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Autore: Rei_    09/02/2016    7 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Non teneva mai quella foto sulla scrivania. Lì sopra ci teneva solo quelle meno importanti: principalmente lui e Goffredo in diversi anni della loro vita politica. Invece, quella foto stava sul ripiano più alto dello scaffale, quello dove conservava gli alcolici e i calici da vino.
Per arrivarci serviva una scaletta, ma Riccardo Marchesi utilizzava sempre la sedia per pigrizia.
Quel giorno sentiva la voglia di rivederla, perciò la prese in mano, soffiandoci via la polvere. C’erano tanti ragazzi e ragazze, ammassati in una saletta. Alcuni avevano una mano alzata con un cartellino, simbolo che si stava votando qualcosa, altri invece stavano applaudendo e sorridevano. Al centro dei loro sguardi c’era un tavolo, dove un ragazzo giovane e ben vestito stava nascondendo un sorriso enorme, mentre un altro stava per abbracciarlo.
Era la sua elezione a presidente dell’associazione universitaria, uno dei ricordi più belli della sua vita, ma ne aveva solo una foto sfocata, segno che neanche quel primo momento di gloria sarebbe potuto rimanere, nel tempo, una valida certezza della sua vita.
«Ho qua un articolo fresco di stampa» annunciò Pasqui, come al solito entrando senza bussare, «che stai facendo?»
L’aria tra loro era un po’ meno tesa ora che avevano approvato la Prima Legge Antifascista. Avevano festeggiato sia in modo sobrio e istituzionale, sia solo tra di loro, ricolmi di una gioia segreta che altri potevano solo immaginare. Poi avevano fatto un rapido giro di interviste e dichiarazioni prima di riprendere la solita routine, fatta di contrattazioni con il Nuovo Partito Popolare e incontri con personaggi influenti.
«Niente» rispose il segretario di Sinistra Democratica, rimettendo la foto al suo posto e prendendo il foglio di giornale dalle mani di Pasqui. Arricciò il naso, leggendo qualche parola qua e là.
«Beh, tutto bene, no?»
«No!» ribatté Pasqui, «dopo che è uscito questo articolo è andata peggio. Ogni volta che ci sono i giornalisti camminano apposta mano nella mano. E Andreani rincara la dose quando va in tv. Sui media girano solo le sue dichiarazioni stupide, non prendono più la cosa sul serio e continuano ad avere visibilità».
Marchesi sospirò. Quando anche Pasqui iniziava ad essere agitato, voleva dire che toccava a lui fare qualcosa.
«Ci penso io al buffone del Fronte. Non ti preoccupare».
«Ottimo» prese il foglio di giornale e lo ridusse a piccoli pezzettini, abbandonandoli per terra. Tanto qualcuno sarebbe venuto a pulire.
«Siamo una squadra» concluse Riccardo con un sorrisone. Si abbracciarono con diverse pacche sulla schiena, e Marcello rubò un sorso dalla bottiglia di vino aperta sulla scrivania.
 
 
*
 
 
Non si era mai divertito così tanto come in quei giorni.
Non sapeva neanche lui come aveva fatto. Aveva trasformato un fatto drammatico come quell’articolo sul giornale in una serie di spassose interviste, dove faceva la parte della checca innamorata. Ogni tanto tirava in mezzo anche Michele quando era nel corridoio, improvvisandogli improbabili poesie recitate ad alta voce o prendendolo sottobraccio maliziosamente. L’altro si ritrovava sempre rosso come un peperone, ma il più delle volte stava al gioco, e la sera si divertivano a sentirsi al telefono per esaminare le reazioni dei media e dei social, che ormai erano invasi dai meme su di loro.
Nicolò era sereno sapendo che, se qualcuno aveva fatto tutto questo per rovinarli, non aveva avuto successo.
La sua rinnovata visibilità era riuscita a fare miracoli, portandolo anche a fare pace con Chiarelli e a ritrovare la stima all’interno del gruppo parlamentare. Il Nicolò battagliero era tornato alla ribalta, e passava le giornate a lavorare senza sosta, oltre a fare interviste a radio, televisione e stampa. Molte volte incontrava Martino in cortile quando andava a fumare, e riuscire a farsi quelle due risate assieme leggendo le discussioni sui social che li riguardavano era benefico per entrambi. Il suo collega ora era molto più tranquilli di come l’aveva conosciuto, e anche lui tra i suoi colleghi godeva dei benefici di una certa visibilità mediatica.
