
[Swanqueen]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, FemSlash | Personaggi: Cora, Emma Swan, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Henry sedeva tranquillo nel suo studio e stava leggendo un libro, quando le due giovani aprirono la sua porta. Il padre di Regina era un uomo anziano, i capelli grigi in disordine erano radi e le rughe segnavano quel volto, tanto da scavare solchi nella pelle dell’uomo non appena questi sorrise alla figlia. Quel sorriso aveva sempre fatto sentire Regina un po’ meglio del solito, sin da quando era piccola, ogni volta che aveva bisogno di un rifugio, fuggiva tra le braccia di quell’uomo, a rifugiarsi,  per non sentire quel che la madre le strillava con arroganza. E corse anche in quel momento a rifugiarsi nell’unico luogo al mondo che per lei era casa. Si allontanò in fretta però, e bisbigliò nell’orecchio dell’uomo quello che voleva dirgli, perché nonostante tutto, aveva paura a pronunciare parole simili in quel palazzo. Henry sollevò lo sguardo su Emma, diede un bacio alla figlia dicendo “Ti voglio bene” e puntò il suo sguardo in quegli occhi verdi. Passò circa un minuto di fronte alla bionda, pensando a tutto quel che voleva dire, di tutte le raccomandazioni che voleva fare a quella ragazza che per sua figlia stava mettendo in pericolo sé stessa, e poi lasciò cadere lo sguardo, ringraziando mentalmente qualunque divinità potesse esistere per il fatto che sua figlia non fosse sola, in quella fuga che lo spaventava, perché aveva sempre saputo che la sua famiglia si sarebbe divisa, ma allo stesso tempo sapeva di non poter abbandonare nessuno dei due fronti.

Il Conte lasciò le due ragazze dov’erano, e andò a cercare l’unico oggetto che poteva in qualche modo porre rimedio a quella situazione. Era stato lui, nel momento in cui Cora aveva lanciato sul castello l’incantesimo, a chiedere che quella collana fosse creata. Non aveva potuto impedire a sua moglie di intrappolare la figlia con la magia all’interno del palazzo, non mentre era così arrabbiata, ma era riuscito ad ottenere una clausola, un ciondolo che permettesse a Regina di uscire anche senza che Cora autorizzasse il passaggio. Non aveva neanche sperato di aver successo, ma poi si era ritrovato a presentare a Cora l’idea che loro non erano immortali, e a ricordarle che, se fosse successo qualcosa alla contessa, Regina sarebbe stata intrappolata per sempre. E non avrebbe mai potuto governare senza uscire nemmeno di casa.
E anche se qualunque altra scusa non sarebbe importata a Cora, ma l’idea che la figlia non potesse prendere il suo posto e avere il controllo sui loro territori l’aveva convinta. Non c’era nulla che desiderasse per Regina più della strada del potere.

Ad Henry non aveva detto dove aveva nascosto l’unico punto debole di quel grande incantesimo, ma l’uomo non dubitava di poterlo trovare. Era sicuramente nella cripta nascosta sotto il caminetto in cui Cora teneva i cuori strappati a chiunque l’avesse infastidita, e che pensava veramente che suo marito non avesse mai notato.
Quel luogo gli dava la nausea, ma questo non lo fermò. E poté tornare da quel viaggio nell’Inferno nascosto sotto il suo salotto con quel che era andato a prendere laggiù.

Poi dovette spiegare tutto alle due ragazze. E vide ogni emozione sul volto delle due. Lo stupore di Emma per quello che si nascondeva in quelle mura, la rabbia nello scoprire quel che quella strega aveva fatto, la gratitudine nei confronti di quello sconosciuto, e un tentativo di apparire responsabile,  di meritare la fiducia di una persona che stava sperando che lei fosse la Salvatrice di sua figlia.
E  trattenne a stento le lacrime nel vedere la sua bambina, così cresciuta, guardarlo negli occhi e frenare smorfie di dolore nel sentirsi ricordare tutto quel che turbava la sua giovane vita. Poi vide in Regina la gioia sincera nel capire di poter cominciare un viaggio tanto atteso, la tristezza di doverlo lasciare, e la consapevolezza di dover essere un’adulta. E allora le lacrime rigarono anche quel volto rugoso. E un paio di braccia si appese al suo collo come aveva fatto mille altre volte.

