Ennòna
“Rinata”
Solitudine.
Se ne stava in contemplazione davanti a un vaso di rose. Con dolcezza staccò un petalo che appassito, al tocco con la sua mano si sfaldò.
“La solitudine è la cosa più generosa che esista a questo mondo.” Tutte le volte che se ne stava lì da sola ricadeva sulla stessa questione, sapeva che aveva fatto la cosa giusta, eppure continuava a rimuginarci sopra. “E se invece avessi sbagliato?”. Queste erano le due cose che continuavano a scontrarsi nella sua mente.
Sospirò e si accostò alla finestra della saletta, al di là di quel sottile strato di vetro si estendeva immensa la campagna irlandese, il cielo quel giorno era appena coperto da qualche nube che rendeva l’atmosfera unica nel suo genere. Intorno a quella piccola casetta il nulla, solo la campagna verdeggiante a perdita d’occhio. Unico approccio umano, la casa, e la strada -sterrata- che vi conduceva.
In una parola: Solitudine.
“Una
persona sola ha rinunciato alla propria felicità per non far
soffrire altre
persone con il proprio comportamento” La ragazza
sospirò nuovamente e pose
il capo sulle braccia incrociate, una lacrima le rigò il
viso e cadde sulla
stoffa della maglia celeste che indossava.
I capelli lunghi e lisci le si sparsero attorno alle spalle come una
coperta
corvina.
I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle, le lacrime si
susseguivano senza
sosta. “Ciò che ho fatto
è giusto. Per
colpa mia non soffrirà nessuno, ho lasciato la mia patria,
mi sono rifatta una
vita qui in Irlanda
proprio per non
avere legami con nessuno!” .
Tutti quei pensieri
erano solo ed
esclusivamente per farla sentire nel giusto e non farle sorgere
ripensamenti,
che però a discapito degli innumerevoli tentativi si
insinuavano nel fondo
della coscienza e facevano tentennare la sua sicurezza.
“Non è giusto, non
è giusto!” Cercando
un fazzoletto, con la mano toccò una superficie liscia,
incuriosita la prese in
mano. Con lentezza e cura ne sfiorò la superficie, una foto
vecchia,
impolverata e con qua e là i segni dell’usura del
tempo.
Si morse il labbro trattenendo ulteriori lacrime, la foto ritraeva la
sua
vecchia vita. Tre ragazzi vicini, due ragazze e un ragazzo sorridenti
brindavano felici. La mora era baciata sulla guancia dal ragazzo.
Istintivamente la
ragazza si pose la mano sulla
guancia. “Io vi volevo bene, io ti
ho
amato, e voi mi avete tradita! Mi avete usata per i vostri scopi e
l’unica che
fu abbandonata sono io!
L’unica che ha sofferto sono io!”
Lentamente si alzò dalla sedia e si diresse al bagno dove si sciacquò il viso, gli occhi scuri erano contornati da occhiaie. “Perfetto!”. Sbatté un pugno sul mobile del bagno. “Lasciatemi stare! Non voglio più avere nulla a che fare con voi! Mi state rovinando la vita anche se non ci siete!”
Il rumore di graffi alla porta la fecero trasalire. << Kaunis! >> Corse alla porta e qui un siamese la stava attendendo, lei sorrise e il piccolo gatto entrò. Era certa che questo fosse uno dei primi sintomi di pazzia, però l’amicizia di quel gatto era l’unica che accettasse.
<<
Stupido! Stupido! Stupido!!! Mi senti Forohel?!
SEI UNO STUPIDO! >> Piccoli zampilli di luce
scoppiettavano qua e là
attorno alla figura rossastra. << Lo sa che ci
è impedito e cosa va a
fare? Ovvio! La va a trovare!!! >>
Una figura apparentemente umana stava svolazzando
destra e a sinistra nella radura, le ali le battevano
frenetiche sulla
schiena smuovendo la massa di capelli carminia che a seconda della luce
assumeva riflessi fucsia e magenta. << Carnil, calmati,
suvvia, sai com’è
fatto e dopotutto non fa nemmeno nulla di male no? >>
Il ragazzo che le
rispose si stava specchiando
in una pozza d’acqua. I capelli verdi gli sfioravano le
spalle e gli occhi neri
stavano fissi sul suo riflesso senza degnare di particolare attenzione
la
ragazza che ora batteva le ali arrabbiata.
