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Autore: LadyRealgar    09/02/2016    3 recensioni
(Sequel de La sua Paura, crossover The Avengers, The Amazing Spiderman; possibili riferimenti ad altri personaggi fumettistici)
Sono passati quattro anni dagli eventi che hanno portato Chiara ad Asgard e, nuovamente sulla Terra, la ragazza cerca di riprendere una vita normale, ma nulla sfugge all'occhio attento dello S.H.I.E.L.D. e la giovane senese è costretta di nuovo ad affrontare la separazione dalla sua famiglia, ma questa volta ha uno scopo: proteggerla.
Dal capitolo 1:
-Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?
-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?
-Affermativo.
Ps. Possibili riferimenti ad Avengers:Age of Ultron. Spoiler Alert
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton, Loki, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aprì la bocca per incamerare nei polmoni quanta più aria potessero contenere, come se quello fosse stato il suo primo respiro, ma ciò che percepì fu come un fuoco che le si accendesse in gola, bruciandole il palato, la lingua e il petto. Faceva male, le dava la sensazione di soffocare e gli occhi erano impastati di un viscoso liquido giallastro dall'odore di uova marce.

Afferrò i lati della vasca con entrambe le mani e fece forza su quell'appoggio nel tentativo di sollevarsi, ma la gamba destra era come bloccata e tutto quello che poté fare fu lasciarsi cadere di peso fuori dal sarcofago. Il pavimento di pietra risultò freddo e rugoso sulla sua pelle quando vi cadde, ma anche lì l'aria continuava a bruciarle la gola.

Una risata grave e profonda la fece sussultare, ricordandole perché si era svegliata: "Non farò mai in tempo!" pensò, sentendosi il cuore batterle impazzito dietro lo sterno e le orecchie fischiare acute.

Cosa poteva fare lei? Non era nemmeno stata capace di morire, come poteva pretendere di sconfiggere Phoneus? Ad un tratto qualcosa di caldo le sfiorò la mano, come una carezza, e, dischiuse appena le palpebre, vide Gungnir, abbandonata tra le pietre del suolo, che brillava. In mezzo all'opprimente oscurità della catacomba, quello scintillio era uno spettacolo incantevole e, Chiara stentava a crederlo, sembrava fatto apposta per lei. Per attirare la sua attenzione.

Come mossa da fili di burattino, le mani della ragazza si allungarono sulla sottile asta dell'arma, avvolgendola con le dita, e la sentirono tiepida e fremente.

Il solo tocco dell'arma sacra bastò a infonderle speranza e, colma di una nuova fiducia, puntò la cuspide in direzione della coda del mostro, alzata in aria per vibrare il colpo di grazia.

Prese un profondo respiro, incurante del bruciore e concentrò ogni particella del suo corpo sul bersaglio, ogni nervo a fior di pelle, ma l'attesa cresceva e nulla accadeva. L'asta diveniva sempre più fredda e l'aculeo, raggiunto il suo apice, era pronto a cadere impietoso sulla sua vittima, accasciata al suolo, immobile.

-No! No!- implorò Chiara, scuotendo l'arma nella speranza di farla funzionare, ma quella non diede alcun segno di attività e, sotto gli occhi attoniti della ragazza, il grosso pungiglione nero calò veloce sulla gola dell'uomo, recidendola.

-NO!- gridò con quanto fiato avesse in corpo Chiara, sentendo Annibale sobbalzare ai suoi piedi e ringhiare. Aprì gli occhi e tutto tornò buio e silenzioso attorno a lei; un buio familiare che l'aiutò a calmare il respiro, mentre grosse gocce di sudore scendevano lente lungo la fronte e la schiena.

-Anne, stai bene?- chiese nel buio la voce sonnolenta di Talia.

-Sì- ansimò la ragazza, passandosi il braccio sul volto per tergere il sudore alla bell'e meglio -Solo un brutto sogno. Ora è passato.

Attese qualche secondo e alle orecchie le giunse il respiro di Talia, reso tranquillo e profondo dal sonno, poi, quasi per istinto, le sue dita andarono a cercare attraverso il tessuto dei pantaloni la cicatrice sulla coscia, prodotta dal taglio della lama elfica.

Il piccolo bozzo oblungo era ancora lì, liscio e regolare, a memoria perenne della sua impresa a Eitur Myri.

"Chissà Loki dove si trova in questo momento?" si ritrovò a domandarsi la ragazza, mentre, confortato Annibale con qualche carezza, cercava di riprendere sonno.

Quella era una domanda che negli ultimi anni si era sforzata di non porsi mai o, se non altro, il meno possibile: pensare al Dio degli Inganni era per lei fonte di sentimenti estremamente contrastanti, che oscillavano dall'odio alla malinconia, dalla rassegnazione alla speranza di vederlo comparire alla sua porta, con lo stesso sorriso beffardo con cui si era presentato a lei la prima volta nelle prigioni asgardiane.

Il ricordo del suo risveglio ad Asgard ebbe come effetto quello di toglierle dagli occhi ogni traccia di sonno, così, facendo attenzione a non svegliare di nuovo Talia, che dormiva accucciata sull'altra metà del divano strettamente avvolta in un plaid, scivolò sui cuscini e si alzò in piedi, dirigendosi verso la cucina, dove giacevano i resti della cena cinese.

Accese la lampadina sopra ai fornelli e, nel più assoluto silenzio, iniziò a fare ordine: tenersi impegnata era un buon modo per distrarsi e non pensare a tutte quelle volte in cui, sdraiata sul letto della sua stanza al Triskelion, aveva osservato il soffitto grigio cercando di percepire la presenza di Loki. Non aveva detto lui stesso che tra loro esisteva un legame? Il Vincolo Sacro, da quello che ne sapeva, avrebbe dovuto tenerli uniti in qualche modo, perciò, se Loki aveva detto di essere in grado di trovarla grazie ad esso, perché lei non avrebbe potuto fare altrettanto?

Aveva trascorso ore e ore cercando anche la più piccola traccia del dio, ma nulla, nemmeno un sussurro o un frammento di immagine aveva ripagato i suoi sforzi. Alla fine, col passare delle settimane, aveva smesso di cercare e un nuovo pensiero era giunto ad aggravare quella solitudine che l'aveva abbracciata nella lontana Washington: era stata dimenticata.

Sigyn la Vittoriosa, la Salvatrice di Asgard era stata dimenticata dagli stessi amici con cui aveva combattuto e che con lei avevano salvato i Nove Regni.

