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Autore: Blablia87    11/02/2016    7 recensioni
[Omega!verse]
[Alpha!Sherlock][Omega!John]
Pezzi di una filastrocca come briciole di pane lasciate da un passato pronto a riscuotere la sua vendetta.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando finalmente svoltò per l’ultima volta, trovandosi esattamente nella piccola strada secondaria che era segnata sul suo cellulare, John arrestò la sua corsa, portandosi le mani sulle ginocchia e chinandosi ad ingoiare grosse boccate d’aria.
Sentiva il cuore battere con forza contro lo sterno, talmente veloce da non riuscire a percepire praticamente nient’altro.
Alzò la testa per guardarsi intorno. Il vicolo sembrava deserto, fatta eccezione per alcuni cassonetti dell’immondizia talmente pieni da avere i coperchi sollevati.
John provò ad avviare l’ennesima chiamata al cellulare di Sherlock, tornando in posizione eretta e riuscendo a regolarizzare un po’ il respiro.
Il suono ovattato di una vibrazione giunse da vicino ad uno dei cassonetti, ed il medico si avvicinò alla fonte del suono sperando di non trovare quello che pensava.
Bastò un’occhiata, per capire che fosse il telefono di Sherlock. John si ripose il suo in tasca e si chinò a raccoglierlo.
Il vetro si era scheggiato, e la scocca in metallo era ammaccata in più punti. Doveva essere finito in terra con forza.
John iniziò a guardarsi intorno, veloce, muovendo la testa in tutte le direzioni. Non riusciva a sentire niente, la testa ancora ovattata dalla pressione sanguigna.
“Sherlock!” Provò ad urlare, senza ricevere alcuna risposta.
Si rigirò il telefono tra le mani, cercando di sbloccarlo, ma sullo schermo continuava a lampeggiare la griglia di puntini che avrebbe dovuto unire per poterlo fare.
“Maledizione!” sibilò rabbioso, serrando gli occhi e scoprendo i denti.
Si portò una mano al viso e provò a respirare profondamente. Aveva bisogno di pensare. Un indizio… gli sarebbe bastato un indizio.
Poco lontano, sulla strada principale, due bambini passarono ridendo. Non avevano alcuna scia, ma stavano fantasticando di come sarebbero state, una volta Determinati.
“La mia saprà di liquirizia!” Gridò il primo, gonfiando il petto. “Vero mamma?” domandò poi, girandosi verso la donna che camminava pochi passi dietro di loro.
“Certo amore, liquirizia e cannella.” Rispose la donna ridendo, voltandosi un attimo a guardare John prima di scomparire oltre il muro del vicolo.
“Scia…” mormorò lui, annuendo con convinzione. “Ok, sì, la scia.”
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi.
Non aveva mai fatto una cosa del genere prima, e il pensiero gli fece rivoltare lo stomaco per un secondo. Cercare di rintracciare un Alpha per il suo odore era un’ammissione palese del suo ruolo di Omega, per quanto menomato dagli inibitori. Il solo fatto di sapere di poterlo fare, nella sua mente prendeva la forma della più vile rappresentazione di prostrazione verso la propria natura che avesse mai messo in atto.
Rimase fermo, rigirandosi il telefono di Sherlock tra le mani. Alla fine si arrese alla sensazione di paura che si stava facendo largo tra i suoi polmoni, più forte di ogni reticenza. Era praticamente certo che Sherlock avesse bisogno di aiuto, rinunciare a cercarlo solo per una questione di principio - per quanto di fondamentale importanza, per lui – sarebbe stata una scelta che non gli avrebbe più permesso di guardarsi in faccia con serenità.
“La scia di Sherlock, quindi.” Sussurrò, serrando gli occhi e facendo un profondo respiro.
“La scia di Sherlock.” Ripeté ancora, cercando di metterla a fuoco.
“Cosa mi ricorda, la scia di Sherlock.” Aveva bisogno di visualizzarla chiaramente, in modo preciso, e di renderla così presente ai sensi da riuscire ad isolare ogni altro odore.
“Cannella, pepe, arancia, peperoncino…” elencò, cercando di richiamare alla mente profumi che conosceva da molto più tempo ma che gli ricordavano per alcuni tratti l’odore che stava cercando. “Garofano, gelsomino, rosa…” Aggiunse, chiudendo ancora più forte gli occhi e cercando di fare il vuoto sensoriale intorno a sé. “Vaniglia, patchouli…”
Mise a fuoco la poltrona di Sherlock, a casa. Il profumo che le rimaneva addosso, tra la testiera ed i braccioli, quando l’uomo si alzava per uscire, o iniziare a suonare il violino.
Pensò alla vasca da bagno, posta contro il muro confinante con la camera da letto di Sherlock. L’odore del bagnoschiuma che si mescolava a quello proveniente dalla stanza attigua.
Qualcosa, una piccola nota agrumata dalla venatura familiare riuscì a farsi largo tra gli altri input olfattivi, e John capì di esserci riuscito: l’aveva trovato.
Si agganciò con tutte le sue forze a quella piccola traccia, iniziando a muoversi di conseguenza al suo intensificarsi. La seguì oltre il vicolo, svoltando un paio di volte prima di sentirla prendere forma in modo più sostanzioso.
Girò in una strada ancora più piccola, due pareti di mattoni rossi senza finestre.
Doveva mancare poco, davvero poco, perché adesso percepiva la scia di Sherlock con la stessa intensità con la quale la sentiva a casa quando si trovava nella sua camera da letto e il detective era al piano di sotto.
