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Autore: Gaia_dc    07/02/2016    2 recensioni
~Tratto dal 1º capitolo~ "Sentì die rumori provenire dalla cucina, si alzò e senza pensarci estrasse la pistola da sotto il cuscino. Ma non fece in tempo a raggiungere la stanza che vide un uomo uscire dalla porta di casa, e lei non poteva sparare, o avrebbe svegliato la sua bambina"
Sono passati quasi due anni da quell'addio che ancora rappresenta un punto interrogativo per Tony. Perché gli ha chiesto di venire per poi nascondersi? Purtroppo non riceverà mai una risposta perché lei non tornerà mai più a DC. Ma tutto cambierà quando una bambina verrà rapita nella notte, e Ziva potrà chiedere aiuto solo all'NCIS.
Una nuova storia in cui ho immaginato un altro aspetto del carattere di Ziva più materno, nei confronti di una figlia avuta durante una relazione di cui si pentiva... O almeno così credeva.
Spero di aver suscitato la vostra curiosità... Che aspettate allora? Correte a leggere!
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Gibbs aveva lasciato la casa, e Tony lo guardò negli occhi poco prima che la porta si chiudesse, ringraziandolo tacitamente per essere rimasto sempre al suo fianco, e per non aver mai permesso che crollasse.
 
“Scusa, non ho fame” disse Ziva ad un tratto, allontanando il piatto che aveva davanti, e dirigendosi in camera da letto.
Tony la seguì con lo sguardo. Gli faceva male vederla soffrire così tanto ancora una volta. Ancora doveva realizzare che non avrebbe mai più rivisto i suoi stessi occhi senza doversi guardare allo specchio, che non avrebbe più riascoltato quella tenera vocina, se non nei suoi pensieri… Si rese conto che era trascorso solo un giorno, eppure gli mancava la sua sirenetta, l’unica persona che, dopo solo poche settimane, amava sopra ogni cosa.
Si versò nel bicchiere del Bourbon, e lentamente lo mandò in gola, assaporandone l’amaro retrogusto di sconfitta.
 
Si appoggiò allo stipite della porta, le braccia che si stringevano il ventre e la testa piegata in basso. Ziva non aveva il coraggio di guardare la sua bambina in quel corpo ormai freddo e privo del solito calore umano, che giaceva immobile nella culla. Presto sarebbe stata in una bara… No! Non l’avrebbe permesso! Ariel era uno spirito libero, che non può trascorrere il resto dell’eternità in una bara… Lei era una sirenetta, apparteneva all’immensità dell’oceano, mista alla profondità del cielo.
Sentì una lacrima tornare a rigarle il volto. Non aveva mai protratto tanto a lungo il dolore di una perdita, ma quando si trattava di Ariel, Ziva non era più la spietata assassina del Mossad, ma una madre che ha perso la figlia per la quale era stata pronta a rinunciare alla felicità!
Un’altra lacrima scese lungo le sue gote, ma prima che potesse attecchire sulle sue labbra, una mano sicura, prontamente la asciugò.
Alzò lo sguardo e vide davanti a sé il suo Tony, che era sempre al suo fianco per sostenerla. Solo con lui riusciva ad aprirsi e sfogarsi, solo lui aveva visto tutte le sue lacrime, e solo lui poteva capire il dolore che provava.
Si guardarono negli occhi per tanto tempo, parlando più di quanto non avessero fatto a parole in quei giorni.
Troppe emozioni contrastanti la travolgevano. Non sapeva come comportarsi con lui, l’uomo che aveva segretamente amato per tutta la sua vita, perché la vita di Ziva iniziava nel momento  in cui per la prima volta aveva visto quegli occhi verdi e profondi.
Ma ora, non riusciva più a rimanere lucida, perché nella mente aveva solo quella sensazione di distruzione che aveva provato nel momento in cui aveva sentito le braccia di sua figlia cedere e tutte le macchine attaccate a lei, suonare come impazzite.
 
Si scrutarono per altri pochi secondi, finché Ziva non cedette. Affondò il volto nel petto di Tony, lasciando andare tutte le sue frustrazioni e le sue tristezze in un pianto disperato, che inondava la casa.
Il ragazzo la strinse forte a sé, accarezzandole il capo, e senza riuscire ad impedire ad una lacrima di rigargli il volto.
“Tony…” era l’unica parola che riusciva a dire, e dopo la quale seguivano interminati discorsi, che non avevano bisogno di essere detti.
“Lo so, Ziva… Lo so!”
 
