Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: AnnabethJackson    10/02/2016    11 recensioni
| Percabeth | AU |
---------------------------TRAMA---------------------------
Annabeth ha 18 anni quando viene violentata. Subisce un trauma così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere,a vivere. Nessuno è in grado di aiutarla ad uscire da quella bolla di indifferenza in cui è intrappolata.
Due anni dopo Annabeth non è diversa da quella maledetta sera, e il padre, l'unico uomo di cui lei si fidi ancora, non riesce più a vederla riversa in quello stato. Così convince la figlia a partire per il Brasile in veste di insegnante, ed è così che la ragazza fa una promessa a sé stessa: nulla avrebbe dovuto rinvangare il suo passato.
Annabeth però non sa che la scintilla perduta è proprio dietro l'angolo della bella Rio, mascherata da un ragazzo da cui deve stare lontana, dei bambini che amano la vita, e un amore inaspettato, per nulla voluto, ma in grado di innescare il processo di rinascita inevitabile.
------------------------DAL TESTO------------------------
«Non voglio spaventarti, non voglio allarmarti e sopratutto non voglio metterti fretta. Accettalo e basta. È importante che tu ti prenda tutto il tempo necessario, ma ho l'urgenza di dirti che...» mormorò.
E poi accadde, senza alcun preavviso. «Ti amo, Annabeth.»
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Percy/Annabeth
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Love the way you live - La raccolta'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Capitolo 24

 

Rio de Janeiro, quella notte

 

Qualcuno si era dimenticato di chiudere le imposte della finestra.

Non so dire il perché, ma fu la prima cosa che notai e su cui il mio cervello di concentrò, come se, fino a un momento prima, non fosse stato occupato da altri pensieri. Neppure ero girata verso quel vetro; anzi, il mio sguardo era puntato di fronte a me, sulla parete opposta a dove stavo io.

Lo sapevo e basta: le imposte della finestra non erano state chiuse e ora, non solo potevo immaginare, ma anche voltarmi e guardare ciò che accadeva fuori.

Eppure non lo feci, rimasi lì, sicura che quella notte non un filo di vento tirava nell'aria estiva e che la luna, a qualunque punto del suo ciclo fosse, emetteva dei raggi, i quali filtravano attraverso la finestra e rischiaravano la stanza. Un cono di luce inframmezzava la forma quadrilatera della camera. La convinzione che l'umidità regnasse incontrastata la notte selvaggia derivava dal fatto che non udivo il familiare fruscio delle foglie degli alberi che attorniavano la fattoria e il grande prato.

C'era silenzio. Ne ero talmente certa che avrei potuto metterci la mano sul fuoco.

Eppure sentivo un rumore, un suono fastidioso, qualcosa che mi faceva male, che mi urtava il petto, lo sterno, la gola. Era come se stessi soffocando, ma ero sicura che i miei polmoni si stessero riempiendo di aria con una certa regolarità, ininterrottamente.

E poi ci arrivai: ero io.

Il rumore che mandava in frantumi quel silenzio pacifico ero io che respiravo, io che ansimavo. I polmoni, il petto mi facevano male perché li gonfiavo a dismisura, come se fossi appena riemersa da un periodo di apnea lunghissimo, in cui l'ossigeno non era arrivato al mio cervello, il quale urlava urgentemente una richiesta di aiuto.

Alla fine abbassai lo sguardo al grembo, su cui le mie mani tremavano in una posizione simile a quella di un povero che chiede uno spicciolo, un pezzo di pane per sopravvivere alla giornata. In corrispondenza di quelle appendici, scorsi l'orlo delle lenzuola a motivi blu e oro che mi coprivano le gambe.

Un pensiero fulminante, qualcosa che mi travolse la mente tanto da far crescere il mio livello di paura alle stelle, mi costrinse a voltare il capo a destra e a sinistra, con frenesia, mentre i miei occhi vagavano per la stanza in cerca di una grata, di una scala, di una pozza d'acqua, di un gatto nascosto dietro a un cartone. Ma del vicolo di New York non vi era alcuna traccia.

L'unico elemento che potevo mettere in relazione era il tempo, il buio oppressore della luce solare, del giorno, sinonimo di notte e di paura per molte persone. A volte, io compresa.

Sapevo di non essere in America, una parte di me era consapevole del Paese in cui mi trovavo, ma quelle pareti non mi erano per nulla familiari; niente in quella stanza mi faceva sentire al sicuro, probabilmente perché il ricordo vivido del sogno da cui mi ero appena svegliata mi rimbombava ancora in maniera chiara nella mente.

Malgrado ciò, sapevo che non era stato l'incubo a destarmi, né la paura provata negli ultimi istanti che ancora mi scorreva nelle vene. Nell'aria c'era ancora il fantasma dell'eco di un orologio a pendolo che batteva l'ora ad occupare lo spazio e io, che a causa del tema protagonista del mio sonno non stavo dormendo molto bene, ne ero stata disturbata.

Mossi una delle mani a coprirmi l'avambraccio nudo, i cui peli erano rizzati, segno che il calore del mio corpo non era in equilibrio con quello dell'ambiente, malgrado quest'ultimo fosse senza dubbio molto caldo e confortevole.

In seguito a un rapido momento di meditazione, constatai che, in contrasto alla parte superiore, quella inferiore del mio corpo era bollente, quasi fosse riscaldata da un termosifone appena acceso. Ma quelle intrecciate ai miei piedi erano delle gambe umane, calde e ispide.

Solo in quel momento sentii la sua presenza accanto alla mia, come se il suo corpo mi fosse comparso all'improvviso accanto, con un peso ben preciso che premeva sulla parte destra del materasso.

E poi, quando una mano venne posata delicatamente accanto alla mia sul mio avambraccio, il cuore prese a rallentare e il respiro si fece più regolare: i polmoni e la gola non mi facevano più male, anche se la sensazione provata continuava a riverberarsi lungo il mio corpo, nei muscoli, nelle vene.

