Premessa:
Temo che, come mio
solito, finirò per fare un commento autore equivalente a circa il doppio della
storia stessa. Ma visto che ho comunque alcune cose da dire, temo dovrete
rassegnarvi ^^”. Questo racconto era
nato come il primo di una serie di mini storie, ognuna composta da 4 capitoli,
che dovevano poi formare una raccolta. Tuttavia, essendo la raccolta una round
roubin, ed essendo stata annullata, questa fic è rimasta sepolta nella mia
pennetta. E’ la mia prima storia su death note ed è la mia prima storia su L,
il che non semplifica le cose. Come se ciò non bastasse, è la prima long-fic
che scrivo (e porto a termine
-___-‘’’’). Non ne sono per niente soddisfatta. Ma mi ci sono impegnata,
ed è per questo che vi sto ammorbando con questo infinita premessa. Insomma,
per chiarire le idee, vi ho avvisato su effetti collaterali che la lettura
potrebbe causare e, nonostante tutto, vi sto invitando a leggere questa
mini-storia e a commentare, sommergermi di critiche fino a soffocarmi e darmi,
magari, qualche consiglio. Ho cercato di fare il personaggio di L (che qui ha
10-11 anni, pressappoco) più IC possibile, ma dubito di avercela fatta, quindi
ho inserito la nota OOC. Per finire, il
titolo è un po’ strano, ma leggendo penso che sarà più chiaro.
Beh, non mi
resta che dirvi, leggete e commentate ^_-
Pitagora
-capitolo
1-
Lui
era strano.
Per quanto ogni suo comportamento risultasse
normale e perfettamente logico ai suoi occhi, si rendeva conto che, confrontato
agli “altri” (quell’insieme di gesti e pensieri metodici), molti suoi aspetti
potevano risultare bizzarri. Forse per questo motivo nessuno della WAMMY’S
HOUSE sembrava nutrire un particolare interesse nel rivolgergli la parola.
L,
così si faceva chiamare, d’altronde non faceva il minimo sforzo affinché ciò
accadesse…. per tutti era uno scambio equivalente: indifferenza reciproca.
Eppure,
nonostante nessuno se ne rendesse conto, non era affatto così. Se solo qualcuno
avesse prestato maggiore attenzione alla sua figura rannicchiata in posizione
quasi fetale in un angolo del cortile, avrebbe certamente notato due occhi
curiosi, due gemme di carbone sfuggire da un angolo all’altro del giardino e
rilasciare sorrisi appena accennati, intrappolati fra due labbra sottili e
un’unghia torturata.
La
verità era che ad L non interessava far parte del mondo, ma solo osservarlo.
Si
ricordava ancora quando, appena qualche anno prima, durante una lezione di
filosofia, il suo professore accennò ad un aneddoto alquanto interessante: un
giorno, un uomo chiese a Pitagora cosa facesse nella vita ed egli rispose
dicendo di essere un filosofo.
L’altro,
allora, domandò cosa facesse di preciso un filosofo, e Pitagora rispose:
“Quando c’è un banchetto in città, c’è chi vi si reca per mangiare, chi per
divertirsi e chi per fare affari. Ed infine c’è colui che va soltanto per
osservare l’umanità nel suo pieno svolgimento: ecco, quello è un filosofo”.
Quella
storia, suo malgrado, l’aveva colpito profondamente. Per quanto non si ritenesse
affatto un filosofo, trovava dilettevole e sorprendente osservare “come si
svolge l’umanità”.
Le evoluzioni della mente umana, celate sotto
anche solo il leggero fremere delle membra, avevano qualcosa d’incredibile,
inquietante a livello umano eppure estremamente interessante.
Da
allora, rubare un attimo al tempo per sbirciare fugacemente i pensieri e i
comportamenti altrui era diventato più di un gioco, quasi una droga di cui non
poter fare a meno.
Spesso,
L si ritrovava steso sulla branda della sua camera a testa in giù, preso
nell’osservazione di ogni minimo oggetto, dettaglio che la sua vista, così come
il suo cervello potevano percepire. E così scopriva che il mondo altro non era
che un insieme di tanti piccoli universi analizzabili e nascosti anche
nell’angolo più remoto del cassetto.
Eppure
quel giorno tutto era diverso: quella mattina, quando si era svegliato, aveva
sentito un’apatia invaderlo totalmente e tutto attorno a lui aveva assunto una
patina scontata, ripetitiva….già vista. Era
come se avesse scoperto e smembrato ogni singolo mondo che gli si era
presentato davanti, tanto da essere rimasto nel vuoto più assoluto,
intrappolato nella metodicità e nell’ inutilità di qualcosa visto già troppe
volte.
Se
solo non avesse avuto quella fetta di torta al cioccolato con glassa alla
fragola, si sarebbe chiesto a che scopo alzarsi la mattina.
Il
resto della giornata fu, se possibile, ancora peggio: il cortile, che sempre
aveva costituito il suo punto di osservazione preferito, era diventato una
sorta di gabbia.
Forse
fu proprio questa sensazione opprimente a spingerlo a tirarsi su e dirigersi
con falcate lente e studiate (eppure fluide) fino alla cucina. Aveva bisogno di
un bel gelato….magari al cioccolato, pistacchio e fragola. Oppure si sarebbe
accontentato di qualche biscotto alle mandorle.
Ma
proprio mentre stava riflettendo sulla bontà dei dolci, torturandosi amenamente
il pollice, si ritrovò incuriosito da delle risatine sommesse provenienti dalla
cucina.
Era
piuttosto strano visto che, in teoria, non era permesso a nessuno di recarsi lì
a quell’ora. Poggiandosi con le punte delle dita contro lo stipite della porta,
cominciò a sbirciare all’interno: la cuoca, essere per cui L provava un certa
ostilità, stava seduta di fronte al tavolo con una tazza di thè fumante e
rideva.
Davanti a lei, c’era un’altra donna, che aveva
circa la stessa età. Ridacchiava anche quella, quasi di gusto mentre girava il
cucchiaino nella tazzina e, con la mano destra, si allungava per prendere uno
dei tanti dolcetti adagiati su un vassoio di pasticceria. Era certamente un
incontro fra amiche…..ed L si ritrovò decisamente interessato a quella scena.
Non
che non avesse mai visto due persone andare d’accordo. Solo che lo scenario,
l’atmosfera che gli si presentava davanti agli occhi aveva un che di singolare:
stando nel cortile, era sempre stato abituato a vedere l’amicizia come un
passaggio di pallone o lo sbraitare di qualche ragazzino per cose futili, tanto
da giungere alla conclusione che quel sentimento che in molteplici occasioni
veniva osannato da tutti, altro non era che uno scarno scambio di favori fra
due persone.
Estremamente
infantile, tra l’altro.
Eppure,
in quel semplice istante, si era ritrovato a rivalutarlo.
Quell’intesa
complice e quella genuina gioia derivante da una risata insensata (che si
protraeva ormai da qualche minuto), erano davvero interessanti….nonchè
piacevoli. Si sentiva quasi partecipe del tutto. Senza contare che non riusciva
a comprendere a pieno quella contentezza e quello strano calore che ne
derivava. Sembrava illogico e costituiva, quindi, una piacevole sfida per lui.
Finalmente,
aveva trovato un piccolo universo ancora sconosciuto.