Di punto in bianco il tipo dai capelli verdi se la vide comparire
davanti al
viso a testa in giù.
<< Dorlas?! Mi vuoi degnare di un’occhiata?
>>
Lui pose il suo sguardo nero su quello bianco della fata per una manciata di secondi e poi tornò a guardarsi nella pozza. L’altra sbuffò andando a sedersi su una pietra poco lontana. << Suvvia Carnil ne fai una tragedia! >>
Le ali le battevano
frenetiche creando
nuvolette rosa e rosse che si dissolvevano dopo pochi attimi. Il
ragazzo
ignorando volutamente la fata distese le sue ali di libellula al sole
facendole
brillare.
<< Ne faccio una tragedia? Ma Forohel è
là da… da… >>
Batté un
piede in aria come se avesse la terra sotto i piedi, era stufa!
<< Aaah
basta! Io ci rinuncio! >> Con un batter d’ali
furioso si alzò nel cielo
d’Irlanda.
“Cara la mia Carnil, non è che sei gelosa?” Capelli-Verdi alzò gli occhi al cielo dove la fata stava volando via, “Oh Carnil se solo ti guardassi attorno..”. L’elfo abbassò lo sguardo affranto nuovamente sul suo riflesso deturpato da una goccia salata che cadde nella pozza.
Era ormai un mesetto che
quel gatto aveva
iniziato a gironzolare attorno a casa sua, e aveva iniziato a
considerarlo un
coinquilino. L’occhio le cadde sul tavolo dove stavano
impachettate delle
buste, bollette…
Si batté la mano sulla fronte, non ce l’avrebbe
mai fatta, il fattore l’avrebbe
pagata nel giro di una settimana e le bollette sarebbero scadute
l’indomani.
<< Che noia!!! Non è possibile!
>>.
Sbuffando e sospirando
si diresse nella sua
camera e si buttò a pancia in giù sul letto. “Non è possibile!!! Pure
questa!? E come diamine faccio ora a pagare!?”
Prese il cuscino e se lo sbatté sulla fronte, “Dopo
tutti i mie sforzi per abbandonare casa ora mi ritrovo da capo!
Ma ce la devo fare, io là non ci voglio tornare!”
Sentì Kaunis salire sul letto e accoccolarsi
accanto a lei. Iniziò ad
accarezzarlo fra le orecchio e poi lentamente senza accorgersene cadde
nel mondo dei sogni…
Il bosco attorno a lei
era fittissimo, non
sapeva dove andare, seguì un sentiero che sembrò
meno intricato di altri e si
addentrò nella boscaglia fino a raggiungere una radura. Il
sole era oscurato da
numerose nubi e sembrava in procinto di piovere, era strano come posto,
le
infondeva una sensazione di realtà mista a insicurezza.
Voleva andarsene.
<< Rebecca... >> Si
voltò sentendo chiamare il suo nome, ma
nulla. << Rebecca…
>>.
<< Uffa questo gioco non mi piace! Abbi il
coraggio di mostrarti!
>>
A queste parole una figura iniziò ad emergere dalla
boscaglia, appena le si
avvicinò lei poté vedere un ragazzo che era tutto
tranne che umano.
I capelli blu erano lunghi con qua e là delle striature viola scuro. Rimase colpita dagli occhi, erano bellissimi, anche se una comune parola umana come quella non era sufficiente a descriverli. L’azzurro era talmente chiaro che sembravano due pezzi di ghiaccio, quasi bianchi. Le orecchie finivano in una elegante punta.
Arretrò
quando focalizzò meglio l’attenzione
sulla figura davanti a lei, quello che aveva dietro alle spalle non era
un mantello…
Il tipo davanti a lei sulla schiena
aveva un paio di ali di farfalla! Anch’esse tendevano al blu
e avevano una
trama simile a quella dei vetri di una cattedrale, in certi punti erano
blu
oceano, in altri viola e in altri ancora verdi, e se colpite dai deboli
raggi
che sfuggivano alle nubi comparivano altre miliardi di sfumature.