Lo riconobbi come se fosse sempre stato parte di me, come se il suo profumo, il suo odore indistinguibile avesse messo le radici nel mio cervello, nella sezione dedicata alle interazioni con le altre persone.

«Annabeth» mormorò pianissimo prima di tirarmi giù con la mano, e io caddi inevitabilmente sul materasso che molleggiò sotto di me, attutendo il colpo. Immediatamente mi trovai schiacciata contro il suo petto, la faccia premuta sulla sua maglietta profumata e lui che mi circondava la nuca con un braccio, impedendomi qualsiasi movimento, come se avessi davvero voluto sfuggirgli.

Ma le mie intenzioni erano davvero distanti anni luce da quel pensiero e quindi accolsi con immenso piacere la nuova posizione.

«Va tutto bene, Annabeth, tutto bene. Io sono qui con te» continuò, passando lentamente il palmo della mano sui miei capelli, cullandomi, rassicurandomi. E io davvero gli credetti: potevo sentire distintamente il suono del suo cuore, di quel battito regolare che già altre volte aveva avuto il potere di calmarmi. Lo vivevo.

«Era solo un sogno» disse dopo un po' da qualche parte sopra la mia testa. Me lo immaginai con la tempia appoggiata al cuscino, il mento che sfiorava i miei capelli e gli occhi che puntavano qualcosa di fisso ma di lontano, quasi irraggiungibile, con un'intensità tale da costringerti a distogliere lo sguardo se solo avessi incrociato il suo. Mossi la testa su e giù una volta, con la fronte che sfregava sulla sua maglietta e gli occhi appena aperti, la vista talmente sfocata che tanto valeva chiuderli del tutto.

Andava tutto bene: Percy aveva promesso di proteggermi da tutto e tutti e io, credendogli, nemmeno per un attimo misi in dubbio le parole che aveva detto non molto tempo prima quella stessa notte. Perciò costrinsi me stessa ad alzare la testa sul cuscino, per affiancarla a quella di Percy in modo che le nostre fronti fossero allo stesso livello, con la sua mano sotto il mio collo e il fiato caldo che mi sfiorava il volto.

Mosse appena la testa prima di dire: «Ehi.»

L'angolo della sua bocca ebbe un piccolo fremito, come se fosse indeciso se accennare un sorriso oppure rimanere serio e io, cercando con tutto il cuore di rassicurarlo che andava tutto bene ora, che io stavo bene, mi avvicinai ulteriormente, baciandolo leggermente sulle labbra.

«Ehi» risposi quando mi ritrassi.

Mentre lo guardavo pensai inevitabilmente a quanto mi sentissi a mio agio in quell'abbraccio, a quanto non fossi in ansia per il fatto di essere nello stesso letto con metà della pelle spoglia dei vestiti che di solito ricopriva i nostri corpi. Era una novità, ma allo stesso tempo no: dopotutto, sarebbe stato strano se non avessi avuto voglia di restare sdraiata accanto a Percy, il mio ragazzo. Era bello sentirsi una ragazza normale anche se per molti aspetti non lo ero.

Infransi per un breve periodo il contatto con i suoi occhi, per posare i miei sopra la sua spalla, dove sapevo di trovare l'immagine della sua sveglia. Essa segnava le tre e pochi minuti: ricordavo perfettamente di aver fatto lo stesso gesto poco prima di addormentarmi tra le braccia di Percy, con le guance ancora umide di lacrime e la preghiera muta nella mia testa di non fare quel sogno – si era poi rivelata essere una speranza ingenua e invano. Perciò sapevo che era trascorsa solamente poco più di un'ora da quando ero caduta nel mondo di Morfeo, anche se mi sembravano secoli interi.

E di nuovo mi sentii come calamitata da qualcosa nello spostare i mie occhi su Percy l'istante dopo. Accarezzai la sua fronte liscia, il suo naso dritto, i suoi occhi verdi e brillanti anche alla luce della luna, la sua bocca sottile e schiusa con lo sguardo, soffermandomi infine su quest'ultima per un tempo non indifferente. Lui era lì davvero con me, lo sentivo dal calore del suo corpo, dai peli ispidi del suo braccio sotto il collo, dalla mano che aveva appoggiato con delicatezza sulla mia vita. Lo sentivo e basta.

Con non troppa sorpresa, mi riscoprii essere stufa marcia di quella situazione. Ne avevo fin sopra i capelli del mio passato, di sentire la mia parte razionale essere sempre in disaccordo con ciò che l'istinto mi suggeriva per una questione di principio, per non lasciarmi influenzare troppo. Ero stufa di dover porre un freno a qualsiasi cosa mi andasse di fare, dopo aver trascorso gli ultimi due anni a non sentire minimamente l'accenno di quella voglia di vivere che da quando ero arrivata in Brasile mi aveva guidata.

Era vero che la paura era stata la mia unica compagna di vita da quando avevo permesso a Luke di fare quel che aveva voluto fare al mio corpo, senza cercare di ribellarmi o chiedere aiuto, ma era anche vero che la paura si era attaccata al mio corpo come un parassita, condizionando tutto.

E io non potevo permettermi di continuare così.

Perché lì davanti ai miei occhi si era presentato il futuro; un futuro inaspettato, ma talmente invitante che mi era impossibile rifiutare ancora a lungo l'invito a intraprenderlo, accettandolo come dato di fatto. La mia vita nuova aveva un nome: Percy. Un nome brillante, rassicurante che portava con sé sia il bello che il brutto, proprio come qualsiasi altra strada avessi deciso di percorrere. Dopotutto, non potevo permettere che lo schifo del mondo mi portasse via colui che mi stava salvando, colui che sempre mi aveva creduto, sostenuto, senza mai lasciarmi andare alla deriva o abbandonarmi nel momento del bisogno, com'era stata tutta quella giornata e, non ultima, quella notte.

