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Autore: Shily    13/02/2016    0 recensioni
“Ma non dorme più nessuno, in questa maledetta torre?” sbottò Sirius, prima che la sua attenzione venisse attirata dal chiacchiericcio dei ragazzi.
“Sì, è così: me l’ha detto Steven” stava, appunto, dicendo un ragazzo.
“Chi?”
“Steven del quarto anno. Lui l’ha rifiutata, dopo che erano diventati amici, dichiarando amore a Rosmerta, e a lei ovviamente non è andata giù di essere messa da parte per una più grande. Quindi ora stanno litigando in sala comune, pare che lei lo stia minacciando.”
“Ma lui chi? E lei chi è?”
“Ma come chi? James Potter e Lily Evans!” si bloccarono sul posto Remus, Sirius e Peter, volandosi, con lentezza quasi studiata, verso i due ragazzi che avevano parlato.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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(Dormitorio maschile, settimo anno,
Grifondoro, seconda stanza a destra)
 
Sirius Black era un ragazzo introverso con chiunque non rientrasse nella sua piccola cerchia di persone fidate (piccola davvero, visto che comprendeva solo i suoi tre migliori amici).
Non amava parlare di sé e tanto meno amava quelle conversazioni tanto impersonali quanto inutili tipiche degli sconosciuti o dei conoscenti. A dirla tutta, Sirius Black non amava parlare e basta. Trovava le parole come un mezzo di cui non bisognava abusare, lì dove per dire qualcosa gli altri usavano venti parole, lui ne usava si e no cinque, dieci se si trattava di parlare con i suoi amici.
Per questo e per il fatto che parlare di sé significava raccontare della sua famiglia, e parlare della sua famiglia voleva dire attirare occhiate curiose e compatimenti, quel che si sapeva su di lui non era poi molto, se non che era un Grifondoro del settimo anno, che era solito passare il suo tempo con i suoi tre migliori amici – James Potter, Remus Lupin e Peter Minus -, che fosse particolarmente portato per lo studio ma che non si applicasse a sufficienza (come non mancava mai di far notare la professoressa McGranitt) e che non lo si doveva mai – e chiunque lo conoscesse un minimo ci teneva a sottolineare il mai – svegliare.
Quest’ultimo punto era, forse, l’unico su cui nessuno aveva dubbi o da ridire, essendo i più piccoli, vittime degli scherzi degli amici del ragazzo, in dubbio se fosse un vero Grifondoro e non avesse in realtà imbrogliato il cappello sette anni prima, per scopi malefici o se passasse davvero il tempo con i suoi compagni di stanza – i più fantasiosi, infatti, dicevano in giro che si chiudeva nel bagno delle ragazze infestato da Mirtilla Malcontenta, altri invece ritenevano che semplicemente passasse il suo tempo da solo; il che aumentava quell’alone misterioso che gli conferiva  un’aria irraggiungibile agli occhi di quasi tutta la scuola.
Era alla luce di questa verità condivisa da tutta la scuola che Peter, timido e impacciato, si avvicinò al suo letto tremando dalla paura.
Bacchetta in mano – più per abitudine che per altro, visto che in caso di bisogno probabilmente non sarebbe stato veloce quanto l’amico, troppo terrorizzato – e labbra tremanti, sbirciò il letto di Sirius e si chiese perché mai, tra tutti, dovesse essere proprio lui a doverlo svegliare.
Valutò per un attimo l’idea di cambiare direzione e dirigersi verso Remus, che dormiva supino nel letto accanto, quando una voce – sorprendentemente simile a quella di un James divertito – gli ricordò del sonno incredibilmente pesante dell’amico.
Ricordava perfettamente quella domenica di due anni prima, quando James e Sirius avevano tentato di svegliare Remus in tutti i modi per architettare quello che, a detta loro, sarebbe stato lo scherzo del secolo.
I tentativi, però, si rivelarono inutili, causando il malumore dei due ragazzi che, a dimostrazione della loro immensa maturità, non parlarono con la causa del loro malcontento per un’intera ora – mica roba da poco, ci tenne a sottolineare il Sirius di un tempo: un’ora in-te-ra.
