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Autore: Arbiter Ex    07/02/2016    1 recensioni
Il regno di Boletaria, governato da Re Allant XII, fa fronte alla più grande crisi che l'umanità abbia mai affrontato. L'Antico si è risvegliato, e una densa Nebbia incolore è scesa sulla terra. Da essa, terribili Demoni emergono, rubando le anime degli uomini, e facendole proprie. Chi perde la propria anima perde il senno, e i folli attaccano i sani, mentre imperversa il caos. Presto o tardi la Nebbia ammanterà ogni terra, e l'umanità è soggetta ad una lenta estinzione. Ma Boletaria ha ancora una speranza: un prode guerriero, che ha attraversato la Nebbia. Nella sua lotta non sarà da solo, e di lui verrà raccontata la sua storia, narrata da chi lo ha seguito nella speranza che portasse la fine della Piaga e ristabilisse l'ordine del mondo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 14
 
Il penitenziario della una volta illustre ed amatissima Regina d’Avorio Latria godeva di una tale luce solare che avrebbe superato qualunque piacevole giornata del suo ormai decaduto governo. Le ombre persistevano solo negli anfratti più chiusi e nelle celle più buie, ma da ogni altra parte era raggiante. Da quando la Nebbia portata dall’Arcidemone che aveva usurpato il trono della regina era stata revocata e dissipata, sulla città deserta degli splendidi raggi luminosi portavano la silenziosa promessa di una nuova alba e di un fulgido domani. Tuttavia, la luce esaltava al contempo le spoglie quiete di coloro che persero la vita e la ragione, portate via da un destino spregevole e da esseri ancor più orrendi. Quel sole abbagliante nel cielo terso era la speranza che rifioriva nel cuore ferito degli uomini, ma anche un triste testimone delle ingenti perdite che il mondo aveva subito e da cui a malapena si stava lievemente riprendendo. Indifferente, in egual misura, sia al dolore sulla terra che ai sogni speranzosi in cielo, Logan il fattucchiere ributtante vagava malconcio per i piani della grande prigione della città distrutta, in cerca di sopravvivenza e di vendetta. Zoppicava miseramente, appoggiandosi stancamente alla ringhiera rugginosa, le labbra arse e secche per la sete ed il corpo emaciato e scarno. Quando era stato cacciato dal Nexus da colui che un tempo chiamava maestro, emerse nel carcere dove si erano separati la prima volta, sapendo che si trovava lì il potente avversario che aveva sopraffatto persino lo stoico Saggio Freke. Visto che era stato respinto dall’ipocrita incantatore, Logan pensò di cercare una nuova guida nel rivale che lo vinse, ottenendo l’aiuto che necessitava per tornare a praticare le Arti dell’Anima e la possibilità di farla pagare a coloro che lo gettarono nelle sue tragiche condizioni. Cercò a lungo, in ogni angolo dell’edificio, ma non trovò niente: solo cianfrusaglie, utensili arrugginiti, provviste ammuffite e cadaveri, sia tra gli uomini che tra i demoni rivoltanti. Quando gli fu chiaro che il mago che aveva imprigionato Freke doveva essere morto, maledisse ad alta voce il nome del Cacciatore del Nexus, il quale sapeva essere sicuramente responsabile. Nella sua testa, chiamò quell’insulso cavaliere con ogni appellativo ingiurioso che gli veniva in mente, vedendo in lui la causa di ogni sua disgrazia. Da quando erano arrivati lui e la sgualdrina che lo accompagnava, la sua intera esistenza era stata rovinata. Non avrebbe trovato pace finché non avrebbe tolto ad entrambi la vita: prese ad immaginare mille scene di come avrebbe fatto una volta che sarebbe tornato da loro.
“Figlio di una cagna…prostituta indegna…morrete entrambi…morrete entrambi…”
Arrancando tra le mura sporche di sangue e dolore, s’inabissò sempre più in profondità nella spirale di follia e violenza che lo stava pervadendo.
Camminò senza meta e senza curarsi delle svolte che prendeva, concentrato solo sulle sue farneticazioni sempre più raccapriccianti e deliranti. Arrivò senza accorgersene ad un’ala separata dal corpo principale dell’edificio, una rimasta in ombra nonostante l’intensa luminosità del giorno. Al di sotto di un grosso torrione di raccordo, arrivò in prossimità di una cella più stretta delle altre, una voragine oscura dove ogni luce veniva inghiottita. Logan, sull’orlo della pazzia, bisbigliava ancora quando un rumore ed un movimento da quella stanzetta alla sua sinistra lo riportarono vigile ed attirarono la sua massima attenzione. Rimase immobile, aspettando che la presenza che aveva causato quel suono si mostrasse alla luce smorzata. Dall’oscurità emerse una figura nera, di un metallo scuro. Prima, un guanto artigliato si serrò sulle sbarre; poi, un elmo cornuto e dalla visiera sottile ed imperscrutabile si affacciò alla grata di ferro. Logan lo fissò pietrificato, e sussultò quando sentì la voce, nera come l’oscurità da cui proveniva.
“Sei qui per affrontare i Demoni?”
Logan cercò di sopprimere la paura e la soggezione come meglio poté, non riuscendo comunque a smettere di tremare.