A conti fatti, si era detta, tutti quei titoli si erano rivelati solo parole vuote e l'amicizia che quei valorosi guerrieri le avevano dimostrato sul campo di battaglia svaniva quando non c'era alcuna guerra da combattere. Cosa si era aspettata da un popolo di divinità guerriere? Che vegliassero su di lei, pronti ad accorrere in suo soccorso nel momento di difficoltà?

Non c'era più alcun mostro da combattere, nessuna minaccia gravava su Asgard e i problemi di Chiara erano soltanto i suoi, non di Thor, non di Fandral, non di Volstagg né di Sif. Solo suoi e da sola doveva affrontati.

Gettò le confezioni di cartone e la carta stagnola sporca nel sacco della spazzatura, chiudendolo accuratmente e trascinandolo fuori dalla porta; accese le luci sulle scale e, in punta di piedi, scese fino al pianterreno. Aprì la porta sul retro e gettò il sacco dentro uno dei cassonetti, facendo scappare con il rumore un gatto randagio dal suo nascondiglio; non appena ebbe chiuso il cassonetto, un insolito silenzio scese sul vicolo al punto tale che alle orecchie della ragazza il suo stesso respiro pareva fare un gran fracasso.

Sopra di lei il cielo era scuro e senza stelle, coperte da una fitta coltre di nuvoloni carichi di pioggia. Alzò lo sguardo su quella cortina scura e trasse un profondo sospiro, mentre si stringeva le braccia attorno al corpo nel tentativo di proteggersi dal freddo.

-Heimdall- sussurrò -Davvero non mi vedi?

Attese per qualche secondo, le orecchie ben drizzate e gli occhi puntati verso il cielo nella speranza di udire o vedere quel familiare fascio di luce, che più volte aveva sognato di scorgere attraverso la finestra dell'ennesimo motel in cui lei e Clint avevano fatto sosta prima di riprendere il viaggio. Passando per il New Mexico, una volta, Clint le aveva addirittura indicato in mezzo alle dune il luogo dove aveva puntato per la prima (nonché ultima) volta il suo arco contro Thor. Inutile dire quanto avesse fantasticato per tutta la durata della trasferta che il Bifrost si aprisse di nuovo in quel deserto rovente.

La sirena di un'ambulanza la fece sussultare, destandola da quei ricordi, e con un sospiro incastrato tra i denti rientrò nel condominio: era inutile perdere tempo in un passato ormai remoto, ora la sua vita era lì a New York e tra poco il sole sarebbe sorto, dando inizio a una nuova giornata di lavoro.

Qui e ora” pensò Chiara, rientrando in casa “Devo pensare al qui e all'ora. Sigyn non c'è più, ora è il tempo di Arianne”.

Quando rientrò nell'appartamento Talia dormiva ancora, occupando tutta la lunghezza del divano, mentre Annibale la aspettava impaziente all'ingresso e inizò a scodinzolare vistosamente non appena la vide aprire la porta.

-Ciao ragazzone- sussurrò Chiara, accarezzando la testa dell'animale -Ci siamo svegliati! Ma la zia Talia è ancora tra le braccia di Morfeo- aggiunse poi, sentendo l'amica russare sul divano.

Camminando sulle punte dei piedi, Chiara si infilò il cappotto, agganciò il guinzaglio ad Annibale ed uscì di nuovo di casa, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle.

Quando uscì dal portone del condominio, i primi raggi dell'aurora avevano iniziato a fare capolino in uno spiraglio tra due grosse nubi grige, suscitando in Chiara un sorriso aperto: dietro ai giorni più bui si nasconde sempre la luce della speranza.

Rinfrancata da quel pensiero, la ragazza si incamminò lungo la via che le si apriva davanti, in cui i negozi più mattineri avevano appena iniziato ad aprire serrande e saracinesche per il nuovo giorno; nonostante quel piccolo sprazzo di sole, l'aria era ancora fredda e umida, a previsione di una bel periodo di pioggia, che, si augurò la ragazza, sarebbe finito prima della notte di Halloween: sebbene non fosse il tipo da andare in giro di casa in casa a chiedere “dolcetto o scherzetto” in costume (Clint sarebbe inorridito anche alla sola idea), adorava vedere i bambini sfilare per le strade travestiti da mummie, vampiri, zombie e supereroi (spesso capitava che un mini Iron Man e un mini Capitain America litigassero su chi dei due fosse il più forte o avesse il costume più bello).

Inoltre la notte di Halloween era una delle più redditizie dell'anno, in quanto il Daily Coffee rimaneva aperto ad orario continuato fino all'alba, permettendo a bambini e genitori di rifocillarsi durante il giro del quartiere, e le mance che venivano lasciate di solito erano eccezionalmente generose (anche se spesso in caramelle).

Dovette scansarsi di scatto a lato del marciapiede quando il furgone della nettezza urbana vi salì sopra per raccattare i sacchi dei rifiuti, ma in due balzi raggiunse la sua meta: un market aperto 24/24h.

Sebbene la sera prima la cena fosse stata rimediata al Pechino City, il frigorifero del bilocale era ancora miseramente vuoto ed era necessario procurarsi delle vettovaglie; legò Annibale fuori dal negozio, gli diede il comando di attesa e si infilò tra le porte automatiche, accolta dall'aria condizionata e dall'odore delle confezioni appena rimosse dai cartoni.

Prese da un angolo un cestino di plastica e, entrata nella prima corsia, iniziò a rimuovere dagli scaffali il necessario per la colazione.

La graffiante voce di un uomo alla radio raccontava dei quarti di finale din un torneo nazionale di football, ma Chiara, sdraiata sul letto, a mala pena stava a sentire: erano trascorse alcune settimane da quando era arrivata a Washington DC e ancora doveva attendere degli orari ben precisi per poter uscire dalla sua stanza e da lì a qualche minuto finalmente avrebbe potuto mettere il naso fuori dalla porta. Con il passare del tempo la sua mente aveva iniziato a porsi diverse domande, scandite dai turni di lavoro delle reclute che abitavano quel piano assieme a lei: non li aveva mai visti, né, dall'altra parte, loro avevano mai visto lei, ma ogni mattina li sentiva uscire dalle loro stanze per l'addestramento e ogni sera li udiva rientrare; aveva imparato i loro nomi e, un po' alla volta, aveva iniziato a comprendere anche i loro discorsi. Da queste loro conversazioni, assieme a tutto il tempo libero di cui disponeva, il suo cervello aveva iniziato a elaborare dei quesiti, primo tra tutti: perché non poteva uscire quando voleva?

