Lean on me.
Era la vita,
quella, a Las Vegas: fotti, o resta fottuto.
Suo nonno era
stato un tipo saggio e un buon maestro. Sin
da quando riusciva a ricordare, l’aveva sempre aiutato e
consigliato, spesso con
calci in culo poderosi, ma d’altronde – come diceva
lui – un bel gesto faceva
più di mille parole.
Gli aveva
messo in mano la sua prima mazza da baseball, a
sette anni, ed orgoglioso aveva dichiarato: « Sei
pronto ».
Nelle sue dita nodose non c’era alcuna
pallina. Gli aveva posato una mano sulla spalla abbronzata dal sole del
deserto,
conducendolo di fronte ad una lussuosa automobile.
«
Picchia
duro, Billy-Boy »,
aveva detto solamente. E Bill aveva colpito, facendo saltare in aria il
parabrezza dell’auto. Le schegge di vetro avevano brillato
intensamente, per un
momento, sotto la luce del sole, prima di piombare come saette
sull’asfalto
nero. Bill non sarebbe più riuscito a dimenticare i tagli
che quel giorno gli
avevano decorato le braccia a mo’ di rossi tatuaggi dal
disegno confuso e senza
senso. E non avrebbe mai dimenticato la risata del nonno e quella
bizzarra
lezione di vita.
«
Fotti
o resta fottuto, Billy-Boy »
– con le mani immerse nelle tasche di cappotti costosi, le
dita che
sfrecciavano avvezze e veloci da banco a banco, nei minimarket di
periferia, e
gli occhi innocenti. Occhi di santo, Billy-Boy, e cuore di demonio.
Un’altra
lezione che aveva imparato da suo nonno, era
quella di farsi i beneamati cazzi suoi.
« Non
azzardati mai ad immischiarti in cose che non ti
riguardano ».
Il nonno aveva lo sguardo di una
iena, feroce ed infame. Ma Bill sapeva che, in fondo, era un pezzo di
pane. Le
parole acide e i cazzotti erano il suo particolare modo di esprimere il
bene
che gli voleva. Così, gli aveva intimato amorevolmente di
andarsene al diavolo, aprendogli
la porta ed invitandolo ad uscire di casa per trovar ventura altrove.
Bill vide la
notte prendere il posto del giorno, la città
di Las Vegas illuminarsi e la vita di strada risvegliarsi e
sgattaiolare fuori,
con puntualità. Ma Bill vide anche qualcosa che lo costrinse
a trasgredire gli
insegnamenti del nonno.
« Lasciami,
bastardo! ».
C’erano
dei lamenti e una risata che provenivano
dall’oscurità
di un vicolo cieco; e forse fu proprio un ultimo, stremato singhiozzo
di rabbia
che spinse Bill ad armarsi del piccolo manganello che portava sempre
con sé e
ad avvicinarsi, furtivo. Tirò un solo colpo, secco e
pesante, e quella risata
malvagia si tramutò in un urlo di dolore, prima di
estinguersi nel buio dal
quale era uscita.
« E chi cazzo
sei tu? »,
sbottò
una voce piagnucolante, da ragazzino.
« Quello a cui
dovresti dei ringraziamenti, puttanella »,
ribatté Bill. «
Non sai difenderti da solo? ».
« Posso farlo
adesso ».
La guancia di
Bill venne offesa da un pugno, sbucato da
chissà dove, e mentre la sentiva tingersi velocemente di un
rosso doloroso, la
sua mente maledisse il nonno. Lui e le sue sacrosante
verità. Mai immischiarsi
in affari che non sono i propri.
« Vuoi proprio
litigare, eh? »,
ringhiò, ricambiando il gesto.
I pugni
iniziarono con la stessa facilità con cui erano
cominciati gli screzi, e finirono solo quando udirono dei passi
avvicinarsi.
« Chi
c’è? ».
Una voce,
grossa e roca, riecheggiò fra le alte pareti.
