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Autore: kirarachan    20/03/2009    1 recensioni
Rebecca, una ragazza sola che si è lasciata dietro una vita di delusione e solitudine.
Grazie ai suoi sogni si imbatterà in un mondo che molti reputano magico, ma che è semplicemente al di là della porta del sonno.
[*seconda classificata al concorso Magical Tales indetto da niobe88*]
Genere: Romantico, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ennòna
“Rinata”

Solitudine.

 

Se ne stava in contemplazione davanti a un vaso di rose. Con dolcezza staccò un petalo che appassito, al tocco con la sua mano si sfaldò.

“La solitudine è la cosa più generosa che esista a questo mondo.” Tutte le volte che se ne stava lì da sola ricadeva sulla stessa questione, sapeva che aveva fatto la cosa giusta, eppure continuava a rimuginarci sopra. “E se invece avessi sbagliato?”. Queste erano le due cose che continuavano a scontrarsi nella sua mente.

Sospirò e si accostò alla finestra della saletta, al di là di quel sottile strato di vetro si estendeva immensa la campagna irlandese, il cielo quel giorno era appena coperto da qualche nube che rendeva l’atmosfera unica nel suo genere. Intorno a quella piccola casetta il nulla, solo la campagna verdeggiante a perdita d’occhio. Unico approccio umano, la casa, e la strada -sterrata- che vi conduceva.

In una parola: Solitudine.

“Una persona sola ha rinunciato alla propria felicità per non far soffrire altre persone con il proprio comportamento” La ragazza sospirò nuovamente e pose il capo sulle braccia incrociate, una lacrima le rigò il viso e cadde sulla stoffa della maglia celeste che indossava.
I capelli lunghi e lisci le si sparsero attorno alle spalle come una coperta corvina.
I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle, le lacrime si susseguivano senza sosta. “Ciò che ho fatto è giusto. Per colpa mia non soffrirà nessuno, ho lasciato la mia patria, mi sono rifatta una vita qui  in Irlanda proprio per non avere legami con nessuno!” .

Tutti quei pensieri erano solo ed esclusivamente per farla sentire nel giusto e non farle sorgere ripensamenti, che però a discapito degli innumerevoli tentativi si insinuavano nel fondo della coscienza e facevano tentennare la sua sicurezza.
“Non è giusto, non è giusto!” Cercando un fazzoletto, con la mano toccò una superficie liscia, incuriosita la prese in mano. Con lentezza e cura ne sfiorò la superficie, una foto vecchia, impolverata e con qua e là i segni dell’usura del tempo.
Si morse il labbro trattenendo ulteriori lacrime, la foto ritraeva la sua vecchia vita. Tre ragazzi vicini, due ragazze e un ragazzo sorridenti brindavano felici. La mora era baciata sulla guancia dal ragazzo.

Istintivamente la ragazza si pose la mano sulla guancia. “Io vi volevo bene, io ti ho amato, e voi mi avete tradita! Mi avete usata per i vostri scopi e l’unica che fu abbandonata sono io!
L’unica che ha sofferto sono io!”

Lentamente si alzò dalla sedia e si diresse al bagno dove si sciacquò il viso, gli occhi scuri erano contornati da occhiaie. “Perfetto!”. Sbatté un pugno sul mobile del bagno. “Lasciatemi stare! Non voglio più avere nulla a che fare con voi! Mi state rovinando la vita anche se non ci siete!”

Il rumore di graffi alla porta la fecero trasalire. << Kaunis! >> Corse alla porta e qui un siamese la stava attendendo, lei sorrise e il piccolo gatto entrò. Era certa che questo fosse uno dei primi sintomi di pazzia, però l’amicizia di quel gatto era l’unica che accettasse.

