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Autore: Sorella_Erba    21/03/2009    5 recensioni
Las Vegas. Un'amicizia indissolubile, che va oltre quelle che sono le regole della vita di strada.
Attenzione: Linguaggio colorito.

La fanfiction partecipa al "100 prompts", indetto dal Collection of Starlight.
Genere: Commedia, Triste, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lean on me.

Era la vita, quella, a Las Vegas: fotti, o resta fottuto.

Suo nonno era stato un tipo saggio e un buon maestro. Sin da quando riusciva a ricordare, l’aveva sempre aiutato e consigliato, spesso con calci in culo poderosi, ma d’altronde – come diceva lui – un bel gesto faceva più di mille parole.

Gli aveva messo in mano la sua prima mazza da baseball, a sette anni, ed orgoglioso aveva dichiarato: « Sei pronto ». Nelle sue dita nodose non c’era alcuna pallina. Gli aveva posato una mano sulla spalla abbronzata dal sole del deserto, conducendolo di fronte ad una lussuosa automobile.

« Picchia duro, Billy-Boy », aveva detto solamente. E Bill aveva colpito, facendo saltare in aria il parabrezza dell’auto. Le schegge di vetro avevano brillato intensamente, per un momento, sotto la luce del sole, prima di piombare come saette sull’asfalto nero. Bill non sarebbe più riuscito a dimenticare i tagli che quel giorno gli avevano decorato le braccia a mo’ di rossi tatuaggi dal disegno confuso e senza senso. E non avrebbe mai dimenticato la risata del nonno e quella bizzarra lezione di vita.

« Fotti o resta fottuto, Billy-Boy » – con le mani immerse nelle tasche di cappotti costosi, le dita che sfrecciavano avvezze e veloci da banco a banco, nei minimarket di periferia, e gli occhi innocenti. Occhi di santo, Billy-Boy, e cuore di demonio.

Un’altra lezione che aveva imparato da suo nonno, era quella di farsi i beneamati cazzi suoi.

« Non azzardati mai ad immischiarti in cose che non ti riguardano ». Il nonno aveva lo sguardo di una iena, feroce ed infame. Ma Bill sapeva che, in fondo, era un pezzo di pane. Le parole acide e i cazzotti erano il suo particolare modo di esprimere il bene che gli voleva. Così, gli aveva intimato amorevolmente di andarsene al diavolo, aprendogli la porta ed invitandolo ad uscire di casa per trovar ventura altrove.

Bill vide la notte prendere il posto del giorno, la città di Las Vegas illuminarsi e la vita di strada risvegliarsi e sgattaiolare fuori, con puntualità. Ma Bill vide anche qualcosa che lo costrinse a trasgredire gli insegnamenti del nonno.

« Lasciami, bastardo! ».

C’erano dei lamenti e una risata che provenivano dall’oscurità di un vicolo cieco; e forse fu proprio un ultimo, stremato singhiozzo di rabbia che spinse Bill ad armarsi del piccolo manganello che portava sempre con sé e ad avvicinarsi, furtivo. Tirò un solo colpo, secco e pesante, e quella risata malvagia si tramutò in un urlo di dolore, prima di estinguersi nel buio dal quale era uscita.

« E chi cazzo sei tu? », sbottò una voce piagnucolante, da ragazzino.

« Quello a cui dovresti dei ringraziamenti, puttanella », ribatté Bill. « Non sai difenderti da solo? ».

« Posso farlo adesso ».

La guancia di Bill venne offesa da un pugno, sbucato da chissà dove, e mentre la sentiva tingersi velocemente di un rosso doloroso, la sua mente maledisse il nonno. Lui e le sue sacrosante verità. Mai immischiarsi in affari che non sono i propri.

« Vuoi proprio litigare, eh? », ringhiò, ricambiando il gesto.

I pugni iniziarono con la stessa facilità con cui erano cominciati gli screzi, e finirono solo quando udirono dei passi avvicinarsi.

« Chi c’è? ». Una voce, grossa e roca, riecheggiò fra le alte pareti.