Bill
alzò all’istante la testa e soffiò
«
Sbirro »,
le mani serrate attorno al colletto
della maglietta dell’altro. Spostò lo sguardo in
basso ed intravide il
luccichio degli occhi che stavano sotto di lui. «
Seguimi »,
propose, chiedendosi poi – mentre si
apprestavano a scavalcare insieme il recinto che chiudeva la strada
– il perché
del suo comportamento.
« Donnie,
vieni qui, cazzo! Stanno scappando! ».
Bill
affrettò la scalata e si lanciò giù
per la parete retrostante.
Si pulì con rapide manate i jeans stracciati e
puntò gli occhi sulla recinzione.
Lo sbirro era vicino, molto vicino – sentiva addirittura il
suo fiato corto
anche da quella distanza – e il ragazzino stava ancora
tentando di scavalcare
la rete che ostruiva il passaggio. Bill vide un paio di occhi verdi,
grandi,
incrociare il suo viso affilato e supplicarlo, senza parole. Si
lanciò entro
breve sulla recinzione, flettendo le dita nei rombi vuoti, spingendo
coi piedi
sempre più in alto fino ad arrivare in cima.
« Muoviti,
cazzo, muoviti! »,
gridò e tese una mano. In uno strambo applauso, i loro palmi
si unirono e Bill,
con fatica, aiutò il corpo dell’altro ad
arrampicarsi.
« Merda! »,
ringhiò il
ragazzino torcendo il collo verso il basso. Il poliziotto, sopraggiunto
sotto alla
recinzione, gli aveva afferrato una caviglia e tentava di sbalzarlo
giù. Il
ragazzino agitò il piede violentemente e calciò
via lo sbirro, valicando il reticolo
e lasciandogli come ricordo una scarpa da ginnastica consunta.
L’ultima cosa
che i due ragazzini udirono, non prima di aver svoltato un angolo, fu
il grido
di rabbia dello sbirro – rivolto al compagno di ronda
–, ma venne ben presto sopraffatto
dalle loro risate, che risuonavano, cristalline, nelle strette strade
che
attraversavano in una corsa instancabile. Non c’era
più motivo di correre, il
pericolo era passato, ma continuavano a farlo, incitati da uno strano
sentimento, mai provato, che montava nel loro petto e stimolava i
muscoli delle
gambe a volare nella penombra dei vicoli.
«
Come… come ti chiami? »,
tentò di articolare Bill, prima che la lingua bagnasse
prontamente le labbra
aride.
Il ragazzino
rivolse il viso in sua direzione, incrociando
gli occhi neri di Bill, e sorrise.
« C.J. », rispose.
« Billy-Boy ».
« Che cazzo di
nome è? ».
Bill lo
carbonizzò con un’occhiata rapida. « Vuoi un
altro pugno? »,
intimò.
«
Perché, vuoi fermarti a fare a botte? La corsa ti ha
già stancato?
».
Bill
alzò immediatamente il braccio, come a prepararsi per
lanciare un cazzotto. E mentre lasciava che il braccio si distendesse,
le
nocche della mano puntate in avanti, sentì
un’improvvisa fitta: non poteva
aspettarsi che C.J. avrebbe fatto lo stesso. I loro pugni
s’incontrarono a
mezz’aria e il dolore si propagò per tutta la
mano, risalendo le dita e
frastornando le nervature del dorso.
« Bastardo! ».
E, il loro,
fu un urlo sincronico.
¨
“Sometimes in our lives we
all have pain
We all have
sorrow”
Le estati di
Las Vegas erano roventi. L’ambiente desertico
in cui era stata eretta non concedeva che scarse precipitazioni,
concentrate
nei pochi mesi in cui il clima si faceva meno caldo.
Nelle loro
immense ville ed appartamenti da milioni di
dollari, i signori di Las Vegas soggiornavano nel paradiso, a discapito
degli
abitanti meno fortunati, i quali guazzavano in un vero e proprio bagno
di
sudore.
C.J. viveva
insieme alla madre, una prostituta, in una
delle roulotte a schiera. Nel bel mezzo del deserto del Mojave, in
altre
parole, se non fosse che erano ubicate ordinatamente ai confini della
città.
