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Autore: Inevitabilmente_Dea    11/02/2016    1 recensioni
Elena si ritrova nella Radura. Sola. L'unica ragazza in mezzo ad un branco di Radurai. Non ricorda nulla del suo passato, se non il suo nome. Tuttavia inizia a fare sogni strani, che ogni notte puntualmente arrivano a spaventarla.
La ragazza stringerà amicizie, ma qualcuno sembra non volerla tra i piedi. Eppure ogni volta che lei avrà bisogno di conforto, Newt sarà al suo fianco. Amore o amicizia? Sta a voi scoprirlo...
Buona lettura.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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I Dolenti si erano completamente disattivati quasi subito. Le loro appendici furono risucchiate dalla pelle bulbosa, le luci si spensero, sui macchinari al loro interno calò una quiete mortale. E quella porta... 
Caddi a terra e, nonostante il dolore dei vari tagli che si ritrovavano sulla schiena e sull'addome, mi sentii pervadere da un entusiasmo tale che non sapevo come reagire. 
Prima boccheggiai, poi scoppiai a ridere, poi quasi soffocai a causa di un singhiozzo prima di ricominciare a vivere ancora. 
Chuck si era allontanato dai Dolenti, finendo per andare a sbattere addosso a Thomas, che lo strinse forte, stritolandolo in un abbraccio d'acciaio.
"È merito tuo, Chuck." disse Thomas entusiasta. "Eravamo talmente preoccupati delle stupide parole del codice che non abbiamo pensato a guardarci intorno in cerca di qualcosa da premere... L'ultima parola, l'ultimo pezzo del puzzle." spiegó ridendo di nuovo, incredulo che fosse possibile qualcosa del genere dopo tutto ciò che avevamo passato. 
"Ha ragione, Chuck... amico, ci hai salvati! Te l'ho detto che c'era bisogno di te!" confermai.
Arrancai per tirarmi in piedi e mi unii agli altri due ragazzi in un abbraccio di gruppo. 
Mi pareva quasi di delirare. 
"Chuck è un caspio di eroe!" esultó Thomas aumentando la stretta intorno al ragazzino, che nel frattempo stava assumendo un colorito rossastro per l'imbarazzo.
D'un tratto sentii svanire l'entusiasmo, che fu velocemente sostituito dal panico e da una stretta allo stomaco.
"E gli altri?" chiesi facendo un cenno diretto all'apertura della Tana dei Dolenti. 
Thomas fece un passo indietro e si voltò a guardare anche lui, con il sorriso ormai cancellato dalle labbra.
Come in risposta alla mia domanda, qualcuno cadde dal quadrato nero. Era Minho, che sembrava essere stato graffiato o pugnalato sul novanta per cento della superficie del suo corpo.
"Minho!" gridò Thomas, pieno di sollievo. "Stai bene? E tutti gli altri?" 
Minho incespicò verso il muro curvo della galleria e poi vi si appoggiò, ansando. 
"Abbiamo perso moltissime persone... Lassù è un bagno di sangue... Poi si sono spenti tutti di colpo."
Fece una pausa, inspirando profondamente e poi espirando di botto. "Ce l'avete fatta. Non riesco a credere che abbia funzionato davvero."
E Newt? Avevo paura di fargli quella domanda. E se fosse morto per colpa nostra?
Qualcun'altro piombó dentro la Tana e rotoló per alcuni metri.
Vedere la sua testa bionda, tutta spettinata e ribelle, mi riempì di sollievo.
Corsi verso di lui, ignorando il continuo e pulsante dolore delle ferite, nel mentre che qualcun'altro arrivava nella Tana. 
Frypan. Poi Winston e alcuni altri. In breve, diciotto ragazzi si unirono a noi nella galleria, raggiungendo così un totale di ventun Radurai.
Ciascuno di coloro che erano rimasti indietro a combattere, era coperto di muco dei Dolenti e sangue umano, e aveva gli abiti a brandelli.
Mi precipitai sopra Newt, che respirava pesantemente, con gli occhi chiusi.
"Gli altri?" domandó Thomas, terrorizzato.
"Metà di noi..." ansimó Newt con voce fioca. "Morti."
Allora nessuno disse una parola. Nessuno disse più nulla per un bel pezzo.