Volse nuovamente lo sguardo verso Sirius, Peter, lasciandosi scappare un sorriso al ricordo di quella giornata, una delle migliori domeniche della loro amicizia, una delle tante forse, ma in cui erano stati semplicemente loro, in un modo così speciale che mai l’avrebbe dimenticato, e lasciandosi andare a un sospiro: al contrario di Remus, Sirius aveva il sonno leggerissimo – si poteva quasi dire che non si addormentasse mai completamente; e una volta svegliato non si riaddormentava più, motivo per l’unico che si armava di coraggio per svegliarlo era James (lui, d’altro canto, era troppo spaventato dall’ira di Sirius mentre Remus non si era mai dovuto porre il problema, essendo raro che si svegliasse per primo).
Ma in quel momento James non c’era – e a proposito, dov’è che era, all’una di notte? Alla vigilia di un importantissimo compito di Trasfigurazioni per cui avevano passato due giorni in biblioteca? (a onor di cronaca, ad aver realmente passato due giorni in biblioteca era stato soltanto lui.
A Remus ne era bastato uno soltanto mentre James e Sirius avevano passato il tempo dormendo e giocando) – e Remus era decisamente troppo addormentato per essere svegliato, quindi Sirius era l’unica scelta. Non la migliore, certo, ma non si poteva avere tutto dalla vita.
“Sirius” emise un sussurro talmente flebile che lui stesso faticò a sentirsi. Si armò quindi di coraggio e, bacchetta alla mano – come se solo in quel momento si fosse reso conto di averla -, alzò la voce: “Sirius, svegliati!”
Lo vide muoversi sotto il groviglio di coperte sotto cui si era sotterrato ed emettere un grugnito che di amichevole aveva ben poco – e in un attimo l’ondata di coraggio che l’aveva investito scemò, andandosene così come era venuta.
“E’ morto qualcuno?” calmo, era decisamente troppo calmo nel porre quella domanda.
Squittì, negando con voce particolarmente acuta e incontrò finalmente gli occhi di Sirius: “C’è stato un attacco?”, scosse nuovamente la testa, “E allora, Peter, perché diamine mi hai svegliato?
Deglutì a vuoto, Peter, chiedendosi per l’ennesima volta perché non fosse rimasto a letto e guardò Remus, totalmente ignaro di ciò che stava succedendo a pochi passi da lui: forse… forse sarebbe stato meglio svegliare lui.
“Ci sono dei rumori sotto – rumori strani” ammise in fine, con la mano tremante che impugnava ancora la bacchetta che, ora, emetteva una flebile luce.
“E tu mi hai svegliato solo per questo?” lo vide passarsi una mano sugli occhi, per poi lanciare uno sguardo all’orologio e fare un’ espressione infelice. “Qualcuno avrà lasciato una finestra aperta o saranno gli elfi o forse te li sei immaginati” alzò gli occhi verso di lui, “Sei un po’ agitato in questi giorni per via dei compiti, potrebbe essere che tu te lo sia immaginato.”
Sorrise, Peter, rincuorato che l’amico non fosse arrabbiato con lui.
Alla fine, questo era Sirius: ringhiava tanto, abbaiava in continuazione e qualche volta capitava che mordesse, magari con qualche Serpeverde, ma non con loro, non con i suoi amici – o forse era così stanco da non riuscire neanche a capire veramente cosa stesse succedendo e quindi da non avere le forze per arrabbiarsi.
“Hai ragione, scusami, Sirius” abbassò la testa, mortificato e guardando l’amico con gli occhi pieni di ammirazione.
Lo vide aprire la bocca, prima di essere interrotto da un rumore, leggermente più forte degli altri, proveniente dalla sala comune.
Si guardarono, spalancando gli occhi, e Peter sentì un moto d’orgoglio e soddisfazione crescergli dentro: aveva avuto ragione, aveva fatto bene a svegliarlo.
Sirius, improvvisamente sveglio, prese la bacchetta posata sul suo comodino e si rivolse verso Remus, facendo un breve movimento del polso.
L’incantesimo era stato silenzioso per cui Peter non aveva avuto modo di scoprire quale fosse – e forse preferiva rimanere all’oscuro – ma Remus aprì gli occhi di scatto, brandendo un calzino: “Che succede?”