Nessuno riusciva più ad immaginare una vita senza Ariel, eppure avrebbero dovuto abituarsi. Tony comprese in fretta che rimanere a piangere non sarebbe servito a molto, e voleva aiutare Ziva. Sapeva di amarla, e Zoe, ormai, era solo un ricordo lontano.
 
Ancora avvinghiata alla giacca di Tony, Ziva si avvicinò alla culla della bambina, nonché il suo letto di morte.
Non riuscì a reggere la vista di Ariel priva di vita, e strinse forte gli occhi, nascondendo il volto ancora una volta nel petto del ragazzo, stringendo un lembo della sua maglia con ancora più vigore.
Tony continuava ad accarezzarla delicatamente, passando dalla testa alla schiena, nel vano tentativo di calmarla.
Quando Ziva tornò a guardare nella culla, le sembrava di vedere la sua bambina che muoveva gli occhi, per poi aprirli, ma era solo la sua immaginazione.
Le mise una mano sulla fronte, mentre Tony continuava a stringerla a sé.
“Oggi avrebbe compiuto 2 anni!” riuscì a dire, prima di chinarsi su di lei e lasciarle un ultimo bacio sulla fronte, salutandola per l’ultima volta.
“Auguri angelo mio…” le sussurrò.
“Tanti auguri sirenetta…”
 
Ziva non resse un secondo di più, e di corsa uscì da quella casa.
Tony rimase con la bambina, osservandola, e cercando di ricordarla per quella che realmente era: una bambina solare, felice… La sua principessa degli oceani.
Uscì di casa, per prendere una boccata d’aria, aspettando, questa volta da sobrio, che Ziva tornasse. Ma quando uscì, la trovò seduta sui gradini della casa, mentre scrutava quel cielo coperto dalle nubi.
Si sedette vicino a lei.
“Ora, probabilmente, sarà una di quelle magnifiche stelle!”
Ziva non rispose, ma si lasciò andare in un tenero abbraccio.
 
I minuti passavano senza che nessuno se ne accorgesse, ma quando iniziò a piovere di nuovo, Ziva non esitò ad alzarsi, e rientrare.
“Ricordavo che ti piacesse la pioggia” la fermò lui.
Dopo averlo fissato negli occhi, Ziva rispose “L’acqua purifica dal peccato. Io non merito consolazione… E tanto meno potrò mai liberarmi di questo peso”
Gli occhi ancora colmi di lacrime, rossi, gonfi, pesanti.
“Non è colpa tua…” si affrettò a dire il ragazzo, alzandosi in piedi e andandole incontro.
Questo però Ziva lo sapeva… Ma non era di quello che pensava Tony, che si stava incolpando.
 
Tony era steso sul letto, osservando il soffitto, quando Ziva, dopo essersi fatta una doccia rigenerante, si distese accanto a lui, osservandolo.
Quando anche lui voltò la testa per osservarla, vide la tristezza, il rammarico, ed il rimorso nei suoi occhi. Ma non riusciva a capire perché… Perché si incolpava tanto, se era lui che l’aveva infettata? Perché non parlava con lui? E perché continuava ad escluderlo dalla sua vita, nonostante tutto?
Ziva si girò dall’altro lato, e chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime riprendessero a scendere, senza che nessuno le potesse vedere.
Era trascorsa circa un’ora, ed il logorante pianto di Ziva, non accennava a smettere. Il leggero tremolio, si era trasformato in un insieme di singhiozzi sommessi, che riuscirono a destare Tony dal suo dormiveglia.
Da quando era arrivata, Tony e Ziva, avevano sempre dormito nello stesso letto, ma senza mai sfiorarsi, anche solo con un dito. Per timidezza forse… Oppure qualcos’altro.
Quella notte, però, Tony la vide così fragile, che poteva spezzarla stringendola un po’, ma con la forza di un aeroplano, cercare di andare avanti. Non poté permettersi di rimanere immobile, e senza farsi sentire, le si avvicinò leggermente, trovandosi a pochi centimetri dalla sua schiena scossa da quei continui singhiozzi, per poi abbracciarla.
Ziva si irrigidì immediatamente, e sentì un brivido salirle lungo la schiena. Poi però si lasciò andare ancora una volta, e i singhiozzi divennero più amplificati. Tony dovette stringerla con tanta forza, ma soprattutto tanto amore, prima che potesse prendere realmente sonno.
 