Nella stretta veranda improvvisata sotto il tettuccio del loro caravan,
con un
grosso ventilatore acceso – rubato al Consumer durante una
scappata notturna –,
spesso trascorreva i pomeriggi più caldi in compagnia di
Bill, entrambi
abbandonati su cigolanti sedie a sdraio, stremati dal sole cocente del
deserto.
« Cazzo,
cazzo! ».
La
risata sguaiata di C.J. si propagò fino ad arrivargli alle
orecchie. C.J. fece
di corsa il tratto che li distanziava e sfogò il suo
entusiasmo in un’ultima,
urlata imprecazione, che fece sbucare dalla finestrella di una roulotte
la
testa scarmigliata di un tizio.
« Possibile
che non si può scopare in pace? Chiuditi quella
fogna, pidocchio, o ci penso io! ».
«
‘Fanculo, Berch »,
fece
C.J., sciorinando il dito medio solo dopo che Berch se ne fu rientrato
in casa.
«
Fratello! »,
esclamò poi, «
oh, fratello. Dove diamine
l’hai rubata! ».
Bill non
rispose subito. Osservò C.J. per qualche istante,
vedendolo girare ammirato attorno alla Cadillac con un sorriso che
andava da
uno zigomo all’altro.
« Non
l’ho rubata, idiota »,
sbottò infine Bill, mollando un calcio ad uno stinco di
C.J., stufo di tutta
quella vivacità.
« Ah no? ».
« No. Era del
vecchio Lennox ».
« Scherzi,
Bill? ».
C.J.
si fermò all’istante, con una mano posata sulla
gamba e l’incredulità nella
voce. «
Se tuo nonno avesse avuto un simile
missile, mica te l’avrebbe ceduto facilmente.
È… ».
« È
morto »,
sancì sepolcrale
Bill, tenendo le braccia incrociate sul petto muscoloso e puntando lo
sguardo
sulla strada.
C.J. cadde
nel silenzio. La sua esuberanza si era spenta
in una folata di polvere, così com’era cominciata,
e questo irritò maggiormente
Bill.
Non voleva
silenzio, no, non lo voleva.
Quando il
nonno si era accasciato sulla poltrona del loro
monolocale, in un coro di cigolii, aveva pensato che fosse per
stanchezza o per
semplice voglia di farsi una dormita, infischiandosene della sua
presenza. Con
un’imprecazione pronunciata in un mormorio, Bill gli aveva
voltato le spalle e si
era sbattuto la porta dietro, saltando sulla moto da cross e lasciando
la
periferia con un rombo cupo. Ritrovarlo ancora lì, al
ritorno, disteso
malamente sulla poltrona, gli aveva fatto montare una rabbia tale che
gli si era
gettato addosso, ringhiando. Ma fra uno scossone e l’altro,
il nonno non aveva
minimamente reagito. Aveva provato, Bill, a chiamarlo, con voce sempre
più
flebile, finché – si era sorpreso lui stesso
– la bocca si era fatta tanto
arida da non riuscire ad emettere un solo sussurro.
« Vieni dentro
»,
proferì
C.J.; gli allacciò un braccio sulle spalle e lo condusse
dentro al caravan. La
sottile figura di Geena, la madre di C.J., li accolse spalancando la
porticina
e facendo spazio per farli entrare.
« Bill », lo
salutò. «
Vuoi qualcosa da bere? Magari succo d’arancia ».
Sorrise
bonariamente in direzione del ragazzo, il trucco pesante
che segnava, anziché celare, le imperfezioni del viso magro.
E forse i suoi
gesti, le sue parole, erano come quel trucco: una maschera di
ipocrisia, o –
per meglio dire – di false speranze.
« No, grazie », respinse
Bill,
sorridendole malgrado il rancore che lo divorava lentamente dentro.
« Come vuoi ». Geena si
rivolse a C.J. «
Vado a chiedere delle
sigarette a Boe ».
C.J.
seguì i suoi movimenti leggiadri – ritrovandosi a
pensare che, malgrado l’abbigliamento succinto, un
po’ volgare, sua madre aveva
un’eleganza innata –, fino a quando Geena non prese
la borsa di pelle posata
sul tavolino e sparì dietro il battente di ferro.