Bill alzò all’istante la testa e soffiò « Sbirro », le mani serrate attorno al colletto della maglietta dell’altro. Spostò lo sguardo in basso ed intravide il luccichio degli occhi che stavano sotto di lui. « Seguimi », propose, chiedendosi poi – mentre si apprestavano a scavalcare insieme il recinto che chiudeva la strada – il perché del suo comportamento.

« Donnie, vieni qui, cazzo! Stanno scappando! ».

Bill affrettò la scalata e si lanciò giù per la parete retrostante. Si pulì con rapide manate i jeans stracciati e puntò gli occhi sulla recinzione. Lo sbirro era vicino, molto vicino – sentiva addirittura il suo fiato corto anche da quella distanza – e il ragazzino stava ancora tentando di scavalcare la rete che ostruiva il passaggio. Bill vide un paio di occhi verdi, grandi, incrociare il suo viso affilato e supplicarlo, senza parole. Si lanciò entro breve sulla recinzione, flettendo le dita nei rombi vuoti, spingendo coi piedi sempre più in alto fino ad arrivare in cima.

« Muoviti, cazzo, muoviti! », gridò e tese una mano. In uno strambo applauso, i loro palmi si unirono e Bill, con fatica, aiutò il corpo dell’altro ad arrampicarsi.

« Merda! », ringhiò il ragazzino torcendo il collo verso il basso. Il poliziotto, sopraggiunto sotto alla recinzione, gli aveva afferrato una caviglia e tentava di sbalzarlo giù. Il ragazzino agitò il piede violentemente e calciò via lo sbirro, valicando il reticolo e lasciandogli come ricordo una scarpa da ginnastica consunta. L’ultima cosa che i due ragazzini udirono, non prima di aver svoltato un angolo, fu il grido di rabbia dello sbirro – rivolto al compagno di ronda –, ma venne ben presto sopraffatto dalle loro risate, che risuonavano, cristalline, nelle strette strade che attraversavano in una corsa instancabile. Non c’era più motivo di correre, il pericolo era passato, ma continuavano a farlo, incitati da uno strano sentimento, mai provato, che montava nel loro petto e stimolava i muscoli delle gambe a volare nella penombra dei vicoli.

« Come… come ti chiami? », tentò di articolare Bill, prima che la lingua bagnasse prontamente le labbra aride.

Il ragazzino rivolse il viso in sua direzione, incrociando gli occhi neri di Bill, e sorrise.

« C.J. », rispose.

« Billy-Boy ».

« Che cazzo di nome è? ».

Bill lo carbonizzò con un’occhiata rapida. « Vuoi un altro pugno? », intimò.

« Perché, vuoi fermarti a fare a botte? La corsa ti ha già stancato? ».

Bill alzò immediatamente il braccio, come a prepararsi per lanciare un cazzotto. E mentre lasciava che il braccio si distendesse, le nocche della mano puntate in avanti, sentì un’improvvisa fitta: non poteva aspettarsi che C.J. avrebbe fatto lo stesso. I loro pugni s’incontrarono a mezz’aria e il dolore si propagò per tutta la mano, risalendo le dita e frastornando le nervature del dorso.

« Bastardo! ».

E, il loro, fu un urlo sincronico.

¨

Sometimes in our lives we all have pain
We all have sorrow”

Le estati di Las Vegas erano roventi. L’ambiente desertico in cui era stata eretta non concedeva che scarse precipitazioni, concentrate nei pochi mesi in cui il clima si faceva meno caldo.

Nelle loro immense ville ed appartamenti da milioni di dollari, i signori di Las Vegas soggiornavano nel paradiso, a discapito degli abitanti meno fortunati, i quali guazzavano in un vero e proprio bagno di sudore.

C.J. viveva insieme alla madre, una prostituta, in una delle roulotte a schiera. Nel bel mezzo del deserto del Mojave, in altre parole, se non fosse che erano ubicate ordinatamente ai confini della città. Nella stretta veranda improvvisata sotto il tettuccio del loro caravan, con un grosso ventilatore acceso – rubato al Consumer durante una scappata notturna –, spesso trascorreva i pomeriggi più caldi in compagnia di Bill, entrambi abbandonati su cigolanti sedie a sdraio, stremati dal sole cocente del deserto.

