« She
doth teach the torches to burn
bright. »
[Mostra lei alle torce come si fa a brillare. W. Shakespeare.]
- Stanca?
-
Sakura
si voltò verso la voce che aveva le appena appena parlato.
Con un timido
sorriso e l’accenno di un sì, rocamente sussurrato,
annuì al viso madido di
sudore davanti a lei (o almeno le sembrava che fosse così).
- Potremmo
fermarci. – propose, lasciando poi
in sospeso la frase.
- Potremmo.
–
Per
un attimo le parve vedere l’accenno di
un’espressione divertita, attraverso la
maschera di stoffa scura.
Non
era mai riuscita a vedere il viso di Kakashi, quindi mai aveva potuto
avere la
conferma che le teorie sue e di Naruto, denti sporgenti o labbra
siliconate,
fossero vere o errate.
- Non
ci fermiamo allora? – chiese con voce
stanca ed affaticata.
- Almeno
finiamo il Pas de Deux. –
Annuì
ancora. In fondo la prospettiva di passare il pomeriggio ad esercitarsi
e a
migliorarsi non le era mai dispiaciuta. Anche perché, in
quel periodo, sembrava
avere una forte propensione a voler eclissare Ino-pig a tutti i costi. A
discapito
anche della privacy e della salute mentale di Sasuke Uchiha.
Annuì
nonostante la coreografia fosse davvero estenuante. Non era la prima
volta che
la compagnia portava in scena Romeo e Giulietta. Ricordava benissimo
l'ouverture-fantasia
di Čajkovskij e il balletto di Prokof'ev.
Né
ballare l’aveva mai stancata. Quando l’insegnante
arrivava da lei, gridando a
proposito di castighi o di rimproveri, quando vedeva le sue compagne
sedersi a
terra sfinite, interiormente sorrideva, mai stanca di avvicinarsi, un
gradino
dopo l’altro, alla sua maestra.
Sakura
aveva sempre visto impegno e disciplina da una prospettiva diversa.
Si
appoggiò alla sbarra per riprendere fiato, prima di
ricominciare a provare. Le
scarpette da punta premevano dolorosamente e i nastri di raso rosa
pallido le
stringevano le caviglie. Per quanto riguardava il vestito, lo aveva
sempre
trovato elegantemente fine e bello, un Romantico dai caldi colori che
fino alle
caviglie mascherava il suo corpo con pizzi, ricami e armoniosi
arabeschi
dorati.
Per
uno dei tre atti l’avrebbe indossato. Per dodici scene
sarebbe stata Giulietta,
uno dei più celebri personaggi di Shakespeare. Per un paio
d’ore circa si
sarebbe sentita una stella della danza, molto più che in
quella sala malandata,
circondata dagli specchi da lezione, con quel pavimento che emanava
quel tenue
odore di legno.
E
nulla la eccitava più che la storia dei due amanti veronesi
che tante
generazioni aveva stregato, colpito e affascinato. Più di un
romanzo da leggere
tutto d’un fiato, più della
superficialità di un nuovo vestito, più del
ragazzo
di turno che affollava i suoi pensieri con la propria immagine.
Sakura
si ridestò di colpo dai suoi pensieri, da quella magica
storia, per lasciare
tornare la sua mente nell’umida sala di danza.
Ma,
a quanto pareva, non tutti erano volenterosi quanto lei di ballare.
Kakashi
era seduto a terra, chino sul piccolo volume che stringeva
spasmodicamente tra
le dita. L’eremita porcello, ecco di chi era la colpa.
- Sensei…
-
Le
balenò in testa la pazza idea che l’Hatake
distogliesse, anche solo per
millesimi di secondo, lo sguardo bicolore dall'Icha Icha Paradise.
Nient’altro
che una sciocca utopia.
Ed
era in momenti come quello che la vera Sakura veniva alla luce. Non
più una
sognatrice e romantica ragazza, non più una ballerina ligia
al dovere e alla
disciplina, non più l’attenta allieva di sempre.
Un
acuto e furioso urlo invase la stanza, lasciò che gli
specchi tremassero per
qualche attimo, mentre Kakashi allibito, si voltava terrorizzato verso
di lei.
E
mai come in quel momento Kakashi, avrebbe desiderato sollevare
Giulietta
duecento volte ancora, più che trovarsi faccia a faccia con
la Vera Sakura.