Quindi no, non avevo più bisogno di vivere nel passato come avevo fatto negli ultimi due anni, di lasciare che il freddo entrasse dentro di me pur di non provare nulla, pur di sentirmi vuota e inerme. Avevo bisogno dell'offerta che il futuro mi stava lasciando, del futuro che potevo costruire insieme alle persone che mi volevano bene, che non avrebbero mai permesso di lasciarmi andare ancora un volta se solo ne avessero avuto l'occasione. Solo in quel momento compresi che quei pensieri, quella consapevolezza, si traducevano esattamente nelle parole che papà aveva sussurrato al mio orecchio il giorno della partenza da New York.

Hai bisogno di vedere con i tuoi occhi ciò che ti perderai se continuerai ad essere quello che sei adesso.

Percy. Percy era il prezzo che avrei pagato se avessi permesso al passato d'interferire ancora e ancora.

E io non volevo.

Trassi un tremante respiro mentre la consapevolezza di ciò che stavo per fare, di ciò che dovevo fare mi investiva: c'era solo un modo perché tutto avesse fine, perché io mettessi un punto fermo al capitolo della mia vita passata e iniziassi a scrivere il successivo.

Passai una mano sulla guancia del mio ragazzo, seguendone il percorso con lo sguardo per sfuggire al suo.

Innanzitutto, accettarlo a me stessa: avevo bisogno di essere di Percy, sua soltanto, di appartenergli.

Avevo bisogno che lui fosse il primo e unico uomo della mia vita.

Accettalo, Annabeth. È così che deve essere. Tu lo sai e lo vuoi.

Perciò ero consapevole di me stessa e del mio corpo quando mi misi seduta sul letto con uno scatto improvviso. I capelli mi solleticarono le spalle, la schiena, le guance. Lasciai che una tenda di crini biondi mi coprisse il volto per qualche istante mentre Percy si sollevava al mio fianco, appoggiando poi una mano sulla mia spina dorsale, delicatamente.

No, tu non hai paura, mi dissi nella mente prima di incrociare lo sguardo del mio ragazzo e vedere la muta domanda disegnata sul volto. Non gli diedi il tempo di aprire bocca che dalla mia uscirono appena due parole, ma un numero sufficiente per fargli comprendere tutto, o almeno così speravo: non potevo più perdermi in parole inutili.

«Guariscimi, Percy.»

Il dubbio precedente sul suo volto venne amplificato dalle mie parole, anche se nel profondo dei suoi occhi vidi un barlume di comprensione affiorare lentamente. Probabilmente era troppo assurdo anche per lui che intendessi dire proprio quello, perciò presumo che le sue parole seguenti fossero lecite.

«Che cosa... Che cosa intendi?»

Avvolsi le mie mani intorno al suo braccio sinistro, stringendolo impercettibilmente per infondere più enfasi a ciò che volevo dire, poi mi chinai in avanti lentamente, dandogli tutto il tempo per ritrarsi, cosa che lui non fece. Perciò arrivai a toccare la sua fronte con la mia, spingendo un po' in avanti, esortandolo ad ascoltarmi. Con le bocca a pochi millimetri dalla sua, mi fermai, socchiudendo le palpebre abbastanza da poter vedere solo le sue labbra socchiuse.

«Guariscimi, Percy» ripetei ancora una volta, più piano. «Ti prego...»

Lo sentivo dentro nel cuore, percepivo il cambiamento, ciò che avevo scatenato nel momento in cui quelle sillabe erano uscite dalla mia gola, dalla mia bocca investendo quella di Percy grazie alla ravvicinata distanza tra noi. Azzardai ad altare gli occhi dopo qualche istante, incrociando i suoi che erano lì ad aspettarmi. Non so cosa mi aspettassi di vedere esattamente, ma presumo che lo strano luccichio negli occhi di Percy fosse uno di quelli. Non era uno scorcio di malizia, quello no di certo; presumo che il piccolo barlume di consapevolezza di prima fosse aumentato soltanto e ora lui stava lì a guardarmi.

Rimase a soppesarmi per tanto tempo, ma nessuno di noi due mosse un muscolo.

Mi era evidente che lui avesse capito dall'intensità con cui mi osservava, eppure non riuscivo a capire per quale motivo non dicesse niente. Un debole panico di diffuse nel mio stomaco, ma io lo scacciai nel momento in cui comparve, grazie alla tenacia e alla consapevolezza che stava guidando le mie azioni e le mie parole. Così spinsi ancora un po' con la fronte, cercando di esortarlo.

«Ti prego» ripetei per l'ennesima volta. «Ho bisogno che tu lo faccia, Percy.»

Non sapevo se avesse funzionato perché in quel momento chiusi gli occhi e piegai impercettibilmente il capo, ma poco dopo sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia guancia, prima delicatamente, poi facendo aderire il palmo e le dita fino a sfiorare la tempia.

«Che cosa ti prende, Annabeth?»

Di certo non mi aspettavo quella sua risposta, non dopo essere arrivata a una decisione con me stessa. Eppure, sapevo che lui stava per capitolare dal tono di voce con cui aveva parlato. Il suo non era stato un rifiuto categorico, ma avevo sentito qualcosa di molto simile allo smarrimento.

«Ho bisogno di superare questa cosa, Percy, lo sappiamo entrambi» mormorai, separandomi di qualche centimetro dal suo viso per poterlo vedere meglio. «L'unico modo perché ciò accada è rubare questa cosa a lui. E solo tu puoi farlo. Adesso, in questo istante e per sempre, tu devi essere il primo e unico, Percy, altrimenti non riuscirò mai a guarire.»

Non gli diedi il tempo di controbattere: presi la mano che non stava sulla mia guancia e la posai in corrispondenza del mio cuore, sul petto coperto dalla sua maglietta. «Lo senti Percy? Il mio cuore batte così per te, ma c'è questa parte invisibile che solo io posso sentire che è rimasta ancorata al passato come se avesse messo radici e ha condizionato tutte le mie decisioni, tutta la mia vita da due anni a questa parte. Questo è l'unico modo perché io sia libera, capisci?» Non c'era una singola parola che non fosse vera nel mio discorso. Gli avevo parlato a viso aperto come poche volte nella vita avevo fatto, aprendogli non solo il mio cuore, ma anche la mia anima corrosa e pronta alla rinascita.