Sentiva i ragazzi discutere di strategie, allenamenti, esami... se lei era stata messa tra loro, era perché Fury e Hill volevano reclutarla? E allora perché la tenevano rinchiusa?

Non riusciva nemmeno a capacitarsi del fatto che, quasi ogni giorno, la interrogassero circa i fatti vissuti ad Asgard , talvolta mostrandole immagini di creature mostruose o di antiche rune, domandandole se ne riconosceva qualcuna.

Per quanto si sforzasse, nessuna di quelle immagini aveva fatto accendere in lei una lampadina, ma questo non sembrava scoraggiare i suoi interrogatori , che tornavano la volta dopo con nuove fotografie e nuove domande.

-Puoi uscire se vuoi- disse una voce dalla porta, facendola sobbalzare di sorpresa. Quando si voltò, la porta era stata aperta e, appoggiata allo stipite, Natasha la osservava con il suo solito sguardo felino, un mezzo sorriso disegnato sulle labbra carnose -Coraggio- insistette la donna -Sarai affamata.

A conferma di quelle parole, lo stomaco di Chiara emise un brontolio e la ragazza, dovendo riconoscere di aver bisogno di mangiare qualcosa, seguì la spia lungo le scale anti-incendio, finché non sbucarono nell'ampio locale della mensa, apparentemente ancora più grande per il fatto di essere completamente vuoto.

Natasha si versò una tazza di acqua calda, prese una bustina di té e un cucchiaino e si sedette ad uno dei tavoli vicini alla porta, da cui poteva tenere d'occhio sia l'ingresso, sia Chiara che, frugando in giro, aveva trovato del pane e del formaggio in bustine.

Assemblato il suo panino, la ragazza prese posto al tavolo dove Natasha sorseggiava il suo té e iniziò a mangiare lentamente, meditando sulle sue domande e chiedendosi se fosse il caso di parlarne con la rossa: da quanto ne sapeva, era l'unica, oltre alla Hill, in grado di parlare italiano, ma, dall'altra parte, Chiara dubitava che avrebbe acconsentito a condividere con lei alcun tipo di informazione.

Totalmente immersa nelle sue riflessioni, la ragazza non si accorse di essere arrivata a mangiare fino al tovagliolo che avvolgeva il panino e da un momento all'altro si sentì in bocca un grosso boccone di cellulosa asciutta, che la fece tossire.

-Mi chiedevo quando te ne saresti accorta- ridacchiò dietro alla tazza la russa -Sei distratta.

Chiara alzò lo sguardo verso la donna e si perse per un momento nei suoi grandi occhi blu, la cui freddezza lasciava trasparire un'intelligenza fuori dal comune: -Prego?- domandò quando i colpi di tosse furono cessati.

-Sei distratta- ripeté lentamente Natasha, appoggiando la tazza quasi vuota sul tavolo -Ma è comprensibile. In molti avrebbero difficoltà ad affrontare un simile trasferimento dopo quello che ti è successo ad Asgard.

-Asgard non c'entra- ribatté Chiara, infastidita dal fatto che quella donna cercasse di trovare in lei una debolezza, giustificandola come qualcosa di “normale” (solo il Cielo sapeva quanto poco normale fosse tutta quella situazione!) -Non risento di quello che è capitato. Sto cercando di capire cosa sta succedendo adesso.

La spia alzò un sopracciglio e il sorriso, che poco prima le irradiava il volto, svanì: -Cosa vuoi capire?- chiese calma.

La giovane senese rimase sorpresa da quella domanda, cercandovi una qualche traccia di sarcasmo o di rimprovero, ma non ne trovò; al contrario, la donna aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e aveva sporto il busto leggermente in avanti, nella tipica posa di chi è disposto ad ascoltare.

-Beh- esordì Chiara, raccogliendo i propri pensieri -Ad esempio come avete fatto a trovarmi.

-Il Bifrost si è aperto in quelle campagne per ben quattro volte nell'arco di poche ore l'una dall'altra- rispose pazientemente Natasha -Pur fingendo che un tale fenomeno non rilasci grandi quantità di scariche elettromagnetiche anomale, facilmente individuabili anche dal più rudimentale dei rilevatori, il fatto che un gigantesco arcobaleno compaia per ben quattro volte nello stesso punto è un evento che difficilmente passa inosservato. Soprattutto se coinvolge diverse centinaia di persone appartenenti a un altro pianeta, che sporoloquiano di un mostro leggendario e di una ragazza terrestre che si è sacrificata per permettere la loro fuga.

-Sì- ammise Chiara -Ma perché io? Ci sono altre famiglie che abitano la zona, altre ragazze...

-Sono state scattate delle fotografie- la interruppe la donna -Un giornalista, forse, o solo un curioso che si trovava lì proprio nel momento in cui sei atterrata l'ultima volta. Abbiamo cercato di distruggere o alterare quei file, ma temiamo che delle copie siano finite nelle mani sbagliate. È stato un miracolo se siamo arrivati per primi.

-Il che spiega perché sono qui...- rifletté ad alta voce la ragazza, accartocciando il tovagliolo e stringendolo forte nella mano -E il perché di tutte quelle precauzioni... Ma chi mai...?

-Potrebbe essere interessato a quello che hai visto?- la interruppe di nuovo la donna -Prova a rifletterci: dopo quello che è accaduto a New York e a Greenwich, l'interesse per gli alieni si è rafforzato enormenente e Asgard rappresenta uno dei punti di riferimento più importanti per alcune associazioni criminali: sia per la tecnologia militare (avrai probabilmente sentito parlare di quello che è accaduto nel New Mexico alcuni anni fa), sia per l'uso di arti che, al momento, ci sono per lo più sconosciute.

Per una frazione di secondo Chiara rivide nella sua mente il tubicino argentato del Vincolo Sacro arrotolarsi intorno al suo braccio e collegarsi a quello di Loki. E capì a cosa Natasha si riferiva.

-Da quello che sappiamo- stava continuando la donna -Solo un uomo è arrivato a padroneggiare competamente queste conoscenze e la sua buona fede è l'unica ragione per cui l'intero pianeta non si trovi sotto al suo dominio, ma molti altri, con intenti meno pacifici, possiedono un grande interesse per questo genere di potere. E strappare a una ragazzina indifesa le informazioni necessarie per ottenerlo è per loro facile come bere un bicchiere d'acqua.

-Chi sono “loro”?- domandò esasperata la ragazza, stufa di tutti quei misteri.

-Hai mai sentito parlare della Mano?- chiese la spia, abbassando involontariamente la voce al pronunciare quel nome.

