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Autore: Laura Sparrow    13/02/2016    3 recensioni
Quinto capitolo della saga di Caribbean Tales. - La Perla è perduta. Jack è perduto. Una tempesta separa Laura Evans dalla sua ciurma e dal suo capitano, per gettarla sola su coste sconosciute. Devono ritrovarsi, mentre il pericolo incombe sottoforma di uno spietato cacciatore di pirati incaricato di trovare proprio loro...
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Will Turner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12



Sotto un tramonto che tingeva il cielo di viola e arancio, l'Isola dei Relitti appariva come una massa scura e compatta: le interminabili scogliere erano la muraglia che la proteggeva, e i picchi scoscesi le sue torri di guardia.
Non c'era un faro né alcun segno di vita, e con l'oscurità crescente cominciai a temere sempre di più per lo scafo delle nostre navi che si avvicinavano sempre più alle falesie rocciose. Tuttavia, Jack non era mai sembrato così sicuro della nostra destinazione come in quel momento. Fece avvicinare le navi fino a che fu possibile, poi diede tutto ad un tratto l'ordine di mettersi alla fonda e spedì Michael in coffa per mandare segnalazioni al profilo deserto di un'isola sempre più buia e assolutamente silenziosa.
Sostammo per quasi un'ora con le vele ammainate e l'intero equipaggio in trepida attesa. Gli sfollati di Isla Muelle erano saliti sul ponte di comando per prendere un po' d'aria finché gli era concesso, e l'insolita immobilità delle navi contribuiva solo a far crescere la loro agitazione. Lo sciabordio del mare si mescolò presto al mormorio delle loro voci sempre più intense e preoccupate, a cui si unì presto anche il pianto dei bambini più piccoli, per quanto le madri li tenessero tra le braccia e li cullassero mentre lanciavano sguardi sospettosi all'isola di fronte a noi.
Stavo per perdere la pazienza e dare l'ordine che almeno i bambini fossero riportati sottocoperta, quando un grido di Michael richiamò l'attenzione di tutti.
- Faro!-
Una luce baluginò sulla cima della scogliera, così rapida che la si sarebbe potuta prendere per un'allucinazione o un lampo lontano. Invece prese a ripetersi ad intermittenza: una fiaccola che veniva oscurata e poi rivelata per mandare un segnale.
La luce delle lampade che rischiaravano il ponte brillò a sua volta sul sorriso soddisfatto di Jack.
- Ci concedono di passare. -

*

Scheletri di navi.
Anche quando avevo sentito gli altri menzionare la Baia dei Relitti e il Palazzo dei Relitti non ero riuscita ad immaginare che cosa quei nomi significassero realmente. Ora ce lo avevo davanti agli occhi.
Mille lanterne illuminarono il buio appena la Perla ebbe oltrepassato lo stretto passaggio nella scogliera che ci condusse all'interno della baia. Nel centro della conca, una sagoma enorme emergeva dall'acqua e si innalzava fin quasi alla stessa altezza delle pareti naturali che la circondavano. Era una città: era la città, ma sarebbe stato difficile affermare a colpo sicuro se ci fosse della terraferma a sostenerne le fondamenta, o se fosse semplicemente emersa dal mare. Centinaia di piccole luci tremolavano, ma non erano finestre di case quelle che vedevo: erano boccaporti e lampade da segnalazione. Alcune navi erano già ormeggiate attorno alle banchine che si protendevano sull'acqua, ma era difficile distinguerle dalle altre navi che andavano a costituire il corpo della città. Relitti. Più di quanti ne avessi mai visti tutti insieme. Navi smantellate per metà, ponti che erano diventati la banchina del porto, scheletri di chiglie trasformati in palizzate, e poi relitti sempre più integri diventavano case ed edifici, così grandi che mi ritrovai a chiedermi come diavolo fosse stato possibile trasportarli. Le costruzioni di relitti svettavano in due... torri principali, anche se sarebbe stato più accurato definirli “cumuli”. La più alta delle due doveva essere senza dubbio il palazzo, la cui architettura era un'ulteriore sfida all'incredulità: gli scheletri delle navi si ergevano l'uno sopra l'altro in un mosaico di scafi e chiglie inchiodate e fissate insieme, le prue decorate di decine di polene che si protendevano avanti come i mille musi di un banco di pesci.
Riuscii a malapena a distogliere gli occhi da quello spettacolo mentre la Perla Nera e la Sputafuoco ormeggiavano nel porto, sotto l'ombra dei vascelli trasformati in torri che ci fissavano da lassù. Le stavo ancora osservando quando scesi sulla banchina. Erano i primi passi che muovevo sulla terraferma da giorni, e in verità non sapevo neppure se potevo considerare “terraferma” il porto che avevamo appena raggiunto.