Il venerdì, Nicolò uscì molto tardi dagli studi di La7, dopo una lunghissima intervista che era riuscito a gestire trattando sia i temi seri, sia la parte meno seria sulla sua presunta relazione clandestina. Decise di tornare al volo a Montecitorio per recuperare alcuni faldoni da studiare durante il weekend. Lo scooter blu quasi volò sulle strade libere, raggiungendo il centro della città in poco tempo.
Si tolse il casco. L’aria fredda della sera gli aveva arrossato le guance. Fece uno scatto di corsa sulle scale fino al suo ufficio, iniziando a cercare nell’abituale disordine. Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse automaticamente, dimenticandosi di che ora fosse.
«Buonasera».
Si girò, stranito dal sentire quella voce dentro il suo ufficio. Riccardo Marchesi era davanti a lui, l’abito blu impeccabile, la cravatta annodata perfettamente, le scarpe lucide a puntino. Sorrideva.
«Cosa posso fare per lei?» chiese, curandosi di far trasparire il tono ironico. Era molto più abituato ad avere a che fare con Pasqui, Marchesi invece era ancora un’incognita. Compariva in TV molto poco per qualche singola intervista, alla Camera era cordiale e amichevole con tutti, ma era quel tipo di gentilezza macchiata dalla evidente presunzione di superiorità.
«Oh, molte cose» iniziò lui, mentre cercava di mascherare l’irritazione di essere trattato in quel modo, «vorrei che parlassimo un po’ di Martino, se non ti dispiace. Vi vedo molto in confidenza».
«Preferisco che mi si dia del lei» puntualizzò Nicolò, continuando a restare girato di spalle per cercare nello schedario, «in ogni caso sì, siamo fidanzati e abbiamo intenzione di trasferirci negli USA per sposarci a breve».
Si godette quei secondi di silenzio innervosito del segretario, cercando di trattenersi dal ridere.
«Già, di questo volevo parlare» Marchesi si sedette senza invito, cancellando ogni parvenza di cordialità, «mi sembra che tu ti stia divertendo molto in questa situazione, ma io ho il dovere di proteggere un mio deputato dalle diffamazioni. Non ti preoccupi minimamente di lui e della sua immagine, e questo non mi piace». Sottolineò le ultime due parole per farne intendere la gravità, mentre Nicolò sorrideva di nascosto.
«Ma per favore! Ormai lo hanno capito tutti che siamo sotto un attacco mediatico, a cui io sto rispondendo per difendere sia me che Martino. E scommetterei che tu e Pasqui sapete chi c’è dietro, non ci credo che non ne sapete niente. In ogni caso, vorrei che mi sia dato del lei» ripeté.
«Caro Nicolò» riprese Marchesi, ignorando la richiesta dell’altro, «come staresti cercando di proteggere il mio deputato? A suon di schiaffi?»
Nicolò si immobilizzò, riconoscendo che quell’insinuazione non poteva essere casuale. Rimise a posto con calma, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore che sorrideva tranquillo, ora che finalmente era venuto al dunque della visita. Avrebbe dovuto
aspettarselo, non poteva essersi scomodato a quell’ora solo per fargli la predica.
Il segretario di Sinistra Democratica tirò fuori il cellulare, rivolgendolo a lui per mostrargli un video ripreso dall’alto, in cui si sentiva chiaramente la sua voce mentre gridava addosso a Michele, finché non si rivide nel momento in cui gli diede il ceffone.
Iniziò a tremare senza controllo. Nella sua mente, non se lo ricordava proprio in quel modo. Per la prima volta stava rivivendo la scena vedendo in faccia l’uomo che aveva colpito.
Non se lo aspettava. Si sentì colpito, come se quello schiaffo l’avesse ricevuto lui ora, in quell’esatto momento.
«Pensavi davvero che questa cosa rimanesse segreta?» scoppiò a ridere, sbeffeggiandolo, «ah, carissimo, ne hai da capire di cose in politica!»