Erano le 4 del mattino. Ziva era ancora fra le possenti braccia di Tony, ma si svegliò all’improvviso. Il cuore le batteva velocemente, era completamente sudata, e aveva l’affanno.
Ingoiò un po’ di saliva, poi senza svegliare il ragazzo si alzò dal letto, appoggiandosi alla culla. Poche ore dopo ci sarebbe stato il funerale, organizzato come meglio potevano, solo con le persone che avevano conosciuto Ariel: l’NCIS.
Quel giorno, non aveva fatto altro che piangere. Il cuore era pervaso di dolore, un dolore del quale non riusciva a spogliarsi, l’unico che non riusciva a dimenticare. Ma d’altronde era la giusta punizione per quello che aveva fatto.
 
Lei infondo, aveva sempre sospettato che le avessero fatto qualcosa del genere in Somalia, e proprio per questo, non si sarebbe dovuta lasciar andare alle emozioni. Se fosse riuscita a controllarsi, a dire di no a Tony, se fosse riuscita ad allontanarsi da lui, quella sera, a Berlino, le cose sarebbero andate diversamente. Probabilmente non avrebbe mai abbandonato l’NCIS, non avrebbe mai dovuto subire tutto questo, e non avrebbe mai avuto Ariel… E Tony, ora, non starebbe soffrendo, tentando però di non farlo vedere, per sembrare forte, per lei. Di questo si incolpava. Di essersi lasciata andare… Ariel non avrebbe sofferto, perché non sarebbe mai nata… Ed ora si riteneva la sua carnefice.
“Scusami Ariel…”
Non era la prima volta che si lasciava prendere dall’uragano di emozioni, ed ogni volta, sistematicamente, la situazione era precipitata. Il problema però, era che lei non sapeva resistere a Tony, all’uomo che amava. Si sentiva così debole… Una buona a nulla che non riesce a trattenersi, che non riesce a bloccare un semplice sentimento… Perché nonostante tutto, se Tony, in quel momento, l’avesse accarezzata come solo lui sa fare, le avesse passato il pollice sul contorno della bocca, sussurrato parole dolci, e sfiorato la pelle con le sue labbra, non sarebbe riuscita a resistergli. Lo amava alla follia… Ma doveva fermarsi, prima di combinare altri guai. Ogni volta che amava, qualcuno andava via. Non sarebbe riuscita a sopportare di vedere qualcun altro morire per causa sua, qualcuno che amasse.
Ora era diventata una promessa che non faceva più solo al Mossad, a suo pare, o a lei stessa, come in passato. Era una promessa che faceva al  suo angelo, Ariel, al suo destino.
Non avrebbe più permesso a nessuno di entrare in quella muraglia che aveva appena innalzato.
Non avrebbe più pianto per nessuno. Sarebbe tornata ad essere la spietata assassina del Mossad… Perché in fondo era quella la sua indole. Non avrebbe più represso nessuno, se non i suoi sentimenti, anche quelli più teneri ed intimi.
 
E così fu. Quando quella mattina arrivarono a casa, tutti i membri dell’NCIS, Ziva era diventata di ghiaccio. Sin da quando si era svegliato, Tony aveva notato quel cambiamento repentino. Non riusciva più a guardarla nel profondo, negli occhi. Sembrava avesse una patina addosso, una patina impenetrabile.
 
Ellie, intanto, continuava a rimuginare su quello che avrebbe fatto, quello che era giusto. Sapeva che Ziva aveva dato le dimissioni, ma era convinta, che prima o poi, avrebbe avuto bisogno che tutto tornasse come prima… Avrebbe avuto bisogno della sua scrivania.
In tutto questo, Gibbs guardava la sua agente riflettere, e non sapeva se la sua decisione sarebbe stata un bene o un male…
 