“Sherlock!” John smise di sondare l’aria e riniziò ad usare tutti i sensi. Fu come se intorno a lui fosse esplosa una bolla d’aria: i rumori della strada gli risalirono le gambe, le braccia, il viso. Sentì la forza dei suoi denti serrati, la stanchezza dei muscoli tesi delle spalle.
“Sherlock!” Gridò di nuovo, iniziando a correre verso il fondo della strada, che si apriva sulla destra in un cortile senza uscita.
Il suono sordo di un colpo andato a segno, seguito da un rantolo, lo prepararono a quanto stava per vedere ancor prima che avesse girato l’angolo.
Riuscì a malapena a mettere a fuoco la figura di un uomo chino su Sherlock, che era sdraiato al suolo e tenuto premuto a terra con entrambe le braccia dall’altro.
Senza arrestare la corsa, John si gettò sull’uomo, facendolo barcollare all’indietro e cadere a terra. Un attimo, il tempo di capire cosa fosse successo, e l’aggressore era di nuovo in piedi, pronto a scagliarsi contro il medico, che intanto si era andato a posizionare tra lui e Sherlock.
John allargò le gambe e si preparò all’impatto mentre Sherlock, ansimando, riuscì a rimettersi seduto, alzando uno sguardo spaventato verso il medico.
Preparato al colpo, John riuscì a deviare con una mano il pugno che l’assalitore aveva caricato e gli bloccò il braccio tra il suo ed il fianco, dopo di che roteò lievemente il senso contrario.
Il rumore della spalla dell’uomo che si disarticolava fu il segnale per il medico che poteva lasciare la presa. L’uomo si accasciò a terra, per poi rialzarsi con movimento incerto. Guardò John, ed il medico allargò nuovamente le gambe, pronto ad un nuovo scontro.
Invece, lo sconosciuto gettò uno sguardo a lui, poi a Sherlock, ed infine sparì velocemente nel vicolo.
Il detective, ancora incapace di riprendere fiato in modo corretto, osservò le spalle di John abbassarsi ed alzarsi al ritmo delle ondate di adrenalina che lo stavano attraversando, e sentì qualcosa far male all’altezza del petto. Era un dolore sordo, pulsante, che riconobbe immediatamente, atterrito. Cercò di rimettersi in piedi prima che il medico potesse girarsi, ma non fece in tempo. La mano tesa di John comparve sotto ai suoi occhi, e Sherlock rimase a guardarla in silenzio per qualche secondo.
“Chi diavolo era quello?” Domandò il medico. In tutta risposta, Sherlock gli diede un colpo sulla mano per allontanarla, e si rimise il piedi con movimenti lenti, con uno sbuffo di dolore.
“Che accidenti sta succedendo? Che ci facevi qui?”
“Quante domande idiote!” Sbottò Sherlock, riuscendo finalmente a raggiungere la posizione eretta e alzando uno sguardo infastidito verso John.
“Dio santo, Sherlock… “ Il medico mosse gli occhi sul viso tumefatto dell’altro, e la sua espressione si fece seria. “Dobbiamo andare in ospedale, potresti aver-“
“Non se ne parla.” Fu la lapidaria risposta di Sherlock.
“Già ti sei fatto scappare un potenziale elemento risolutivo per l’indagine, mandando in fumo un intero pomeriggio di indagine, non mi farai perdere altro temp-“
“Un potenziale che? Aspetta un attimo… MI sono fatto scappare? IO?” John scosse la testa, sorridendo con aria incredula. “Perché tu lo stavi per atterrare e trascinare in commissariato, dico bene?” Aggiunse, guardandolo.
“Non ho detto questo.” Sherlock alzò gli occhi al cielo e si passò il dorso di una mano sul labbro inferiore, gonfio e sanguinante.
“Quando mi sono reso conto di non potercela fare da solo ti ho inviato la mia posizione, e mi aspettavo ch-“
“Ma perché diavolo non mi hai aspettato!” Chiese John, alzando le mani e le spalle in un gesto interrogativo.
Sherlock abbassò gli occhi e si passò le mani sui pantaloni sporchi, cercando di togliersi il sangue dalle dita.
“Non pensavo dovessi metterti a parte di ogni mio movimento. Non credevo avessimo un Legame.” Disse, tagliente, continuando a guardarsi gli abiti.
“Ed anche in quel caso saresti tu a dover chiedere il permesso per fare qualcosa, non io.” Terminò, atono.
Alzò uno sguardo su John, mantenendo la testa inclinata verso il basso.
Il medico sgranò gli occhi e socchiuse la bocca. Per qualche secondo sembrò sul punto di ribattere. Poi deglutì un paio di volte, stringendo le labbra e serrando la mandibola. Abbassò gli occhi, allontanandoli da quelli di Sherlock. Girò la testa verso destra, annuendo tra sé e sé e passandosi velocemente la lingua sul labbro inferiore, prima di parlare nuovamente.
“Ok.” Disse, in tono asciutto.
“Va bene. Ho capito.” Guardò per un attimo Sherlock, il tempo di imprimersi bene nella mente per chi si fosse abbassato a seguire una scia come un Omega qualunque. Un errore che non avrebbe dovuto commettere mai più.
“John.”
“Non…” John scosse la testa e alzò una mano in un gesto ammonitore. “Non. Azzardarti.”
Detto questo assunse la migliore postura militare della quale fosse capace, e si allontanò con passo marziale dal cortile.
Dopo qualche passo si accorse di avere ancora nella tasca del cappotto il cellulare di Sherlock. Lo lasciò a terra e continuò a camminare, senza voltarsi.
Poco più in là, Sherlock fece un profondo respiro, chiudendo per un attimo gli occhi.
Si portò le labbra tra i denti, sentendo il sapore metallico del sangue farsi intenso e poi attenuarsi fino a sparire.
Aveva bisogno di arrivare a casa.
Di sdraiarsi a letto.
E di Soma.