«Che cosa vuoi?» ringhiò Andreani, che ogni minuto che passava faceva veramente fatica a trattenersi dal tenere le mani a posto.
«Che tu la smetta, è abbastanza semplice. Basta interviste, basta finte smancerie. E soprattutto, quella bella legge che tu e Michele avete scritto deve restare nel cassetto».
Andreani tremò più forte. Come poteva sapere anche della legge? Avevano rimandato la stesura alla fine della discussione sulle leggi antifasciste, e né lui, né Michele ne avevano mai parlato in pubblico. In condizioni normali, lo avrebbe insultato e deriso per quel ricatto da quattro soldi. Ma non poteva permetterselo, quel video non riguardava solo lui, ma anche Michele. Avrebbe dovuto obbedire, almeno per il momento, o sarebbero stati altri problemi per entrambi, almeno finché le carte in gioco non sarebbero cambiate.
«Come dici tu. E adesso vattene». Marchesi si alzò dalla sedia, raggiante.
«Ero sicuro che saremmo arrivati ad un accordo. Siamo tra persone ragionevoli».
Si congedò, senza premurarsi di chiudere la porta.
Quando si fu allontanato, Nicolò buttò in aria tutti i raccoglitori e le cartelline, rovesciandone il contenuto. Chiuse a chiave l’ufficio, tornò verso lo scooter e si allontanò il più velocemente possibile dal palazzo.
 
 
*
 
 
La settimana seguente, Andreani stranamente smise di fare scenette o interviste ironiche, schivando i giornalisti con una scusa diversa ogni volta.
Era un po’ un peccato, perché in quel periodo Michele aveva scoperto di non avere più paura degli sguardi e dei bisbigli dei colleghi. Attraversava il Transatlantico camminando in mezzo al corridoio, fregandosene di tutto e di tutti. Nelle pause usciva con Nicolò a fumare, e ciascuno raccontava le faccende della propria parte politica.
Rispetto a prima, il capogruppo del Fronte sembrava più pensieroso e meno incline alla battuta, ma nonostante questo riusciva sempre a trovare qualcosa per cui prendere la giornata nel verso giusto.
Dopo il battibecco con Pasqui, Michele era tornato a impegnarsi nel suo incarico di deputato molto più di prima. In commissione prendeva spesso la parola, proponendosi spesso di fare da relatore. Era molto più facile per lui intervenire così, perché doveva occupare i banchi davanti dell’aula e non vedeva le centinaia di facce rivolte verso di lui, come quando faceva un intervento dal suo posto.
Arturo e Thomas si prodigavano spesso in complimenti, specialmente davanti agli altri.
«E allora, Miché!» Thomas lo prese circondandogli il collo con un braccio, cosa che il giovane odiava, perché si sentiva ancora più basso di quanto già non fosse, «che mi posso mettere per la giornata del ricordo? Cravatta rosa e giacca blu o cravatta blu e giacca gialla?»
«Pensavo che per un giorno come quello avresti deciso di vestirti normale» sorrise Michele.
«Ma benedetto ragazzo!» rise Thomas, «sono mesi che ci conosciamo, dovresti saperlo che per me normale è noioso!»
Il giorno del ricordo era un anniversario importante per il loro partito. Ufficialmente si festeggiava la nascita di Sinistra Democratica, ma in realtà era un’occasione per ricordare gli anni bui della Rinascita Fascista e la resistenza messa in atto dal partito, l’unico che all’inizio aveva continuato ad agire in clandestinità.
Per il fatidico giorno, Michele indossò un nuovo abito grigio e la cravatta rossa di Arturo. Arrivò alla Camera molto presto, fece colazione assieme a Thomas, il quale aveva optato per un completo verde pisello, e insieme ai suoi colleghi entrò in aula.