La Cadillac uscì dalla carreggiata e lanciò un grido stridente – dovuto alla sterzata compiuta da Bill –, che riempì l’aria silenziosa e ardente. Bill sgommò violentemente prima di parcheggiare in malo modo la vettura ed aprire la portiera. Scese e guardò con occhi indecifrabili quel gioiello di auto. Vecchio modello, un po’ sporco, ma in condizioni perfette. Scosse il capo e diede una manata al cofano, sentendolo caldo sotto alle dita.

« Cazzo, cazzo! ». La risata sguaiata di C.J. si propagò fino ad arrivargli alle orecchie. C.J. fece di corsa il tratto che li distanziava e sfogò il suo entusiasmo in un’ultima, urlata imprecazione, che fece sbucare dalla finestrella di una roulotte la testa scarmigliata di un tizio.

« Possibile che non si può scopare in pace? Chiuditi quella fogna, pidocchio, o ci penso io! ».

« ‘Fanculo, Berch », fece C.J., sciorinando il dito medio solo dopo che Berch se ne fu rientrato in casa. « Fratello! », esclamò poi, « oh, fratello. Dove diamine l’hai rubata! ».

Bill non rispose subito. Osservò C.J. per qualche istante, vedendolo girare ammirato attorno alla Cadillac con un sorriso che andava da uno zigomo all’altro.

« Non l’ho rubata, idiota », sbottò infine Bill, mollando un calcio ad uno stinco di C.J., stufo di tutta quella vivacità.

« Ah no? ».

« No. Era del vecchio Lennox ».

« Scherzi, Bill? ». C.J. si fermò all’istante, con una mano posata sulla gamba e l’incredulità nella voce. « Se tuo nonno avesse avuto un simile missile, mica te l’avrebbe ceduto facilmente. È… ».

« È morto », sancì sepolcrale Bill, tenendo le braccia incrociate sul petto muscoloso e puntando lo sguardo sulla strada.

C.J. cadde nel silenzio. La sua esuberanza si era spenta in una folata di polvere, così com’era cominciata, e questo irritò maggiormente Bill.

Non voleva silenzio, no, non lo voleva.

Quando il nonno si era accasciato sulla poltrona del loro monolocale, in un coro di cigolii, aveva pensato che fosse per stanchezza o per semplice voglia di farsi una dormita, infischiandosene della sua presenza. Con un’imprecazione pronunciata in un mormorio, Bill gli aveva voltato le spalle e si era sbattuto la porta dietro, saltando sulla moto da cross e lasciando la periferia con un rombo cupo. Ritrovarlo ancora lì, al ritorno, disteso malamente sulla poltrona, gli aveva fatto montare una rabbia tale che gli si era gettato addosso, ringhiando. Ma fra uno scossone e l’altro, il nonno non aveva minimamente reagito. Aveva provato, Bill, a chiamarlo, con voce sempre più flebile, finché – si era sorpreso lui stesso – la bocca si era fatta tanto arida da non riuscire ad emettere un solo sussurro.

« Vieni dentro », proferì C.J.; gli allacciò un braccio sulle spalle e lo condusse dentro al caravan. La sottile figura di Geena, la madre di C.J., li accolse spalancando la porticina e facendo spazio per farli entrare.

« Bill », lo salutò. « Vuoi qualcosa da bere? Magari succo d’arancia ».

Sorrise bonariamente in direzione del ragazzo, il trucco pesante che segnava, anziché celare, le imperfezioni del viso magro. E forse i suoi gesti, le sue parole, erano come quel trucco: una maschera di ipocrisia, o – per meglio dire – di false speranze.

« No, grazie », respinse Bill, sorridendole malgrado il rancore che lo divorava lentamente dentro.

« Come vuoi ». Geena si rivolse a C.J. « Vado a chiedere delle sigarette a Boe ».