«
Sigarette… »,
sospirò in
un sorriso forzato C.J.. Scosse un momento il capo, portandosi una mano
alla
fronte, e si volse a scrutare il volto di Bill, impassibile. «
Bill… cazzo, fratello, non so che dire… Io- ».
« Taglia,
puttanella, non è l’ora del dispiacere »,
sbottò Bill mostrandogli le spalle abbronzate.
Sbuffò
e si passò una mano sui capelli neri. « Quel
vecchio… se l’è chiamata lui. Era da
tempo che mi tormentava con frasi
insensate. Sto morendo, porco cane, sto
morendo ».
« Povero
vecchio Lennox »,
mormorò C.J.. «
Magari è vero, Bill. Magari
uno sente veramente quando poco mancherà alla sua ora ».
Bill si volse
a guardarlo con una smorfia sulle labbra,
puntando poi gli occhi sul pavimento rivestito da uno sporco linoleum
blu
oltremare. Con un movimento fluido, fece uscire da una tasca dei jeans
un
foglio di carta ripiegato in quattro, tutto sgualcito, e lo porse a
C.J., che
lo guardò perplesso.
« Sarebbe..? », chiese
prendendolo e spiegandolo.
« La sua
cazzosissima lettera »,
spiegò stancamente Bill, una mano sugli occhi, «
una sorta di disposizione in cui mi dice che verrò sfrattato
di casa fra due
settimane se non pago, che vuole che la sua poltrona sia data ad una
fottuta
prostituta che l’ha scopato per compassione, senza chiedergli
un dollaro
bucato, fino a qualche giorno prima che tirasse le cuoia, e…
che quella
Cadillac del ’59 è mia ».
C.J. nascose
parte del viso dietro il foglio su cui erano
state tracciate, giorni prima, quelle parole che alle sue orecchie
suonavano
come un misto fra generosità, affetto e soldi.
« Vecchio
Lennox »,
pigolò,
gli occhi traslucidi, «
benedetta la sua
anima. Cazzo, che cuore ».
La risata
sguaiata di Bill riempì lo stretto spazio del
camper. Dovette sorreggersi al banco della cucina per non crollare a
ginocchioni
sul pavimento, con un braccio stretto sullo stomaco. Suo nonno era un
gran
bastardo, ecco cosa.
« Leggi la
lettera, C.J., leggila e dimmi se la sua anima è
ancora degna di benedizioni e cazzate varie ».
C.J.
mostrò per la seconda volta un’espressione
confusa,
la fronte corrugata e le sopracciglia tanto vicine da sembrare
un’unica linea scura.
Iniziò a leggere la lettera, gli occhi che scorrevano lenti
sulle righe; Bill
poteva scorgere ogni singolo, impercettibile mutamento del suo volto,
dal cupo
al meravigliato, ognuno equivalente ad un determinato cambiamento
d’opinione.
Alla fine della lettura, il viso di C.J. esprimeva sconcerto.
Alzò lo sguardo
su Bill, incredulo.
« Devo
lasciare la città »,
annunciò cupo Bill.
¨
La pistola
vibrava, serrata in una morsa terrorizzata.
La mano di
Bill era abituata al suo peso, al freddo
metallo di cui era costituita e, in particolar modo, ad usarla. La sua
prima
arma seria era stata una rivoltella della Smith & Wesson,
leggera e di
piccole dimensioni, quasi fatta apposta per le mani di un ragazzino di
tredici
anni. Bill vi aveva fatto una sola rapina, in un minimarket di un
villaggio
sperduto nel deserto del Mojave, che peraltro non gli aveva nemmeno
fruttato
bene. A stento trecento dollari, divisi equamente fra lui e C.J., il
quale
aveva riso fino alle lacrime affermando che, con quelli, non sarebbe
nemmeno
riuscito a comprare la carta igienica per pulirsi il culo.
Bill, seppure
in vita sua aveva avuto un’unica pistola, aveva
buona confidenza con le armi. Il nonno gli aveva insegnato bene.
Eppure, la
mano non smetteva di tremare, e la pistola oscillava al ritmo del suo
terrore.