“Ora niente più, amico, li hai spaventati tutti con la tua arma letale” abbassò il calzino Remus, imbarazzato, schiarendosi la voce. “Prendi la bacchetta, ci sono dei rumori strani di sotto” continuò Sirius, e a conferma delle sue parole si sentì un altro tonfo.
Tutti e tre – Sirius davanti, Remus che ancora brandiva il calzino e Peter dietro, tremante e segretamente contento di aver dimostrato a Sirius che non se lo fosse immaginato – si avviarono per le scale del dormitorio maschile, incontrando numerosi studenti usciti dalle loro stanze per il loro stesso motivo, e qualche primino terrorizzato.
“Ma non dorme più nessuno, in questa maledetta torre?” sbottò Sirius, prima che la sua attenzione venisse attirata dal chiacchiericcio dei ragazzi.
“Sì, è così: me l’ha detto Steven” stava, appunto, dicendo un ragazzo.
“Chi?”
“Steven del quarto anno. Lui l’ha rifiutata, dopo che erano diventati amici, dichiarando amore a Rosmerta, e a lei ovviamente non è andata giù di essere messa da parte per una più grande. Quindi ora stanno litigando in sala comune, pare che lei lo stia minacciando.”
“Ma lui chi? E lei chi è?”
“Ma come chi? James Potter e Lily Evans!” si bloccarono sul posto Remus, Sirius e Peter, volandosi, con lentezza quasi studiata, verso i due ragazzi che avevano parlato.
“Ha detto James?” chiese Peter in un sussurro, ricevendo in risposta solo dei cenni affermative e due occhiate sorprese che erano l’una lo specchio dell’altra.
Spintonati un paio di ragazzini, Sirius si fece largo nella folla e arrivò, con Remus e Peter alle sue spalle, nella Sala Comune: davanti a lui, al centro della stanza, c’era il suo amico (ecco dov’era, pensò Peter) che tentava di calmare una Lily Evans rossa in viso e con la bacchetta alla mano.
“Sei un immaturo” stava, per l’appunto, dicendo – o meglio, urlando – la ragazza, agitando la bacchetta in maniera non poco pericolosa davanti agli occhi del ragazzo di fronte a lei. “Pensi che sia stavo divertente? Vi annoiavate e non sapeva cosa fare, tu e quel Black amico tuo?”
Si voltò verso Remus, Sirius, con sguardo interrogativo: e lui, ora, cosa c’entrava?
“Beh, non lo è stato. Per niente!” sospirò Lily, concludendo quello che aveva l’aria di essere stato un lungo discorso.
“Lily, ti posso spiegare” portò le mani davanti a sé, James, cercando di sorriderle. “C’è una spiegazione più che logica e quando l’avrai sentita vedrai che riderai”, inarcò un sopracciglio la ragazza, scettica, “Magari non subito, ecco, ma vedrai che tra un paio d’anni ci rideremo tutti su.”
Incontrò lo sguardo furente della compagna di casa e deglutì: “Forse un po’ più che un paio d’anni.”
“Stavolta hai esagerato, James” e l’incantesimo uscì dalla bacchetta senza che nessuno avesse potuto fare niente.
James si ritrovò spalle al muro e svenuto, in quella che era una scena che nessuno si sentì di chiamare nuova, essendo, fino a un paio di mesi prima, un siparietto che si ripeteva almeno una volta a settimana, quello.
Mentre Sirius e Remus correvano da James, Peter si voltò verso la ragazza che, con un ultimo passo, si dirigeva verso le sue stanze.
Ora, è bene chiarire per coloro che non sanno tutta la vicenda – come la maggior parte dei presenti in sala – che il motivo del litigio non era affatto la simpatica, quanto bella, proprietaria dei Tre Manici Di Scopa e che la ragione per cui Lily Evans era tanto adirata nei confronti di James Potter non era un rifiuto. La causa di tutto, infatti, aveva un nome e un cognome, e in quel momento stava dormendo, ignaro di tutto, nel letto dell’infermeria: Marcus Corner, Corvonero del settimo anno.