Quello che però lasciò tutti sbigottiti, fu il momento della funzione.
Erano al cimitero, la giornata era una delle migliori di quel periodo, ma nonostante ciò, nessuno riusciva a pensare che quella fosse una bella giornata.
L’intera funzione fu devastante per tutti.
Abby piangeva, ancora incredula per una morte così prematura, abbracciata a McGee, anche lui in lacrime.
Bishop e Parsons si confortavano a vicenda, con gli occhi gonfi. Ducky, con le lacrime agli occhi, provava a consolare un po’ tutti, principalmente Palmer e Vance.
Anche Tony stava piangendo. Era in piedi di fianco a Ziva, ma non si stavano nemmeno sfiorando.
Gibbs gli mise una mano sulla spalla. Comprendeva il dolore che stava provando il suo ragazzo. E quando Tony si voltò, rimase abbastanza meravigliato, nel vedere le lacrime scendere dagli occhi di ghiaccio del suo capo.
Ariel gli ricordava Kelly… E non riusciva più a trattenersi da quei ricordi.
Ma quello che lasciò tutti, indistintamente, di sasso, fu il comportamento di Ziva.
Non aveva versato una sola lacrima, non un segno di cedimento, non una parola, niente. Dura, come una pietra. Fredda, come il ghiaccio. Distaccata.
Non si faceva consolare da nessuno, e quando qualcuno provava ad avvicinarsi, lo allontanava.
Al termine della funzione, mentre tutti si stavano dirigendo verso le auto, Ziva rimase lì, immobile, in piedi davanti alla tomba di sua figlia.
 
Il resto della squadra rimase ad aspettare. Probabilmente doveva ancora riprendersi, avrebbe dato un bacio a quella tomba, e poi li avrebbe raggiunti. Ma invece no. Rimase completamente immobile, con uno sguardo gelido, che mirava dritto davanti a sé. Pareva un soldato in attesa di ordini. Nessuno riusciva più a capire.
Si alzò una folata di vento, che le fece ondeggiare la coda, ma ancora rimase lì, imperterrita.
Gibbs la stava scrutando, cercando di capirla.
Ziva voltò leggermente il viso, lanciando uno sguardo al suo vecchio capo, all’uomo che più riteneva un padre. Non cercava conforto, non cercava nulla, ma Gibbs capì.
Fece salire tutti in auto, lasciandola sola.
“Capo…”
“In macchina, DiNozzo!”
 
Non sapeva cosa stesse aspettando, ma aveva bisogno di rimanere ancora lì, davanti a quella tomba.
Stava ripensando a tutto quello che avrebbe voluto dire alla sua bambina, a quanto l’amasse, ma non aveva mai avuto il coraggio di fare.
Ripensava a quello che avevano trascorso insieme, ed al futuro che aveva immaginato per lei.
Aveva già progettato di portarla in America, prima ancora che Adam la rapisse, ma ancora non sapeva con che coraggio si sarebbe ripresentata davanti ai suoi ex-colleghi con una figlia. Poi era accaduto tutto all’improvviso… Aveva scoperto chi era il vero padre di Ariel, Poi è arrivato Jamaal, la peste di Tony per finire con la morte di sua figlia. Cosa si aspettava quando aveva deciso di partorire? Che sarebbe filato tutto liscio? Si aspettava che magari avrebbero avuto una vita felice, che anche lei, la killer del Mossad, avrebbe potuto rifarsi una vita? Illusioni.
 
Le ore passavano, senza che lei se ne accorgesse, rimanendo immobile in quella posizione. Calò il buio, e Ziva non riusciva ad allontanarsi da quella tomba. Non si sarebbe mai perdonata tutti gli errori che aveva commesso e che avevano portato alla morte di sua figlia.
 
I giorni trascorsero senza uno scopo preciso. Era una situazione di transizione, che si stava protraendo per troppo a lungo.
Ed ogni sera, Ziva rientrava a casa tardi, troppo tardi. Questo spaventava Tony. Dal giorno del funerale era diventata una persona quasi priva di emozioni, ed il ragazzo non riusciva a comprendere quel suo strano comportamento. Poi una sera decise di aspettarla.
Ne aveva abbastanza dei suoi segreti, e la preoccupazione per quello che potesse aver fatto in quelle notti, lo attanagliava.
Quando Ziva entrò in casa, cercando di non fare rumore, esattamente come faceva nelle sere che precedettero la morte di Ariel, lasciò il borsone per terra e si slegò i capelli. Fece per dirigersi in bagno, ma la luce del salotto si accese, spiazzandola.
“Dobbiamo parlare!”
“Non abbiamo niente da dirci!” disse entrando nel bagno, e chiudendo la porta dietro di sé.
“Niente? Ma se ogni notte torni alle 3 del mattino, sudata fradicia e completamente stanca, senza che io sappia nulla di quello che fai!” iniziò ad alzare la voce, battendo la mano sulla porta.
“Perché tu, infatti, non devi sapere nulla di quello che faccio!”
“Non devo? E perché? Perché magari hai preso cattive abitudini, e sei diventata un’altra me, che va a letto col primo che incontra per disperazione?!” Non era così che avrebbe voluto andassero le cose, ma la paura che fosse vero, la paura che Ziva non fosse sua, come lo era due anni prima, non lo faceva ragionare.
 