"Sapete una cosa?" disse Minho, mettendosi un poco più dritto. "Metà di noi sarà anche morta, ma metà di noi è sopravvissuta, caspio. E nessuno è stato punto... proprio come pensava Thomas. Dobbiamo uscire di qui."
Troppi. Pensai scuotendo la testa. Veramente troppi.
La mia felicità si dissolse e si trasformò in un senso di lutto profondo per le venti persone che avevano perso la vita. 
Come facevamo a considerarla una vittoria?
"Newt..." bisbigliai toccando il braccio del ragazzo ancora steso a terra.
Lui spalancó gli occhi di colpo e mi fissó per qualche istante, poi si tiró a sedere velocemente.
"Stai bene?" chiese con aria preoccupata, squadrando le mie ferite.
"Sì... Sto bene." risposi cercando di coprire il sangue che continuava a sgorgare dal taglio profondo sull'addome.
"Caspio, Eli. Ma ti sei vista? Sei ferita e stai perdendo sangue. Molto sangue. E mi dici di stare bene?" 
"Non sono l'unica... C'é chi sta peggio di me. Tu stai bene?" chiesi preoccupata.
Lui scosse la testa e si alzó in piedi. "Dovresti pensare un po' di piú a te stessa a volte. Anteporre il bene degli altri al proprio a volte va bene. Ma se continui così ti farai male." spiegó zoppicando per mantenere un equilibrio sulle gambe.
"Andiamocene di qui." sentenzió alla fine Newt. "Ora. Non sono di certo un Medicale, ma se lei continua a sanguinare così, non credo andrà molto lontano."
"Dove andiamo?" domandò Minho. Thomas indicò la lunga galleria che si perdeva nel buio. "Ho sentito il rumore di una porta che si apriva, da quella parte."
Cercai di scacciare in qualche modo tutto quel dolore: l'orrore della battaglia che avevamo appena vinto. Le vittime. Cacciai via tutto, sapendo che non eravamo ancora affatto al sicuro.
"Bene così... Andiamo." rispose Minho. Il ragazzo più grande si voltò e prese a camminare lungo la galleria, senza aspettare la risposta degli altri. Newt annuì, incitando gli altri Radurai a seguire Minho, poi si voltó verso di me e mi porse la mano.
La afferrai senza esitare e ritrovai la stabilità che avevo perso.
Ci incamminammo uno alla volta, finché io e Newt non rimanemmo soli con Thomas.
"Vado io per ultimo." disse Thomas. Lanciai uno sguardo a Newt e lui mantenne lo sguardo dritto davanti a sé, quasi ignorandomi.
Si stava comportando in modo molto strano, come se fosse arrabbiato con me.
Feci per aprire bocca e chiedergli cosa stesse succedendo, ma lui molló la mia mano e se ne andó verso la porta.
Lanciai uno sguardo interrogativo a Thomas, sperando che almeno lui avesse una spiegazione al suo comportamento strano.
Lui fece spallucce, segno che ne sapeva addirittura meno di me, poi mi fece cenno di entrare nella galleria buia.
Addirittura le torce sembravano essere inghiottite da tutta quella oscurità. 
Sentii i passi dietro di me e capii che Thomas mi aveva seguita senza indugiare.
Mi sforzai di non andare nel panico e seguire le piccole luci provenienti dalle torce che i ragazzi davanti a me stringevano con mano salda.
Non mi ero mai accorta di avere così paura del buio.
Forse perché c'era sempre stato Newt vicino a me, ma in quel momento lo avevo perso nelle ombre, e non solo fisicamente.
Dopo circa un minuto di cammino, udii un grido provenire dall'inizio della fila. Poi un altro e un altro ancora. Le grida svanivano, come se chi le aveva emesse stesse cadendo o venisse risucchiato...
I Radurai in fila presero a mormorare e quando finalmente capii ció che stavano dicendo, mi voltai verso Thomas. 
"Sembra che lassù si vada a finire in uno scivolo che scende giù in picchiata." spiegai.
Forse erano solo mormorii inventati per farci uno scherzo.
Dopo tutto quello che ci hanno fatto, vogliono farci uscire con uno scivolo come se fosse stato tutto un grande e divertente gioco?
Mi sentii rivoltare lo stomaco.
Come potevano essere così senza cuore?