 

<< Stupido! Stupido! Stupido!!! Mi senti Forohel?! SEI UNO STUPIDO! >> Piccoli zampilli di luce scoppiettavano qua e là attorno alla figura rossastra. << Lo sa che ci è impedito e cosa va a fare? Ovvio! La va a trovare!!! >>
Una figura apparentemente umana stava svolazzando destra e a sinistra nella radura, le ali le battevano frenetiche sulla schiena smuovendo la massa di capelli carminia che a seconda della luce assumeva riflessi fucsia e magenta. << Carnil, calmati, suvvia, sai com’è fatto e dopotutto non fa nemmeno nulla di male no? >>

Il ragazzo che le rispose si stava specchiando in una pozza d’acqua. I capelli verdi gli sfioravano le spalle e gli occhi neri stavano fissi sul suo riflesso senza degnare di particolare attenzione la ragazza che ora batteva le ali arrabbiata.
Di punto in bianco il tipo dai capelli verdi se la vide comparire davanti al viso a testa in giù.
<< Dorlas?! Mi vuoi degnare di un’occhiata? >>

Lui pose il suo sguardo nero su quello bianco della fata per una manciata di secondi e poi tornò a guardarsi nella pozza. L’altra sbuffò andando a sedersi su una pietra poco lontana. << Suvvia Carnil ne fai una tragedia! >>

Le ali le battevano frenetiche creando nuvolette rosa e rosse che si dissolvevano dopo pochi attimi. Il ragazzo ignorando volutamente la fata distese le sue ali di libellula al sole facendole brillare.
<< Ne faccio una tragedia? Ma Forohel è là da… da… >> Batté un piede in aria come se avesse la terra sotto i piedi, era stufa! << Aaah basta! Io ci rinuncio! >> Con un batter d’ali furioso si alzò nel cielo d’Irlanda.

“Cara la mia Carnil, non è che sei gelosa?” Capelli-Verdi alzò gli occhi al cielo dove la fata stava volando via, “Oh Carnil se solo ti guardassi attorno..”. L’elfo abbassò lo sguardo affranto nuovamente sul suo riflesso deturpato da una goccia salata che cadde nella pozza.

 

Era ormai un mesetto che quel gatto aveva iniziato a gironzolare attorno a casa sua, e aveva iniziato a considerarlo un coinquilino. L’occhio le cadde sul tavolo dove stavano impachettate delle buste, bollette…
Si batté la mano sulla fronte, non ce l’avrebbe mai fatta, il fattore l’avrebbe pagata nel giro di una settimana e le bollette sarebbero scadute l’indomani. << Che noia!!! Non è possibile! >>.

Sbuffando e sospirando si diresse nella sua camera e si buttò a pancia in giù sul letto. “Non è possibile!!! Pure questa!? E come diamine faccio ora a pagare!?”
Prese il cuscino e se lo sbatté sulla fronte, “Dopo tutti i mie sforzi per abbandonare casa ora mi ritrovo da capo! Ma ce la devo fare, io là non ci voglio tornare!”
Sentì Kaunis salire sul letto e accoccolarsi accanto a lei. Iniziò ad accarezzarlo fra le orecchio e poi lentamente senza accorgersene cadde nel mondo dei sogni

Il bosco attorno a lei era fittissimo, non sapeva dove andare, seguì un sentiero che sembrò meno intricato di altri e si addentrò nella boscaglia fino a raggiungere una radura. Il sole era oscurato da numerose nubi e sembrava in procinto di piovere, era strano come posto, le infondeva una sensazione di realtà mista a insicurezza. Voleva andarsene.
<< Rebecca... >>
Si voltò sentendo chiamare il suo nome, ma nulla. << Rebecca… >>.
<< Uffa questo gioco non mi piace! Abbi il coraggio di mostrarti! >>
A queste parole una figura iniziò ad emergere dalla boscaglia, appena le si avvicinò lei poté vedere un ragazzo che era tutto tranne che umano.

I capelli blu erano lunghi con qua e là delle striature viola scuro. Rimase colpita dagli occhi, erano bellissimi, anche se una comune parola umana come quella non era sufficiente a descriverli. L’azzurro era talmente chiaro che sembravano due pezzi di ghiaccio, quasi bianchi. Le orecchie finivano in una elegante punta.