“I-Io…non sono un folle che vuole morire. Non affronterei mai un demone…”
Calò un silenzio teso e tagliente, che si dimostrò per Logan una tortura dolorosa. Nonostante si trovasse dall’altra parte delle solide sbarre, sentiva come se la sua vita fosse appena stata appesa ad un filo, e temeva di muoversi per non perdere la debole presa che teneva a quella stringa sottile.
“Aiutami ad uscire da qui. Io sono dalla tua parte: sono venuto ad affrontare i Demoni.”
“Affrontare i Demoni?” ripeté incuriosito il mago fallito.
In quel momento, qualcosa di perverso scattò nella mente di Logan. Si sforzò di ricordare le voci che raccontavano degli eroi che avevano attraversato la Nebbia per combatterne i Demoni, finché non intuì chi si ritrovava davanti. Al fattucchiere vendicativo balenò l’idea che sapeva gli avrebbe portato la sua vendetta: se ciò che il prigioniero diceva era vero e se era veramente chi credeva che egli fosse, era anche probabile che fosse abbastanza potente da poter rivaleggiare con il Cacciatore del Nexus. Lo dimostrava il fatto che fosse stato imprigionato, come era successo a Freke. Se si fosse accattivato la gratitudine di quel guerriero e gli avesse chiesto di combattere contro il Cacciatore ed uccidere i suoi amici, avrebbe potuto ottenere la giustizia che meritava senza muovere un dito, e godersi lo spettacolo della loro morte senza rischi. Pregustava già la dolcezza di una tale eventualità. Dimenticò la paura che provò momenti prima e si mise a scrutare nell’ombra, cercando la forma del guerriero imprigionato ed il luccichio di un’arma. Lo vide nella lucida lama di una spada ricurva, tagliente e letale, legata alla sua cinta, e subito capì di aver fatto centro con un sorriso beffardo.
“Che te ne pare di un patto? Io ti faccio uscire se tu sbrighi un lavoro per me.”
“Che tipo di lavoro?”
“Una missione di assassinii: uccidi per me gli attuali abitanti del Nexus, in cambio della tua libertà.”
Una leggera inclinazione della testa della figura nera indicò un nuovo interesse nelle parole del fattucchiere alla menzione dell’eremo grigio, e la sua voce sembrò suggerire un responso positivo alla proposta.
“Il Nexus? E’ un lavoro sporco quello che chiedi…”
“Andiamo, ho capito cosa sei, e credo anche di aver capito chi sei. Accetta la mia proposta, e mi abbandonerò alle tue mani esperte.”
Un altro lungo silenzio s’interpose tra di loro. Logan aveva disperso ogni sua preoccupazione per il futuro, la fortuna aveva ricominciato a girare e finalmente il fato gli sorrideva. Sapeva che l’assassino avrebbe accettato: quei mercenari di morte prendevano in parola le condizioni dei loro contratti, poiché era una regola invalicabile della loro professione. Chi non rispettava tale regola, veniva marchiato a sua volta come bersaglio, e dato che quello che aveva davanti era il capo di quell’ordine scellerato, sapeva che il prigioniero non avrebbe mai rischiato di trasgredire il suo codice. Ne era certo: la sua vendetta si sarebbe presto compiuta.
“Io accetto.”
Logan si costrinse a trattenere una risata di trionfo e prese il grimaldello che trovò addosso al cadavere di un ladro dentro la prigione. Con abilità di una vita che si lasciò alle spalle molto tempo prima, sbloccò la serratura della cella dopo pochi tentativi. Forse fu proprio per la nostalgia di quei tempi che prese quel subdolo attrezzo. Si distanziò per lasciar uscire il prigioniero, colui che gli avrebbe servito la sua rivalsa: l’assassino più infame di Boletaria, la sua armatura nera un presagio di morte imminente.
“Chi è il mio bersaglio?”
Logan parve rifletterci un po’. Rispose con sufficienza arrogante e cinica, trattando della vita di un essere umano con una noncuranza disarmante.
“Sai cosa? Per primo, voglio che tu uccida Saggio Freke. Quel vecchio rimbambito si pentirà di avermi privato della mia magia!”
“Sei tu il suo apprendista?”
“Lo sono stato, purtroppo. Ho speso così tanti anni della mia vita inutilmente… Ma non ha più importanza, perché Freke pagherà di tutto ciò che-”
Logan non vide nemmeno lo scatto fulmineo con cui l’assassino piantò la lama ricurva nella sua gola, passandola da parte a parte. Poté solo sgranare gli occhi increduli e supplicanti, intanto che un copioso sgorgo di sangue sfuggiva alle sue labbra e dal grosso squarcio.
“Le anime ingerenti…”
La lama insensibile venne tirata fuori con violenza, recidendo quasi interamente il collo e facendo eruttare fiotti cremisi disperati. Alla testa di Logan non rimaneva che un sottile lembo di carne per rimanere appesa al suo corpo. Nei pochi istanti che precedettero la caduta del suo cadavere, ebbe ancora la lucidità per maledire un’ultima volta la vita ed il mondo, augurandosi che sprofondasse in un abisso di fuoco.