Il nonno,
tempo addietro, aveva riso quando Bill gli aveva
posto una semplice domanda: «
Ma non hai
paura? ».
«
Per tutte le spine di Cristo, Billy-Boy! »,
aveva risposto fra un gracidio di divertimento e l’altro.
« Paura? Abituato
come sono? ».
«
Abituato?
».
«
Quelli come noi convivono giornalmente con
la paura, solo che non ce ne accorgiamo, avendoci fatto il callo
».
Il
nonno aveva di certo valicato quel confine,
sottile come uno spago; quel confine che – diceva lui
– distingue l’uomo dalle
bestie. Solo quando l’uomo perde ogni cosa e non gli resta
che la sola speranza
di rialzarsi da terra e ricominciare, solo allora perde la ragione: per
sopravvivere. E loro, sì, loro erano oramai abituati ad
affrontare ogni santo
giorno situazioni che li ponevano agli estremi della
civiltà, che li
costringevano alle volte ad uccidere un loro simile.
Era
lì che Bill si trovava, in quel momento,
di fronte ad un baratro. Se vi fosse caduto, non avrebbe più
potuto fare
ritorno.
«
Spara, bastardo, spara ».
L’uomo
davanti a lui ghignava in maniera
perfida. Bill credette di aver già visto quel sorriso
maligno, quella
particolare piega che assumevano le labbra. E anche gli occhi; li
conosceva.
Erano
i suoi, constatò sputando a terra.
«
Sarò io a decidere quando ». Bill serrò
la
presa attorno all’arma. La sua voce non l’aveva
tradito; era ferma, atona. « Mi
piace sentire l’odore del piscio aleggiare per un
po’ prima di far fuori chi ho
davanti ».
Il
ghigno dell’uomo si trasformò in
un’aperta
risata. « Tu non hai mai ammazzato un uomo, Bill ».
«
Non permetterti! », sbottò Bill, gli occhi
dilatati dalla rabbia.
L’uomo
continuò a ridere, stavolta con tono
più basso. Scosse la testa, fissandolo dritto negli occhi.
Era come
specchiarsi.
«
Permettermi? Sono- ».
«
No
», sibilò il ragazzo. « No, non lo sei.
Non lo sei mai stato ».
«
Il vecchio ha fatto un buon lavoro, ti ha
addestrato bene. Tale e quale a me, quando avevo la tua età
». L’uomo sbuffò
una risata, cercando di sistemarsi in una posizione meno disagevole.
«
Resta fermo », ordinò Bill. « Fermo ».
«
Sempre sotto i calzoni di quel bastardo, sempre
sottomesso ai suoi voleri. Ma dimmi, Bill, hai fatto tutto
ciò che ti ordinava,
nevvero? Hai rubato? Hai aggredito chi ti diceva lui? ».
Bill
strinse le palpebre, gli occhi che
bruciavano.
«
Zitto, porco cane, zitto! », sbraitò.
L’arma, fra le sue dita, tremava in maniera incontrollabile.
« Giuro che ti
ammazzo, se non chiudi la bocca! ».
La
risata sguaiata e fredda riempì nuovamente
il locale semibuio. « Pensi davvero che abbia paura?
». D’un tratto il viso dell’uomo si fece
sinistro, accorto. «
Scommettiamo che prima che tu possa premere il grilletto, ti
avrò già ucciso?
Partita allettante, no, Bill? ».
Bill
afferrò la pistola con entrambe le mani,
spasmodicamente. Il respiro gli si mozzava in gola, riuscendo a stento
a
giungere ai polmoni, e il sudore scendeva copioso lungo il collo e la
fronte
contratta. Deglutì.
Aveva
una possibilità, la stessa possibilità
che hanno gli animali di fronte al pericolo, e bisognava giocarsela.
Fotti, o
resta fottuto. Avrebbe vendicato il vecchio Lennox e si sarebbe
riscattato. Lasciò
che un sospiro uscisse dalle sue labbra aride.
L’uomo
sorrise sornione. « Contiamo fino a
tre. Chi vince, vive ». Ghignò ampiamente.