La maggior parte della ciurma e i nostri passeggeri rimasero a bordo, ma Sylvie Hawk scese a terra con noi mentre sulla banchina ci radunavamo insieme a William, Elizabeth e capitan Barbossa per decidere il da farsi. Anche lei voleva sapere che cosa ne sarebbe stato della sua gente, ora che eravamo giunti a destinazione.
Jack e capitan Barbossa parlottarono per un po', scostandosi da noi altri, anche se dalle parole che colsi di sfuggita mi parve di capire che stessero discutendo riguardo il recarsi subito al Palazzo. Lo vidi fare cenno nella mia direzione un paio di volte con aria più che convinta. Qualcosa mi diceva che, qualunque cosa avesse intenzione di fare, eravamo previsti noi due, ma probabilmente non gli altri.
Intanto che sulla banchina si discuteva, mi accorsi di miss Hawk che se ne stava in disparte in silenzio, le braccia incrociate, le sopracciglia aggrottate sugli occhi che scrutavano quel posto dalla struttura impensabile che sorgeva proprio di fronte a noi. Dalle sue labbra arricciate non uscì una parola, eppure bastò un guizzo del suo sguardo per farmi capire che cosa si stesse chiedendo. Non le importava dove li avessimo portati, purché fossimo in grado di tenerli al sicuro come avevamo promesso.
Mi accostai a lei.
- Tutto bene, miss Hawk?-
Lei si riscosse dalla sua contemplazione e mi guardò.
- Siamo a terra. Ti dirò, mi rincuora parecchio l'idea di non dover più svuotare bacinelle piene di vomito. - sbuffò dal naso una sorta di risata, poi si fece più seria e strinse gli occhi. - Spero che i vostri Pirati Nobili possano proteggere la mia gente. -
- Lo faranno. - replicai. - E se non ci penseranno loro, lo farò io. -
Sylvie emise un'altra risatina sbuffante e abbassò la voce, curandosi anche di dare le spalle al resto della compagnia.
- Cos'è che farai? Non credo che tu sia nelle condizioni di combattere per nessuno, signorina, e forse faresti meglio a ricordartelo. -
- Lo so. - sibilai l'ultima parola, poi mi morsi le labbra. Per qualche momento fissai i miei stivali, quindi rialzai lo sguardo per incrociare quello di miss Hawk. - Sylvie, quando avremo un minuto libero, vorrei farvi qualche domanda. Credo di aver bisogno della vostra... consulenza. Per questioni di... natura fisica. -
Lei mi fissò negli occhi per un lungo momento e, anche se io feci attenzione a non spostare lo sguardo, fu lei a lanciare un'occhiata inequivocabile in direzione di Jack, che ora aveva finito il suo colloquio con Barbossa e stava avanzando verso di noi. La donna non rise, ma le si arricciarono gli angoli della bocca.
- Appena io e la mia gente saremo sistemati, vieni da me. Questa sera, direi, senza nessuno dei miei ragazzi tra i piedi a ficcanasare. Sì, credo che vi sarà utile una bella chiacchierata, miss Sparrow. -

*

Un gigantesco lampadario dominava la sala, o almeno, a prima vista lo presi per un lampadario. La cera giallastra di innumerevoli candele, fuse l'una all'altra come una massa di alghe e crostacei, aveva ricoperto interamente la struttura in ferro di una colossale ancora appesa al soffitto con delle catene.
Sembrava che nessuno si fosse dato la pena di rinfocolare le fiamme di quelle candele da molto tempo. Grosse lacrime di cera solidificata pendevano come stalattiti, senza che il calore le portasse a spezzarsi e gocciolare in una pioggia bianca sopra la lunga tavola ovale in legno massiccio sottostante.
Jack procedette a passo deciso verso il centro della sala arroccata come un nido d'aquila in cima alla struttura contorta del Palazzo dei Relitti. Si guardò attorno, poi scostò una delle sedie a capotavola e me la indicò.
Mi sedetti, mentre non smettevo di osservare ogni dettaglio di quel luogo. Perfino il sedile su cui mi accomodai era maestoso: mogano lucido decorato a spirali e intarsi. Tutte le sedie radunate attorno al tavolo erano intagliate in modo sfarzoso, ma non ce n'era una uguale all'altra, come se facessero parte di un bottino variegato che poi era stato distribuito alla rinfusa per arredare quello strano palazzo.
La sala terminava con l'arco di una chiglia: le travi che sostenevano il soffitto simili alle costole immense di una balena. Vi erano dei piccoli barili impilati ordinatamente contro la parete, molte casse e forzieri accatastati alla rinfusa, e perfino un alto sedile intagliato che si ergeva al di sopra di tutto quel vecchiume come un vero e proprio trono. Su di una piccola cassa languivano i resti di altre candele consumate, mentre, appoggiata al bracciolo del trono vuoto, faceva capolino il manico di una chitarra.