“…non sopravvivono mai a lungo…”
Ciò che rimaneva di Logan cadde oltre la ringhiera di ferro arrugginito che separava il piano dal fondo perennemente oscuro dell’edificio, destinato ad essere dimenticato per sempre. L’assassino spietato si trattenne solo il tempo necessario per assicurarsi della morte dell’uomo e si voltò, dirigendosi a passo svelto verso la sua destinazione. Aveva già perso troppo tempo a causa della sua prigionia, farsi catturare nel pieno svolgimento della sua missione era stato un errore imperdonabile, da novizi. Essere di nuovo in libertà gli avrebbe finalmente permesso di proseguire il suo lavoro. Quello che aveva ucciso era solo uno dei suoi contratti: una volta arrivato al Nexus, avrebbe estinto gli altri.

Firion si svegliò, all’ombra delle splendide fronde dell’albero su cui prima lui e Claire si erano adagiati. Un soffio caldo e gentile scendeva sui ciottoli della spiaggia, agitando lievemente le foglie ed i suoi capelli ed accarezzandogli la pelle. L’infrangersi dolce delle onde poco più lontane, lo accompagnavano affettuosamente nel risveglio. Il mantello che gli regalò Sant’Urbain faceva da coperta sotto il dorso, le morbide radici del tronco da letto. Impiegò qualche secondo per mettere bene a fuoco e riordinare le immagini che precedettero il suo sonno. Cercò Claire col braccio: quando non la trovò, l’incanto finì. Alzò di scatto il busto, scrutando ovunque per cercarla. Solo quando si alzò e guardò oltre l’albero la vide, seduta sulla riva. Eccettuato che per qualche piccolo movimento, non sarebbe stata diversa dai monoliti disseminati sulla battigia. Sollevato per averla trovata, Firion raccolse alcuni dei suoi indumenti e si rivestì dei calzoni e degli stivali. Si avvicinò a passi leggeri, soffermandosi per poco sui sassolini umidi sotto ai piedi. Durante il breve tragitto, ripensò più lucidamente a ciò che era successo tra lui e la ragazza dopo la sconfitta dell’Arcidemone. In poco venne divorato dalla vergogna: e se fosse stato qualcosa che Claire non voleva? Quando si sforzò di pensare alle parole giuste da dirle, era già arrivato a poco meno di un metro da lei. Claire, accortasi di lui, si girò un poco sul suo posto a terra e lo salutò.
“Ben svegliato” disse con un piccolo sorriso. Firion non riuscì a dire o fare niente, limitandosi a non sviare troppo lo sguardo dal suo. Claire non mutò espressione e tirò fuori qualcosa dalla tasca del pantalone.
“Guarda cosa ho trovato…”
Aprì la mano, rivelando il fermaglio di giada appartenuto alla figlia di Thomas.
“Deve essere stato portato qui dalla corrente: non è incredibile? Forse è destino che alcune persone non vengano dimenticate. Forse, dopotutto, riuscirò a mantenere la mia promessa…” disse guardando il piccolo ornamento, che infilò poi tra i capelli. Rivolse un breve sguardo a Firion, e poi lo riportò davanti a sé, sul mare sconfinato. Firion sopportò a malapena il suo silenzio. Dopo aver raccolto il coraggio necessario, trovò la forza di parlarle.
“Claire, so che è poco, ma mi dispiace.”
“Per cosa?” chiese lei voltandosi di nuovo, visibilmente incuriosita.
“Per…quello che è successo. Mi dispiace…” sospirò, non osando guardarla.
Claire aveva ancora lo stesso sorriso con cui lo salutò. Batté una volta con la mano il terreno che aveva di fianco e fece un piccolo cenno.
“Siediti vicino a me.”
Firion esitò qualche momento, ma fece come diceva, sedendosi alla sua destra.
“Più vicino. Voglio starti accanto…”
Firion coprì i pochi centimetri che li separavano. Quando furono spalla a spalla, Claire appoggiò il capo su quella del giovane. Il contatto permise a Firion di abbandonare molta della sua tensione: senza pensarci, allungò il braccio cingendole le spalle, stringendola teneramente a sé. Lei emise un piccolo verso contento, crogiolandosi nell’abbraccio.
“Non hai niente di cui scusarti. Credo…di essermi innamorata di te, Firion. Sono felice che sia stato con te e con nessun altro.”
Un grosso peso svanì dal cuore di Firion, sostituito da un sentimento tanto entusiasta che non pensava sarebbe riuscito a trattenerlo.
“Anch’io lo sono.”
“E’ così strano…” disse lei dopo dei lunghi momenti passati a godere della calma musica delle onde e del calore del suo compagno.
“Cosa lo è?”
“Tutto questo. La prima volta che ho messo piede nel Nexus, non mi sarei mai immaginata in questo modo. E’ stato solo un caso che io ti conoscessi: cosa sarei ora se non fosse accaduto? Dopo la morte dei miei genitori, io…io mi sono sempre sforzata di essere forte per Serah: per questo nella mia vita ho allontanato tutti quanti tranne lei, non potevo permettermi di avere delle debolezze. Con te, però, non ci sono riuscita. Mi hai fatto capire che tipo di legame avresti voluto instaurare con me, e adesso non potrei pensare di farne a meno…”
Firion non parlò, temendo d’interrompere un momento così intimo. Claire non si era mai aperta in quel modo a lui, non poteva fermarla ora che aveva deciso di rivelare parti così profonde di sé stessa.