« Fotti o resta fottuto. Giusto,
Bill? ».
Bill
non riuscì a controllarsi: l’indice si
mosse senza comando, premendo sul grilletto. Il rumore sordo di uno
sparo
riempì l’aria e gli frastornò le
orecchie, propagandosi in un’eco assordante
nella sua testa, rimbombandogli nel petto come un tamburo. Bill aveva
tenuto
gli occhi serrati per tutto il tempo – una semplice, lenta
frazione di secondo
– e quando li riaprì si accorse di non aver
centrato bene il bersaglio. L’uomo
si stringeva una spalla e la mano instabile che la sorreggeva grondava
di sangue.
Si volse ad affrontarlo, con una smorfia a sconvolgergli le fattezze.
Aveva
appena caricato le gambe per uno slancio e aperto la bocca, che il
sordo boato
di uno sparo riempì per la seconda volta
l’ambiente. Il corpo dell’uomo si
accasciò a terra scompostamente, respirando affannato per
alcuni istanti. Il
suo respiro si troncò entro breve.
Bill
era sconcertato. Dagli occhi scuri, già
arrossati, rotolò giù per una guancia una
lacrima, che brillò sotto il debole chiarore
del sole occultato dalle assi di legno che sbarravano le finestre.
«
Tre ».
Al
sentire la voce di C.J., abbassò le palpebre
per nascondere il dolore.
¨
“Lean
on me
when you're not strong”
«
Era il padre che non ho avuto ».
Il
ruggito del motore era il sottofondo ideale,
in quel pomeriggio rovente di Agosto. L’aria bruciava la
gola, la strada –
sotto di loro – sembrava emanasse vapori bollenti, appannando
la vista. E
finalmente, ogni cosa era chiara.
«
L’ho sempre detto ».
Bill
staccò gli occhi dalla strada per
osservare C.J.. Un paio di Ray-Ban, brillanti alla luce del sole, ed un
sorriso, il solito sorriso da imbecille che gli sformava la bocca in
una
smorfia buffa. C.J. torse il collo per incrociare l’occhiata
dell’amico ed
annuì.
«
Avresti potuto morire », sentenziò, il
sorriso sempre sulle labbra. « La lettera parlava chiaro. Il
bastardo, come
predetto, s’è fatto vivo. E voleva non questo
gioiello, per rivenderlo ». C.J.
batté una mano sulla portiera, leccandosi il labbro
inferiore. « Voleva te, Bill
».
Bill
rivolse lo sguardo nuovamente alla
carreggiata deserta. Con forza, premette il piede
sull’acceleratore e
«
C’eri tu, C.J. », esclamò Bill, mentre
la
brezza afosa gli carezzava il viso. « Ci sei sempre tu
».
«
E ci sarò sempre, Billy-Boy ».
---
Liberamente
ispirata al film “Highway”, con
Jared Leto e Jake Gyllenhaal.
Le frasi sulla destra sono state estrapolate
dalla canzone “Lean on me” di Bill Withers.
Quest’originale partecipa al “100
prompts”
indetto dal C.o.S.
Ora,
vorrei spiegare un po' di cose. Avevo pensato ad una trama ben
più lunga, perfetta per una fanfiction a capitoli. Il
problema? La mancanza di tempo. Vorrei dedicare larga parte del mio
tempo a coltivare questa mia passione, la scrittura, ma con la scuola
di mezzo è a dir poco impensabile. Adoro scrivere, per Dio,
creare personaggi miei, tutti nuovi, così diversi, e al
tempo stesso accomunati da una cosa ben precisa, vale a dire la mia essenza. Tutti, chi
con grande abilità, chi con meno, mettono parte di
sé nei propri racconti. Bill e C.J. hanno pochissimi tratti
che mi rispecchiano (e chi mi conosce, sa dire quali :D), e - udite,
udite! - sono i miei primi, veri personaggi originali usciti
così come li ho inizialmente concepiti. Il mio attuale
orgoglio, sì.
Mi sono divertita un mondo a scriverla. Spero che almeno un pizzico dei
sentimenti che ho provato, nel tracciarla, sia arrivato :3