Lo guardai prendere un respiro tremante negli istanti immediatamente successivi, deglutire un paio di volte e spostare lo sguardo a destra e a sinistra, come se fosse in cerca di qualcosa, un appiglio a cui si potesse aggrappare. Ero consapevole di averlo messo in difficoltà: nel caso contrario avrei dovuto rivedere molte delle mie priorità, prima fra tutte la decisione appena presa di affidare nelle sue mani la mia salvezza.

Ma mai come allora, quando infine smise di mordicchiarsi la parete interna della guancia per avvicinarsi al mio viso, sentii di amarlo e di essere al sicuro.

Il bacio che mi diede fu il più lento, gentile e se possibile semplice che una persona potesse mai dare a un'altra.

Le mie palpebre non ne volevano sapere di abbassarsi, perciò rimasi a guardare le ciglia di Percy a lungo mentre il contatto tra i nostri corpi continuava tramite la bocca. Le sue labbra erano morbide, calde e invitanti come sempre, ma il modo in cui mi baciò quella volta fu diverso: c'era qualcosa che fece risvegliare il mio istinto, costringendomi a rispondere al suo bacio con più forza, imprigionando il suo labbro superiore nelle mie. Con l'avambraccio circondò la mia vita, spingendomi verso il basso delicatamente: così ci trovammo entrambi sdraiati di nuovo sul letto, la mia testa appoggiata in mezzo ai due cuscini e le sue mani ai lati della mia testa, in modo da non pesarmi addosso.

Per qualche buffo motivo, la mia mente andò ad analizzare la situazione, soffermandosi in particolare su come le lenzuola aderissero ai nostri corpi, spiegazzate, ruvide, tiepide tra di noi. L'instante in cui però Percy si ritrasse, la mia attenzione tornò dove doveva essere in quel momento: su di lui, e lui soltanto.

Il fatto che si fosse fermato presagiva una nefasta continuazione, ma nel vederlo sopra di me, nemmeno così lontano, a guardarmi negli occhi e ad accarezzarmi i capelli sparsi sul cuscino con una mano, il mio cuore saltò un battito, e io mi trovai a desiderare con tutta me stessa che non mi rifiutasse.

Il suo pomo d'Adamo salì e ridiscese una sola volta prima che lui chiudesse nuovamente gli occhi, strizzasse le palpebre e li riaprisse, sempre sotto la mia minuziosa attenzione. Dentro di me stavo pregando chiunque ci fosse lassù che Percy non si ritraesse: in gioco non c'era solo la mia salvezza e il mio cuore, ma anche il nostro futuro e presente.

«Va bene» mormorò all'improvviso, riportandomi alla realtà. Il mio corpo aveva percepito il suo assenso molto prima che le parole arrivassero alla mia mente, così il cuore già aveva cominciato a battere impazzito. «Okay, allora...»

Lasciò andare un lungo sospiro mentre i suoi occhi si incatenavano ai miei. Sentii la sua mano sulla coscia, leggera, delicata, calda. Familiare. Fu quello a sconvolgermi di più: non avevo chissà quali aspettative e di certo non mi aspettavo di sentirmi completamente a mio agio, ma dovetti ricredere quando Percy fece scorrere la mano verso l'alto, sempre con estrema lentezza, alzando pian piano l'orlo della sua maglietta che mi aveva infilato quella stessa sera. Arrivò al mio fianco, in corrispondenza dell'elastico dei miei slip, e li si fermò definitivamente.

La pelle sembrava andare a fuoco dove la sua aveva toccato la mia in uno sfioro continuo. Dalle labbra schiuse mi sfuggì un sospiro quasi impercettibile.

E poi lui riprese a baciarmi, all'improvviso. Fu come se la mia bocca e la sua fossero state due calamite di poli opposti: mi stava reclamando come solo un assettato in mezzo al deserto poteva fare alla vista dell'acqua. Malgrado tutto non fu irruento, né impetuoso e nemmeno scortese. Ci appartenevamo e questo bastava per giustificare qualsiasi cosa stesse facendo, qualsiasi cosa io volessi che facesse. Perciò appoggiai una mano dietro al suo collo, attirandolo il più vicino possibile e ricambiando come meglio potevo il suo bacio. Non passò molto che, utilizzando i denti, mi tirasse il labbro inferiore verso il basso, in una muta richiesta di lasciarlo entrare; e io lo feci: schiusi le labbra e il bacio si intensificò.

Il mio corpo aveva esattamente due fuochi accessi dove la sua pelle era a contatto con la mia. Ero fin troppo consapevole della mano posata sul mio fianco, dove lui l'aveva messa prima senza osare più muoverla di un singolo millimetro. Ora, invece, la stava muovendo, seppur impercettibilmente, su e giù, più e più volte. Come poteva sapere che la mia pelle, lì, era sensibile? Com'era possibile che anche da quel punto tutti i miei sensi venivano amplificati?

Un movimento di pochi centimetri, e dalla mia bocca uscì una serie di sospiri più articolata, che finirono direttamente in quella di Percy. Avevo bisogno di respirare perché ciò che mi stava facendo provare era troppo forte, troppo opprimente. Ringrazia il cielo quando lui si fermò, posandomi un'ultimo bacio tra le sopracciglia, sulla fronte, dove più volte mi aveva baciata in passato in un modo che solo lui poteva fare.

Quando il suo corpo non fu più sopra il mio trassi un respiro profondo, sentendo involontariamente un senso di gelo avvolgermi tutta: come poteva lui avere quel potere su di me solo dopo avermi baciata?

Ne ero diventata dipendente, non c'era altra spiegazione plausibile.

Mi stupii nell'accorgermi che, da quando lui aveva detto “Okay”, il pensiero del mio passato, o di qualsiasi altra cosa che non fosse l'essere lì insieme a Percy, non mi aveva minimamente sfiorata.