Una alla volta, sentii svanire le grida dei Radurai più avanti nella fila. 
Poi arrivó anche il nostro turno.
Newt si lasció scivolare, emettendo solo un gemito per la sorpresa.
Io procedetti a tentoni nel buio, poi sentii il pavimento mancare sotto i miei piedi e scivolai a terra.
Il mio corpo sfrecciò per una ripida discesa, resa scivolosa da una sostanza oleosa dall'odore sgradevole, simile a quello della plastica bruciata e dei macchinari surriscaldati. 
Mi contorsi fino a riuscire a mettere davanti i piedi, poi provai a tendere le mani per costringere il mio corpo a rallentare. 
Ma fu tutto inutile: la sostanza unta copriva ogni centimetro della pietra e non ci si poteva aggrappare a nulla.
Le grida degli altri Radurai riecheggiarono rimbalzando sulle pareti della galleria mentre scivolavamo giù per lo scivolo unto. 
Mi unii anche io alle grida generali quando il tunnel cominció a curvare.
Sentivo il mio corpo andare a sbattere dovunque, procurandomi delle fitte alle ferite.
Gli odori cambiarono, trasformandosi in qualcosa di simile alla rugiada e alle foglie marce. 
Cominciai ad avere dei conati e dovetti sforzarmi al massimo per non vomitarmi addosso.
Stavo quasi rallentando a causa delle continue curve, quando ricevetti i piedi di Thomas in testa, che funsero da spinta.
Sperai con tutto il cuore che lo scivolo finisse al piú presto, perché mi iniziava a rimanere veramente difficile trattenere i conati.
Il tempo parve dilatarsi all'infinito. Continuammo a scendere in cerchio lungo il tubo. 
La nausea mi bruciava nello stomaco per la sensazione viscida di quel materiale viscoso sul corpo, l'odore, il moto circolare. 
Stavo proprio per voltarmi di fianco a vomitare quando Newt gridò forte. Questa volta non ci fu alcun eco. 
Un istante dopo, volai fuori dal tunnel e gli caddi addosso.
C'erano corpi che annaspavano dappertutto, persone finite l'una addosso all'altra che si lamentavano e si dimenavano confuse, cercando di allontanarsi dagli altri. 
Io battei le braccia e le gambe per non rimanere addosso a Newt, poi strisciai di qualche metro più in là e vomitai tutto ciò che avevo nello stomaco.
Ancora tremante, mi pulii la bocca con la mano, solo quando ormai era troppo tardi mi accorsi che era tutta insozzata di quel muco disgustoso. 
Mi misi a sedere, strofinando a terra entrambe le mani. Quando furono abbastanza pulite mi asciugai la bocca.
Alzai lo sguardo e finalmente riuscii a vedere bene il luogo in cui eravamo arrivati. 
Mentre osservavo, a bocca aperta, vidi anche che tutti gli altri si erano rialzati e riuniti in gruppo. 
Stavano tutti guardando il nuovo ambiente che li circondava.
Ci trovavamo in un'enorme stanza sotterranea, abbastanza grande da contenere nove o dieci Casolari. Dal basso in alto e da un'estremità all'altra, la stanza era coperta di ogni sorta di macchinari, fili, tubi e computer.
Da un lato della stanza, alla mia destra, c'era una fila di circa quaranta grandi capsule bianche che sembravano enormi bare. Dalla parte opposta c'erano delle grandi porte di vetro, anche se l'illuminazione presente non consentiva di vedere cosa ci fosse oltre.
"Guardate!" gridò qualcuno.
Mi alzai in piedi e il respiro mi si bloccó in gola. 
Mi venne la pelle d'oca dappertutto e un terrore strisciante mi scese lungo la spina dorsale, come un ragno bagnato.
Direttamente di fronte a noi, c'era una fila di circa venti finestre dai vetri scuri, allineate una di seguito all'altra per tutta la lunghezza della struttura. Dietro a ciascuna finestra c'era una persona – uomini e donne, tutti magri e pallidi – seduta ad osservarci.
Anzi, a fissarci a palpebre strette. Rabbrividii, terrorizzata. 
Sembravano fantasmi. Visioni rabbiose, affamate e lugubri di persone che non erano mai state felici da vive e che lo erano molto meno da morte.