Arretrò quando focalizzò meglio l’attenzione sulla figura davanti a lei, quello che aveva dietro alle spalle non era un mantello… Il tipo davanti a lei sulla schiena aveva un paio di ali di farfalla! Anch’esse tendevano al blu e avevano una trama simile a quella dei vetri di una cattedrale, in certi punti erano blu oceano, in altri viola e in altri ancora verdi, e se colpite dai deboli raggi che sfuggivano alle nubi comparivano altre miliardi di sfumature.
Dalle labbra le sfuggì un gemito strozzato. Non capiva nemmeno lei perché avesse paura visto che era un sogno, ne era certa di questo, e nonostante tutta la verità che vi trasparisse restava un sogno.    La veste blu scuro che portava era lunga fino alle ginocchia e le gambe erano fasciate dai pantaloni di tela.
Avanzava faticosamente tenendosi a un bastone molto lavorato.

<< Chi sei? >> Sebbene la stranezza del sogno e l’insicurezza provata fino a pochi attimi prima,sapeva che di quella persona si poteva fidare, era come se lui le infondesse il coraggio di sopportare tutta quella situazione. << Mi chiamo Forohel >>.
 
   Al suono della voce ebbe un sussulto, era dolce e impalpabile ed era come se non fosse pronunciata direttamente dall’elfo, proveniva da tutto intorno a lei. Sentì un tintinnio di ferraglia e solo allora si accorse che tutt’intorno al corpo del ragazzo correvano fili di catene argentee. Mentre lui camminava sorretto dal bastone le catene gli si stringevano al corpo rovinando la veste e scorticandogli la pelle delle braccia.
   << Fermati, così ti farai male! >> Senza essersene resa conto aveva iniziato a piangere.
<< Il dolore più grande per me è un altro… >>
<< Per favore fammi capire, sei reale? Non capisco nulla, non mi sembra di sognare eppure so che è così…
Ma in fondo in fondo non voglio che sia un sogno, non voglio che tu sia un sogno! >> Lentamente si stava rendendo conto che le pareva di conoscerlo da tantissimo tempo. Era come se lo stesse attendendo da tempo, e ora l’aveva trovato.
<< Non posso dirti di più sul mio conto, se non che voglio che tu abbandoni la tua vita, stai soffrendo troppo. Non posso più vederti così! Mi fa più male di queste catene!
Ogni giorno piangi lacrime che io sebbene sia al tuo fianco non posso asciugare... >> L’elfo aveva abbassato il capo tristemente. << ...Vivi in un dolore che io non mi è permesso confortare. E ora sebbene abbia braccia con le quali stringerti, anche se ti abbracciassi tu non riusciresti a percepire il calore del mio corpo. >>
Lei era sempre più stupita dalle parole del ragazzo.
   << Mia piccola Rebecca, è giunta l’ora che ti svegli >>.
<< Non voglio! >> Le lacrime le scorrevano nuovamente lungo le gote rosate. << Io voglio restare qui! >>
Lui si mosse appena e le catene come edera lo costrinsero a fermarsi. << Rebecca non sai quanto vorrei che tu restassi qui, ma non puoi, questo è il regno del sogno, voi siete i benvenuti certo, ma non potete restarvi >>
Non capì molto, però sapeva che doveva abbandonare quel luogo, quel luogo che lui chiamava regno del sogno, quel luogo dove lei si sentiva a casa. << Non capisco dove vuoi andare a parere! Prima mi dici che vuoi che io abbandoni la mia vita e ora che non posso restare qui! >> Fra i singhiozzi e le lacrime riprese fiato, asciugandosi gli occhi con la mano. << Cosa devo fare? Dimmelo te ne prego, io da sola non lo capisco! >>.