Jack mi posò una mano sulla spalla. - Aspettami qui. -
D'istinto misi la mano sulla sua per trattenerlo.
- Dove vai?-
- In avanscoperta, per essere precisi. - un sorrisetto leggero si dipinse sulle sue labbra, e notai un brillio divertito nei suoi occhi. - Voglio presentarti qualcuno. -
Mi diede una stretta affettuosa alla spalla, poi mi lasciò andare e si diresse all'altro capo della sala, dove un arco si apriva su un altro locale più ampio che non riuscivo a vedere interamente. Scomparve poco dopo, lasciando solo il rumore dei suoi passi che si allontanavano, ma confidai che almeno lui dovesse sapere come ci si muoveva lì dentro.
Rimasi in ascolto finché non persi completamente il suono dei suoi piedi sul pavimento. Allora rivolsi la mia attenzione al tavolo, sfiorandone la superficie con le dita. Il legno era sporco di cera e segnato da un intricatissimo mosaico di ammaccature, solchi, tagli e impronte di non meglio specificata natura. Stavo facendo scorrere i polpastrelli sopra alcune tacche regolari lungo il bordo del tavolo -che pareva proprio fossero state fatte con i denti- quando fui distratta da un tintinnio metallico e da un deciso suono raspante alle mie spalle.
Mi voltai.
Il raspare era quello di quattro zampe pelose sul pavimento, e il tintinnio era dovuto ad un mazzo di chiavi appeso al collare di un grosso cane irsuto dal pelo color caramello che fece il suo ingresso da uno dei corridoi, scodinzolando come un matto.
- Ehi!-
Dapprima sussultai, poi vidi che il cane cominciava ad annusare tutt'intorno e a girovagare nei pressi della mia sedia, senza smettere di agitare la coda. Alzò il muso verso di me, fissandomi con i grandi e miti occhi neri.
Mi alzai e andai a grattargli la testa, affondando le mani nel pelo ruvido.
- Bravo, bravo ragazzo. Tu da dove spunti fuori?-
Il cane rispose con una musata e poi continuò con la sua entusiastica esplorazione del pavimento, colpendomi un paio di volte con la coda scodinzolante mentre mi passava accanto. Le chiavi che portava attaccate al collare strusciarono sul legno. Sembrava che all'animale non desse fastidio avere quel costante scampanio metallico nelle orecchie.
Invece, nel frattempo, il tintinnio era bastato a coprire il rumore dei passi discreti di qualcun altro.
Avevo appena distolto l'attenzione dal cane, quando mi colpì come una mazzata la certezza di non essere sola nella stanza, e dovetti trattenermi per non voltarmi con un balzo in direzione del corridoio da cui era arrivato l'animale. Riuscii a girarmi con relativa calma e, soprattutto, a non cacciare un'imprecazione per lo stupore nel momento in cui mi trovai faccia a faccia con la figura che ora si stagliava contro il corridoio come se fosse appena spuntata fuori dal nulla.
Era un uomo. Non era alto, ma bisognava essere ciechi per non vederlo.
Era avvolto in una logora marsina rossa con alamari dorati, così lunga che l'orlo spazzava il pavimento, cosa accentuata dalla sua andatura lenta e strascicata. Aveva una pistola infilata nella fusciacca, e un cinturone che gli passava sopra la spalla, alla maniera dei pirati. Il suo volto era sovrastato da un colossale cappello a tesa larga decorato con penne di fagiano, e per qualche momento fui distratta da quello prima di riuscire a concentrarmi sulla sua faccia.
Di colpo ne ebbi un'impressione stranissima, come se quell'uomo mi fosse familiare senza che lo conoscessi affatto. Sulle spalle gli ricadeva una criniera di capelli lunghissimi acconciati in trecce ispide, proprio come quelli di Jack. Esattamente come quelli di Jack. Solo che quell'uomo non vi portava infilati ciondoli e perline di legno, ma alcune vistose croci d'argento che di tanto in tanto vedevo fare capolino tra la massa dei capelli ingrigiti.
Il suo volto...
I suoi tratti ricordavano una maschera di terracotta che si stesse sfaldando irrimediabilmente. Le rughe profonde segnavano un viso cotto dal sole e dalla salsedine, e un naso aquilino sporgeva al di sopra di un paio di labbra a malapena distinguibili in mezzo al nido della barba scura.
Mi stava fissando, sebbene la tesa del suo cappello arrivasse fin quasi a coprirgli gli occhi. Fu lui ad avere per primo l'accortezza di gettare lentamente indietro il capo per squadrarmi meglio, e allora anche io riuscii a ricambiare lo sguardo.