 
(Dieci ore prima, sotterranei,
fuori l’aula di Pozioni)
 
Era da poco suonata la campanella della quarta e ultima ora prima di pranzo quando James, bacchetta in tasca e cravatta slacciata che pendeva da un lato del collo, svoltò l’angolo del corridoio che portava ai sotterranei.
Guardò distrattamente l’orologio che teneva al polso – un regalo dei suoi genitori per la carica di Caposcuola – e rallentò il passo: sapeva bene che Lily era nota per trattenersi sempre un paio di minuti finita la lezione di Pozioni per scambiare opinione e commenti con il professore, perciò correre non sarebbe servito a niente se non a farlo aspettare più tempo davanti la porta chiusa.
Era stata una decisione improvvisa e non programmata quella di passare dalla ragazza e andare insieme in Sala Grande, ma Peter era ancora in biblioteca, attardatosi a studiare per il compito imminente di Trasfigurazione, e Remus era rimasto ad aiutarlo, mosso dallo sguardo disperato del primo.
Quanto a Sirius, l’aveva visto imboccare la strada per il dormitorio non molto tempo prima per posare i libri prima di scendere a pranzare.
Vista la situazione e visto l’orario, James aveva quindi deciso di fare un salto dalla amica, se così poteva definirla almeno tra sé e sé, e fare due passi insieme senza la presenza dei suoi tre amici: non li avrebbe cambiati per nulla al mondo, ma un po’ di tempo solo con la ragazza non gli sarebbe dispiaciuto, sebbene ormai non chiedesse più appuntamenti a ogni ora del giorno in maniera insistente.
Fu solo quando fu quasi arrivato alla porta dell’aula, e distoltosi dai suoi pensieri, che notò un’altra figura oltre a quelle solite di Lily e del professor Lumacorno: un ragazzo, biondo e notevolmente alto, che riconobbe come Marcus Corner di Corvonero, come poté stabilire dai colori della divisa.
Si fermò di scatto, notata la presenza del ragazzo, deciso ad aspettare distante dai tre per due motivi: il primo, quello che poi avrebbe dato come motivazione, era di non voler disturbare il discorso dei tre, il secondo, quello che era in realtà dominante, era la paura di essere coinvolto in uno di quei discorsi interminabili e pieni di elogi tipici del professore.
Vide il professore congedarsi con un sorriso: “Ma ora andate, ragazzi, non vorrei mai essere la causa del vostro ritardo al pranzo di oggi. E ricordate le parole che vi ho detto sul continuare la vostra carriera” ridacchiò e fece loro un occhiolino.
“Certamente professore, non si preoccupi” rispose educatamente Marcus Corner.
“Buon pranzo, professore” sorrise Lily, prima di incamminarsi seguita dal ragazzo.
Si sistemò la camicia e la cravatta James, dando uno sguardo veloce al riflesso nella finestra per vedere come stavano i capelli, prima di avvicinarsi ai due, quando sentì di nuovo la voce del Corvonero: “Sempre il solito Lumarcorno, eh?” ridacchiò in imbarazzo, e James fece una smorfia – ottimo modo di attaccare bottone, Corner, davvero ottimo.
“Sì, infatti, ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine,” si mise i capelli dietro le orecchie Lily, “Sei interessato anche tu alla carriera di pozionista?”
“Sì, non lo so, forse, credo, uhm.”
Trattenne una risata, James, per il balbettio del ragazzo e preferendo aspettare a mostrarsi: lì dov’era poteva sentire e vedere i due ragazzi rimanendo comunque nascosto da una delle statue del corridoio.
Si chiese solo per un attimo cosa lo stesse spingendo a nascondersi e origliare, invece di avvicinarsi alla ragazza e salutarla; solo per un attimo, prima di essere distratto dal ragazzo che si schiariva la voce e tentava di rimediare al balbettio.
“Tu invece?” si schiarì la voce, “Sembravi interessata.”
“Oh, sì” esclamò, sorpresa di sentire nuovamente la voce del Corvonero “Mi piacerebbe molto, anche se sto valutando più opzioni, sai com’è. Per il momento non escludo nessuna possibilità” concluse con un sorriso.