Mentre attendeva una risposta che tardava ad arrivare prese a morsarsi il labbro inferiore.
 L’elfo prese le poche forze che gli restavano e le si avvicinò posandole una mano sulla guancia. Le catene si stringevano addosso attimo dopo attimo, la ragazza sentiva il respiro farsi sempre più affaticato.
Con un ultimo sforzo avvicinò il viso a quello di lei e pose le labbra su quelle della umana, il tocco era dolce, e lei non fece in tempo a capire cosa stesse accadendo che lui si ritrasse.
Iniziò a sentire il corpo farsi pesante e poi in un battito di ciglia riprese coscienza nel suo letto.

 

“Non è giusto! Forohel!” Prese fra le mani il cuscino e se lo portò fra le braccia stringendolo a se. “Che cosa ho sognato? Che cosa?!? Verità o finzione? Il filo che congiunge le due realtà si è forse spezzato facendomi cadere nell’oblio dei sensi?”

 

<< Bravo! Bravissimo! >> La fata rossa stava con aria crucciata davanti all’elfo blu. << Sei fortunato se non diremo nulla! Non è così Dorlas? >>
<< Carnil, a me non interessa minimamente se Forohel vuole mettersi nei casini per un’umana, se ritiene che ne valga davvero la pena, io sarò pronto ad aiutarlo… >> Tradendo ogni aspettativa l’elfo-libellula alzò il viso dalla pozza cristallina e guardò negli occhi Forohel. “Spero bene per te che non perderò il mio tempo...”

“Puoi giurarci, questa volta so che è ciò che devo fare.” L’occhiata complice che si lanciarono non sfuggì a Carnil che subito si intromise nel discorso. << Sentitemi bene, odio questa facoltà che abbiamo! Perciò vi auguro di non aver pensato nulla di deplorevole >>
<< Tranquilla! Ah si, Carnil, quel nuovo abito ti dona moltissimo… >> Sapeva come prenderla e avrebbe fatto di tutto per farla tacere. << Dici davvero Forohel? Oh sapevo che dovevo assolutamente farmelo confezionare! Guarda qui, queste sono gemme primaverili di Acero! E qui nella sottana non ci crederai ma queste foglie di mandorlo vengono direttamente dal Giappone! Me le hanno donate dei parenti che abitano là, sono essiccate per lasciar loro una colorazione tendente all’arancio… >> Abbassò il capo sconsolato, era sempre così. Nemmeno Dorlas raggiungeva i suoi livelli di egocentricità, tanto che mentre parlava le sue ali sembravano brillare tant’era contenta delle attenzioni ricevute. La trama delle sue ali era molto vivace, principalmente tendeva al rosso con delle figure che rimandavano a cuori.

<< Te li avevo fatti anche io i complimenti Carnil... >> Dorlas la accarezzò con gli occhi ma lei non parve rendersene conto. I suoi occhi erano solo per Forohel.
<< Scusatemi ora, sono stanchissimo, l’incantesimo oggi mi ha proprio sfiancato. >>
<< A che punto sei? Si insomma quanto pensi che ti occorre ancora prima di… >>
L’elfo sbuffò. << Proprio non lo so Dorlas, oggi ho fatto un bel passo avanti, ma il suo corpo, lei ancora non è pronta. >>

<< Di... di che state parlando?! >> Carnil interruppe il suo fiume di parole e prese a tremare dalla rabbia mentre ascoltava i due parlare. << Che cosa significa, -ancora non è pronta?- >> La rossa si fiondò fra le braccia scorticate di Forohel.
<< Che cosa stai farneticando?! >> Poi appena scorse i numerosi graffi si allarmò. << E questi cosa sono!? >>
Le pose una mano sul capo e la scostò da sé. << Carnil, calmati, solo che ho trovato una persona che ha bisogno di me, e io sento che ho bisogno di lei. >>
<< NO! Non può essere! E’ un’umana vero? E’ una di loro… VERO? >>
<< Calmati Ca… >> Lei cacciò via la mano che le accarezzava il viso, mentre con la manica dell’abito si asciugava gli occhi da cui scendevano molte lacrime. << Non mi dire di calmarmi! E’ per lei che hai questi graffi forse? >>
<< Non centra, lei non può sapere nulla di più per ora. >>
<< E allora? E’ egoista se non pensa al tuo bene! Non vederla più, non andarla più a trovare! Lei è cattiva se ti fa stare male! >>