“Ed è per questo che ho paura, Firion. Dopo oggi, ho solo guadagnato una persona in più da perdere. Tu non vuoi rinunciare alla tua missione, ma io non voglio sapere come mi sentirò in tua assenza. Ora non posso perderti…”
Firion tolse il braccio dalle sue spalle e le prese delicatamente il volto tra le mani: fissò gli occhi in quelli di lei e, rosso in viso per le parole che stava per dire, impugnò le sue emozioni con fiera determinazione.
“Claire, se è per poterti stringere ancora come ho fatto alle radici di quell’albero e per poterti vedere di nuovo radiosa come adesso, allora ti prometto che troverò il modo di stare al tuo fianco per sempre. Non ti lascerei mai da sola.”
Questa volta, sorpresa dai sentimenti dell’altro, fu lei a sviare gli occhi vergognati.
“Che cosa imbarazzante da dire…”
“Non m’interessa, se starò con te…”
La portò a sé ed unì le labbra alle sue in un bacio appassionato. Lei ricambiò con medesima intensità. Indugiarono in quel modo per dei lunghi momenti. Poi lei si staccò, offrendo un sorriso all’espressione confusa di Firion.
“Adesso dovremmo tornare. Gli altri saranno in pensiero…”
“Immagino di sì” rispose Firion, sogghignando ironicamente ai suoi impulsi e desideri. Si alzò e porse la mano a Claire, issandola in piedi e baciandola sul dorso.
“Spero solo avremo altre occasioni come questa…”
“Oh? Non esagerare adesso, ragazzone. Non vorrai farmi cambiare idea sul tuo conto? Rivestiti piuttosto!” esclamò lei scherzosamente, facendolo girare prepotentemente e dandogli il calcio che una madre avrebbe dato al figlio irriverente. Lui si allontanò spaventato e divertito, raccogliendo la camicia ed i vari pezzi della sua armatura disseminati intorno al giaciglio sotto l’albero rigoglioso. Claire lo vide ricomporsi da lontano; quando mosse qualche passo per raggiungerlo, un riflesso l’accecò parzialmente ed attirò la sua attenzione. Seguì il raggio luminoso fino alla lama a spirale della magica spada che le permise di abbattere il grande demone del cielo, abbandonata a terra, ai piedi di uno dei monoliti neri. Dopo la loro vittoria, entrambi i viaggiatori si dimenticarono di quell’arma dall’incredibile potere, presi com’erano ad esprimere il loro amore. Claire si avvicinò e la prese cautamente tra le dita: era sorprendentemente leggera, nonostante l’elaborata realizzazione. Sempre attenta a non evocare erroneamente le portentose abilità della spada una seconda volta, Claire raggiunse Firion, ancora intento ad allacciare tutte le sue varie cinghie, e la indicò interrogativamente.
“Che ne facciamo di questa?”
Firion risparmiò una breve occhiata a cosa Claire gli stesse indicando e poi rispose distrattamente.
“Decidi tu. Sei stata tu a trovarla.”
Claire considerò il suggerimento perdendosi tra i mille dettagli della lama unica e dell’elsa splendente. Rimase in silenzio ad ammirarla incantata per un po’, poi se la legò come meglio poté alla cintura che portava alla vita, dando un’eloquente risposta su quello che ne avrebbe fatto. Era un’arma straordinaria, probabilmente unica nel suo genere: con i giusti propositi, avrebbe potuto fare la differenza nella lotta contro i Demoni. Le bastò ripensare con quanta facilità riuscì ad uccidere l’immenso Arcidemone delle tempeste, un essere che sembrava intoccabile. Riportando alla mente le scene di quella lotta spropositata, Claire assunse un’aria molto più perplessa quando ricordò un particolare strano di quei momenti concitati, uno a cui non fece subito attenzione.
“Firion…poco prima che sconfiggessimo quel mostro…non so, non ti è sembrato che qualcosa fosse diverso?”
“Ti riferisci a quando sembrava che avesse paura?” chiese retoricamente Firion, imitando il tono grave di Claire.
“Sì, esatto” rispose lei annuendo decisamente, sorpresa dall’esattezza con cui l’altro indovinò.
“Quindi lo hai avvertito anche tu…”
Firion smise di badare alla sua armatura ed assunse un’espressione pensierosa, turbato da quell’evento atipico.
“Tu hai detto che i Demoni non dovrebbero provare-”
“Infatti è così: i Demoni non provano emozioni. Sono solo strumenti di morte che vanno sterminati. Non dobbiamo cambiare il nostro approccio verso di loro. Deve essere stata solo una nostra impressione…”
Claire vi rifletté su per un po’. Era sicura di ciò che aveva percepito ed il suo istinto le diceva che c’era molto di più dietro il tentativo di Firion di dimenticare la cosa. Ma, dopo poco, si convinse che non era che una questione di poco conto: non aveva voglia di perdere tempo pensandoci su e, francamente, se quella belva fosse stata in grado di avere paura, allora lei sarebbe stata ancor più felice di essere la causa del suo decesso. Mentre pensava quelle ultime considerazioni, Firion si era completamente rivestito. Si legò il suo enorme spadone ed il mantello candido sulla schiena. Sollevò l’inserto di maglia della sua manopola e poggiò due dita sul suo Marchio.