Era... bello.

Quella era la prova che potevo davvero sconfiggere una volta per tutte quel ricordo e concentrarmi sul mio presente. Ma un piccolo dubbio, che ancora non avevo avuto il coraggio di analizzare, affiorò nell'istante in cui azzardai un sorriso di sollievo nella mia mente: sarei davvero riuscita ad andare fino in fondo? Potevo davvero superare l'ansia e la paura che sempre mi aveva colta nel pensare a quello?

Strinsi la mano destra in un pugno, artigliando le lenzuola tra le unghie, mentre Percy si metteva in ginocchio tra le mie gambe, attirandomi più vicino per i fianchi. Riprese con il lavoro di prima, ovvero sollevarmi la sua maglietta con lentezza, come per darmi tutto il tempo necessario per tirarmi indietro.

Ma io, malgrado tutto, non volevo: doveva continuare.

Concentrati, Annabeth, come prima, e vedrai che tutto andrà bene, mi dissi.

E così feci; mentre lui scopriva la mia pelle fin sopra il reggiseno, seguii ogni suo movimento, concentrandomi nel sentire il suo tocco sfiorarmi, nel modo in cui le sue spalle si alzavano e si abbassavano, nel modo in cui i suoi occhi fissavano ogni centimetro della mia pelle mano a mano che questa veniva rivelata. Mi alzai leggermente sugli avambracci, permettendogli di sostenermi la schiena mentre mi sfilava completamente la maglia dalla testa: e così rimasi con poco più di venti centimetri quadrati di tessuto a coprirmi il corpo mentre Percy buttava il capo a terra, senza curarsi di dove andasse a finire. Poi le sua bocca tornò sulla mia e lì vi rimase, in un bacio leggero, uno sfioramento di labbra che poco aveva in comune con il contatto di prima.

Mi resi conto fin troppo chiaramente che lui si ritrasse, ma di certo non mi aspettavo che si avvicinasse al mio orecchio, una mano sul mio collo, e sussurrasse: «Sei okay?»

Compresi ciò cosa voleva dire all'istante: non solo era evidentemente preoccupato per il modo in cui stavo reagendo e comportando, ma pure era a disagio nell'andare oltre qualsiasi limite fossimo mai andati prima di allora. Come potevo meritare un uomo del genere? Cosa avevo fatto per averlo al mio fianco? Mai nella vita sarei riuscita a ripagare il mondo per ciò che mi aveva donato, né mai avrei potuto meritarmelo appieno. Ma sapevo di avere bisogno di una persona così come sapevo di dover respirare per continuare vivere, e quindi mi limitai solo a ringraziare nella mia testa nessuno e tutto allo stesso momento.

Mi sollevai in ginocchio talmente all'improvviso che vidi Percy sussultare impercettibilmente, poi appoggiai le mani sulle sue spalle, posta esattamente di fronte a lui nella medesima posizione. Ero consapevole del mio corpo e del suo quando mi avvicinai, passando un ginocchio e poi l'altro ai lati per mettermi a cavalcioni sulle sue gambe.

Ci guardammo a lungo, il suo volto contrito in un'espressione assieme sorpresa e confusa, ma anche consapevole e – qui il mio cuore perse un battito – eccitata. Più di tutti, però, nei suoi occhi leggevo preoccupazione per me che sapevo di non poter cancellare solo a parole: ne avevamo passate troppe e lui mi conosceva fin troppo bene. Perciò, con tutta la calma del mondo, presi tra le dita l'orlo della sua maglietta di cotone, temporeggiando qualche istante per poi cominciare a sollevarla verso l'alta, esattamente come lui aveva fatto con la mia. L'unica differenza stava nel modo in cui le mie mani entrarono in contatto con la pelle del suo petto: lo scorsi tutto, utilizzando il dorso del palmo e sentendo il calore intenso che il mio contatto percepiva. Non so dire esattamente se il termosifone fossi io o lui, oppure entrambi, fatto sta che sentivo caldo, molto caldo, ma non per questo mi dava fastidio.

Era come se lui stesse emanando sicurezza assieme all'alta temperatura; una sicurezza che mi confortava, che mi conferiva il coraggio necessario per continuare. In tutta la vita non avevo mai avuto quell'audacia e nemmeno mi sarei mai sognata di averla, ma in quel momento ne ero felice: era ciò di cui Percy aveva bisogno per capire quanto io volevo che diventasse il primo e solo uomo della mia vita.

Non posso nascondere che una parte del mio cervello, sebbene la maggioranza fosse concentrata sui molteplici pensieri riguardanti ciò che stavo per fare, era consapevole del suo corpo: i miei palmi entrarono in contatto con la sua pelle liscia, con l'addome piatto e contratto, con il rigonfiamento dei muscoli delle sue braccia. Era... perfetto.

Ma ben presto accantonai quel pensiero, in corrispondenza del momento in cui feci passare la sua maglietta attraverso la testa sfilandola del tutto e noi tornammo a guardarci, perché nei suoi occhi lessi una consapevolezza che prima mancava, un bisogno primario che andava al di là si qualsiasi parola potessi usare per descriverlo. I raggi tenui della luna ci investivano e io ero felice che lui si fosse scordato di chiudere le imposte perché, ora, potevo vederlo meglio di quanto non avrei potuto se la stanza fosse stata avvolta dalle tenebre più fitte.

Aveva bisogno ancora di qualcosa, lo vedevo e lo sentivo, perciò allacciai le mani dietro il suo collo, dopo aver buttato la maglietta approssimativamente dove lui aveva buttato quella che indossavo io poco prima, e mi avvicinai ulteriormente. Così facendo i nostri petti entrarono in contatto: se avessi abbassato lo sguardo mi sarei accorta di quanto il mio seno fosse premuto contro il suo sterno, come ogni suo respiro coincidesse con il mio rilasciare l'aria in modo che i nostri movimenti si completassero. Ma poi io chiusi gli occhi, appoggiando la fronte sulla sua spalla destra e lasciai che il contatto colmasse il vuoto che avevo sentito quando lui si era ritratto.