*Sciaf*

La fata si pose la mano sulla guancia arrossata. << Smettila! Carnil basta! Sei patetica se ti comporti così! >>. Fra le lacrime vedeva una chioma verde con la mano ancora a mezz’aria. << Dor… Dorlas… >>
<< Scusami, ma non pensi che Forohel possa anelare alla felicità? >>
<< Io, Forohel… >> La ragazza era ancora scossa dalle lacrime. “Forohel è un elfo! Lei non lo merita, gli uomini vogliono solo il male per noi, noi siamo creature sole, lei NO!”. Alzò gli occhi prima su Dorlas e poi su Forohel. << Vi odio!! >> Detto ciò si librò nel cielo come una furia, sapeva cosa doveva fare, e doveva farlo al più presto!

 

Se ne stava seduta nella veranda della casa, il fattore le aveva appena comunicato che alla fattoria ci sarebbe stata una settimana di riposo e che le avrebbe anticipato la paga senza problemi. Sarebbe riuscita a pagare tutto senza problemi!
Il sole stava tramontando sul profilo del mare, tutto intorno a lei aveva assunto una sfumatura rossastra innaturale, però bellissima; quella era la pace alla quale voleva giungere, nessun pensiero triste, nessuna preoccupazione, niente problemi. Sospirò rilassata. “Questo si che è vivere!”

Le tornò alla mente il sogno, le venne da ridere, che stupida che era stata a crederci davvero a tutte quelle sensazioni, era solo un comune e banale sogno. Non c’era da ammalarsi per…
“Quegli occhi così tristi.” Scosse la testa, era un sogno non era reale! “Eppure, dopotutto non mi resta che sognare per ritrovarlo” Sospirò sconsolata. “E’ da sciocchi eppure io voglio crederci”
Rise fra sé e sé, forse stava davvero impazzendo, ma non le importava.
“Forohel, molto singolare, però devo dire che è adatto a quell’elfo, tutto in lui rimandava alla bellezza di quel nome”

E fu così che si perse a pensare al mondo magico delle fate e degli elfi e si addormentò accarezzata dal vento fresco della serata.

Purtroppo per lei però non sognò un bell’elfo dal sembiante di Zaffiro, ma di un Rubino travolto dalla passione più rossa e di uno Smeraldo arso dall’invidia più verde.

 

Correva. La foresta era quella del sogno precedente, la riconosceva, solo che al contrario della volta precedente, questa volta percepiva solo pericolo e frustrazione provenire da ogni dove.
“Perché questa volta non c’è Forohel? Cosa sono questi sentimenti cupi? ...Ho paura!”

<< Bella bambolina corri lontana prima che ti raggiunga… Ah. Ah. Ah. >>
La ragazza sorpresa dalla voce che le stava parlando inciampò in una radice e cadde a terra. “Ahio! Maledizione, devo rialzarmi!”
<< E no bambolina, devi stare attenta o ti farai male ...da sola! >> La risata che si propagò nella foresta la fece rabbrividire. << Chi sei anche tu?! Cosa vuoi da me? >>
<< No. No. No… devi moderare il linguaggio bambolina, portami rispetto o sarà peggio per te! >>
Si rialzò e riprese a correre, il dolore alla caviglia si attenuò e non le intralciò la fuga.
Mentre si scostava l’ennesimo ramo dal viso vide accanto a lei un alone verdastro che lentamente prendeva forma umana. Si fermò.
<< Oh bambolina non scappi più? Uff e io come mi diverto ora? >>

<< Sssh, fai piano lei non sa che sono qui, posso aiutarti! >> Tutto ciò che ora poteva distinguere nella strana figura erano due lunghe ali di libellula, il resto era offuscato dalla stessa luce che emanava. Lo vide fregarsi le mani e poi soffiarle qualcosa addosso.
Chiuse gli occhi quando senti della polvere che le pizzicava il viso. << Tranquilla non è nulla, solo ti aiuterà, vieni ora, ti porto al riparo dalla sua furia! >>