-No...- ammise Chiara, perplessa; -La mano ha cinque dita- iniziò a recitare Natasha, mostrandole la propria mano aperta a ventaglio -Ognuna delle quali può esistere indipendentemente dalle altre, tuttavia, quando le cinque dita della mano si uniscono per un solo scopo unificato, la mano diviene un oggetto di potere incrollabile- concluse, stringendo il pugno attorno al manico della tazza, spezzandolo di netto in tanti frammenti (e facendo sobbalzare Chiara di sorpresa).

-Continuo a non capire- disse la ragazza, osservandola raccogliere i pezzi di ceramica e ammucchiarli tutti sul tavolo; -Augurati di non doverlo mai scoprire sulla tua pelle- rispose quella -E comunque è solo uno dei diversi candidati ai quali potrebbe fare gola quello che hai visto.

-E la mia famiglia?- domandò Chiara -Loro non sono in pericolo?

-Dopo la tua partenza abbiamo piazzato degli agenti a protezione dei tuoi congiunti, come precauzione, ma non sarebbero di alcuna utilità per gli assassini della Mano: sei tu quella che vogliono.

-Ma allora perché mi tenete rinchiusa anche qui?- domandò esasperata la ragazza -Perché non posso girare liberamente per l'edificio? Sono al sicuro qui, no?

-Qui non si tratta solo di tenere al sicuro te. Ogni persona che sa chi sei e quello che ti è capitato è una potenziale vittima delle trame delle multinazionali del crimine. Meno gente sa chi sei e meglio sarà per tutti.

-Fanno 23 dollari e 80- disse la commessa, con voce nasale, mentre le porgeva il sacchetto con la sua spesa; Chiara estrasse il portafogli dalla tasca del cappotto e le porse tre banconote da dieci dollari, ritirò il suo resto e, sciolto Annibale, ritornò in strada nella direzione opposta.

Tornata nel suo appartamento, la ragazza notò che Talia non era più sul divano, così andò alla porta del bagno e, sentendovi attraverso il rumore della doccia, iniziò a preparare la colazione, mettendo il bollitore sul fuoco e disponendo in bell'ordine i biscotti al cioccolato che aveva appena comprato. Estrasse dalla credenza la propria tazza a righe gialle e bianche e ne prese una verde a fiorellini viola per Talia e si mise a riordinare la spesa nel frigorifero, mentre Annibale, contento della passeggiata, si stendeva sul divano.

Qualche minuto dopo, la cantante uscì dal bagno, avvolta da un lungo asciugamano e una nuvola di vapore: -Sei tornata- esclamò contenta -Mi sono presa la libertà di farmi una doccia , ma non ti preoccupare: non ho finito l'acqua calda.

-Ottimo- rispose l'altra -L'acqua del tè si sta scaldando sul fuoco, ti do il cambio alla doccia e tra due minuti possiamo fare colazione. Ho preso i tuoi biscotti preferiti. Non mangiarteli tutti!- rise, chiudendosi in bagno e iniziando a spogliarsi.

Non appena l'acqua tiepida ebbe iniziato a scorrere sulla sua pelle, formando dei piccoli rivoli che percorrevano le sue curve come cascatelle, un profondo senso di leggerezza avvolse le sue membra, facendola rilassare: “Qui e ora” ripeté nella propria mente, mentre faceva cadere sulla mano un po' di bagnoschiuma al gelsomino regalatole da Pepper e iniziava a strofinare.

Io sono qui e ora”, ma il mantra si interruppe quando le dita scivolarono sopra il piccolo dosso pallido della cicatrice sulla coscia destra e di nuovo le sua fantasia le mostrò le immagini dell'incubo di quella notte.

Non era la prima volta che la sua psiche si divertiva a tormentarla con scene come quella, ma ogni volta era più nitida e viva della precedente. Come se, con il passare del tempo, i ricordi venissero sostituiti da un presentimento che con gli anni si era insinuato nel cuore della ragazza, che insistentemente cercava di ignorare, ma che puntualmente tornava a presentarsi non appena faceva l'errore di abbassare la guardia: e se gli eventi di Eitur Myri non fossero stati sufficienti per tenere Loki in vita?

Chiara alzò la testa verso il getto, in un istintivo tentativo di lavare via quel pensiero dalla sua mente: “È un dio” si disse, mentre lo spruzzo caldo le distendeva i muscoli della fronte.



*



Peter non si curò nemmeno di chiudere la finestra alle proprie spalle, ma, stanco morto per la nottata di ronda, si lasciò cadere sulle lenzuola del letto, ancora avvolto dal costume di spandex.

-Devo metterlo a lavare- considerò il ragazzo, quando alle sue narici arrivò l'odore di sudore che il costume emanava; si sfilò la maschera dalla testa e, rigiratosi supino, rimase per qualche istante ad ascoltare i rumori della casa: le tende bianche della finestra si gonfiavano e sbattevano contro il vetro, un tubo nel muro fischiava per la pressione dell'acqua, la lavatrice al piano di sotto ronzava e lo strombazzare del clacson di un'automobile attraversò la finestra.

Non si udivano rumori di passi, né della doccia o di alcuna altra attività, il che suggerì a Peter che la zia fosse già uscita; ribellandosi al sonno che lo teneva arpionato al materasso, il ragazzo si alzò in piedi e si spogliò del costume, per poi gettarlo nel lavandino del bagno, dove lo lasciò in ammollo in acqua e detersivo, mentre lui si lasciava avvolgere dal tepore di una bella doccia bollente.

Dopo qualche minuto ne uscì e, avvolto un asciugamano di spugna attorno alla vita, lavò a mano il costume nel lavandino, strofinando vigorosamente per rimuovere tutto lo smog e il sudore rimasti impiglati tra le maglie del sintetico. In poco tempo l'acqua si colorò di rosa e azzurro, cosa che strappò al ragazzo un mezzo sorriso: la prima volta che aveva avuto bisogno di lavare il suo costume, aveva fatto il madornale errore di metterlo nella lavatrice, con il risultato di macchiare di blu e rosso tutti gli altri capi che erano stati messi sventuratamente a lavare; quando zia May gli aveva chiesto cosa aveva provocato quel disastro, si era giustificato, sotto lo sguardo incredulo della donna, dicendo di aver voluto lavare la bandiera americana.

Non era stata una delle sue scuse migliori, ma non gli si era potuta negare una certa prontezza di riflessi.