Le palpebre cadenti, pitturate di nero, sovrastavano un paio di occhi color nocciola che ancora una volta non avrebbero dovuto sembrarmi così familiari, eppure li erano.
- Salve. - mi disse, inarcando un sopracciglio cespuglioso. Lì sembrò finire tutta la sua sorpresa, perché ritornò sui suoi passi e, senza fretta, si incamminò fino in fondo alla sala dove prima avevo visto la sedia che assomigliava ad un trono, e i forzieri che la circondavano.
- Salve. - risposi, con più di un attimo di ritardo.
- A cuccia, tu. - riprese stancamente il cane quando questi gli si accostò per annusarlo.
A passi pesanti raggiunse il sedile, vi si accomodò e tirò un lungo sbuffo di sollievo quando sollevò i piedi per appoggiarli sopra la cassa più vicina. Indossava un paio di stivalacci neri, logori e consunti quanto il resto del suo abbigliamento.
- Per favore, sedetevi. - Fece un cenno con la mano rugosa che quasi spariva sotto l'imponenza della manica rossa e della cascata di consumato pizzo bianco. La sua voce era bassa e roca, ma riusciva ad avere comunque un che di morbido, tranquillo. Quasi ipnotica. Non potei fare altro che obbedire. - Che ci fate qui?-
Jack era sparito proprio nel momento più opportuno, e io potevo solo augurarmi di non fare qualcosa di stupido come inimicarmi il primo pirata che incontravo all'interno del Palazzo dei Relitti.
- Sono con la ciurma del capitano Sparrow, siamo sbarcati poco fa. - risposi, e le sopracciglia dell'uomo si inarcarono ancora una volta come a dirmi di continuare. Mi rilassai contro lo schienale della sedia. - Il capitano sarà qui a momenti, suppongo. Diceva di voler cercare qualcuno... ora ho il dubbio che si riferisse a voi. -
- Ma tu guarda. - un sorriso corrugò ancora di più il suo volto. - Bene, allora attenderemo il capitano Sparrow fino a quando non avrà trovato chi cerca, o fino a che non si darà per vinto e tornerà qui. Spero che non vi dispiaccia intrattenervi con me nel frattempo, non vorrei lasciare da sola una signora tra queste mura. -
Lo squadrai con più di una punta di ragionevole dubbio riguardo a che cosa intendesse per “intrattenersi”, tuttavia il vecchio rimase placidamente seduto sul suo trono senza che neanche un'occhiata storta o un sorriso lascivo sottolineassero altre intenzioni. Il cane tornò verso di lui trotterellando, e l'anziano pirata lo scacciò con una mano quando si avvicinò troppo alla chitarra di legno chiaro appoggiata contro il bracciolo del sedile.
- Ho detto a cuccia, tu! E stai lontano da quella. - si tolse il cappello, rivelando una bandana verde che gli fasciava la fronte, e lo appese su uno dei pomoli dello schienale prima di tornare a guardarmi. - Sono il capitano Teague. Voi siete?-
- Laura Sparrow. -
In un istante il sorriso divertito si cancellò dalla sua faccia, e una fiamma di autentico stupore lampeggiò in quegli occhi scuri, tanto che temetti di avere detto qualcosa di sbagliato. Aveva ancora la mano posata sul cappello che aveva appeso al pomolo, e si era bloccato a metà del movimento.
- Oh. - molto lentamente abbassò la mano, poi si puntellò sui braccioli e si alzò dalla sedia, guardandosi attorno come se cercasse qualcosa. - Come minimo dovrei offrirvi da bere, immagino. -
- Non... non è il caso, grazie ugualmente. - ora potevo sperare che accettasse un cortese rifiuto, o ritrovarmi a spiegare ad un anziano pirata incartapecorito tutti i motivi per cui il mio medico di bordo -nonché feroce migliore amica- non riteneva fosse saggio farmi bere alcolici nella mia condizione.
Per fortuna fummo interrotti dal latrare gioioso del cane, che annunciò la comparsa di Jack nel vano della porta da cui se ne era andato. Mi voltai per vedere il mio capitano affacciato sulla soglia, con le mani appoggiate contro il legno, mentre scrutava me e l'anziano pirata con un'espressione offesa dipinta in faccia.
- Ti dispiacerebbe davvero tanto farti trovare in casa, per una volta che ti cerco?- sbottò, rivolto a Teague.
Il pirata allargò le braccia.
- Sono in casa. - mormorò, e poi lasciò che un sorriso più largo corrugasse le sue guance cascanti. - Mi stai dicendo che non riesci neanche più ad orientarti? Molto male. Forse significa che dovresti passare per di qua più spesso. -
Jack aprì la bocca per replicare, e poi rinunciò. Non si spostò da dove stava, lanciando uno sguardo interrogativo nella mia direzione.