Non che capisse molto però sapeva che quello, come l’altro, non era un semplice sogno. La figura si delineava passo dopo passo, e lei al contempo sentiva delle fitte alla schiena e i piedi farsi leggeri; continuavano a correre, finché non entrarono in una grotta.
<< Qui siamo al sicuro. Lei detesta gli antri scuri. >> La creatura si appoggiò alla parete rocciosa. << Così tu sei Rebecca, capisco bene sia la furia di Carnil che l’interesse di Forohel, tu sei diversa >>
<< Non ci capisco più nulla! Tutti sapete chi sono io, e io non so nulla di ciò che mi sta accadendo! >> Pose la testa sulle ginocchia che aveva portato al petto.
<< Oh bè penso che avrai modo di capire tutto, ora però devi riuscire a sottrarti alla gelosia bruciante del Rubino >> Lei lo guardò scettica. << La gelosia del Rubino? Che stai dicendo?! >>

<< Quindi tu, davvero non sai nulla delle fate e degli elfi? Mi stupisci. Proprio tu che non sai nulla di noi! >>

La ragazza ne capiva di volta in volta meno. “Cos’è che dovrei ‘sapere’?” Guardò nuovamente la creatura che le faceva compagnia in quell’antro. Ora che finalmente era divenuto concreto, pareva Adone.
Lo sguardo era nero come la pece e sembrava inghiottire la luce stessa che gli si posava sopra, si guardava attorno in maniera guardinga come se si aspettasse qualcosa. I capelli verde smeraldo incorniciavano un viso dalla carnagione pallida come la luna, le labbra appena pronunciate erano contratte in una smorfia, mentre torturava l’unghia del pollice con i denti.
Era seduto per terra con una gamba raccolta al busto, e un braccio disteso sopra la ginocchio. I pantaloni che indossava sembravano rubati dalla natura stessa, erano rami di salice intrecciati.
Tutto in quel ragazzo era magnetico, l’avrebbe fissato per ore senza stancarsi e senza trovare nessun difetto.
<< Ecco una cosa che accomuna noi fate ed elfi, siamo come calamite per voi umani. >> Scostò lo sguardo imbarazzata per essere stata colta sul fatto. Biascicò uno stentato scusa suscitando il riso nell’elfo davanti a lei. << E poi con me, questa caratteristica è particolarmente accentuata perché quelli come me, derivano dallo Smeraldo.
Ma penso che sia meglio se ti spiego tutto con calma… Vero Ametista? >>

A quel nome Rebecca venne pervasa da una scossa. << A… Ame… tista? Che significa? >> Si prese la testa tra le mani, le faceva male. << Io mi chiamo Rebecca, non… Ametista! >> Al solo pronunciare di quel nome la testa riprese a dolerle.
<< Che mi sta succedendo? >> La fronte le si era imperlata di sudore e lei si era accasciata al suolo.
Senza scomporsi l’elfo di fronte a lei sospirò.

<< Rebecca lascia che ti spieghi. >>
<< Tanto ormai non penso di avere alternative, là fuori da qualche parte c’è una tizia che mi vuole torturare. Quindi non credo che mi rimanga alternativa, se non quella di ascoltarti. Smeraldo >>

<< Bene, allora, credo che sia inutile premettere che le fate e gli elfi esistono realmente. Tutti noi deriviamo dalle piante, dagli elementi, dai minerali e per finire dagli animali, anche se questi sono in numero minore.
Ogni gerarchia di creature fatate discende da un unico elemento della natura. Gli unici elementi che hanno più di una famiglia di riferimento sono gli elementi stessi, fuoco, acqua, terra, aria. Per il resto può esserci solo una famiglia per ogni pianta, animale e pietra. Per farti un esempio, oltre alla mia famiglia dello Smeraldo non ce ne può essere altra.