“Torniamo a casa.”
Claire riemerse dai suoi pensieri e diede un cenno affermativo. Poggiò la mano sulla spalla di Firion, ed in un momento entrambi evaporarono e si unirono alla brezza marina, trasportati lontano dal vento docile.

Il Nexus era in preda ad una forte agitazione e scompiglio. Grida acute ed invadenti si riflettevano sulle pareti claustrofobiche, perturbando oltre il sanabile la sensibilità dei suoi abitanti. Dopo la partenza di Firion, Claire e dello Spettro, la calma passeggera che s’instaurò tra le mura nere venne spazzata via quando uno dei massimi esponenti della Chiesa venne a sapere della presenza, nel medesimo luogo, del peggiore degli eretici di Boletaria. Sant’Urbain protestò furibondo per un tale affronto: il Cacciatore che lo aveva aiutato, il suo presunto salvatore, lo aveva attirato in una trappola pagana dove non uno, ma ben due luridi incantatori trovavano rifugio insieme all’insegna santa del divino. Come se non bastasse, una di quei inqualificabili soggetti era niente meno che una strega, dettaglio che infiammò il Santo ed il rogo che avrebbe voluto consumasse la miscredente blasfema. Saggio Freke non poté rimanere in silenzio davanti alla dimostrazione di un tale astio, e presto una battaglia di posizioni ideologiche insorse, le prospettive sulla divinità delle rispettive parti a confronto. Mentre i due filosofi si scontravano al centro del salone, divisi solo dai due seguaci vestiti di bianco dallo scannarsi a vicenda, Serah, Yuria, il Collezionista ed Ostrava non osavano intromettersi nell’odiosa disputa. Solo Boldwin e la Fanciulla in Nero sembravano intoccati da quel litigio fastidioso: il primo sembrava sordo e cieco a tutto tranne che ai colpi del suo martello e al fumo della sua forgia, la seconda passeggiava assorta in una dimensione tutta sua. Prima che il sonoro dissidio avesse luogo, Serah colse l’occasione per parlare con Yuria e rassicurarla un po’, dato che dopo l’aggressione che subì rimase talmente scossa ed impaurita che non proferì parola con nessuno di loro e si rannicchiò alla parete, avvolgendosi nella sua larga veste rattoppata e separandosi come meglio poteva da tutti. L’unico di cui sembrava fidarsi era Firion, e benché avesse accettato la compagnia della piccola contadina, non era comunque predisposta a dialogare a lungo. Poi i chierici elencarono i presenti e spiegarono della presenza dei due incantatori al loro padre spirituale, e la sua reazione estrema spinse Freke ad uscire dalle sue ombre e cacciò Yuria in un isolamento ancor più schivo e pavido. Solo il ritorno di Firion e Claire pose una momentanea fine alle urla. La coppia attirò su di sé gli occhi di tutti loro, ma prima ancora che potessero capire in cosa erano rimasti invischiati, Sant’Urbain marciò pretenziosamente verso il cavaliere armato di spadone e con rabbioso cipiglio diede una smorfia disgustata.
“Trai giovamento nell’ingannarmi, Cacciatore?!”
“Prego?” fu tutto quello che riuscì a dire Firion, in preda alla confusione.
“Sei in combutta con gli eretici?! Che ci fanno qui Freke ed una strega?!”
I chierici suoi seguaci s’interposero ancora una volta, tentando di far rinsavire il loro maestro e di farlo tornare alla placida generosità da cui era solitamente mosso. L’Accolito gli si pose davanti a mani giunte, in speranza di essere udito.
“Sant’Urbain, la prego, mi ascolti: Firion è un uomo buono ed è animato da una giusta rettitudine. Se i due incantatori sono qui è solo per il suo incorruttibile giudizio…”
Poi fu la volta dell’Adoratrice.
“Mio fratello ha ragione, mio signore. La supplico, abbandoni quest’odio tanto velenoso che la corrode a tal punto e si riappacifichi con il suo spirito caritatevole…”
Urbain guardò prima uno e poi l’altra con occhi allibiti, sconvolto dai loro sproloqui barbarici.
“Quanta insolenza! Pretendete di poter dire a me come esercitare la santità?! Patteggiate con gli infedeli e vi definite devoti?! Vi scomunicherò all’istante!”
Sia l’Adoratrice che l’Accolito, alla menzione di quelle parole, caddero in ginocchia imploranti per una grazia. La donna arrivò a piangere ed a prostrarsi completamente, afferrando un lembo delle vesti del santo e pregandolo di non mettere in atto la condanna. Urbain strattonò via incurante il tessuto, guardando la donna con disprezzo mentre lei singhiozzava col volto a terra.