Dalle labbra le sfuggì un gemito strozzato. Non capiva
nemmeno lei perché
avesse paura visto che era un sogno, ne
era certa di questo, e nonostante tutta la verità
che vi trasparisse
restava un sogno.
La veste blu scuro che
portava era lunga fino alle ginocchia e le gambe erano fasciate dai
pantaloni
di tela.
Avanzava faticosamente tenendosi a un bastone molto lavorato.
<< Chi
sei? >> Sebbene la stranezza
del sogno e
l’insicurezza provata
fino a pochi attimi prima,sapeva che di quella persona
si poteva fidare, era come se lui le infondesse il coraggio
di sopportare tutta quella situazione. <<
Mi chiamo Forohel >>.
Al suono della voce ebbe un sussulto, era dolce e
impalpabile ed era
come se non fosse pronunciata direttamente dall’elfo,
proveniva da tutto
intorno a lei. Sentì un tintinnio di ferraglia e solo allora
si accorse che
tutt’intorno al corpo del ragazzo correvano fili di catene
argentee. Mentre lui
camminava sorretto dal bastone le catene gli si stringevano al corpo
rovinando
la veste e scorticandogli la pelle delle braccia.
<<
Fermati, così ti farai male!
>> Senza essersene resa conto aveva iniziato a piangere.
<< Il dolore più grande per me è un
altro… >>
<< Per favore fammi capire, sei reale? Non
capisco nulla, non mi
sembra di sognare eppure so che è così…
Ma in fondo in fondo non voglio che sia un sogno, non voglio che tu sia
un
sogno! >> Lentamente si stava rendendo conto che le
pareva di conoscerlo
da tantissimo tempo. Era come se lo stesse attendendo da tempo, e ora
l’aveva
trovato.
<< Non posso dirti di più sul mio conto, se
non che voglio che tu
abbandoni la tua vita, stai soffrendo troppo. Non posso più
vederti così! Mi fa
più male di queste catene!
Ogni giorno piangi lacrime che io sebbene sia al tuo fianco non posso asciugare... >>
L’elfo
aveva abbassato il capo tristemente. << ...Vivi in un
dolore che io non mi è permesso confortare.
E ora
sebbene abbia braccia con le quali stringerti, anche se ti abbracciassi
tu non riusciresti a percepire il
calore
del mio corpo. >>
Lei era sempre più stupita dalle parole del
ragazzo.
<<
Mia piccola Rebecca, è giunta l’ora che ti svegli
>>.
<< Non voglio! >> Le lacrime le scorrevano
nuovamente lungo le gote
rosate. << Io voglio restare qui! >>
Lui si mosse appena e le catene come edera lo costrinsero a fermarsi.
<< Rebecca
non sai quanto vorrei che tu restassi qui, ma non puoi, questo
è il regno del
sogno, voi siete i benvenuti certo, ma non potete restarvi
>>
Non capì molto, però sapeva che doveva
abbandonare quel luogo, quel luogo che
lui chiamava regno del sogno, quel
luogo dove lei si sentiva a casa. << Non capisco dove
vuoi andare a
parere! Prima mi dici che vuoi che io abbandoni la mia vita e ora che
non posso
restare qui! >> Fra i singhiozzi e le lacrime riprese
fiato, asciugandosi
gli occhi con la mano. << Cosa devo fare? Dimmelo te ne
prego, io da sola
non lo capisco! >>.
Mentre attendeva una
risposta che tardava ad
arrivare prese a morsarsi il labbro inferiore.
L’elfo
prese le poche forze che gli
restavano e le si avvicinò posandole una mano sulla guancia.
Le catene si
stringevano addosso attimo dopo attimo, la ragazza sentiva il respiro
farsi
sempre più affaticato.
Con un ultimo sforzo avvicinò il viso a quello di lei e pose
le labbra su
quelle della umana, il tocco era dolce, e lei non fece in tempo a
capire cosa
stesse accadendo che lui si ritrasse.