C.J. seguì i suoi movimenti leggiadri – ritrovandosi a pensare che, malgrado l’abbigliamento succinto, un po’ volgare, sua madre aveva un’eleganza innata –, fino a quando Geena non prese la borsa di pelle posata sul tavolino e sparì dietro il battente di ferro.

« Sigarette… », sospirò in un sorriso forzato C.J.. Scosse un momento il capo, portandosi una mano alla fronte, e si volse a scrutare il volto di Bill, impassibile. « Bill… cazzo, fratello, non so che dire… Io- ».

« Taglia, puttanella, non è l’ora del dispiacere », sbottò Bill mostrandogli le spalle abbronzate. Sbuffò e si passò una mano sui capelli neri. « Quel vecchio… se l’è chiamata lui. Era da tempo che mi tormentava con frasi insensate. Sto morendo, porco cane, sto morendo ».

« Povero vecchio Lennox », mormorò C.J.. « Magari è vero, Bill. Magari uno sente veramente quando poco mancherà alla sua ora ».

Bill si volse a guardarlo con una smorfia sulle labbra, puntando poi gli occhi sul pavimento rivestito da uno sporco linoleum blu oltremare. Con un movimento fluido, fece uscire da una tasca dei jeans un foglio di carta ripiegato in quattro, tutto sgualcito, e lo porse a C.J., che lo guardò perplesso.

« Sarebbe..? », chiese prendendolo e spiegandolo.

« La sua cazzosissima lettera », spiegò stancamente Bill, una mano sugli occhi, « una sorta di disposizione in cui mi dice che verrò sfrattato di casa fra due settimane se non pago, che vuole che la sua poltrona sia data ad una fottuta prostituta che l’ha scopato per compassione, senza chiedergli un dollaro bucato, fino a qualche giorno prima che tirasse le cuoia, e… che quella Cadillac del ’59 è mia ».

C.J. nascose parte del viso dietro il foglio su cui erano state tracciate, giorni prima, quelle parole che alle sue orecchie suonavano come un misto fra generosità, affetto e soldi.

« Vecchio Lennox », pigolò, gli occhi traslucidi, « benedetta la sua anima. Cazzo, che cuore ».

La risata sguaiata di Bill riempì lo stretto spazio del camper. Dovette sorreggersi al banco della cucina per non crollare a ginocchioni sul pavimento, con un braccio stretto sullo stomaco. Suo nonno era un gran bastardo, ecco cosa.

« Leggi la lettera, C.J., leggila e dimmi se la sua anima è ancora degna di benedizioni e cazzate varie ».

C.J. mostrò per la seconda volta un’espressione confusa, la fronte corrugata e le sopracciglia tanto vicine da sembrare un’unica linea scura. Iniziò a leggere la lettera, gli occhi che scorrevano lenti sulle righe; Bill poteva scorgere ogni singolo, impercettibile mutamento del suo volto, dal cupo al meravigliato, ognuno equivalente ad un determinato cambiamento d’opinione. Alla fine della lettura, il viso di C.J. esprimeva sconcerto. Alzò lo sguardo su Bill, incredulo.

« Devo lasciare la città », annunciò cupo Bill.

¨

La pistola vibrava, serrata in una morsa terrorizzata.

La mano di Bill era abituata al suo peso, al freddo metallo di cui era costituita e, in particolar modo, ad usarla. La sua prima arma seria era stata una rivoltella della Smith & Wesson, leggera e di piccole dimensioni, quasi fatta apposta per le mani di un ragazzino di tredici anni. Bill vi aveva fatto una sola rapina, in un minimarket di un villaggio sperduto nel deserto del Mojave, che peraltro non gli aveva nemmeno fruttato bene. A stento trecento dollari, divisi equamente fra lui e C.J., il quale aveva riso fino alle lacrime affermando che, con quelli, non sarebbe nemmeno riuscito a comprare la carta igienica per pulirsi il culo.

Bill, seppure in vita sua aveva avuto un’unica pistola, aveva buona confidenza con le armi. Il nonno gli aveva insegnato bene. Eppure, la mano non smetteva di tremare, e la pistola oscillava al ritmo del suo terrore.