Quand'ebbe finito, mise il tutto ad asciugare nella doccia e accese il deumidificatore: zia May non sarebbe tornata prima di sera e per allora il suo costume sarebbe stato ben asciutto e pronto all'uso.

Strofinandosi i capelli umidi con un asciugamano, scese le scale, attraversò il salotto e si infilò in cucina, dove, sul tavolo apparechiato semplicemente con una larga tazza blu e un cucchiaio, zia May gli aveva lasciato il latte e i suoi cereali preferiti con un post-it. Peter afferrò la scatola dei cereali e ne versò un po' nella tazza, poi, mentre aggiungeva il latte, prese il bigliettino e lesse la calligrafia inclinata ed elegante della zia: Ti ho lasciato il pranzo in frigorifero, mi raccomando per stasera, ci conto.

Lesse le ultime parole e rimase a fissarle per un tempo indefinito, finché non sentì qualcosa di freddo e umido bagnargli fastidiosamente la coscia sinistra; abbassò lo sguardo sulla proria gamba e la vide ricoperta di liquido bianco, che la sua mente, ancora intorpidita dalla stanchezza, gli suggerì essere il latte, che, strabordato dalla tazza, aveva iniziato a scorrere lungo il tavolo e a cadere sul pavimento i piccoli rivoli.

-Dannazione!- imprecò il ragazzo, correndo a prendere una spugna dal lavandino per rimediare al pasticcio combinato.

Mentre passava la spugna gialla sul piano del tavolo, Peter ripensò alla cena della sera precedente, tentando di riportare alla memoria l'intera conversazione che aveva avuto con la zia, ma, a parte il vago ricordo di qualcosa legato agli skateboards, non riuscì a ricordare nulla che fosse anche lontanamente collegato all'impegno preso con zia May.

Strizzò la spugna nel lavandino e si mise a mangiare i suoi cereali, ormai divenuti molli come una pappetta, mentre nella mano libera studiava il bigliettino, nella speranza che potesse dargli qualche informazione per quella sera.

Girò e rigirò più volte il pezzo di carta gialla tra le dita, ma l'unica cosa che ottenne fu di impiastricciarsi le mani con la colla del post-it: non c'era assolutamente nulla di utile e si sentì un imbecille per non aver prestato attenzione al momento opportuno.

Non sapendo cos'altro fare, misa la tazza, ormai vuota, nella lavastoviglie e andò a vestirsi: “Il compleanno di zia May è ad Agosto” pensò mentre infilava la testa in una t-shirt “Quello di zio Ben a Dicembre... non possono essere queste le occasioni per cui mi ha chiesto di fare qualcosa. Sì, ma cosa??”

Si sedette alla scrivania e accese il computer, fece l'accesso alla mail universitaria e controllò i nuovi messaggi, poi, notando sull'orologio che non avrebbe avuto lezione prima di tre ore, estrasse da un cassetto un vecchio auricolare, un paio di occhiali a forte ingrandimento e un cacciavite e, sotto lo sguardo di Gwen, che sorrideva nella foto appesa al muro, iniziò a lavorare al modulatore vocale suggeritogli da Chiara.



*



-Scendiamo qui!- esclamò ad un tratto Talia, afferrando la propria borsa con un mano e il braccio di Chiara con l'altra e tirandola in mezzo alla ressa di viaggiatori ammassati sull'autobus. La ragazza si aprì la strada a gomitate e i tre scesero sul marciapiede (non senza una certa fatica, soprattutto per il povero Annibale, che dovette zigzagare tra le gambe degli altri passeggeri).

-Perché mi hai fatto scendere qua?- domandò Chiara con una punta di fastidio, dato che nell'uscita uno dei passeggeri le aveva pestato un piede senza nemmeno chiederle scusa -Mancano ancora tre fermate al Daily!

-Oh, andiamo!- la incalzò Talia -È una bella giornata, siamo insieme e qui c'è Prospect Park che si staglia davanti a noi in tutta la sua bellezza autunnale. È un'ottima occasione per farci una passeggiata!

Vedendo l'autobus svanire dietro l'angolo, Chiara alzò gli occhi al cielo ed emise uno sbuffo, ma Talia aveva già varcato i cancelli d'ingresso del parco, seguita a ruota da un gioioso Annibale, che sembrava approvare quell'inaspettato cambio di programma, e così non poté far altro che stringersi meglio la sciarpa attorno al collo e seguirli.

Conosceva a memoria ogni singolo ettaro di quel parco: il lago, il ponte, il pontile per le barche... ogni singola panchina le era nota tante erano state le volte in cui vi si era rifugiata per cercare ispirazione per un nuovo quadro o anche solo per lasciare Annibale correre sui prati in libertà.

Era uno dei suoi luoghi preferiti in tutta Brooklyn, l'unico in cui potesse respirare senza sentire il puzzo dei tombini o dei gas di scarico delle automobili, ma quella mattina non era proprio in vena di passeggiate nel parco: voleva rifugiarsi nel caldo e accogliente abbraccio del Daily e aspettare la sera per andare da Stark.

Ma, evidentemente, Talia e Annibale avevano un'opinione differente e si erano messi a giocare con un bastone come se fosse la cosa più naturale da fare alle 6.30 della mattina.

-Ma dove accidentaccio la trovate tutta quest'energia?- disse Chiara, alzando la voce per farsi sentire -Io a mala pena riesco a camminare.

-Non dovresti lamentarti- rispose Talia, prendendo il bastone che Annibale le aveva riportato e scagliandolo su un prato -Non sei tu quella che ha dovuto sentirti borbottare in italiano per tutta la notte!

-Ho parlato?-domandò Chiara, sentendosi una scarica di paura lungo la schiena: non aveva controllo di quello che diceva nel sonno. Se avesse detto qualcosa di troppo?

-Lo fai tutte le volte che mi fermo a dormire da te- disse vaga Talia, affiandosi a lei -Borbotti qualche parola strana finché non ti do un calcio e allora riprendi a dormire. Non ti si secca mai la gola?- domandò poi, ridacchiando, ma, quando si accorse che l'espressione sul viso dell'amica era tutt'altro che divertita, aggiunse -Qualcosa non va?

-No, nulla- rispose Chiara di fretta. Un po' troppo di fretta, infatti Talia, per niente convinta, le lanciò un'occhiata sospettosa e domandò di nuovo -Ha qualcosa a che fare con il tuo incubo?

Da oggi sono esattamente quattro anni che sono tornata da Asgard e che la mia vita è andata a rotoli pezzo dopo pezzo, inoltre i miei amici mi hanno totalmente dimenticata e Loki non ha mai mantenuto la sua promessa,; quindi, sì, l'incubo c'entra in qualche modo”.