Iniziò a sentire il corpo farsi pesante e poi in un battito
di ciglia riprese
coscienza nel suo letto.
“Non
è
giusto! Forohel!” Prese fra le mani il cuscino e
se lo portò fra le braccia
stringendolo a se. “Che cosa ho
sognato?
Che cosa?!? Verità o finzione? Il filo che congiunge le due
realtà si è forse spezzato
facendomi cadere nell’oblio dei sensi?”
<< Bravo!
Bravissimo! >> La fata
rossa stava con aria crucciata davanti all’elfo blu.
<< Sei fortunato se
non diremo nulla! Non è così Dorlas?
>>
<< Carnil, a me non interessa minimamente se Forohel
vuole mettersi nei
casini per un’umana, se ritiene che ne valga davvero la pena,
io sarò pronto ad
aiutarlo… >> Tradendo ogni aspettativa
l’elfo-libellula alzò il viso
dalla pozza cristallina e guardò negli occhi Forohel. “Spero bene per te che non
perderò il mio tempo...”
“Puoi
giurarci, questa volta so che è ciò che devo
fare.” L’occhiata complice che
si lanciarono non sfuggì a Carnil che subito si intromise
nel discorso.
<< Sentitemi bene, odio questa facoltà che
abbiamo! Perciò vi auguro di
non aver pensato nulla di
deplorevole
>>
<< Tranquilla! Ah si, Carnil, quel nuovo abito ti dona
moltissimo…
>> Sapeva come prenderla e avrebbe fatto di tutto per
farla tacere.
<< Dici davvero Forohel? Oh sapevo che dovevo
assolutamente farmelo
confezionare! Guarda qui, queste sono gemme primaverili di Acero! E qui
nella
sottana non ci crederai ma queste foglie di mandorlo vengono
direttamente dal
Giappone! Me le hanno donate dei parenti che abitano là,
sono essiccate per
lasciar loro una colorazione tendente all’arancio…
>> Abbassò il capo
sconsolato, era sempre così. Nemmeno Dorlas raggiungeva i
suoi livelli di
egocentricità, tanto che mentre parlava le sue ali
sembravano brillare tant’era
contenta delle attenzioni ricevute. La trama delle sue ali era molto
vivace,
principalmente tendeva al rosso con delle figure che rimandavano a
cuori.
<< Te li
avevo fatti anche io i
complimenti Carnil...
>> Dorlas
la accarezzò con gli occhi ma lei non parve rendersene
conto. I suoi occhi
erano solo per Forohel.
<< Scusatemi ora, sono stanchissimo,
l’incantesimo oggi mi ha proprio
sfiancato. >>
<< A che punto sei? Si insomma quanto pensi che ti
occorre ancora prima
di… >>
L’elfo sbuffò. << Proprio non lo so
Dorlas, oggi ho fatto un bel passo
avanti, ma il suo corpo, lei ancora non è pronta.
>>
<< Di...
di che state parlando?! >>
Carnil interruppe il suo fiume di parole e prese a tremare dalla rabbia
mentre
ascoltava i due parlare. << Che cosa significa, -ancora non è pronta?- >>
La rossa si fiondò fra le braccia
scorticate di Forohel.
<< Che cosa stai farneticando?! >> Poi
appena scorse i numerosi
graffi si allarmò. << E questi cosa sono!?
>>
Le pose una mano sul capo e la scostò da sé.
<< Carnil, calmati, solo che
ho trovato una persona che ha bisogno di me, e io sento che ho bisogno
di lei.
>>
<< NO! Non può essere! E’
un’umana vero? E’ una di loro… VERO?
>>
<< Calmati Ca… >> Lei
cacciò via la mano che le accarezzava il
viso, mentre con la manica dell’abito si asciugava gli occhi
da cui scendevano
molte lacrime. << Non mi dire di calmarmi! E’
per lei che hai questi graffi
forse? >>
<< Non centra, lei non può sapere nulla di
più per ora. >>
<< E allora? E’ egoista se non pensa al tuo
bene! Non vederla più, non
andarla più a trovare! Lei è cattiva se ti fa
stare male! >>
*Sciaf*
La
fata
si pose la mano sulla guancia arrossata. << Smettila!