- E adesso, ragazzo, fammi la cortesia di aprire quella cassa e prendere un paio di bottiglie. Altrimenti come ti aspetti che rendiamo omaggio alla tua signora? Avete molte cose da raccontarmi, credo. -
Jack spalancò di nuovo la bocca per parlare, ma ancora una volta non ne uscì una parola. Invece una delle sue sopracciglia schizzò verso l'alto trasformando lo sguardo interrogativo in uno assolutamente sconcertato. Rinunciando del tutto a prendere la parola, si mosse automaticamente in direzione della cassa indicata dal capitano Teague, la aprì, e ne riemerse con una bottiglia per ogni mano.
Solerte, Teague gliele prese e, dopo aver agguantato uno dei grossi calici in argento appoggiati sul tavolo e avergli dato una pulita sommaria con la manica della camicia, vi versò un fiotto di vino color rubino fino a riempirlo per metà.
- Vi ringrazio ma non posso. - declinai a malincuore quando mi porse il calice.
Il capitano fece spallucce e inclinò la coppa per berne un sorso generoso, mentre alla sue spalle Jack faceva altrettanto senza distogliere gli occhi da lui.
- Ebbene. - fece, schioccando le labbra, quando sia lui che l'anziano pirata ebbero dato fondo al vino. - Mi pare di capire che abbiate fatto conoscenza, giusto?-
Mi accorsi che, per quanto Jack osservasse costantemente Teague come per non perderlo d'occhio, evitava con tutte le sue forze di incrociarne lo sguardo. Il pirata si appoggiò pesantemente con i pugni contro il tavolo, Jack invece rimase impalato al suo fianco, senza osare rilassarsi.
- Pressapoco. - precisai. Intanto cercavo invano di attirare l'attenzione di Jack e capire perché sembrasse così nervoso.
- Già. Il ragazzo ha mancato di fare le dovute presentazioni in modo che entrambi fossimo adeguatamente preparati a questo incontro, miss. - Teague ridacchiò e si tolse con uno svolazzo il grande cappello floscio, abbozzando un buffo inchino nella mia direzione. - Mi fregio di essere il custode del Codice e di questo posto, Pirata Nobile dei giorni che furono e... -
- Mio padre. - sbottò Jack, con l'impazienza che vibrava nella voce.
Teague si rimise lentamente il cappello, mentre gli scoccava un'occhiata di disapprovazione che solo in quel momento capii perché mi risultasse tanto familiare. Jack allargò le braccia. - La fai sempre tanto lunga, senza alcun motivo!-
Fu il mio turno di rimanere a bocca aperta e senza parole. Ma, appena Teague riportò l'attenzione su di me, tentai frettolosamente di rimediare e tutto quel che riuscii a balbettare fu: - È... Credetemi, è davvero un grande piacere per me conoscerla, signore... Signor Sparrow. -
- Il piacere è mio, signora Sparrow. - Teague scoccò a Jack un'occhiata eloquente. - Sebbene sospetti che le circostanze che hanno condotto mio figlio qui abbiano assai poco a che fare col piacere di farmi conoscere sua moglie. -
- Purtroppo. - Jack annuì, vuotò il calice e lo appoggiò sul tavolo. - Veniamo carichi di brutte notizie e di anime da alloggiare. -
- Noto che non mi hai contraddetto. Moglie, eh? Chi lo avrebbe mai detto. -
- Papà! Possiamo concentrarci?-
L'anziano pirata nascose una bassa risata nel fondo del suo bicchiere, e continuò a scrutare Jack con aria divertita intanto che finiva di sorseggiarlo. Improvvisamente mi dispiacque di non aver partecipato al brindisi: almeno avrei potuto nascondere a mia volta dietro ad un calice tutto il rossore che cominciavo a sentire salire al volto.
- È solo che è bello rivederti. - continuò Teague con voce morbida. - Chi mi hai portato?-
- Reduci. Un bel carico di sfollati provenienti da Isla Muelle, dopo che le forze combinate della regia marina e da Balthazar in persona hanno provveduto a fare piazza pulita. -
- Possiamo facilmente alloggiarli. La Città avrà sempre posto per della gente in fuga. - concesse Teague con un altro cenno svolazzante della mano.
- E abbiamo chiamato la Fratellanza a consiglio. -
- Uhm. - gli occhi scuri del pirata scivolarono da Jack a me, e poi di nuovo su di lui. - Per via della violenza improvvisa con cui la marina sta tornando ad accanirsi sui pirati, eh? E dimmi, qualche idea sul motivo per cui sia stato sguinzagliato il cacciatore?-
Jack allargò le braccia e corrugò le labbra in un sorriso forzato.