<< Ogni famiglia ha delle proprie caratteristiche, la mia è dotata di una straordinaria bellezza tale da riuscire ad incantare, i rubini sono estremamente passionali e iracondi, come puoi ben immaginare, gli zaffiri sono la quinta essenza della calma e possono calmare gli animi, per citarne alcuni…

<< L’unica caratteristica che ci accomuna tutti è la possibilità di parlare tramite il pensiero, che però è possibile solo fra creature femminili e maschili distintamente, perciò un maschio non può parlare mentalmente con una femmina e viceversa… >>

La ragazza aveva ascoltato tutto in silenzio e lentamente il dolore alla testa stava scemando. << Ma ora voglio sapere perché prima mi hai chiamato… Ametista… >> lo disse piano per paura di un’altra fitta che non arrivò. << Io sono un’umana! >>
L’elfo sogghignò. << No mia cara. Tu sei un’ incarnata. >>
Lo guardò senza capire e lui continuò la spiegazione. << Lo spirito di una gemma talvolta  per un motivo a noi sconosciuto anziché entrare nel bozzolo di una farfalla e diventare fata, passa nel corpo di un neonato umano, questi sono quelli che noi chiamiamo incarnati. >> L’elfo pose lo sguardo sul cielo notturno. << Si è fatto tardi, è ora che tu torni al tuo corpo. Penso che Carnil si sia calmata, può darsi che abbia incontrato Forohel… >>

<< Ah… va bene… >> Il tono della sua voce era molto triste e abbattuto e con una certa nota di amarezza. << Tranquilla, Forohel non prova nulla per Carnil. Puoi stare tranquilla! >>
<< M… Ma che dici?! Io.. non penserai che io provi qualcosa per un elfo! >>
Lo vide sogghignare. << Certo, bene e ora è meglio se torni al tuo corpo. >>
<< E come faccio secondo te? L’altra volta… >> Il viso assunse tonalità rossastre. << ..ecco l’altra volta mi hanno aiutata >>
<< Lo so, lo so… >> Lo Smeraldo rise nuovamente. Poi le si avvicinò con un movimento agile e veloce, le pose un lieve bacio sulle labbra e poi tornò alla sua posizione precedente. << Bon Voyage! >>
Come la volta precedente il corpo le divenne pesante e rinvenne sulla sedia della veranda che era appena l’alba.

 

“Che freddo!!” Corse dentro casa e mise sul gas il bollitore per l’acqua mentre dalla camera prendeva un plaid e si copriva le spalle. “Per lo meno ora so che non stavo impazzendo!” Rise fra sé e sé, ma subito il pensiero del Rubino che la minacciava ogni qual volta si addormentasse la fece cadere nello sconforto.
Il fischio fastidioso del bollitore la fece trasalire. Aveva tutto il giorno per pensarci.

Mentre si scaldava con la sua tazza mattutina di tè alla vaniglia sentì il classico graffiare alla porta, vi si diresse e il siamese entrò. Lo vide stranamente deperito e pieno di tagli.
Il gatto senza degnarla di particolari attenzioni si diresse sulla poltrona del piccolo salotto e vi si gettò sopra esausto crollando subito a dormire.
Gli si avvicinò lentamente e prese ad accarezzarlo, la creatura si mosse nel sonno senza però svegliarsi. << Che ti è successo? >>

Con calma prese a curarlo, disinfettando tutti i tagli e bendando quelli che la preoccupavano di più. Ad un tratto mentre stava accarezzando una zampetta tutta bendata ebbe una visione, o per meglio dire un déjà-vu, una mano protesa sulla sua spalla, dei ciuffi blu, delle labbra calde.
Ritrasse la mano impaurita.

“Perché ho visto Forohel?”
Una fitta alla schiena la pervase come nel sogno della notte precedente, la vista le si offuscò. “Maledizione!”
Sentiva le forze venirle meno, prima di chiudere gli occhi però vide una figura azzurra sovrapporsi a quella del siamese dormiente, una figura con grandi ali blu.

   
 
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