Ma sapevo che ovviamente non si trattava di fantasmi. 
Erano le persone che ci avevano mandati tutti nella Radura. 
Le persone che ci avevano strappati alle nostre vite.
I Creatori.  
Feci un passo all'indietro e mi accorsi che gli altri Radurai stavano facendo lo stesso.
Un silenzio mortale parve privare l'aria di ogni traccia di vita. Ciascun Raduraio stava fissando la fila di finestre, la fila di osservatori. 
Osservai meglio e vidi che uno di loro abbassò lo sguardo per scrivere qualcosa, un altro tese il braccio e si infilò un paio di occhiali. 
Mi accorsi che tutti indossavano soprabiti neri sopra le camicie bianche e avevano una parola cucita sul petto, a destra, ma per quanto mi sforzassi non riuscii a leggere bene cosa dicesse.
Nessuno di loro aveva un'espressione facciale leggibile: erano tutti bianchicci e sparuti. 
A guardarli facevano quasi tristezza.
Ma non provavo pena per loro. Non la meritavano. Neanche compassione o comprensione.
Avevano rovinato le nostre vite ed era giunto il momento di ripagarli per questo.
Loro continuarono a fissarci.
Nessuno mosse un muscolo.
Solo un uomo scosse la testa, una donna annuì e un altro uomo sollevò una mano per grattarsi il naso.
Quelli furono i gesti più umani che li vidi fare.
"Chi è quella gente?" bisbigliò Chuck, ma la sua voce echeggiò stridula per tutta la stanza.
"I Creatori." disse Minho. Poi sputò per terra. "Vi spacco la faccia!" gridò tanto forte che fui lì per coprirmi le orecchie con le mani.
"Che facciamo?" domandai avvicinandomi a Newt. "Che stanno aspettando?"
"Probabilmente hanno riattivato i Dolenti." disse Newt senza far trapelare nessuna emozione. "Può darsi che stiano arrivando proprio..."
Fu interrotto da un suono forte, acuto, come la sirena di un enorme camion che si avvicinava in retromarcia, ma molto più intenso. 
Arrivava da ogni direzione, rimbombando e riecheggiando per tutta la stanza.
"E adesso?" chiese Chuck, senza nascondere la preoccupazione. 
Mi voltai verso Thomas, sperando che almeno lui sapesse cosa stava succedendo.
I miei ricordi non erano completi e in quell'istante si rivelarono inutili.
Tutti avevamo ormai lo sguardo fisso su Thomas, che per tutta risposta si strinse nelle spalle.
Per la prima volta lo vidi spaventato. Lui allungò il collo e osservò il luogo che ci circondava, esaminandolo da cima a fondo in cerca della fonte delle sirene. 
Tuttavia, non era cambiato nulla. 
Con la coda dell'occhio, mi accorsi che gli altri Radurai avevano rivolto lo sguardo in direzione delle porte. 
Lo feci anche io, appena in tempo per vederle aprirsi. 
Il mio cuore prese a battere più forte. La sirena smise di suonare e sulla stanza calò un silenzio profondo. Rimasi in attesa, col fiato sospeso, pronta a vedere qualcosa di orrendo volarci addosso dalla soglia.
Invece entrarono due persone.
Una era una donna. Un'adulta vera e propria. Sembrava una persona molto ordinaria. Indossava pantaloni neri e una camicia bianca abbottonata con un logo sul seno: la parola W.I C.K.E.D. scritta a lettere maiuscole blu. 
I capelli castani le arrivavano alle spalle e aveva un viso sottile, con gli occhi scuri. 
Si avvicinò a noi senza sorridere né accigliarsi. 
Sembrava quasi che non si fosse accorta del fatto che fossimo lì, o che non gliene importasse niente.
Ebbi una sensazione familiare, come se avessi già incontrato quella persona.
Ma si trattava di una sensazione fumosa.
Non riuscivo a ricordare il suo nome o cosa avesse a che fare col Labirinto. Tuttavia, mi sembrava familiare.
La donna si fermò a una certa distanza dai noi e, lentamente, ci osservò tutti, da sinistra a destra.
L'altra persona, che stava accanto a lei, era invece un ragazzo con addosso una felpa troppo larga, col cappuccio calato sulla testa in modo da nascondergli il viso.