Ci fu una breve celebrazione, durante la quale Michele non riuscì a fare a meno di notare Andreani, tre file e due bancate più a sinistra, che sbadigliava ripetutamente e alzava gli occhi al cielo. Nel pomeriggio poi, il primo piano del palazzo si animò di una mostra fotografica e diversi incontri di testimonianza con vari esponenti del partito e intellettuali. Thomas era ovunque a parlare, presentare, fare interviste. Pasqui appariva soddisfatto nel suo sobrio abito nero, mentre presentava quasi tutti gli incontri e si lasciava abbagliare dai flash dei fotografi senza battere ciglio. Marchesi tenne solo un incontro, sparendo poi dalla circolazione fino a quella sera.
Alle ventidue infatti, i deputati di SD si ritrovarono all’interno di un’enorme stanza addobbata sobriamente con i colori del partito. Diversi commessi servivano lo champagne nei bicchieri. L’aria che si respirava era seria e carica di aspettativa.
«Compagni, compagne» Marchesi entrò insieme al presidente Ranieri, e non ebbe bisogno di alzare la voce per ottenere il silenzio assoluto, «ho ritenuto che ci dovesse essere un momento di questa giornata dedicato a noi soltanto. Noi, impegnati oggi in un momento storico nell’approvazione delle leggi della Carta Antifascista.
Nessuno ci avrebbe dato una lira quando io e Thomas Greco, da soli, abbiamo deciso di ribellarci quando ci occuparono l’aula».
Fece un cenno con la mano per indicare Thomas e scoppiò un applauso fragoroso, che il deputato biondo cercò subito di placare, imbarazzato.
«Ma oggi siamo qui, insieme, dentro questa grande casa che ci ha regalato momenti straordinari e momenti difficili. Ed è grazie a tutti voi che siamo qui oggi, grazie ai vostri voti. Per questo propongo un brindisi! A voi!»
«Al segretario!» gridarono tutti in coro, prima di svuotare il bicchiere. Michele sentì subito il poco alcool andargli pericolosamente alla testa.
Alcuni deputati avevano iniziato a spingere Thomas al centro, per farlo parlare. Lui all’inizio cercò di tirarsi indietro, poi su insistenza di Pasqui e di Marchesi si arrese, prendendo il microfono in mano.
«Che dire, non pensavo davvero che un giorno mi sarei ritrovato a parlare di fianco a ‘sto damerino democristiano» scherzò. La sala rise.
«Sembra passata un’eternità da quei giorni in cui potevamo rischiare la vita solo passeggiando in strada» Thomas si fece improvvisamente serio, «ne abbiamo passate tante, e abbiamo messo sempre in gioco la nostra stessa pelle per i nostri ideali. Ma alla fine solo uno ci ha rimesso, e quello è Venturi. E io sono sicuro che lui è qui con noi, dalla nostra parte, anche se non c’è più».
Si voltò verso Marchesi. Era inespressivo, ma la mano gli tremava leggermente. Pasqui si mordeva un labbro di nascosto, pulendosi ripetutamente gli occhiali con il viso girato.
«E se lui è qui con noi, io propongo di cantargli una canzone». Thomas alzò la voce «una mattina, mi son svegliato, o bella ciao bella ciao…»
La sala iniziò a cantare ed applaudire a ritmo. Marchesi e Pasqui si unirono al canto, entrambi con gli occhi ormai lucidi, mentre il presidente Goffredo muoveva appena le labbra per far intendere di stare cantando anche lui. L’ultima strofa finì tra gli applausi generali, e il momento solenne terminò lì. I deputati di SD si riversarono sul tavolo del buffet e delle bevande, e ben presto il chiacchiericcio animato riempì la sala.
Michele passò di gruppo in gruppo ad ascoltare gli aneddoti più disparati, e non riuscì a dire di no ai numerosi inviti ai brindisi. Ben presto iniziò a barcollare, e la lucidità rimasta gli impose di andarsene via per non fare brutte figure.
Prese istintivamente la strada che portava al cortile, abituato com’era ad andarci spesso, e vi incontrò il capogruppo del Fronte completamente sdraiato su una panchina, con una nuvola di fumo che si librava nell’aria.
«Che ci fai ancora qui?» gli sorrise.
«Uh, buonasera! Ho un sacco di lavoro da sbrigare! Com’è andata la festa?»
«Carina. Il segretario ha fatto un discorso molto bello sul partito».
«Marchesi, eh?» si chiuse un attimo in silenzio, prima di rivolgere gli occhi verdi a Michele, «ma che, hai bevuto di nuovo?»