«Va tutto bene, Percy» dissi, premendo forte la fronte sulla sua pelle liscia. «Sto bene... Starò bene, ne sono sicura.»

Percy mi appoggiò una mano sulla nuca, ma non fece niente per ristabilire il legame visivo. «Non sei obbligata, Annabeth. Abbiamo tutto il tempo del mondo per questo, davvero. Lo so che pensi sia essenziale, ma tu guarirai ugualmente anche se stasera non facciamo l'amore, Annabeth. Sei forte, sei tenace, non hai bisogno di questo per superare il tuo passato» disse. «Non c'è alcuna fretta, amore.»

Per assurdo, quella era la prima volta che mi chiamava in quel modo e, malgrado avessi sempre creduto che i soprannomi fossero inutili e assurdi, mi trovai ad amarlo ancora di più per averlo fatto. Ma non solo: stava cercando di rassicurarmi, di convincermi a non fare qualcosa di affrettato.

Quello che però lui non capiva era che io ne avevo davvero bisogno, a discapito di qualsiasi impressione potessi dare: non avevo fretta, anzi, ma lui era lì e io volevo andare avanti. Una volta per tutte.

Ostinatamente alzai lo sguardo per l'ennesima volta, con la differenza che ora lui mi guardava studiando ogni mio minimo movimento.

«Fallo» dissi. E lo baciai come mai avevo fatto: fortemente, disperatamente, volutamente.

Non seppi se avesse funzionato davvero finché Percy non respirò dal naso prendendo un lungo respiro e poi si mosse, spingendomi di nuovo giù sul materasso, con delicatezza e allo stesso tempo determinazione. Come prima, io ero sdraiata sotto e lui mi stava sopra appoggiato agli avambracci, con la differenza che, quando riprese a passare la mano sul mi fianco, il suo tocco era frenetico.

Passò dallo sfiorare l'elastico dei miei slip, al ventre cui dedicò qualche istante di più di attenzioni prima di arrivare al pizzo del reggiseno che indossavo, scelto a caso quella mattina. In realtà non mi importava più di tanto se la prima volta che mi vedeva senza vestiti portavo un banale completo nero: presi da tutt'altro, ero certa che lui non ci avrebbe badato minimamente. E poi non sapevo nessuno se ai ragazzi quelle cose interessavano: certo, nei libri nominavano spesso quanto il pizzo e il rosso li facesse andare fuori di testa, ma chi mi garantiva che fosse vero? Percy, comunque, sembrò apprezzare visto che le sue labbra lasciarono le mie per scendere lungo la mascella, il collo e poi la clavicola, arrivando a posare un singolo bacio appena prima di incontrare l'orlo della coppa del reggiseno che copriva la mia pelle.

Inserii la mano tra i suoi capelli morbidi mentre lui sfiorava il mio sterno con la punta del naso; poi mi sollevò leggermente la schiena, per sganciare il gancetto del reggiseno e io scacciai immediatamente l'immagine dell'altro che faceva il medesimo gesto, ma nel modo completamente opposto a quello del mio ragazzo. Fu proprio questo a darmi sicurezza, molto più di quanto le altre azioni non avessero fatto fino a quel momento, più di quanto le frasi che continuavo a ripetermi in testa potessero aiutarmi.

Perciò non provai alcun disagio quando lui mi sfilò quell'indumento, lasciandomi quasi nuda davanti ai suoi occhi. Non lo odiai nemmeno per essersi dimenticato di chiudere le imposte quando i raggi della luna gli permisero di osservarmi tutta, di percorrere centimetro dopo centimetro la mia pelle, perché mi persi nel suo sguardo e non capii più nulla.

Fu come se avesse premuto un bottone, azionando il meccanismo per cui tutto intorno a me sparì, lasciando solamente i nostri due corpi intrecciati, a contatto. All'improvviso c'era solo lui, Percy, unico e solo centro di rotazione dei miei pensieri. Scomparve anche quel senso di inadeguatezza che ancora condizionava in parte i miei movimenti studiati: diventai istintiva.

Seguii con lo sguardo il mio ragazzo, mentre questo allungava una mano verso il comodino al fianco del letto, estraendo un quadratino scricchiolante dal suo interno, appoggiando poi il preservativo sul cuscino, qualche decina di metri distante dalla mia testa, e poi riprese a baciarmi da dove si era interrotto prima.

Le sue labbra accarezzavano le mie, giocavano, mordevano, creavano movimenti e intrecciamenti che mai avrei immaginato possibili: lo sentivo dentro, saggiavo il suo sapore che si andava ad infrangere su tutte le mie papille gustative. Mordicchiai leggermente il suo labbro inferiore, mentre lasciavo che un ultimo pensiero razionale sconvolgesse la mia mente prima di isolarmi: lì, in quel momento, c'eravamo solo noi due e basta. Nessun gatto dietro al cartone ci osservava, nessuna pozza di pioggia bagnava il terreno e l'aria non era intrisa di sapore acre fuoriuscente dalla cappa di un locale. Per quanto ci provassi, non riuscivo proprio a trovare nessun termine di paragone per legare al presente quella sera e questo significava solo una cosa: i ricordi non potevano in qualcun modo rovinare la mia rivincita contro il passato.

Ero libera di vivere.

Percy era come una doccia che lavava via la pioggia contaminata, lo sporco e lo schifo dal mio corpo, pulendomi e rinvigorendomi a tal punto che la mia anima parve occupare un spazio nuovo, mani nuove, braccia nuove, gambe nuove. Un cuore nuovo.