- Per via del sottoscritto, temo. -
- Oh. Questo la Fratellanza non sarà felice di saperlo, lo sai, vero?-
- Sono convinto che possiamo trovare il modo di unirci ancora una volta per risolvere questo comune problema... -
- Sarai fortunato se non voteranno in massa per consegnarti a Balthazar con un biglietto di felicitazioni. -
Il sorriso si congelò sul viso di Jack per trasformarsi in una smorfia, quindi il capitano annuì borbottando uno sconfortato: - Sì, sì, lo so. -
Teague emise un lieve sbuffo che poteva essere preso per un cenno d'assenso, e inclinò il proprio calice per scolarlo fino in fondo.
- Ci occuperemo di questa faccenda, Jackie. -
Senza aggiungere altro, si allontanò dal tavolo e con passo pesante si mise a vagare tra le casse abbandonate sul pavimento, mormorando a mezza bocca e chinandosi ora su una e ora sull'altra come se fosse in cerca di qualcosa. Sembrava aver perso ogni interesse per noi. Il cane lo seguì e prese a scorrazzare attorno a lui accompagnato dal rumore delle chiavi.
Jack spostò una sedia e si mise a sedere accanto a me, dando le spalle a Teague che continuava a rovistare e mormorare. Incrociammo lo sguardo per un momento, lui inarcò un sopracciglio notando che stringevo le labbra per trattenere una risata. Mi sporsi verso di lui, abbassando la voce.
- ...Nemmeno io ti chiamo Jackie. -
- Saggia donna: continua a non farlo. -
- Non mi avevi mai raccontato di tuo padre. - gli sorrisi e mi strinsi nelle spalle. - Sono contenta di averlo conosciuto, finalmente. Tu hai incontrato il mio, dopotutto. -
- Oh, non potrei mai dimenticare il caro vecchio Ephraim Evans e tutto quel che mi ha fatto passare!-
Mi allungai e gli diedi una spinta, anche se ridacchiava.
- E riguardo a tua madre?-
- Era una gran donna, ma se ne è andata ormai molti anni fa. -
- Di che cosa stai parlando, ragazzo?- sbottò improvvisamente Teague, voltandosi nella nostra direzione con un imperioso svolazzo della giacca. - Tua madre è sempre con me, e tu faresti meglio a non mancarle di rispetto dimenticando questo particolare. -
Così facendo sollevò il braccio, tenendo sospeso davanti a sé qualcosa che fino a quel momento doveva essere stato appeso alla sua cintura. Aguzzai la vista per vedere.
Strinsi gli occhi, poi li sgranai.
Teague stringeva tra le dita un cordino dal quale pendeva un oggetto tondeggiante. Lunghi ciuffi di capelli imbiancati e rinsecchiti penzolavano, legati in una coda, incorniciando quella che era senza ombra di dubbio una faccia, anche se grande quanto il palmo della mia mano.
Sopracciglia ingrigite, due palpebre chiuse e cucite, pelle incartapecorita che si faceva marrone come legno sui lineamenti ancora perfettamente nitidi del naso e delle guance. Due pezzetti di legno appuntiti chiudevano la bocca incrociandosi in una x.
Il capitano mostrò orgogliosamente la testolina rimpicciolita per qualche lunghissimo istante, senza fare una piega, e poi con la medesima flemma la riabbassò e ci voltò le spalle. Fu una fortuna che l'avesse fatto. In quel momento mi voltai di scatto verso Jack, incapace di nascondere del tutto l'espressione orripilata che nonostante i miei sforzi aveva appena ridotto i miei occhi a due biglie spalancate.
Jack alzò le mani e si sporse verso di me, abbassando la voce.
- Può fare impressione, lo ammetto. Bisogna solo farci l'abitudine, tutto qui. -
- Quella è una testa mozzata. -
- Acuto spirito di osservazione. -
- Una testa mozzata. -
- È solo che Teague ha passato molto tempo nel Madagascar, comprendi? Lì il culto dei morti è molto sentito. Disseppelliscono i defunti almeno una volta all'anno, pensa, e solo per ballare con quel che resta della nonna. -
- Non stai migliorando la cosa... -
Jack si strinse nelle spalle e intrecciò le dita sul tavolo con aria solenne.
- Alla fin fine penso che si tratti di una forma di grande rispetto per il caro estinto. -
Lo fissai in silenzio per qualche secondo, quindi inarcai un sopracciglio e ripresi in tono estremamente calmo.
- Non ti azzardare mai a farmi una cosa del genere, o tornerò dalla tomba per avere il tuo scalpo. -
- Già. Neanche tu a me, per favore. -
Teague ritornò verso di noi, e ci zittimmo prontamente mentre ci voltavamo a guardarlo. Ora sì che non sarei più riuscita a distogliere lo sguardo da quella testolina che -oh dio, ora la notavo benissimo- penzolava allegramente al suo fianco appesa alla sua cintura.