Uscirono di soppiatto in corridoio. Non fecero neanche un rumore ed arrivarono alle cucine. Regina indossò il ciondolo, mentre si preparava a varcare per sempre quella soglia, ed Henry le sorrise, ammirando quel volto che gli sarebbe mancato ogni giorno. Poi la porta si aprì, senza che nessuno di loro l’avesse toccata. E in cucina, tra loro e l’ultima porta da attraversare, videro Cora, la mano sinistra sul fianco, l’altra tremante di rabbia.
Quella donna aveva un fascino particolare, una bellezza mai svanita, arricchita da quella sicurezza e da quell’autorità che ostentava avvolte in un velo di crudeltà. Senza la sua rabbia, non sarebbe stata nessuno.
Non ebbe neanche bisogno di parlare, mentre scaraventava i tre, che avevano varcato la porta, contro le pareti. Due coltelli infilzarono i vestiti del marito alla parete, inchiodandolo. Emma non si era neanche ripresa dalla botta.
Regina, invece, era in piedi di fronte alla madre solo un secondo dopo aver toccato il suolo, e guardava Cora con un folle sguardo di sfida dipinto in volto. E sorrise, lo sguardo puntato su Cora, ma intento ad ammirare qualcosa di più lontano e visibile solo a lei.

Poi tutto cambiò velocemente. Cora sospese Regina a mezz’aria, tenendola per il collo in una morsa invisibile, e la ragazza si sentì di nuovo persa, e debole, ma, questa volta, non perse la speranza. E mentre urlava a Cora, impegnata a minacciare di torturare Emma, di fermarsi, sentì della forza – forse rabbia, forse coraggio, forse amore per sé stessa e per gli altri – scorrerle nelle vene. Era una forza incredibile, superiore a qualunque altra avesse mai provato, e arrivava da lei, la sentiva uscire come un fiume in piena dal suo stesso cuore. E poi esplodere, lasciandola cadere a terra, e lanciando Cora contro un tavolo. Poi Henry si staccò dalla parete e le disse di andare, perché Cora si sarebbe ripresa in fretta.
Tutto quello che accadde dopo rimase nella mente di Regina poco chiaro. Tutto sembrava confuso e la ragazza si sentiva debole, i suoi occhi le mandavano immagini confuse.  Sapeva che c’erano stati dei saluti, rapidi, distratti, e una corsa, una corsa lunghissima, che l’aveva distrutta. Poi degli altri saluti, agli amici di Emma, quelle persone che ormai si era dimenticata che la stavano aspettando, e che probabilmente per un po’ avevano corso con loro. E poi ancora un po’ di corsa, non ricordava dove fosse diretta, ma era sicura di non aver seguito una strada, di essere andata nella foresta. Poi aveva dormito, di questo era certa, accanto ad Emma.

***

Si svegliarono ai piedi di un albero, una grandissima quercia, che doveva essere stata il loro letto, quella notte. Regina si svegliò per seconda, e trovò Emma ad aspettarla, con la sua colazione in mano. Tutte le cose che aveva lasciato nella locanda e tutto quello che aveva visto nella camera di Emma era sparso intorno a loro. Il sorriso di Emma era una delle cose più belle che avesse mai visto, incorniciato da quel viso e da quei capelli, e, poi, dalle fronde degli alberi immerse nella luce del mattino.
E Regina si fece spiegare tutto quel che la sera prima aveva vissuto come se non si fosse trovata veramente lì, e sorrise, sorrise, sorrise, guardando Emma impegnata a raccontare. E si fece raccontare mille altre storie, mentre riprendevano il cammino verso la vita che avevano iniziato insieme in un piccolo paesino chiamato Storybrooke, e che le avrebbe potate ad attraversare chissà quante altre città.

***

[ N.d.A. Buonasera a tutti! Sono ancora viva e sì, sono addirittura in grado di aggiornare. Mi scuso per aver fatto tardare tardi la conclusione a questa storia, non ho scuse, sono solo pessima nel concludere i racconti, ma porto una buona (o forse no) notizia. Anche se ora affermerò di aver completato questa storia, non penso che lo stato “completa” accanto a “9 capitoli” rimarrà per sempre.
Ho solo in mente un epilogo neanche troppo brillante che non voglio tenere per me, ma che non so quando riuscirò a scrivere.
Quindi sì, questo è un addio, per ora.
Grazie.
Grazie a chi, per sbaglio, ha aperto questa storia e poi ha richiuso velocemente perché in fondo non gli/le interessava leggerla.
Grazie a chi ha deciso che il modo migliore per farmi sapere che non gli era piaciuta fosse fermarsi al primo capitolo.
Grazie a chi si è annoiato prima della fine, a chi si è stufato di aspettare che aggiornassi, a chi dopo un po’ ha deciso di smettere di sprecare il suo tempo.
Grazie a chi ha letto ogni parola, dall’inizio alla fine.
Grazie a quelli a cui le mie parole sono piaciute.
Grazie a chi ha recensito.
Grazie a chi ha seguito questa storia.
Grazie a tutti, perché, anche senza saperlo, mi hanno fatto venir voglia di scrivere.
Grazie a chi è arrivato fino a qui.
Grazie a chi ha letto e a chi leggerà.
Grazie di cuore a tutti.
A presto, spero
•Sofia]
 
   
 
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