Continuò a baciarmi, mentre le sue mani percorrevano tutta la lunghezza del mio corpo, scorrendo sulla pelle fino al collo, dove rimasero posate in una carezza continua. Poi scesero a sfiorare le spalle e le braccia, mentre la sua bocca scendeva. Dapprima Percy si limitò a lasciare una scia infuocata nell'incavo creatosi in mezzo ai miei seni, ma poi le sue labbra dedicarono un buon margine di tempo ad esplorare la pelle delicata di quella zona. Artigliai i suoi capelli tra le dita, stringendolo a me perché non sapevo a cosa aggrapparmi: le cose che stavo provando andavano al di là della mia comprensione e l'unica cosa che desideravo era che non smettesse mai.

Probabilmente mi lasciai sfuggire qualche suono strano perché l'istante successivo lui alzò gli occhi, puntandoli nei miei, e io vi lessi una sorpresa genuina. Non ebbi neanche il tempo di ricambiare lo sguardo che mi ritrovai a ricambiare il suo bacio con foga. Appoggiai la mano sul suo petto, sentendo un ringhio sommesso scuotergli le spalle quando gli mordicchiai la mascella e il collo, mentre lui teneva la fronte premuta contro il cuscino.

E poi mi persi senza volerlo: non riuscivo più a distinguere chi stesse baciando chi, o dove le mie mani finissero e le sue cominciassero. C'erano solo i nostri corpi, vicini – molto vicini – e il suo fiato che si mischiava al mio. In qualche modo ci ritrovammo ad essere senza vestiti, nudi l'uno di fronte all'altra per la prima volta, e io sapevo solo di non aver nessun attacco di panico o paura imminente né di voler fuggire da quel letto. Anzi, se possibile, desideravo ardentemente essergli più vicina, ancora e ancora, finché i nostri tratti non si fossero confusi fra di loro in una massa informe di pelle e ossa.

L'unica cosa che posso dire con certezza è che non ho mai amato una persona quando Percy nel momento in cui ci ritrovammo uno sopra l'altra, nella stessa posizione da cui eravamo partiti, già ansimanti e sudati, ma troppo avanti per poterci fermare. Dopo aver abbandonato le mie labbra, era salito a baciare la fronte, la tempia, la guancia, il mento, il naso e poi di nuovo la mia bocca, posizionandosi tra le mie gambe.

Sapevo che il momento era arrivato e sapevo di essere pronta da tutta una vita per diventare sua.

Perciò accolsi con piacere la carezza che mi fece con la punta del naso sul mio, prima di guardarmi negli occhi e aspettare un mio cenno che non tardò ad arrivare.

Annuii solo, una volta, e poi lo sentii entrare, pianissimo. Ero già preparata psicologicamente al dolore, ma quando lui intrecciò le dita delle nostre mani sul cuscino e tornò a baciarmi, non sentii più nulla se non la sua presenza dentro di me.

Potrei dire di non aver mai goduto così tanto in vita mia, oppure che ebbi talmente tanti orgasmi da perderne il conto, ma sinceramente nemmeno quasi mi accorsi del tempo che passava: lui ed io eravamo diventati qualcosa che non si può descrivere a parole, qualcosa di unico. All'improvviso stavamo condividendo non solo un'esperienza, ma anche il cuore e la vita. Perciò, quando lui diede un'ultima spinta, lasciando uscire dalla gola un gemito, e posò la fronte sul mio petto, nemmeno mi accorsi che avesse finito e che il momento era passato.

Rimanemmo così, fronte contro fronte, respiro contro respiro, cuore contro cuore. Anima contro anima.

E, nel momento in cui Percy aprì finalmente i suoi occhi verdi per incrociare i miei, sentii di non essere più la vecchia Annabeth, ma nemmeno una nuova Annabeth.

Ero Annabeth e basta. E questo andava bene.

Non ci fu chissà quale grande rivelazione o cambiamento, semplicemente interruppi l'intreccio sulle nostre mani, che era rimasto tale per tutto il tempo, e legai le braccia intorno al suo collo stringendolo a me perché avevo bisogno di sentirlo il più vicino possibile, fino a soffocare.

Restammo in quella posizione finché i nostri respiri non si calmarono, tornando a un ritmo più normale, ma poi Percy rotolò verso destra e io, in quel singolo istante di smarrimento, sentii freddo, tanto freddo, quel genere di gelo che avevo sentito solo quella sera. Mi aspettavo che il ricordo cominciasse a invadermi la mente, e invece, a differenza del passato, ciò non accadde semplicemente perché io ero guarita e perché il mio ragazzo, una volta sdraiato al mio fianco, mi attirò di nuovo a sé.

E tutto andava bene davvero.

L'emozione che provai nell'apprendere di essere libera dal passato, libera di vivere la mia vita come volevo, fu talmente forte che involontariamente delle calde lacrime uscirono dall'angolo dei miei occhi, cadendo pian piano verso il basso, nel più completo silenzio, andando a scontrarsi sul petto di Percy. Forse per questo, lui aprì il palmo della mano sulla mia nuca, stringendomi ancora più forte al suo petto.

«Scusami...» Pensai di averlo solo immaginato quel sussurro, uno scherzo del mio subconscio, ma lui mi circondò il viso, guardandomi con un'intensità tale da essere destabilizzante. Mi pianse il cuore quando capii cosa stesse provando: nei suoi occhi c'era sofferenza.

«Scusa, scusa, scusa...» continuò. Capii che le mie lacrime l'avevano sconvolto, facendogli credere che rendendomi libera avesse commesso chissà quale reato capitale. Non riuscivo a guardarlo così, a soffrire per una cosa di cui doveva solo andare fiero.

Così scossi il capo, una volta, due e poi tre, senza osare a spostare gli occhi dai suoi. «No, Percy, no ti prego» mormorai, appoggiando le mie mani sulle sue. «Non ti devi scusare per nessun motivo al mondo, scordatelo. Tu non ti immagini neanche del dono che mi hai fatto questa notte. Sono io a doverti ringraziare, anzi, non riuscirò mai a ripagarti.»

Vidi che si tranquillizzava nell'istante in cui i miei occhi smisero di lacrimare.

«Sei il mio eroe» sussurrai, lasciando uscire quelle parole nate dal profondo del mio cuore.