-Ho solo rivissuto quella volta che Suor Christine mi ha chiusa nell'armadio delle scope perché avevo rotto una finestra con il pallone- rispose Chiara con un sorriso forzato -Ogni tanto mi tornano in mente i giorni a Santa Cecilia.

-Il che spiega perché non borbotti mai in inglese- annuì seria Talia -Ma a che serve insegnarlo in un orfanotrofio, mi chiedo!

-Santa Cecilia è un istituto cattolico popolato dal più sfegatato fan club del papa: le suore dicevano che se lui doveva sapere la lingua di Roma per tenere messa, anche noi dovevamo impararlo per poterlo guardare in tv la domenica. Potrei recitarti in italiano anche tutte le preghiere conosciute!

-Se non altro hai imparato una lingua in più- considerò la cantante, lanciando di nuovo il bastone ad Annibale -Ma, per favore, ricordami la prossima volta che mi fermo da te di portarmi dietro anche i tappi per le orecchie!

Una fragorosa risata scoppiò tra le due amiche, che si presero a braccetto e iniziarono a chiaccherare amabilmente del più e del meno: dei prossimi provini che Talia sperava di riuscire a fare, dei nuovi progetti per dei quadri che Chiara aveva in mente (con l'augurio da parte di Talia che, oltre all'ispirazione, trovasse anche un posto migliore dove tenerli) e come organizzare il locale per Halloween.

-Dovrebbe esserci ancora qualche ragnatela finta nel retrobottega- pensò ad alta voce Talia -E mi sembra di aver visto un set di ragni e pipistrelli finti a 20 dollari nel negozio per le feste sulla diciottesima, potremmo metterne qualcuno nel vassoio delle brioches. Già mi immagino Trevor che risate si farà!

-Meglio evitare di mettere quelle schifezze vicino al cibo- commentò Chiara, mentre Annibale, ben stretto il suo bastone tra i denti, zampettava allegramente al suo fianco, giocando ogni tanto con le foglie cadute sul sentiero -Non oso pensare di quale plastica da due soldi siano fatti! Meglio evitare che ci denuncino all'ufficio sanitario.

La cantante sbuffò, ma non ribatté: sapeva bene che l'amica aveva ragione e si concesse qualche istante di silenzio per pensare a qualche altra idea.

Nel frattempo alle loro orecchie giunsero tutti quei suoni che le loro voci avevano fino ad allora coperto: le foglie secche scricchiolavano allegramente sotto i loro piedi, il vento muoveva le fronde degli alberi, facendoli sussurrare una melodia lenta e grave, l'acqua del fiume sotto di loro cantava a ritmo della corrente, mentre la sua superficie, increspata dal vento, rifletteva i timidi raggi solari che filtravano attraverso le nuvole.

Ad un tratto la voce roca di Annibale si intromise in quella melodia stagionale, ringhiando in direzione di un cespuglio, da cui, tenendo una grossa noce tra le zampe, uno scoiattolo rosso uscì saltellando; l'istinto cacciatore dell'animale iniziò a emergere e, abbassatosi sulle zampe anteriori, si preparò per scattare alla rincorsa del roditore, ma venne bloccato dal comando della padrona, che lo richiamò al suo fianco.

-Vieni qui, Annibale, e lascia stare quel povero animale!- esclamò la ragazza, indicando con l'indice il terreno vicino ai suoi piedi.

-Cosa c'è? Hai paura di inimicarti Squirrel Girl?- rise Talia -Non siamo mica a Central Park!

-Io non la sottovaluterei- ribatté seria Chiara, mentre attraversavano i cancelli e uscivano dal parco -Gli scoiattoli sono bestioline astute e anche lei non mi sembra da meno. Non vorrei davvero dovermi confrontare con lei.

-Bah!- fece spallucce la cantante -A mio parere non è uno dei supereroi che si possono annoverare tra gli orgogli di New York.

Tornarono così in mezzo al traffico, divenuto nel frattempo più intenso, e all'asfalto su cui i newyorkesi correvano come formiche verso i rispettivi luoghi di lavoro, in un caos di pedoni, biciclette e automobili che rendevano quell'ora della giornata particolarmente viva e movimentata.

Quando giunsero finalmente al Daily il signor Bailey aveva già aperto la saracinesca e avviato la cucina, così, una volta entrate e inforcati i grambiuli, a loro non restò che dare una veloce pulita ai tavoli e accogliere la clientela.

-Buongiorno, ragazze!- esclamò Charles con la solità giovialità, uscendo dalla cucina con un vassoio di muffin alle noci appena sfornati -Come è andata ieri senza di me?

-Tutto molto calmo in realtà- disse vaga Talia, sorridendogli di rimando -Nulla di nuovo dal solito e il forno ha retto tutta la giornata.

-E abbiamo conosciuto il nuovo spasimante di Talia!- ammiccò Chiara da dietro la spalla della cantante, che si girò facendole la linguaccia.

-È solo un ragazzo incontrato all'università- ribatté poi verso il signor Bailey, che sorrideva divertito, mentre disponeva con cura i muffin nella vetrina -Nulla a che fare con uno spasimante o simili!

-Ah, la gioventù!- sospirò l'uomo con una risatina -Quando ero giovane io le cose erano un po' più semplici... No, a dire il vero non è cambiato poi molto- la sua risata baritonale scoppiò nell'aria come un tuono e, per un istante, a Chiara ricordò molto quella di Volstagg e le immagini dei festeggiamenti dopo la sconfitta di Phoneus le percorsero la mente, come un film proiettato nella parete inferiore dei suoi occhi.

La sala era gremita di gente quella sera, mille voci salivano verso il soffitto, leggere come il fumo delle candele che si ammassava sugli splendenti marmi che lo decoravano, per poi scivolare lente verso la notte attraverso le finestre. Tutt'intorno l'oro dei piatti e dei bicchieri abbacinava lo sguardo e il profumo delle prelibatezze e del vino fruttato, preparati appositamente per quell'occasione speciale, inebriava i sensi.

La guerra sembrava già un ricordo lontano, nascosto dalle costose e ricercate vesti dei prestigiosi ospiti radunati alla corte di Odino, che seduto sul suo trono, brindava in compagna di Regalrex; Thor e i Tre Guerrieri, in un altro angolo della sala, chiacchieravano, o, meglio, urlavano allegramente, sotto lo sguardo divertito di Sif, che sorseggiava del vino scarlatto da una coppa.