“Capisco” mormorò in risposta, facendo nuovamente cadere il silenzio tra di loro. “Mi stavo… sì, insomma… mi stavo chiedendo, così, senza pretese o aspettative eh, sì insomma…ehm… Ti andrebbe di andare alla prossima uscita ad Hogsmead? Quella di sabato, ovviamente. Insieme, ovviamente” James si sporse di scatto, rischiando di essere visto dai due, con gli occhi spalancati verso il ragazzo che, imbarazzato, si guardava la punta dei piedi torturandosi le maniche della camicia.
“Cosa?” esclamò sorpresa Lily, per poi rispondersi: “Cioè, intendo dire: mi hai un po’ colta di sorpresa”, la vide guardarsi intorno a disagio, “Però, ecco, sì insomma…”
“Se non vuoi non devi preoccuparti, immagino tu abbia altri impegni.”
“Nono”, interruppe le parole affrettate e dispiaciute del ragazzo, “Mi… mi piacerebbe molto, Marcus.”
“Davvero?” alzò la testa di scatto Marcus, e così fece James da dietro la statua, “Cioè, voglio dire, davvero! Certo, allora sabato” le sorrise, ricevendo un sorriso imbarazzato in risposta.
Si appoggiò al muro James, dimentiche di tutto e anche della sua idea di fare una passeggiata con Lily, sentendo solo quelle due parole – mi piacerebbe – nelle sue orecchie.
Mi piacerebbe.
Andava a Hogsmead. Con un ragazzo. Un ragazzo che non era lui.
Mi piacerebbe.
Dovevano andare insieme da Mielandia e provare quelle nuove caramelle uscite, e vedere la reazione di Peter a cui non piacevano mai le cose nuove all’inizio.
Mi piacerebbe.
Avrebbero dovuto prendere in giro Remus insieme e tentare di coinvolgere anche un Sirius che ancora faticava ad aprirsi in presenza della ragazza.
Mi piacerebbe.
Sarebbero dovuti stare insieme. Lei e lui. James e Lily, non Marcus e Lily.
Mi piacerebbe.
La vide salutare il ragazzo un’ultima volta prima di svoltare l’angolo e, senza pensarci, uscì dal suo nascondiglio.
“Ma che…Potter. James, giusto?” chiese il ragazzo, cordiale e un po’ incerto.
“Sì, James”, prese la bacchetta, “Tu invece sei Marcus Corner, di Corvonero. Settimo anno, direi.”
“Indovinato” ridacchiò questi nervoso, in risposta. “Che devi farci con la bacchetta, amico?”
“Indovinato, già. E hai appena invitato Lily Evans a uscire, sabato” mormorò, avvicinandosi sempre di più.
“Lei…lei ha accettato, quindi… sì, beh, sì.”
“Mi dispiace, amico. Non sai quanto, davvero” abbassò gli occhi, “Ma tu non dovevi, perché l’hai fatto? Era tutto così perfetto.”
“Ma che stai dicendo?” prese la bacchetta anche lui, guardandosi intorno.
“Tranquillo, niente di pericoloso. Uno scherzetto innocuo, un giramento di testa, uno svenimento, forse batterai un po’ il sedere a terra. Niente di che.”
Il ragazzo provò ad aprire la bocca ma James non glielo permise: “Come ti ho detto, niente di pericoloso. Non lo farei mai, non sono cattivo. Solo uno scherzetto che ti terrà in infermeria diciamo per…tutto il fine settimana?”
“Fermo, che fai?”
“Scusa, amico” disse un’ultima volta prima di mormorare l’incantesimo.
Sentì il mostro ruggire un’ultima volta nel suo stomaco prima di spalancare gli occhi e rendersi conto della bambinata che aveva appena fatto.
Ma no, andava tutto bene, si disse. Non c’era niente di male.
Era solo un innocuo scherzo.
Lui, però, di scherzi così non ne faceva. Non più almeno.
Scosse la testa, indietreggiando e portando il ragazzo in infermeria con un incantesimo.
Mi piacerebbe.
 
(Dodici ore circa dopo,
infermeria)
 
Lily si fermò davanti la porta dell’infermeria con la mano alzata verso la maniglia e un piede già pronto a entrare nella stanza.
Sospirò, passandosi una mano nei capelli che le ricaddero scomposti davanti agli occhi, e contò fino a dieci come le aveva sempre consigliato di fare sua madre.