A quelle parole, però, Ziva sentì una fitta al petto. Il cuore bruciava.
“Come osi parlarmi così? Come puoi anche solo pensare che io possa fare una cosa del genere dopo aver perso una persona che amo?! Io non sono come te!” aprì la porta urlandogli contro.
“Invece si! L’hai già fatto in passato…” era più un sibilo che altro. Ma Ziva intuì subito dove volesse arrivare.
“Ne abbiamo già parlato… Ma è diverso! Adam era un mio amico sin da quando eravamo bambini! Io mi fidavo di lui… E mi è stato vicino…”
“Già… Peccato che poi ti ha abbandonata non appena ha saputo che tu eri incinta… Perché? Dovevi essere solo il suo giocattolo? Il suo divertimento? Beh allora continua a farti usare!” urlò, ferendola nel profondo.
“Tu non sai niente! Non sai niente di me! Io non sono quello che credi! Non vado a letto come fosse un bicchiere di tequila… Non io!” rispose, rimanendo stupita dalle parole che le aveva rivolto Tony.
Entrò in bagno, sbattendo la porta.
 
Pochi minuti dopo, Tony riaprì timidamente quella porta, pentito di quello che aveva fatto.
Ziva era ancora sotto la doccia. Aveva finito di lavarsi tempo prima, ma il rumore dell’acqua la calmava.
“Non volevo dire quelle cose Ziva… Mi dispiace…”
La doccia era chiusa da un vetro offuscato, dal quale, però, Tony poté scorgere l’ombra della figura di Ziva. Era così perfetta, ma ancora era convinto fosse dimagrita troppo… Effettivamente in quel periodo aveva mangiato poco e niente, e la notte ancora non capiva cosa facesse.
“Davvero?”
“Ho sbagliato…”
“Hai sbagliato a fare cosa? A darmi della poco di buono? A insinuare che io potessi affogare la mia tristezza così?” urlò, uscendo con solo un accappatoio addosso.
“Mi preoccupo per te, okay? E non vorrei mai scoprire che ti circondi di altri uomini che non siano me, per sentirti meglio!”
“Ti preoccupi per me? Allora rimani fuori!”
“Ma non posso…”
“Perché?” doveva sapere!
“Perché io ti amo Ziva! Ti amo maledettamente troppo!” gli urlò, alla fine liberandosi di tutto quel peso.
Poi le si avvicinò… Molto… Troppo.
Si mise dietro di lei, ed entrambi si guardavano allo specchio.
“Perché per te farei qualsiasi cosa…” le sussurrò, in maniera quasi impercettibile, mentre le labbra si posavano delicatamente subito sotto il lobo dell’orecchio. Iniziavano a scendere lungo il lato del collo.
Un brivido assalì Ziva. Era terrorizzata. Non doveva lasciarsi andare. Non poteva. Eppure era incapace di sfuggirgli.
Quando però, la mano del ragazzo, si posò sulla sua spalla, scostando l’accappatoio, per farlo cadere, Ziva dovette fare appello a tutta la sua volontà per allontanarsi da lui.
Si riaggiustò l’accappatoio, e con voce tremante gli disse “Allora sta’ lontano da me”.
 
Tony si sedette sul bordo della vasca. Non sapeva più cosa fare, l’amava pazzamente, ma più la cercava, più lei scappava. Sembravano due poli uguali, che si cercano, ma si respingono. 









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Chiedo venia... Vi avevo promesso un capitolo emozionante, ed invece mi sono lasciata prendere dalle emozioni e... Da un piccolo litigio TIVA... Vi prometto, però, che nel prossimo rimarrete stupiti...
Ma passiamo al capitolo.
Innanzitutto volevo dirvi delle cose riguardo al nome di Ariel.
È un nome sia maschile che femminile, di origine ebraica, ma discretamente diffuso anche in America e nel Regno Unito. 
Letteralmente significa "Leone di Dio", oppure "Angelo"... È proprio per questo che Ziva dice ad Ariel "Auguri angelo mio"... E poi, una bambina grazie alla quale tony e ZIva si riuniscono, non può che essere un agelo mandato dal cielo.. No?
Comunque... Per il resto spero vi sia piaciuto, e spero che Ziva capisca presto che non è colpa sua se Ariel è morta... Infondo è grazie a lei che ha potuto aprire gli occhi per la prima volta... 
Detto questo vi saluto.
Baci. Gaia.


 
   
 
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