Mai Bill aveva ucciso un uomo, mai.

Il nonno, tempo addietro, aveva riso quando Bill gli aveva posto una semplice domanda: « Ma non hai paura? ».

« Per tutte le spine di Cristo, Billy-Boy! », aveva risposto fra un gracidio di divertimento e l’altro. « Paura? Abituato come sono? ».

« Abituato? ».

« Quelli come noi convivono giornalmente con la paura, solo che non ce ne accorgiamo, avendoci fatto il callo ».

Il nonno aveva di certo valicato quel confine, sottile come uno spago; quel confine che – diceva lui – distingue l’uomo dalle bestie. Solo quando l’uomo perde ogni cosa e non gli resta che la sola speranza di rialzarsi da terra e ricominciare, solo allora perde la ragione: per sopravvivere. E loro, sì, loro erano oramai abituati ad affrontare ogni santo giorno situazioni che li ponevano agli estremi della civiltà, che li costringevano alle volte ad uccidere un loro simile.

Era lì che Bill si trovava, in quel momento, di fronte ad un baratro. Se vi fosse caduto, non avrebbe più potuto fare ritorno.

« Spara, bastardo, spara ».

L’uomo davanti a lui ghignava in maniera perfida. Bill credette di aver già visto quel sorriso maligno, quella particolare piega che assumevano le labbra. E anche gli occhi; li conosceva.

Erano i suoi, constatò sputando a terra.

« Sarò io a decidere quando ». Bill serrò la presa attorno all’arma. La sua voce non l’aveva tradito; era ferma, atona. « Mi piace sentire l’odore del piscio aleggiare per un po’ prima di far fuori chi ho davanti ».

Il ghigno dell’uomo si trasformò in un’aperta risata. « Tu non hai mai ammazzato un uomo, Bill ».

« Non permetterti! », sbottò Bill, gli occhi dilatati dalla rabbia.

L’uomo continuò a ridere, stavolta con tono più basso. Scosse la testa, fissandolo dritto negli occhi. Era come specchiarsi.

« Permettermi? Sono- ».

« No », sibilò il ragazzo. « No, non lo sei. Non lo sei mai stato ».

« Il vecchio ha fatto un buon lavoro, ti ha addestrato bene. Tale e quale a me, quando avevo la tua età ». L’uomo sbuffò una risata, cercando di sistemarsi in una posizione meno disagevole.

« Resta fermo », ordinò Bill. « Fermo ».

« Sempre sotto i calzoni di quel bastardo, sempre sottomesso ai suoi voleri. Ma dimmi, Bill, hai fatto tutto ciò che ti ordinava, nevvero? Hai rubato? Hai aggredito chi ti diceva lui? ».

Bill strinse le palpebre, gli occhi che bruciavano.

« Zitto, porco cane, zitto! », sbraitò. L’arma, fra le sue dita, tremava in maniera incontrollabile. « Giuro che ti ammazzo, se non chiudi la bocca! ».

La risata sguaiata e fredda riempì nuovamente il locale semibuio. « Pensi davvero che abbia paura? ». D’un tratto il viso dell’uomo si fece sinistro, accorto. « Scommettiamo che prima che tu possa premere il grilletto, ti avrò già ucciso? Partita allettante, no, Bill? ».

Bill afferrò la pistola con entrambe le mani, spasmodicamente. Il respiro gli si mozzava in gola, riuscendo a stento a giungere ai polmoni, e il sudore scendeva copioso lungo il collo e la fronte contratta. Deglutì.

Aveva una possibilità, la stessa possibilità che hanno gli animali di fronte al pericolo, e bisognava giocarsela. Fotti, o resta fottuto. Avrebbe vendicato il vecchio Lennox e si sarebbe riscattato. Lasciò che un sospiro uscisse dalle sue labbra aride.

L’uomo sorrise sornione. « Contiamo fino a tre. Chi vince, vive ». Ghignò ampiamente. « Fotti o resta fottuto. Giusto, Bill? ».