Per un attimo ebbi la stessa medesima sensazione anche con lui.
Il suo modo di camminare, la sua postura ricurva, i muscoli delle braccia tesi. Persino il modo in cui il suo petto si alzava e abbassava, facendo sentire il suo respiro pesante. "Bentornati." disse infine la donna. "Tanti anni e così pochi morti. Straordinario." 
Sentii la bocca aprirsi e il viso infiammarsi per la rabbia.
Per un attimo smisi di accigliarmi a capire chi fosse quel ragazzo e mi concentrai sulla donna.
"Prego?" disse Newt. 
Gli occhi della donna passarono di nuovo in rassegna la folla prima di fermarsi su Newt. 
Mi avvicinai di più a lui, quasi temendo che la donna potesse fargli qualcosa.
"Tutto è andato secondo i piani, signor Newton. Anche se ci aspettavamo di veder cedere qualcuno di più lungo la strada." Lanciò un'occhiata al ragazzo alla sua sinistra, poi tese la mano e gli tolse il cappuccio. 
Anche prima che lui alzasse lo sguardo, capii di chi si trattava. 
Aveva gli occhi bagnati di lacrime, tuttavia il viso rimase impassibile, come se una macchina si fosse impossessata di lui.
Tutti i Radurai presenti emisero un gemito di sorpresa. 
Io mi sentii tremare le ginocchia.
Cosa stava succedendo? 
Perché lui era lì?
"Gally?" mormorai ancora scioccata.
Sbattei le palpebre, poi mi strofinai gli occhi.
Il ragazzo passó lo sguardo tra la folla, poi i suoi occhi si incatenarono ai miei.
Vidi le sue labbra contorcersi, come per dire qualcosa, ma senza riuscirci.
Per una frazione di secondo, vidi i suoi occhi ritornare quelli che ricordavo.
Ritornare delle mappe indecifrabili, al posto di due semplici bulbi oculari vuoti.
"Dovete... Andarvene..." sbiascicó, come se ogni parola fosse una fatica tremenda. La sua testa inizió a tremare, come sotto azione di una scarica elettrica.
"Loro... Mi... Controllano..." spiegó prima di ritornare a sembrare una macchina impassibile.
"Che ci fa lui, qui?" gridò Minho.
"Adesso siete al sicuro." rispose la donna, come se non lo avesse sentito. "Vi prego di stare tranquilli."
"Tranquilli?" latrò Minho. "E chi sei tu per dirci di stare tranquilli? Vogliamo vedere la polizia,il sindaco, il presidente... qualcuno!"
Tutte le parole che vennero dopo, non sfiorarono neanche le mie orecchie.
C'era qualcosa che non andava in Gally.
Era come se non fosse propriamente lui stesso.
Come se... Lo stessero controllando.
Caddi dai miei pensieri quando vidi Gally contrarre la mascella, segno che si stava infuriando. 
Feci un passo in avanti, decisa a raggiungerlo e a prendere a pugni quella donna odiosa, se necessario.
Newt mi bloccó il polso e mi trascinó verso di sé, dicendomi di non fare cose stupide.
La voce della donna rieccheggió ancora una volta nell'aria.
"Un giorno ci sarete tutti grati per ciò che vi abbiamo fatto. Posso solo promettervelo e confidare che le vostre menti lo accettino. Se non lo fate, allora tutta questa faccenda sarà stata un errore. Tempi bui, signor Newton. Tempi bui." Fece una pausa. "Ovviamente c'è un'ultima Variabile." Fece un passo indietro, ma io continuai a tenere lo sguardo fisso su Gally. 
Tutto il corpo del ragazzo stava tremando, il viso di un pallore scialbo che faceva risaltare gli occhi umidi e rossi come macchie di sangue sulla carta.  
Poi si calmò, col viso più disteso e il corpo che si rilassava. 
Gally portò un braccio dietro di sé ed estrasse dalla tasca posteriore qualcosa di lungo e luccicante. Le luci della stanza si rifletterono sulla superficie argentea di un pugnale dall'aria minacciosa che il ragazzo, ora, stringeva forte tra le dita.
Non riuscii a formulare un pensiero o ad agire, che il ragazzo, con velocità inaspettata, fece un passo di rincorsa e scagliò il coltello in direzione di Thomas.

   
 
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