Uno.
Si passò una mano sulla gonna e si tirò la camicia della divisa, sperando di darsi un contegno e anche l’aspetto di qualcuno che non aveva appena passato una mattinata intera davanti ai libri.
Due.
Chiuse gli occhi, cercando di respirare normalmente e di controllare il battito del cuore. E magari anche quel orribile morsa allo stomaco che non la faceva stare tranquilla da tutta la mattina e anche un po’ da gran parte della notte. Diciamo da quando tutto era successo.
Tre.
Si ripeté mentalmente la frase che, da un paio d’ore a quella parte, si era ripetuta più volte: “E’ James, solo James”, anche se non servì poi a molto, se possibile la morsa si fece solo più stretta.
Quattro.
La mente le tornò al pomeriggio prima quando, proprio come in quel momento, si era trovata davanti la porta dell’infermeria.
Stesso luogo. Stessa situazione. Persona diversa.
Cinque.
Inevitabilmente, come se non aspettasse altro che uscire, così come era venuto il ricordo del pomeriggio precedente venne il ricordo di cosa l’aveva portata, il giorno prima, a visitare l’infermeria.
I consigli del professore, i suoi discorsi interminabili, gli sguardi complici che si era scambiata con Marcus.
E ancora, i momenti d’imbarazzato silenzio, il suono dei balbettii impacciati del ragazzo che risuonavano per il corridoio vuoto e, infine, l’invito.
Inaspettato e improvviso, come una secchiata gelida in faccia a cui non aveva saputo come reagire, lasciando che le parole uscissero fuori da sole senza sapere realmente cosa pensare.
Sei.
Scosse la testa Lily, distogliendo i suoi pensieri dal giorno prima per tornare al presente.
Si trovava davanti la porta dell’infermeria, in quel momento.
Era lì per parlare con James, in quel momento. Non con Marcus.
Doveva farsi coraggio e lasciare da parte i dubbi e le incertezze, in quel momento. Avrebbe avuto tempo, poi, di pensare e riflettere, e di nuovo di pensare e riflettere ancora. E ancora, e ancora, e ancora.
Sette.
“Ciao, Lily” sussultò sorpresa al suono di una voce alle sue spalle: due ragazze, di Tassorosso e del suo stesso anno, che la salutavano mentre passavano.
“Oh, ciao ragazze, tutto bene?” rispose, simulando un sorriso spontaneo.
“Un po’ stanche per le lezioni, oggi è stata davvero pesante. Tu?” una delle due, Lily non riusciva a ricordare se si chiamasse Cassie o Cindy, buttò un’occhiata alla porta alle sue spalle e fece segno all’amica.
Otto.
“Sì, tutto bene, grazie” cercò di nascondere l’irritazione e fece per voltare loro le spalle, come a indicare che la conversazione era finita.
“Allora ciao, Lily, noi andiamo.”
“Sì, ciao” risposte distrattamente, ormai dimentiche delle due ragazze.
Nove.
Sentì un’ ultima volta lo stomaco stringersi e le gambe rifiutarsi per un momento al suo comando di camminare, prima di spalancare la porta con una forza tale da farla sbattere contro il muro provocando un rumore che fece girare tutti i presenti nella stanza.
Dieci.
“Ehm… io… scusate, non ho misurato bene la forza” abbozzò un sorriso, imbarazzata.
“Lily, che ci fai qui?” sentì esclamare da uno dei letti in fondo, all’interno del quale riconobbe uno James annoiato e sorpreso di vederla lì.
Gli sorrise impacciata mentre si avvicinava al suo letto, ignorando gli sguardi dei presenti che la seguirono fino a che non arrivò al letto del ragazzo.
“Ciao” mormorò a bassa voce, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per non far sentire la loro conversazione.
“Ragazzi, dai, non c’è niente da ascoltare” disse ad alta voce James, tentando di nascondere il disagio e la sorpresa con una finta ed esagerata sicurezza.
“Allora…” si schiarì la voce la ragazza, mentre gli altri distoglievano tutti lo sguardo, “Ho saputo che la botta è stata abbastanza forte. Mi dispiace” evitò di guardarlo negli occhi mentre, man mano che parlava, la voce le si abbassava sempre di più.