“I tuoi fedeli dimostrano una misericordia ed una saggezza che tu non hai, Urbain! Potrei mai credere che sia stato lo stesso dio che tu tanto osanni ad aver insegnato loro certi valori?!” esclamò aspramente Freke.
“Non parlare a me di divinità, Visionario folle! Tu trai i tuoi Incantesimi dal potere demoniaco! Non sei che il demonio sotto mentite spoglie!”
“Miracoli ed Incantesimi sono le due facce della stessa moneta: entrambi sono divenuti accessibili in tutto il loro potere solo dopo l’avvento della Nebbia. Il dio da cui traete tutta la vostra fede non è che il primo Demone, l’Antico!”
“Questa bestemmia ti varrà la morte!”
“Ne ho abbastanza!” proruppe Firion a gran voce, facendo tacere le due parti immediatamente. Affrontò minaccioso Urbain, sovrastandolo in altezza e minimizzando la sua sicurezza.
“Non m’interessa quali siano le vostre differenze e non ho intenzione di scoprirle. Se ancora non l’avesse capito, noi potremmo essere gli ultimi sopravvissuti in tutta Boletaria, e non lascerò certo che siano le vostre ossessioni a decretare la fine di queste persone. Oggi, un uomo coraggioso non è più tra noi per permettere a gente come lei di vivere ancora. Rifletta su questo, ‘sua santità’, e smetta di agire come un infante capriccioso!”
Detto ciò, Firion aiutò a rialzarsi i due devoti disperati. Poi, si fece strada per le scale del piano superiore dando una spallata indelicata al chierico scalpitante, salendo i gradoni a passi rabbiosi; Claire si chiese dove stesse andando così all’improvviso e perché. Urbain, adirato e contrariato, puntò uno sguardo furioso prima al Cacciatore e poi allo stregone. Senza dire un’altra parola, si voltò e si ritirò nel profondo dell’ala sinistra del Nexus. I suoi due seguaci scambiarono un’occhiata persa tra di loro e con Claire e Freke, seguendo a testa bassa il capo del loro ordine.
“Non lo avevo mai visto così arrabbiato…” sussurrò Freke a Claire, rimasti soli a guardare in alto verso il cavaliere.
“Credo si sia trattenuto…” rispose lei distaccatamente.
“Diceva davvero, prima? Il dio che per tutto questo tempo hanno venerato i devoti era un falso?”
“Io credo che i primi fondatori della Chiesa siano stati meramente traviati nella loro speranzosa ricerca, poiché hanno colto i primi segni della rinascita dell’Antico come la presenza del divino. Ciò che venerano non è la divinità, ma solo un’altra delle sue creazioni. Eppure, c’è un modo per noi uomini di evolvere e raggiungere uno stato più vicino a quello del Creatore? Io credo di sì, e sono convinto che la risposta su come fare stia nel comprendere la natura delle Anime Demoniache… Comunque sia, è meglio non pensarci più, per ora…”
Freke posò brevemente una mano sulla spalla della ragazza, che seguì il suo discorso senza veramente comprenderlo, e poi si allontanò silenzioso, tornando ai suoi scritti e studi. L’attenzione di Claire si spostò subito su una voce che la chiamò dal fondo della sala: proveniva da Serah, che correva verso di lei con un sorriso in volto. Le due sorelle si abbracciarono amorevolmente, stingendosi con forza.
“Non ti avrei mai mandato fuori se avessi saputo quanto mi saresti mancata…” disse Serah staccandosi da lei.
“Ho intenzione di riposarmi dopo quest’ultima partenza. Credo mi prenderò un po’ di tempo prima di uscire di nuovo.”
“Sono felice di sentirtelo dire: qui, quando uno di voi due non c’è, sembra scatenarsi il finimondo…”
“Cos’è successo sta volta?”
“Cose da credenti, immagino. Quando il tipo sacro ha saputo di Freke e Yuria, ha cominciato a dare di matto. All’inizio voleva che se ne andassero, poi ha cominciato a minacciare…Non so bene quali siano le qualità di un ‘Santo della Chiesa’, ma non mi sembra che quello lì corrisponda a quell’immagine.”
“Forse è proprio così. Teniamo gli occhi aperti…”
Serah diede un deciso cenno affermativo. Di colpo cambiò espressione: mise le mani ai fianchi ed alzò un ciglio furbo, dando un ghigno malizioso.
“Allora: come è andata con Firion?”
Claire, imbarazzata, tentò goffamente di cambiare discorso, facendole dimenticare la domanda.
“Non hai un lattante a cui badare?”
“Dorme con Yuria. Come è andata con Firion?”
“N-Non so di che parli…” continuò lei, sviando lo sguardo.
“Oh, è andata bene allora! Non fosse così me lo avresti già rinfacciato... Quanto in fondo siete andati?” chiese sospettosa ed indiscreta.
“Non ho niente da dirti!”
Claire si allontanò da lei a passo svelto verso il pilastro dove attendevano Thomas, Boldwin ed Ostrava, sperando che la loro presenza scoraggiasse Serah dal fare altre insinuazioni scomode.
“Non mi dire…E tu che mi facevi tutte quelle prediche sui ragazzi e sui pericoli di una relazione…”
Serah si portò dietro la sorella, ma smise di punzecchiarla. I tre uomini ai piedi dell’alta colonna salutarono a turno Claire, chiedendo delle condizioni sue e di quelle del Cacciatore.