Avrebbe voluto unirsi a loro e godere della loro compagnia, ascoltando i favolosi racconti delle loro avventure in giro per i Nove Regni, ma più avanzava nella loro direzione e più essi si allontanavano; più tentava di richiamare la loro attenzione e più il frastuono di voci diveniva alto e forte, coprendo la sua. Iniziò a correre, ma il pavimento sotto di lei divenne improvvisamente molle, appiccicandosi ai sandali e rallentandola, mentre le luci lentamente si abbassavano e le figure attorno a lei svanivano, come miraggi, sostituiti da un panorama di rocce spigolose e aguzze, avvolte da un cielo scuro, in cui brillavano fredde delle stelle lontane.

Non era così che era andata la serata! Era andato tutto diversamente: dov'erano i baldi guerrieri di Asgard? Dov'erano gli elfi e nani? Dov'era Odino, che l'aveva proclamata Vittoriosa? Dov'era Loki, che sulla tomba di Reicknar le aveva promesso un nuovo incontro?

Tutto quello che ricordava non c'era più, sostituito da aspre rocce e oscurità, ma più osservava quel paesaggio e più dentro di lei cresceva la convinzione di esserci già stata.

Come era possibile? Non ricordava nulla che potesse assomigliare anche in maniera remota a quel luogo inospitale.

All'improvviso vide la sua ombra allungarsi davanti a lei, avvolta da un caldo bagliore, e incuriosita si voltò.

E fuoco fu tutto quello che vide.

-Arianne? Arianne?- la chiamò Talia, passandole una mano davanti agli occhi -Ci sei?

-Sì, scusa- si affrettò a rispondere -Credo di aver avuto un calo di zuccheri improvviso.

-Che strano. Eppure hai fatto colazione...

-Tutte le scuse sono buone per assaggiare i miei muffin, non è vero?- rise il signor Bailey, porgendole un dolcetto e invitandola a sedersi -Coraggio, da' un morso, così mi dici se sono buoni.

-Come se non lo sapesse già!- si sforzò di sorridere la ragazza, ma nella sua mente aveva già iniziato a suonare un campanello d'allarme: quella che aveva avuto era stata una visione troppo nitida per essere dovuta alla stanchezza o alla mancanza di glucosio nel sangue.



*



La prima lezione del giorno era Statistica 1 e se c'era una cosa che Peter odiava era proprio Statistica, ma il suo odio non si limitava alla materia in sé, ma anche a tutto il contesto in cui essa veniva affrontata: l'aula, l'ammasso di gente accalcata sui banchi, il professore... tutto ciò che faceva parte quella lezione suscitava in lui un profondo e istintivo rigetto, che lo portava a trascorrere quelle due ore di agonia raggomitolato sul banco a prendere appunti e a contare i minuti che lo separavano dal prossimo caffé.

L'unica cosa che lo aiutava a sopportare quella tortura era la soddisfazione di essere riuscito a ricavare dal microfono di una vecchia cuffia sgangherata un modulatore vocale funzionante e dalle dimensioni così ridotte da non provocare alcun fastidio sotto la maschera.

Mentre il professore, la cui voce bassa e lenta aveva già fatto addormentare un paio di ragazzi davanti a lui, mostrava degli astrusi diagrammi proiettati sulla parete, Peter estrasse dalla tasca il prodotto del suo lavoro e se lo rigirò tra le dita per qualche istante ammirandolo soddisfatto: il design era estremamente semplice, ma ogni linea era pulita e pensata per risultare totalmente invisibile sotto allo spadex, anche a diverse condizioni di luce; all'auricolare era collegato il micofrono che scendeva fino a metà dello zigomo.

Sfruttando una vecchia radiolina, aveva anche ideato una trasmittente che, collegata via radio al suo apparecchio, permetteva di udire suoni e conversazioni fino a un kilometro di distanza.

Sì, era estremamente soddisfatto del suo operato e non vedeva l'ora di metterlo alla prova sul campo: -Ehi, tu! Là in fondo- tuonò la voce adirata del professore -Se ti becco di nuovo ad armeggiare con diavolerie tecnologiche, giuro che non ti ammetto nemmeno agli esami.

Peter alzò lo sguardo dal modulatore vocale e vide una sessantina di occhi puntati su di lui, mentre in fondo all'aula, da dietro la cattedra, l'indice del professore lo puntava con fare accusatorio.

Sentì il calore propagarsi dalla punta dei piedi fino alle orecchie e, rimettendo lentamente in tasca l'oggetto, abbassò la testa sui suoi appunti, cercando di nascondere il rossore del viso a quegli sguardi indesiderati.

Quanto avrebbe desiderato lanciare una ragnatela oltre alla finestra e svignarsela veloce come il vento! In questo caso il suo humor non gli sarebbe stato di alcun aiuto contro quel burbero dell'insegnante, così rimase con il naso sugli appunti per tutto il tempo e, non appena la lezione fu terminata, fu tra i primi ad uscire dalla classe.

-Che palle!- sospirò Peter, mentre inseriva le monetine nella macchina del caffé e premeva il pulsante alla voce Espresso.

Due figuracce in due giorni” rifletté prendendo il bicchierino di plastica “Sto per fare il record”; scorto un posto libero a un tavolo della mensa, vi si sedette e iniziò a sorseggiare il suo caffé: il sapore era quello stantio tipico del caffé preso alle macchinette, ma l'odore gli ricordò per un istante i polsi sottili di Talia mentre gli serviva il caffé al tavolo.

Non poté trattenere un sorriso involontario, che si affrettò a smorzare non appena riprese il controllo di sé: “Mantieni un minimo di professionalità, Testa di Ragno! Devi rimanere concentrato e attento, non puoi lasciarti abbagliare da un paio di occhi dolci.”

L'arrivo di un gruppo di studenti che conosceva di vista e che frequentavano con lui il corso di Genetica, gli ricordò che la prossima lezione sarebbe stata tenuta di lì a un paio di minuti e che doveva sbrigarsi; raccolse la sua roba e si accodò al gruppo e, per il momento, il problema venne archiviato.

A differenza di Statistica, Genetica era per lui materia di grande interesse e stimolo: dopo il morso del ragno nei laboratori Orscorp, aveva cercato di comprendere meglio la sua mutazione e l'approfondimento che quelle lezioni fornivano erano una grande fonte di spunto per avvicinarsi alla soluzione. L'insegnante, inoltre, era un giovane uomo di grande fascino, capace di trasmettere, con il suo entusiasmo, tutta la sua passione per la materia anche allo studente più svogliato.