Carnil basta! Sei
patetica se ti comporti così! >>. Fra le
lacrime vedeva una chioma verde
con la mano ancora a mezz’aria. <<
Dor… Dorlas… >>
<< Scusami, ma non pensi che Forohel possa anelare alla
felicità?
>>
<< Io, Forohel… >> La ragazza
era ancora scossa dalle lacrime. “Forohel
è un elfo! Lei non lo merita, gli
uomini vogliono solo il male per noi, noi siamo creature sole, lei
NO!”. Alzò
gli occhi prima su Dorlas e poi su Forohel. << Vi odio!!
>> Detto
ciò si librò nel cielo come una furia, sapeva
cosa doveva fare, e doveva farlo
al più presto!
Se
ne
stava seduta nella veranda della casa, il fattore le aveva appena
comunicato
che alla fattoria ci sarebbe stata una settimana di riposo e che le
avrebbe anticipato
la paga senza problemi. Sarebbe riuscita a pagare tutto senza problemi!
Il sole stava tramontando sul profilo del mare, tutto intorno a lei
aveva
assunto una sfumatura rossastra innaturale,
però bellissima; quella era la pace alla quale
voleva giungere, nessun
pensiero triste, nessuna preoccupazione, niente problemi.
Sospirò rilassata. “Questo
si che è vivere!”
Le
tornò alla mente il sogno, le venne da ridere, che stupida
che era stata a
crederci davvero a tutte quelle sensazioni, era solo
un comune e
banale sogno. Non c’era da ammalarsi
per…
“Quegli occhi così
tristi.” Scosse la
testa, era un sogno non era reale! “Eppure,
dopotutto non mi resta che
sognare per ritrovarlo” Sospirò
sconsolata. “E’ da sciocchi eppure io
voglio crederci”
Rise fra sé e sé, forse stava davvero impazzendo,
ma non le importava.
“Forohel, molto singolare, però devo dire
che è adatto a quell’elfo, tutto
in lui rimandava alla bellezza di quel nome”
E
fu così che si perse a pensare al mondo magico
delle fate e degli elfi e si addormentò accarezzata dal
vento fresco della
serata.
Purtroppo per lei però non sognò un bell’elfo dal sembiante di Zaffiro, ma di un Rubino travolto dalla passione più rossa e di uno Smeraldo arso dall’invidia più verde.
Correva. La foresta era
quella del sogno
precedente, la riconosceva, solo che al contrario della volta
precedente,
questa volta percepiva solo pericolo e frustrazione provenire da ogni
dove.
“Perché questa volta non
c’è Forohel?
Cosa sono questi sentimenti cupi? ...Ho paura!”
<< Bella bambolina corri lontana prima che ti
raggiunga… Ah. Ah. Ah.
>>
La ragazza sorpresa dalla voce che le stava parlando
inciampò in una radice e
cadde a terra. “Ahio! Maledizione,
devo
rialzarmi!”
<< E no bambolina,
devi stare
attenta o ti farai male ...da sola!
>> La risata che si propagò nella foresta la
fece rabbrividire. <<
Chi sei anche tu?! Cosa vuoi da me? >>
<< No. No. No… devi moderare il linguaggio bambolina, portami rispetto o
sarà peggio per te! >>
Si rialzò e riprese a correre, il dolore alla caviglia si
attenuò e non le
intralciò la fuga.
Mentre si scostava l’ennesimo ramo dal viso vide accanto a
lei un alone
verdastro che lentamente prendeva forma umana. Si fermò.
<< Oh bambolina non
scappi più?
Uff e io come mi diverto ora? >>
<< Sssh,
fai piano lei non sa che
sono qui, posso aiutarti! >> Tutto ciò che ora
poteva distinguere nella
strana figura erano due lunghe ali di libellula, il resto era offuscato
dalla
stessa luce che emanava. Lo vide fregarsi le mani e poi soffiarle
qualcosa
addosso.
Chiuse gli occhi quando senti della polvere che le pizzicava il viso.