Jack mi appoggiò una mano sul braccio e sfoderò un sorriso divertito.
- Sai, c'è tantissima storia attorno alle teste rimpicciolite. I primi gentiluomini inglesi che le videro portate dagli indios sudamericani ne furono subito tanto affascinati da volerle perfino comprare come esotico souvenir. -
- Jack, ti prego... - mugugnai.
- Le teste rimpicciolite non erano però nate come usanza barbara, oh, no! Anzi, era il modo in cui gli indios tenevano con sé i propri defunti. Solo poche tribù erano così sanguinarie da riservare lo stesso trattamento alle teste dei nemici sconfitti in battaglia. E l'usanza aumentò vertiginosamente quando i coloni stessi presero a pagare bene per le testoline, comprendi? Certi si fecero furbi e iniziarono a far sparire gli esploratori stessi pur di procurare agli altri ciò che volevano. Così l'Europa, per un bel po' di tempo, comprò a caro prezzo nient'altro che gran teste inglesi, sebbene tutte accuratamente mozzate e trattate. -
- Hai finito?-
- Amore, è solo per dimostrarti che c'è ben di peggio... -

*

Come se il lungo esodo di uomini, donne e bambini che dalla Perla e dalla Sputafuoco si riversavano sul molo non avesse già causato abbastanza confusione, il clamore aumentò ulteriormente quando nella baia fece la sua comparsa una nave dalle vele azzurre.
A prua si affacciava il capitano, vistoso almeno quanto il resto dell'imbarcazione, abbigliato in una sgargiante giacca celeste. Volarono sguardi sbigottiti tra William ed Elizabeth, senza capire come anche a lui fosse stato dato il permesso di penetrare all'interno della baia.
Lanthier scese da solo sul molo, con le falde della giacca che svolazzavano ad ogni passo, e un sorrisetto compiaciuto sotto i neri baffi arricciati. William si fece strada verso di lui e si fermò a metà banchina, con una mano posata sull'elsa della spada. Elizabeth e Barbossa si fermarono al suo fianco, tutti con identiche espressioni di sospetto che il capitano francese sostenne senza battere ciglio.
- Che ci fa lui qui?- esclamò Will, mentre lo squadrava. - Non è uno dei Pirati Nobili, e non sappiamo se possiamo fidarci. -
Qualcun altro aveva tenuto d'occhio l'avanzare del capitano. Dal gruppo di profughi che si susseguivano lungo il molo, Nathaniel venne avanti e fece un cenno del capo in direzione di Lanthier.
- È dalla nostra parte. Stavamo prendendo accordi prima che Balthazar attaccasse l'isola. -
- Lo giudicheremo noi, se è dalla nostra parte. - replicò lapidaria Elizabeth, poi rivolse lo sguardo verso il capitano. - Parlate. -
Lanthier sorrise, congiungendo le mani.
- Il giovane Hawk mi fa un onore accordandomi la sua fiducia. -
- Ma. - lo interruppe Nathaniel con voce fredda, senza staccare gli occhi dal francese. - Vorrei anche sapere dove vi trovavate la notte dell'attacco a Isla Muelle. -
- Posso garantire per le mie buone intenzioni. Io e il signor Hawk volevamo mettere al sicuro Isla Muelle, ma il tempestivo intervento di Balthazar... sicuramente attirato dalla presenza di Sparrow... non ce lo ha permesso. -
Gli occhi di Elizabeth si strinsero.
- Che state suggerendo?-
- Nulla, milady. Nulla contro il vostro alleato. Non sono stato presente in tempo utile per prestare aiuto durante l'attacco, ma ciò che è successo non resterà impunito. Quando ho parlato con il signor Hawk, avevamo già concordato che la minaccia rappresentata dal cacciatore di pirati si stesse espandendo un po' troppo, ed era mia intenzione cercare rinforzi. Ho lasciato l'isola a questo scopo. Ho mandato i miei emissari perché portino il più rapidamente possibile la canzone là dove deve essere sentita. Il richiamo sta già solcando le acque e i continenti mentre noi siamo qui a parlare. La Fratellanza sarà richiamata qui a breve, e tutto ciò che chiedo... - le mani giunte di Lanthier sfiorarono le labbra. - ...è che mi sia permesso di combattere per la Fratellanza e di usufruire della protezione della Baia dei Relitti. -
- Sicuramente vi sarà concesso di rendervi utile combattendo per noi, capitano. - replicò Elizabeth. - Sarà il modo in cui vi guadagnerete l'altra concessione che vi sta così tanto a cuore. -
Lanthier non raccolse la provocazione, anzi, si esibì in un largo sorriso e sprofondò in un inchino di fronte ad Elizabeth. Poi le voltò le spalle e ritornò in direzione della sua nave, certamente felice di poter portare buone notizie al resto della sua ciurma.