Grazie a lui il clima durante le lezioni era molto più disteso.

-Buongiorno a tutti- salutò il professore, facendo il suo ingresso nell'aula e posando sulla cattedra la borsa in pelle -Prima di iniziare vorrei annunciarvi che anche quest'anno il dipartimento di ricerca genetica delle Stark Industries con sede a Midtown ha dato la sua disponibilità a prendere alcuni stagisti di Biotecnologie per tutto il semestre. Dato che il numero di posti è piuttosto ristretto, verrà fatto un test d'ingresso. Da quello che so le domande sono piuttosto toste per degli studenti del vostro livello, ma l'occasione è davvero ghiotta e vi consiglio caldamente, se siete interessati, di tentare: avere sul curriculum il nome di Stark è la chiave per aprire molte porte.

Terminato l'annuncio, la lezione iniziò, anche se Peter notò che molti degli studenti erano troppo impegnati a borbottare tra di loro, valutando se provare o meno a fare il test, per prestare attenzione a quello che aveva da dire il professore, il quale dovette riportare all'ordine un paio di ragazze che si erano messe a discorrere sull'opportunità di abbordare il miliardario durante uno di quegli stage.

Per quanto Peter cercasse di concentrarsi sulle diapositive e di scrivere ogni singola parola che usciva dalla bocca del suo professore, inevitabilmente la sua mente iniziò a valutare l'opportunità che gli si presentava: al di là della sua grande stima per il genio e il coraggio di Tony Stark, doveva riconoscere che per la sua formazione sarebbe stato di grandissimo interesse avere la possibilità di girare per i laboratori supertecnologici delle Stark Industries, cercando di carpire anche il più piccolo segreto che in un futuro lavorativo avrebbe potuto fargli comodo. Un battito di ciglia e già riusciva a immaginarsi a progettare con Tony Stark, davanti a una tazza di caffé bollente, un qualche macchinario rivoluzionario per migliorare la condizione di vita dell'umanità.

Un secondo battito di ciglia e volteggiava nella notte tra i palazzi di New York, avvolto in un costume high tech di sua progettazione, in compagnia di Iron Man: un nuovo supereroe era arrivato in città e il suo nome era Iron Spider.

Un vivace brusio attorno a lui interruppe la sua visione, riportandolo alla realtà in cui la lezione era conlusa e gli studenti stavano abbandonando l'aula, i più audaci fermandosi alla cattedra per ritirare il modulo di iscrizione al test.

Peter raccolse in fretta e furia le sue cose, rimproverandosi per non essere stato attento alla lezione e per aver preso sì e no tre righe di appunti (scritte male, per giunta), e si avviò a sua volta verso l'uscita, ma il professore lo chiamò: -Parker- disse, sorridendogli cordialmente sotto la barba lasciata leggermente incolta -Non sei interessato allo stage? Mi sembra cosa che potrebbe destare particolare interesse in uno studente diligente e ambizioso come te.

-Ambizioso, prof?- chiese Peter, sorridendo imbarazzato -Cosa glielo fa credere?

-Oltre al fatto che nei laboratori sei estremamente attento a procurarti il materiale migliore e a fare gli interventi più intelligenti?- Peter sentì lo sguardo del suo insegnante studiarlo da cima a fondo, come se i suoi occhiali da vista gli permettessero di osservarlo anche all'interno -Te lo si legge in faccia, Peter, che ambisci a fare qualcosa di grande, a dare il tuo contributo in grande stile. Per questo ti chiedo: davvero non sei interessato?

Il ragazzo fissò per qualche istante il foglio che il professore gli porgeva, compilando mentalmente tutte le voci e spuntando tutti i quadratini: era tentato, questo era certo, ma dentro di lui la voce della sua coscienza gli suggeriva che no, non aveva il tempo di fare tutto. Non poteva studiare, salvare New York, prendersi cura di zia May e anche seguire uno stage; le giornate sono sempre composte da sole 24 ore e già aveva rinunciato ad alcuni aspetti della sua vita che solo pochi anni prima riteneva indispensabili, come ad esempio mantenere una vita sociale. Aveva ridotto le sue attività fino all'osso e sarebbe bastato poco per rompere quel fragile equilibrio che aveva trovato.

-Io...-esordì Peter a malincuore -Non credo che riuscirei a gestire il mio tempo se aggiungessi ancora qualcosa alle attività che faccio già.

-Ascolta, Parker- continuò serio l'uomo -Non devi decidere adesso: il modulo deve essere consegnato tra una settimana. Prenditi il tempo necessario per rifletterci, nel frattempo te ne terrò da parte una copia.

-Grazie prof- sospirò -Ci penserò. Arrivederci.

-Arrivederci, Parker.





Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine del quinto capitolo di Panacea Project!!! :) Dunque, dunque, vorrei ringraziare Alexia Dubhe Black e _Mollica_ per essersi unite al party, seguendo la storia (benvenute!) e alle mie commentatrici che non mancano mai di lasciarmi una recensione, riempiendomi il cuore di gioia con le loro belle parole!

Eccoci qui: Chiara non ha perso il vizio di avere le sue visioni, che ne dite, dovrebbe farsi vedere da qualcuno? Ma uno bravo? XD

Finalmente, dopo lunga attesa, ecco che si comincia a capire cosa cavolo è successo alla nostra Chiara al Triskelion e perché la tengono come un uccellino in gabbia; inoltre non mancano le piccole citazioni all'universo Marvel qua e là. A chi si riferiva Natasha durante il suo discorso sulle forze sconosciute? ;)

Per quanto riguarda il giochino della volta scorsa, il riferimento "a caccia di streghe" è connesso al film Hansel & Gretel, cacciatori di streghe (2013) in cui Jeremy Renner (il nostro Clint Barton) interpreta il protagonista maschile. Ora, non so se l'avete visto e quale impressione vi siate fatte, ma a me ha fatto piuttosto ridere per quanto splatter e trash fosse e per il personaggio di Hansel, che per la maggior parte del tempo sembra stufo marcio di tutte quelle streghe che svolazzano in giro. Ad ogni modo, mentre lo guardavo, il mio cervello bacato ha visto in Hansel un Occhio di Falco del XV secolo e ha espresso il desiderio di un AU in cui gli Avengers combattono in un'Europa rinascimentale.

Se sapete dell'esistenza di qualcosa del genere, vi prego di segnalarmelo perché brucio dalla voglia di leggerlo XD

Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sia valsa l'attesa. Nel frattempo mando un forte abbraccione a tutti quanti!

Alla prossima,

Lady Realgar

   
 
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