“Si, madame Chips dice che è stata una bella botta ma niente di che”, tentò di sminuire lui, “Sarei potuto uscire anche oggi ma preferisce tenermi una giornata in più per evitare che faccia qualcosa di pericoloso e quindi di farmi nuovamente male.”
“Già, io, per quanto riguarda questo, ci tenevo a dirti che mi dispiace.”
“L’hai già detto questo” abbozzò un sorriso James, tentando di smorzare l’atmosfera.
“Giusto, hai ragione”, buttò un’occhiata alle carte vuote di cioccorane sul comodino e si lasciò sfuggire un sorriso. “James, so che l’ho già detto ma mi dispiace davvero. Aspetta, non interrompermi” disse precipitosamente, vedendo il ragazzo aprire la bocca. “Fammi finire per favore, se no non riuscirò mai a dirlo”
James annuì in risposta, facendole spazio sul letto in modo che potesse sedersi e passandosi una mano nei capelli, cercando di calmare il nervosismo o quanto meno di nasconderlo.
“Come stavo dicendo, mi dispiace davvero e non sarei mai voluta arrivare a tutto questo” indicò loro due e poi l’infermeria, “E’ una di quelle cose che avrei prima di… prima, e pensavo di non essere più quella ragazzina avventata. Ma pensavo anche che tu non fossi più quel ragazzino immaturo e che non pensa alle conseguenze delle sue azioni.”
James abbassò lo sguardò, incapace di reggere lo sguardo della ragazza, e annuì lentamente a quelle parole.
“Hai finito o hai altro da dire?” chiese, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Vedendo la ragazza scuotere la testa cominciò, quindi, a parlare sperando di riuscire a spiegarsi senza farsi prendere dall’imbarazzo o, peggio, balbettare: “Quello che ho fatto ieri… quello ‘scherzo’ che ho fatto a Corner ieri non è stata la cosa più matura che potessi fare, né cerco di giustificarmi perché non potrei. Hai ragione.”
Lily alzò la testa di scatto, sorpresa dalle sue parole e dalla sua ammissione di colpe.
“Non posso dire niente, ho sbagliato”, continuò lui, “E non posso dire niente anche perché so, e non nego, che se potessi tornare rifarei esattamente la stessa cosa.”
“James, ma cosa?”
“Aspetta, fammi finire, per favore. Non dico che è giusto, ma è la verità e con te voglio essere sincero” si schiarì la voce, prendendo sempre più sicurezza con l’andare avanti della conversazione. “Lo rifarei e non me ne pentirei, così come non me ne sono pentito la prima volta. Mi dispiace, mi rendo conto di aver sbagliato ma non me ne pento. L’ho fatto perché sono così, Lily, sono istintivo e sono un bambino la maggior parte del tempo, sebbene mi piacerebbe dimostrarti il contrario.”
Tenne gli occhi bassi, James, così da non poter vedere il lieve sorriso e la tenerezza che c’era negli occhi di chi lo guardava.
“Ero venuto nei sotterranei per vederti, fare quattro passi e andare insieme in Sala Grande. Ho aspettato che tu e Corner finiste di parlare con Lumacorno e, non so perché, ho aspettate a uscire fuori. E poi Corner ha iniziato a parlare ed era così palese che ci stesse provando, e ti ha chiesto di uscire. Come biasimarlo, sei fantastica, chiunque vorrebbe uscire con te, io stesso farei carte false. Ma tu hai detto sì, ed è stato come se un mostro si fosse impossessato di me e del mio stomaco, e non ho ragionato più: volevo solo calmare il mostro”, azzardò un’occhiata alla ragazza, “Ecco tutto. Non ho scusanti, ho sbagliato e lo rifarei. Tu hai detto che saresti uscita con lui e non ci ho visto più, ho sbagliato ma lo rifarei perché sei tu e non una qualunque. E tu ne vali la pena, di sbagliare, di imparare, di migliorarsi e di tornare ancora un po’ bambino se proprio. Ne vali la pena.”