<<
Tranquilla non è nulla, solo ti aiuterà, vieni
ora, ti porto al riparo dalla
sua furia! >>
Non che capisse molto
però sapeva che quello,
come l’altro, non era un semplice sogno. La figura si
delineava passo dopo
passo, e lei al contempo sentiva delle fitte alla schiena e i piedi
farsi
leggeri; continuavano a correre, finché non entrarono in una
grotta.
<< Qui siamo al sicuro. Lei detesta
gli antri scuri. >> La creatura si appoggiò
alla parete rocciosa.
<< Così tu sei Rebecca, capisco bene sia la
furia di Carnil che
l’interesse di Forohel, tu sei diversa
>>
<< Non ci capisco più nulla! Tutti sapete chi
sono io, e io non so nulla
di ciò che mi sta accadendo! >> Pose la testa
sulle ginocchia che aveva
portato al petto.
<< Oh bè penso che avrai modo di capire tutto,
ora però devi riuscire a
sottrarti alla gelosia bruciante del Rubino
>> Lei lo guardò scettica.
<< La gelosia del Rubino? Che stai
dicendo?! >>
<< Quindi tu, davvero non sai nulla delle fate e degli elfi? Mi stupisci. Proprio tu che non sai nulla di noi! >>
La ragazza ne capiva di
volta in volta meno. “Cos’è
che dovrei ‘sapere’?”
Guardò
nuovamente la creatura che le faceva compagnia in
quell’antro. Ora che
finalmente era divenuto concreto, pareva Adone.
Lo sguardo era nero come la pece e sembrava inghiottire la luce stessa
che gli
si posava sopra, si guardava attorno in maniera guardinga come se si
aspettasse
qualcosa. I capelli verde smeraldo incorniciavano un viso dalla
carnagione
pallida come la luna, le labbra appena pronunciate erano contratte in
una
smorfia, mentre torturava l’unghia del pollice con i denti.
Era seduto per terra con una gamba raccolta al busto, e un braccio
disteso
sopra la ginocchio. I pantaloni che indossava sembravano rubati dalla
natura
stessa, erano rami di salice intrecciati.
Tutto in quel ragazzo era magnetico, l’avrebbe fissato per
ore senza stancarsi
e senza trovare nessun difetto.
<< Ecco una cosa che accomuna noi fate ed elfi, siamo
come calamite per voi umani.
>> Scostò
lo sguardo imbarazzata per essere stata colta sul fatto.
Biascicò uno stentato
scusa suscitando il riso nell’elfo davanti a lei.
<< E poi con me, questa
caratteristica è particolarmente accentuata
perché quelli come me, derivano
dallo Smeraldo.
Ma penso che sia meglio se ti spiego tutto con calma… Vero
Ametista? >>
A quel nome Rebecca
venne pervasa da una
scossa. << A… Ame… tista? Che
significa? >> Si prese la testa tra
le mani, le faceva male. << Io mi chiamo Rebecca,
non… Ametista! >>
Al solo pronunciare di quel nome la testa riprese a dolerle.
<< Che mi sta succedendo? >> La fronte le
si era imperlata di
sudore e lei si era accasciata al suolo.
Senza scomporsi l’elfo di fronte a lei sospirò.
<< Rebecca
lascia che ti spieghi.
>>
<< Tanto ormai non penso di avere alternative,
là fuori da qualche parte
c’è una tizia che mi vuole torturare. Quindi non
credo che mi rimanga
alternativa, se non quella di ascoltarti. Smeraldo
>>
<< Bene,
allora, credo che sia inutile
premettere che le fate e gli elfi esistono realmente. Tutti noi
deriviamo dalle
piante, dagli elementi, dai minerali e per finire dagli animali, anche
se
questi sono in numero minore.
Ogni gerarchia di creature fatate discende da un unico elemento della
natura.
Gli unici elementi che hanno più di una famiglia
di riferimento sono gli
elementi stessi, fuoco, acqua, terra, aria. Per il resto può
esserci solo una
famiglia per ogni pianta, animale e pietra. Per farti un esempio, oltre
alla
mia famiglia dello Smeraldo non ce ne può essere altra.