Bill non riuscì a controllarsi: l’indice si mosse senza comando, premendo sul grilletto. Il rumore sordo di uno sparo riempì l’aria e gli frastornò le orecchie, propagandosi in un’eco assordante nella sua testa, rimbombandogli nel petto come un tamburo. Bill aveva tenuto gli occhi serrati per tutto il tempo – una semplice, lenta frazione di secondo – e quando li riaprì si accorse di non aver centrato bene il bersaglio. L’uomo si stringeva una spalla e la mano instabile che la sorreggeva grondava di sangue. Si volse ad affrontarlo, con una smorfia a sconvolgergli le fattezze. Aveva appena caricato le gambe per uno slancio e aperto la bocca, che il sordo boato di uno sparo riempì per la seconda volta l’ambiente. Il corpo dell’uomo si accasciò a terra scompostamente, respirando affannato per alcuni istanti. Il suo respiro si troncò entro breve.

Bill era sconcertato. Dagli occhi scuri, già arrossati, rotolò giù per una guancia una lacrima, che brillò sotto il debole chiarore del sole occultato dalle assi di legno che sbarravano le finestre.

« Tre ».

Al sentire la voce di C.J., abbassò le palpebre per nascondere il dolore.

¨

“Lean on me
when you're not strong”

« Era il padre che non ho avuto ».

Il ruggito del motore era il sottofondo ideale, in quel pomeriggio rovente di Agosto. L’aria bruciava la gola, la strada – sotto di loro – sembrava emanasse vapori bollenti, appannando la vista. E finalmente, ogni cosa era chiara.

« L’ho sempre detto ».

Bill staccò gli occhi dalla strada per osservare C.J.. Un paio di Ray-Ban, brillanti alla luce del sole, ed un sorriso, il solito sorriso da imbecille che gli sformava la bocca in una smorfia buffa. C.J. torse il collo per incrociare l’occhiata dell’amico ed annuì.

« Avresti potuto morire », sentenziò, il sorriso sempre sulle labbra. « La lettera parlava chiaro. Il bastardo, come predetto, s’è fatto vivo. E voleva non questo gioiello, per rivenderlo ». C.J. batté una mano sulla portiera, leccandosi il labbro inferiore. « Voleva te, Bill ».

Bill rivolse lo sguardo nuovamente alla carreggiata deserta. Con forza, premette il piede sull’acceleratore e la Cadillac decollò, spedita, come un razzo rosa scolorito in un universo d’arancio acceso. C.J. lanciò un urlo, alzando le braccia al cielo.

« C’eri tu, C.J. », esclamò Bill, mentre la brezza afosa gli carezzava il viso. « Ci sei sempre tu ».

« E ci sarò sempre, Billy-Boy ».

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Liberamente ispirata al film “Highway”, con Jared Leto e Jake Gyllenhaal.
Le frasi sulla destra sono state estrapolate dalla canzone “Lean on me” di Bill Withers.
Quest’originale partecipa al “100 prompts” indetto dal C.o.S.

Ora, vorrei spiegare un po' di cose. Avevo pensato ad una trama ben più lunga, perfetta per una fanfiction a capitoli. Il problema? La mancanza di tempo. Vorrei dedicare larga parte del mio tempo a coltivare questa mia passione, la scrittura, ma con la scuola di mezzo è a dir poco impensabile. Adoro scrivere, per Dio, creare personaggi miei, tutti nuovi, così diversi, e al tempo stesso accomunati da una cosa ben precisa, vale a dire la mia essenza. Tutti, chi con grande abilità, chi con meno, mettono parte di sé nei propri racconti. Bill e C.J. hanno pochissimi tratti che mi rispecchiano (e chi mi conosce, sa dire quali :D), e - udite, udite! - sono i miei primi, veri personaggi originali usciti così come li ho inizialmente concepiti. Il mio attuale orgoglio, sì.
Mi sono divertita un mondo a scriverla. Spero che almeno un pizzico dei sentimenti che ho provato, nel tracciarla, sia arrivato :3

   
 
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