I Turner, Nathaniel e Barbossa restarono a guardarlo.
- La Fratellanza sarà qui presto, se non altro. - Will si strinse nelle spalle, spostando solo allora la mano dall'elsa della spada. - Questa è una buona cosa, no?-
- Non ne sarei tanto sicuro, ma staremo a vedere. - sbottò Barbossa, anche se il suo tono era stranamente rilassato in contrasto con l'evidente tensione degli altri.
Elizabeth ravviò all'indietro i lunghi capelli biondo cenere, levandoseli dagli occhi.
- Quello che siamo venuti a fare non è complicato, in fondo. Ancora una volta abbiamo un nemico comune. Ed è un solo uomo, stavolta, non una flotta. In realtà non importa molto cosa potrebbe decidere la Fratellanza, no? Potrei sempre ordinarglielo. Il titolo di Re dei pirati vale ancora qualcosa. -
- Temo proprio di no, miss Turner. -
La giovane donna si voltò bruscamente verso Barbossa.
- Come?- domandò, con un fremito di allarme nella voce.
Per la prima volta il viso di pietra dell'anziano capitano si corrugò in una lieve smorfia di divertimento: ci fu un lampo che brillò per un secondo appena nelle iridi grigio ferro, poi si spense, anche se le sue parole conservarono una nota di scherno.
- Siete stata eletta Re della Fratellanza, titolo che vi è stato conferito solo allo scopo di poter dichiarare guerra. Questo significa che la vostra carica è, diciamo... decaduta nel momento in cui suddetta guerra si è conclusa. -
Elizabeth e William si scambiarono uno sguardo sbigottito, poi la donna si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
- Maledetti pirati. - mormorò a mezza bocca.







Note dell'autrice:

Un altro capitolo. Con i suoi tempi, mattoncino dopo mattoncino, anche questa fanfiction prosegue e si avvia in direzione dei suoi ultimi atti... Ci saranno parole da spendere sul tema “ultimo atto”, ma non è ancora il momento.

Ringrazio sentitamente tutti i lettori, chi ha lasciato una recensione all'ultimo capitolo, chi è tornato anche dopo il mio lungo silenzio, chi è approdato fresco fresco e si è recuperato cinque episodi di fanfiction così, sull'unghia. Betrys, MC1119, Jami, Selene, FannySparrow: leggo ogni vostra recensione e mi sento onorata tutte le volte. E, ancora una volta, questo capitolo è dedicato in particolare a Sara e a Serena. Loro sanno di chi parlo.

Visto che molti mi chiedono consigli di scrittura, in particolare su cosa fare quando ci si sente bloccati, c'è un unico consiglio che ritengo universale: cercate sempre di ricordare perché avete iniziato. Frugate tra le cose che avete scritto, rileggete tutto, e vi assicuro che vi troverete molto più spesso a ridere per quanto era stato divertente che non a mettervi le mani nei capelli per quanto è scritto male. Proprio stamattina ho fatto un raid selvaggio tra vecchi scritti alla ricerca di un brano che deve essere sepolto da qualche parte, ma ancora non è saltato fuori. Nel frattempo ho riesumato così tanti ricordi da riempire un baule di ispirazione.

Cambiando argomento così, a caso: Pinterest è una perdizione. Sul serio. Perché non esisteva ancora quando avevo iniziato a pubblicare fanfiction? Aahh, le cose che ci avrei fatto ai tempi... Dico solo che la mia bacheca “Pirates” si sta riempiendo a dismisura: altra cosa che mi fa rivangare vecchie glorie e riscoprire un po' d'amore che credevo sepolto. Bei momenti.

E, per finire, parliamo un attimo della maggiore ispirazione piratesca dell'ultimo periodo.
Black Sails. Uno spettacolo. Un giro sull'ottovolante con una bordata di cannoni in sottofondo. Non importa quante volte scada nel trash. Diciamocelo: POTC risente fin troppo del marchio Disney. Per quanto qualche volta si sia concesso un po' più di sangue e di sporco del solito, l'universo piratesco di quei film rimane sempre un giro di giostra con tanto di palloncini in confronto ad un vero racconto di cappa e spada, le navi sembrano hotel a quattro stelle ed è plausibile arrivare da Londra ai Caraibi in tre giorni.
Altro motivo per cui, fin dall'inizio, spesso mi sono divertita ad indugiare nel lato più oscuro e sanguinoso attraverso i capitoli di questa fanfiction. Senza dubbio Black Sails è un ottimo fornitore delle famigerate tre S: sangue, sesso e spade.
Ancora una volta, wind in your sails.
  
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