“James, io…” Lily sentì la voce mancare, “Non sei un bambino. Cioè, sì, non fraintendere: sei un bambino e probabilmente lo sarai sempre, non c’è rimedio. Ma insieme a quel bambino…beh, insieme a quel bambino c’è un uomo, più di quanto tu te ne renda conto e più di quanto crederesti possibile.”
“Oh…questo vuol dire che non sei arrabbiata?” la guardò lui, sorpreso e felice per quelle parole.
“Sì, certo che sono arrabbiata. L’hai mandato in infermeria”, guardò James con disappunto, “Ma, alla fine, non era niente di che, l’ha detto lui stesso. Un innocuo scherzetto, per quanto possa esserlo e per quanto è una cosa che non si deve assolutamente ripetere” concluse severa ma con la discussione lasciata ormai alle spalle.
“Ci sei andata a parlare? Sappi che ero intenzionato a chiedergli comunque scusa, nonostante tutto” rivelò lui, a bassa voce.
“Sì, ci ho parlato ieri. Ha detto che è meglio che non usciamo insieme sabato, non vorrebbe rischiare di finire un’alta volta in infermeria.”
Il ragazzo trattenne un sorriso, rilassandosi vedendo l’atmosfera cambiare e diventare più complice: “Quindi ti ho lasciata senza appuntamento?” ridacchiò, sorridendo colpevole.
“Non saprei” si mise i capelli dietro le orecchie, “Tu quando esci da qui?”
“Io…” la guardò confuso, “Non so, penso domani. Perché?”
Lily lo guardò divertita con un’alzata di sopracciglia e trattenendo una risata, mentre il volto di James si illuminava di comprensione.
“Ho capito, certo. Esco domani, assolutamente”, cercò di mostrarsi sicuro di sé, riuscendoci poco e facendo ridere ancora di più la ragazza.
“Pensi”, fermò una risata, “Pensi di chiedermi qualcosa in vista di questa cosa, allora?”
James si fermò un attimo per guardarla, con gli occhi lucidi per le risate e il sorriso grande e luminoso che tanto gli piaceva.
“Assolutamente”, sorrise emozionato, ”Vieni a Hogsmead con me, Evans?
“Non saprei, forse ho un impegno.”
Il ragazzo la guardò male e le lanciò scherzosamente il cuscino, provocando l’ennesima risata della ragazza che fece girare tutta l’infermeria.
 
(Qualche tempo dopo,
un luogo imprecisato del castello)
 
“Ma quindi è vero?”
“Cosa?”
“Lily Evans ha accettato di uscire con James Potter?”
“Davvero? E chi te l’ha detto?”
“Ho sentito una ragazza parlarne in sala comune, però si mormora che lui le abbia somministrato un filtro d’amore.”
“C’era da aspettarselo, dopo tutto questo tempo. Ma hai sentito di Black?”
“No, non so niente.”
“Dicono sia parte di una setta segreta che alleva puffole pigmee illegalmente.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note a piè di pagina:
Non so cosa sia, non so cosa avrebbe dovuto essere, non so cosa sarà.
La scritta tempo e tempo fa, poi la persi e sono mesi che la riscrivo per il semplice fatto che scrivevo un paio di righe e poi l’ispirazione se ne andava.
Poi, ieri, come dal nulla è arrivata e ho scritto i tre quarti di storia che mi mancavano.
Come ho già detto, cos’è non lo so, prendetela con le pinze e per quello che, alla fin fine, è: qualcosa senza pretese, senza capo né coda e che non ha un reale senso.
Spero che non suoni forzato il mio essermi dilungata sui Malandrini e in particolare su Sirius, ma è stato voluto questo inizia e concludere con lui per buttare il tutto sul leggero e spero divertente.
Piccole precisazioni su James e Lily:
  • James  è cresciuto, è maturato, è Caposcuola ed è ormai un uomo. Ma ciò non vuol dire che sia cambiato o debba snaturarsi, sa di aver sbagliato così come sa il motivi per cui l’ha fatto e ha deciso di non negare i suoi sentimenti. Non per questo è giustificato o si giustifica da solo.
  • L’ho reso forse molto insicura e incerta, ma spero si sia capita la situazione particolare e di stallo che i due stavano vivendo mista alla complicità che stanno maturando nel periodo in cui la mia storia è ambientata.Quello che Quello che
   
 
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