Percy sbuffò, scuotendo il capo. «Sei incredibile, in tutti i sensi...» Risi, sentendomi molto più leggera. «No, sono serio. Sei incredibile, Annabeth. Non ho mai incontrato una persona come te. Sei forte, coraggiosa, fantastica...» disse, passando un pollice sulla mia guancia in una carezza continua. «... e bellissima» aggiunse in un sussurro, tirandomi a sé con un braccio a circondare la mia vita.

Il mio cuore saltò un battito, ma l'emozione che provavo mi fece agire d'istinto: sfruttando la vicinanza, mi chinai in avanti per baciarlo dolcemente, non solo per ringraziarlo, ma anche per fargli sentire l'amore che provavo nei suoi confronti.

Restammo abbracciati nella notte giovane, mentre la lancetta della sua sveglia girava quasi impercettibilmente. Pensai si fosse addormentato, sentendolo respirare con regolarità, ma poi spostò una mano sulla mia schiena per iniziare a percorrerla dal collo alle fossette dei reni.

«Piper mi ha minacciato» mormorò, lasciando andare una risatina. «Venerdì mi ha preso da parte, mentre tu sei andata in bagno in quel pub, e ha detto che mi avrebbe ucciso se non ti avessi trattato bene... Credo si riferisse anche a questo, sai?»

Seguii la sua risata, non potendo mettere in dubbio le sue parole: Piper era capace di quello e molto altro.

«Son felice che questo ti faccia ridere» disse ironico. «No, sul serio: potresti chiamarla uno di questi giorni per rassicurarla?»

«Da quando in qua hai bisogno di farti salvare la pelle da una fanciulla?» lo presi in giro.

«Da quando la mia virilità è in serio pericolo» rispose con lo stesso tono. «E dovresti esserne preoccupata anche tu!»

A quel punto non potei più trattenere una fragorosa risata genuina, la fronte appoggiata sul suo petto e la sua mano tra i miei capelli. «Ridi, ridi, intanto potrei cacciarti dal mio letto e farti dormire con Frappola giù in salotto.»

«Sì, certo, e poi a chi vai a chiedere i baci? Al gatto?» domandai, appoggiando le labbra sul suo collo. Per tutta risposta, lui mi strinse più forte a sé, lasciando andare un sospiro.

«Sei un diavolo tentatore, ecco cosa sei...» mormorò, congiungendo nuovamente le nostre bocche.

E io lo lasciai fare con immenso piacere, sapendo di essere tra le braccia del mio salvatore.


 



Facebook | Ask | Wattpad | Tumblr |

 

(Mi scuso per il pessimo html del capitolo: ho avuto problemi con l'editor di efp e ho dovuto fare tutto a mano, un vero lavoraccio che nemmeno mi è uscito come volevo -.- Pace amen, appena si risolveranno i problemi lo aggiusterò, promesso.)
Salve. Sono tornata con.... beh, questo.
Cos'è? Beh, questo capitolo coincide con la chiusura di un grande quadro della storia, il filo portante di tutta la vicenda. Prima che possiate dire/pensare qualcosa lasciatemi dire una cosa. Ho pensato molto a questo capitolo, sia in termini di contenuto che di posizione. Dopotutto non si tratta dell'ultimo capitolo e terminare qui il filo portante della storia può sembrare affrettato; fare fare a Percy e Annabeth quello che hanno fatto sembrava affrettato, banale e scontato. Ma fin dall'inizio avevo deciso che la cosa doveva andare in questo modo, e così è stato.
E' stata una cosa troppo prematura per aver appena superato la confessione di Annabeth? Può darsi, non lo so. Io vi posso dare solo le mie motivazioni.
Sicuramente la cosa non è campata in aria per caso, per quanto possa sembrarlo in apparenza. Ho cercato di spiegarlo anche nel capitolo, attraverso i pensieri di Annabeth: lei ha bisogno di fare questa cosa, non perché fosse arrivato il momento di farli scopare (passatemi l'espressione xD), ma per il suo cammino. Dopo aver sognato per l'ennesima volta l'episodio del suo stupro, si rende conto che l'unico modo per superarlo è che Percy diventi il primo, che Percy porti via questa prima volta a Luke per sempre. Annabeth crede che, in tal modo, può trovare la pace, la forza di andare avanti e chiudere il capitolo del suo passato. Per questo motivo insiste tanto davanti al temporeggiamento di Percy; dal canto suo, quest'ultimo, come ho cercato di far capire, non vorrebbe proprio farlo perché pensa che Annabeth sia nel bel mezzo di una crisi e che gli stia chiedendo di fare una cosa affrettata dettata solo dalla foga della confessione che gli ha fatto qualche ora prima.
Ecco, questo è quanto. Spero di essermi spiegata. Per qualsiasi chiarimento/dubbio/opinione sono qui, come sempre ;)
Non vi nascondo che sia stato difficile scrivere questo capitolo: ho passato tutta la gionata di ieri in preda all'ansia, fancendomi infinite pare mentali xD In pratica scrivevo due frasi e mi bloccavo, mettendomi una mano sul cuore e borbottando "Oh Gesù, Maria e Giuseppe COSA sto facendo, qualcuno mi fermi". Fortuna che ero a casa da sola, perché quando è suonato il telefono per due volte consecutive bloccandomi proprio nel bel mezzo di un momento d'ispirazione ho urlato come una pazza, imprecando contro chiunque avesse osato interrompermi :') 
Quindi nel caso questa scena fosse TROPPO oltre il rating arancione avvertitemi che provvederò a modificare ;)
E nulla... vi ringrazio di essere arrivati fin qui, come sempre. Mai come prima d'ora sento di essere vicina alla fine di questa avventura... Mancano solo 2 capitoli più l'epilogo. Ma le lacrime le trattengo per la fine e intanto mi limito solo a salutarvi con un caloroso abbraccio, dandovi appuntamento al prossimo capitolo.
 
Un bacione, Annie
 
  
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: AnnabethJackson