Il giovane arrossì violentemente, pensando che probabilmente lo aveva capito perché stava facendo cose imbarazzanti, tipo dondolare su se stesso o tenere un’espressione stupida.
«E bravo! Vorrà dire che ti darò un passaggio a casa sul mio magico scooter, visto che se ti prendi un taxi di solito finisce male!»
«Tu sei tutto matto» biascicò lui, «non avevi del lavoro da fare? E poi scommetto che sei uno che va come un pazzo sopra quell’affare».
«Finirò domani, ormai è tardi» rispose lui, «e sei tu il pazzo se ti perdi l’opportunità di spararti via del Corso a cento all’ora!» Michele non trovò più altro da dire.
Mezz’ora più tardi, si ritrovò sul due ruote sparato a manetta. Nicolò schivava macchine, accelerava, frenava, mentre Michele sentiva il cuore battere a mille, non sapeva nemmeno lui se per l’ansia di schiantarsi o per l’alcool in corpo.
«Avevo ragione che ne valeva la pena?»
«Sì» borbottò, scendendo barcollante dalla moto, «ma ribadisco che sei tutto matto».
«Grazie del complimento! Ci si vede domani!»
E schizzò via di nuovo, con un rombo prolungato del motore.
 
 
Fu il suono acuto della suoneria del cellulare a svegliarlo di colpo, quella notte. Lo raccolse dal comodino per riflesso, senza neanche riaprire gli occhi. Le immagini confuse di sogni poco allegri gli stavano ancora riempiendo la testa, mentre il corpo faceva sentire tutta la sua spossatezza per il troppo alcool della serata.
Premette il tasto per rispondere mentre lentamente la sua camera ritornava vivida.
«Pronto?» biascicò, con la bocca ancora impastata per l’alcool.
«Michele?»
Era Thomas. Cercò di focalizzare la mente per capire che cosa poteva essere successo per ricevere la sua chiamata ad un’ora simile.
«Stavo dormendo…» borbottò, tornando a sdraiarsi su un lato per cercare di limitare il mal di testa.
«Hai lasciato il cappotto al guardaroba».
«Ah, sì, hai ragione… domani lo riprendo».
Ci fu uno strano silenzio dall’altro capo. Non era proprio da lui.
«Thomas?»
«Non hai nient’altro da dirmi? Pensaci bene».
Michele sentì la voce del collega tremare un po’ dall’altoparlante del telefono. Cercò di mettersi seduto, preoccupato e confuso.
«Senti, scusa per ieri. Non mi sentivo benissimo e sono andato via senza avvisare ness-»
«Michele, porca puttana!» Thomas urlò all’improvviso, facendolo sobbalzare, «come cazzo ti è saltato in mente, me lo dici? Stavo prendendo il tuo cappotto dal guardaroba quando è caduta dalla tasca! Ora ce l’hanno i questori dalla Camera e qui sta scoppiando un polverone assurdo! Ti rendi conto in che cazzo di situazione ci hai messo?»
Michele sentì il cuore aumentare vertiginosamente i battiti. Ma di che stava parlando? Che stupido scherzo era?
«Thomas, ma che stai dicendo?» mormorò, ferito per lo sfogo di rabbia immeritato che aveva appena ricevuto.
Ci fu una lunga pausa di silenzio dall’altro capo. Quando il compagno si decise a rispondergli non c’era più traccia della rabbia di prima, anche se il tremito della sua voce non era ancora cessato del tutto.
«Tu ora vieni qui e mi giuri che non è tua e che non ne sai niente. Ma lo devi giurare davanti a me e Arturo, e ci devi guardare dritto negli occhi!»
«Mi puoi spiegare di che diavolo stai parlando?» urlò Michele, che a quel punto aveva perso l’ultimo barlume di calma.
«Della bustina di coca, Michele. Quella nella tasca interna della tua giacca».
Sgranò gli occhi, mentre un rivolo di sudore percorreva lentamente la sua fronte. Chiuse la chiamata, sentendo che le ultime forze lo stavano abbandonando mentre, di nuovo, si ritrovava da solo contro un nemico invisibile.
   
 
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