Angolo dell'autrice:
Tra una tachipirina e l'altra sono riuscita a tirar giù un capitolo, quindi pubblico "in tempo" (sono tre capitoli avanti a quello che via via pubblico, e lo faccio solo quando ne ho scritto un altro, questo è il mio patto con me stessa su questa storia ^_^)

Sherlock non è stato affatto gentile, c'è da dirlo. Ma le sue parole sono frutto di un meccanismo di difesa, e lo si capirà meglio con l'andar avanti della storia. Per adesso possiamo solo ringraziare che John non abbia terminato il lavoro dell'uomo misterioso XD 
Parlando di Soma, invece, spiegherò meglio nei prossimi capitoli di cosa si tratti, ma fa parte dei dettagli che ho preso da "Il mondo nuovo".
Quando avrò mostrato la mia idea di Soma, nelle note lascerò scritto cosa fosse nell'idea di Huxley (per chi non avesse letto il libro, chiaramente. :)

Ho amato molto scrivere questo capitolo, perché ho potuto descrivere l'odore che penso abbia Sherlock in questa storia, e un altro piccolo strancio di quotidianità attraverso le immagini che John richiama alla mente per rintracciarlo.
A tal proposito, vi lascio con un "giochetto" (avere 39 di febbre costantemente per tre giorni fa questo ed altro XD): c'è un profumo al quale mi sono ispirata, quando ho fatto pensare a John quegli odori (mi serviva per rendere la sensazione "reale", mentre la scrivevo). Qualcuna riesce ad indovinare quale sia? :D (In realtà non so se sia possibile, ma vabbè. XD)

Grazie come sempre a tutte/i, a seguire la storia siete sempre di più ogni giorno (e data la febbre ho temuto fossero allucinazioni), e ogni commento è una gran gioia per me.

Lo so, sono monotona, ma è la verità! ^_^

A presto,
B. 
 
   
 
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