“Claire, ho sentito quello che ha detto Firion riguardo lo Spettro. Quindi, è vero che…” cominciò Thomas, a cui però mancarono le parole.
Claire annuì gravemente. Thomas chiuse gli occhi e sospirò tristemente, abbassando il capo deluso. Anche Boldwin ebbe una reazione simile, appoggiando i gomiti sulle gambe e scuotendo lievemente la testa.
“Però, non si è nascosto né ha avuto paura. Ha continuato con coraggio finché ha potuto, e poi ci ha affidato il futuro che avrebbe voluto plasmare per noi, ed io non ho intenzione di deluderlo."
“Sagge parole” commentò Boldwin deciso. Thomas si risollevò ed annuì in accordo.
“Appartenenti ad una saggia eroina” affermò Ostrava, facendo un passo avanti.
 “Boletaria è precipitata in un abisso tetro ed oscuro. I suoi difensori sono caduti tutti, presto la Nebbia divorerà per intero il nostro regno, e ciò che rimane sarà preda dei Demoni. Tuttavia, un faro di speranza risplende ancora: forse la nostra era vedrà il sorgere di nuovi eroi, come questa ragazza davanti a voi. Lei che affronta pericoli che farebbero cedere chiunque, non si ferma nella sua lotta per liberare queste terre. Insieme all’impavido Firion, porterà la salvezza della nostra casa.”
Ostrava estrasse la spada dorata che portava sempre al suo fianco, e l’alzò in alto a lama protesa.
“Onore e gloria a Claire!”
“Onore e gloria!” gridarono Thomas e Boldwin, alzandosi in piedi.
“O-Onore e gloria!” disse Yuria, aggiungendosi timidamente.
Serah cominciò a battere le mani e si avvicinò di più alla sorella, un sorriso gioioso in volto.
“Onore e gloria…”
Claire sentì le guance arrossire, divenuta il centro di quelle lodi generose. Sentì il cuore batterle incontrollato, incapace di rimanere indifferente a quei sentimenti irresistibili.
“Io non merito i vostri elogi. Non ho fatto niente per meritarli…”
“Invece sì. Ogni secondo che passi là fuori lo fai per noi. Nonostante gli orrori che sai dovrai affrontare, non ti tiri indietro, con coraggio ineguagliabile. Sei cambiata, Claire: una volta non avresti rischiato così tanto per qualcuno diverso da me o da te stessa. Sei una persona migliore ora, la migliore che abbia mai conosciuto.”
Dei piccoli applausi presero ad echeggiare sulle pareti, mischiati ad incitamenti ed incoraggiamenti. Claire assorbì incredula quella scena insostituibile, ma nel profondo non poté fare a meno di accettarla con estrema felicità.
“Eppure…” pensò lei alzando gli occhi alla scalinata sopra di lei, mentre agli applausi si sostituivano delle risate allegre.
“…colui che mi ha reso così non è qui con noi, a godere di ciò che ha reso possibile…”

Firion oltrepassò la Fanciulla in Nero, seduta sui gradoni a metà della rampa di scale. Al suo passaggio lei si alzò in piedi, ma non disse niente, voltandosi verso di lui e seguendolo con quei suoi occhi velati. Il cavaliere continuò a salire e salire, lungo l’altezza apparentemente indefinita per cui si estendeva il Nexus. Quando finalmente arrivò all’ultimo piano, il salone in fondo era diventato quasi indistinguibile tra gli elementi architettonici e le statue ornamentali che si protendevano dalle pareti. Attraversò un piccolo arco che portava ad una stretta e vuota anticamera, dove era presente solo un’altra apertura. Da lì, un’ultima rampa di scale, ben più anguste e brevi, schiacciate tra due pareti vicine, lo condussero al balcone. Una piattaforma si affacciava sul vuoto sottostante, mentre la grande statua sospesa, al centro dello spazio sotto il tetto, riceveva i visitatori sul balcone balaustrato con truculenza. Lungo la parete, decine di piccoli simulacri dai connotati abbozzati e tutti uguali, raffiguranti quelli che potevano essere dei bambini, coperti da larghe vesti. Ai piedi di ognuno, una singola candela spenta, le loro teste reclinate segno di una vita ormai passata: i Monumentali. Tutti loro erano periti, tranne uno. Quelle entità, sedicenti sentinelle semi-viventi della struttura della realtà, erano state poste a guardia del sonno dell’Antico. Tuttavia, uno ad uno cominciarono a morire, finché ne rimase solo uno, lo stesso che condusse Firion al Nexus e che gl’impartì la sua missione. Il Cacciatore non badò a quei cadaveri dalla dubbia natura, e si diresse senza esitazione all’unica candela che ancora ardeva della sua piccola fiamma. Quando fu vicino, si fermò davanti all’unica statua illuminata dal timido fuoco: un movimento del capo indicò una presenza pronta ad ascoltarlo.
“Mi hai ingannato.”