<< Ogni famiglia ha delle proprie caratteristiche, la mia è dotata di una straordinaria bellezza tale da riuscire ad incantare, i rubini sono estremamente passionali e iracondi, come puoi ben immaginare, gli zaffiri sono la quinta essenza della calma e possono calmare gli animi, per citarne alcuni…
<< L’unica caratteristica che ci accomuna tutti è la possibilità di parlare tramite il pensiero, che però è possibile solo fra creature femminili e maschili distintamente, perciò un maschio non può parlare mentalmente con una femmina e viceversa… >>
La ragazza aveva
ascoltato tutto in silenzio e
lentamente il dolore alla testa stava scemando. << Ma ora
voglio sapere
perché prima mi hai chiamato… Ametista…
>> lo disse piano per
paura di un’altra fitta che non arrivò.
<< Io sono un’umana! >>
L’elfo sogghignò. << No mia cara. Tu
sei un’ incarnata. >>
Lo guardò senza capire e lui continuò la
spiegazione. << Lo spirito di
una gemma talvolta per
un motivo a noi
sconosciuto anziché entrare nel bozzolo di una farfalla e
diventare fata, passa
nel corpo di un neonato umano, questi sono quelli che noi chiamiamo incarnati.
>> L’elfo pose lo sguardo sul cielo notturno.
<< Si è fatto tardi,
è ora che tu torni al tuo corpo. Penso che Carnil si sia
calmata, può darsi che
abbia incontrato Forohel… >>
<<
Ah… va bene… >> Il tono della
sua voce era molto triste e abbattuto e con una certa nota di amarezza.
<< Tranquilla, Forohel non prova nulla per Carnil. Puoi
stare tranquilla!
>>
<< M… Ma che dici?! Io.. non penserai che io
provi qualcosa per un elfo!
>>
Lo vide sogghignare. << Certo, bene e ora è
meglio se torni al tuo corpo.
>>
<< E come faccio secondo te? L’altra
volta… >> Il viso assunse
tonalità rossastre. << ..ecco
l’altra volta mi hanno aiutata
>>
<< Lo so, lo so… >> Lo Smeraldo
rise nuovamente. Poi le si avvicinò
con un movimento agile e veloce, le pose un lieve bacio sulle labbra e
poi
tornò alla sua posizione precedente. << Bon
Voyage! >>
Come la volta precedente il corpo le divenne pesante e rinvenne sulla
sedia della
veranda che era appena l’alba.
“Che
freddo!!” Corse dentro
casa e mise sul gas il bollitore per l’acqua mentre dalla
camera prendeva un plaid e si copriva le spalle. “Per
lo meno ora so che non
stavo impazzendo!” Rise fra sé e
sé, ma subito il pensiero del Rubino
che la minacciava ogni qual volta si addormentasse la fece cadere nello
sconforto.
Il fischio fastidioso del bollitore la fece trasalire. Aveva tutto il
giorno
per pensarci.
Mentre
si scaldava con la sua tazza mattutina di tè alla vaniglia
sentì il classico
graffiare alla porta, vi si diresse e il siamese entrò. Lo
vide stranamente
deperito e pieno di tagli.
Il gatto senza degnarla di particolari attenzioni si diresse sulla
poltrona del
piccolo salotto e vi si gettò sopra esausto crollando subito
a dormire.
Gli si avvicinò lentamente e prese ad accarezzarlo, la
creatura si mosse nel
sonno senza però svegliarsi. << Che ti
è successo? >>
Con
calma prese a curarlo, disinfettando tutti i tagli e bendando quelli
che la
preoccupavano di più. Ad un tratto mentre stava accarezzando
una zampetta tutta
bendata ebbe una visione, o per meglio dire un déjà-vu,
una mano protesa
sulla sua spalla, dei ciuffi blu, delle labbra calde.
Ritrasse la mano impaurita.
“Perché
ho visto Forohel?”
Una fitta alla schiena la pervase
come nel sogno della notte precedente, la vista le
si offuscò. “Maledizione!”
Sentiva le forze venirle meno, prima di chiudere gli occhi
però vide una figura
azzurra sovrapporsi a quella del siamese dormiente, una figura con
grandi ali blu.