“Fosti scelto per porre fine alla Piaga. Tutti gli Arcidemoni devono morire affinché l’Antico non abbia più servi che possano accumulare anime in sua vece. Quando tu sarai diventato il Demone più potente a sua disposizione, ti evocherà al suo cospetto. Allora, la Fanciulla cullerà l’Antico perché cada ancora una volta nel sonno, il tuo compito sarà concluso e sarai liberato dal Nexus. Quanto ti ho detto, è ciò che ti ho detto quando accettasti la missione.”
“Sei tu ad aver causato la mia morte, non è così? Quando mi hai guidato nella Nebbia, mi hai deliberatamente posto nelle condizioni migliori perché io morissi e così hai potuto legare la mia anima al Nexus, ho ragione?”
L’unica risposta fu un lungo silenzio colpevole, troppo accidioso per poter offrire una risposta esaustiva e veritiera.
“Hai perpetuato questo inganno con ogni guerriero che sia caduto nella tua tela. Nessuno è riuscito a sopravvivere, e tu hai continuato a collezionare uomini da mandare al macello, in cerca del sacrificio migliore da offrire…finché non sono arrivato io.”
“I Demoni vanno fermati, o divoreranno il mondo: la moralità dei mezzi per cui intendiamo perseguire quel fine non è oggetto di discussione” disse il Monumentale dopo altro silenzio con la sua voce giovanile.
“I Demoni che voi avete risvegliato. Nella pateticità del vostro soverchiante fallimento nel mantenere il sigillo dell’Antico, avete corrotto la vita di centinaia, condannando al contempo il mondo intero.”
“Gli uomini hanno causato la rinascita dell’Antico e decretato la loro morte. E’ stata la loro sete di potere. E’ stato così in passato, è stato così quando Re Allant XII si è avventurato qui nel Nexus. Tu rimarrai vincolato qui per sempre, i tuoi amici saranno inghiottiti dall’Antico, insieme a tutto ciò che è coperto dalla Nebbia: se non vuoi questo destino, dirigiti alla Valle di Corruzione ed al Castello di Boletaria, ed uccidi gli ultimi Arcidemoni rimasti. Accetta il tuo destino, o cadi nell’oblio.”
Firion sbuffò ironicamente per il triste divertimento che si ritrovò a provare. Tutto il tempo che si era illuso di essere una sorta di salvatore della sua terra era stato manovrato come molti altri prima di lui, alimentato da incoraggiamenti vuoti e bugie attraenti. In realtà, era semplicemente stato allevato nella speranza che potesse risultare una buona esca per l’Antico. Non era un eroe, soltanto un’insignificante esca.
“Ho già fatto la mia decisione. Ormai non posso più tornare indietro. Però, sappi che non lo faccio per me o per rispettare la mia parola, e nemmeno in nome della tua gente…” disse Firion voltandosi.
“Che i motivi per cui intendi portare a termine il tuo compito siano personali o meno è irrilevante.”
“Lo è invece: sono le ultime parole che sentirai…”
Firion serrò una mano sul suo spadone e cominciò lentamente ad estrarlo.
“Distruggi me e le Arcipietre, l’unica rete che tiene uniti i nodi di questa realtà in rovina, si dissolveranno, gettando nel caos ciò che rimane del mondo.”
“Menti: senza l’aiuto dei tuoi fratelli, hai perso da tempo la tua presa sulle terre. L’unica cosa che puoi ancora fare è intrappolare anime innocenti qui, ed io ho intenzione di fermare questa follia. Questa storia finirà con me, nessun altro dovrà soffrire come ho sofferto io.”
Firion estrasse completamente la sua lama possente, dando ancora le spalle al Monumentale. L’entità arcana rimase un’ultima volta in quiete, come per riflettere a fondo su ciò che stava per accadere e su cosa avrebbe comportato. Alla fine, parlò di nuovo, una strana leggerezza nella sua voce.
“Mi dispiace: è nella mia natura preservare la mia esistenza. Molto bene. Affido a te questo mondo. D’ora in poi, il suo tramonto, o la sua nuova alba, dipenderanno solo da te. E’ stato un onore, Cacciatore di Demoni.”
“Sappi che non avrei voluto. Addio.”
Firion roteò con furia su sé stesso e menò un fendente devastante. L’impatto distruttivo fece tremare le mura, propagandosi nel profondo della pietra nera.

Nel grande salone circolare, i presenti si stavano divertendo a scherzare dopo che l’affabile Ostrava portò ognuno di loro a coprirsi un po’ di ridicolo in onore della coraggiosa compagna del cavaliere Firion. La Fanciulla in Nero, attirata da quelle voci gioviali, si avvicinò a tentoni, desiderosa di provare parte di quella serenità. Quando fu a pochi passi, però, avvertì qualcosa sopra la sua testa, che puntò in alto, come per vedere con i suoi occhi occlusi. Ostrava si accorse di lei e della sua espressione strana e preoccupata. La raggiunse e le prese la mano per attirare la sua attenzione, ma lei tenne il viso verso su.
“Tutto bene, mia fanciulla?”
“Un potente Demone è tra di noi…”
Ostrava non capì cosa volesse dire. La fanciulla stette in posizione, in attesa che il suo nuovo padrone tornasse da lei.   
   
 
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