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Autore: Inevitabilmente_Dea    13/02/2016    1 recensioni
Elena si ritrova nella Radura. Sola. L'unica ragazza in mezzo ad un branco di Radurai. Non ricorda nulla del suo passato, se non il suo nome. Tuttavia inizia a fare sogni strani, che ogni notte puntualmente arrivano a spaventarla.
La ragazza stringerà amicizie, ma qualcuno sembra non volerla tra i piedi. Eppure ogni volta che lei avrà bisogno di conforto, Newt sarà al suo fianco. Amore o amicizia? Sta a voi scoprirlo...
Buona lettura.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Gridai con tutto il fiato che avevo il corpo e feci per gettarmi su di lui per spostarlo.
Newt fece per trattenermi, ma qualcuno anticipó le mie mosse.
Proprio quando il pugnale raggiunse una distanza minima dal petto di Thomas, Chuck si tuffó su di lui.
Sentii il mondo crollarmi addosso.
Mi sentivo come se i piedi mi si fossero paralizzati dentro a due blocchi di ghiaccio e riuscii solo a rimanere a fissare inerme la scena orrenda, che andava svolgendosi sotto ai miei occhi.
Con un tonfo umidiccio e rivoltante, il pugnale andò a sbattere nel petto di Chuck, affondandovi fino all'elsa. 
Il ragazzino urlò e cadde a terra, il corpo già preso da un tremito. 
Il sangue sgorgava color cremisi scuro dalla ferita.
Le gambe presero a sbattere sul pavimento, i piedi scalciarono convulsi, dando gli ultimi colpi prima della morte incombente. 
La saliva gli schiumò rossa tra le labbra. 
Sentii l'ossigeno mancarmi nei polmoni e la vista annebbiarsi.
Thomas cadde a terra e prese tra le braccia il corpo tremante di Chuck.
"Chuck!" strillò. La sua voce era piena di terrore. "Chuck!"
Feci un passo in avanti, tremante.
Poi un altro e un altro ancora.
Lentamente mi avvicinai al bambino, ancora steso a terra.
Appena lo raggiunsi, il suo corpo fu preso da un tremito incontrollabile. C'era sangue dappertutto, persino le mani di Thomas ne erano ricoperte. 
Gli occhi di Chuck si erano rovesciati all'indietro, lasciando vedere solo le orbite bianche. Il sangue gli gocciolava dal naso e dalla bocca.
"Chuck..." sussurrai, a stento percependo la mia voce.
Era come se un masso mi avesse sostituito i polmoni, rendendomi difficile respirare a causa del suo peso.
Doveva esserci qualcosa che potevamo fare.
Potevamo salvarlo. 
Potevamo... Il ragazzo smise di contorcersi e si lasciò andare. Gli occhi tornarono alla loro posizione normale, si concentrarono su Thomas, si aggrapparono alla vita. 
"Thom... as."
Una parola, udibile a malapena.
"Tieni duro, Chuck." disse Thomas. "Non morire... Lotta. Qualcuno vada a chiamare aiuto!" 
Nessuno si mosse e nel profondo capii il perché. Non si poteva fare nulla, ormai. Era finita. 
Thomas mi rivolse lo sguardo e lo vidi in lacrime.
"Ti prego fai qualcosa." mi bisbiglió.
Vidi dei puntini neri corrermi davanti agli occhi.
La stanza oscillò e si inclinò.
"Tom... Io non..." non riuscii a finire la frase, che le ginocchia mi cedettero e finii accanto a lui.
No. Pensai. Non Chuck. Non Chuck. Thomas mi fissó ancora per qualche istante, come per attendere un mio intervento.
Poi quando si accorse che era tutto perduto, tornó a concentrarsi su Chuck.
"Thomas." sussurrò il bambino. "Trova... mia mamma."
Un colpo di tosse devastante gli scosse i polmoni, facendogli sputare sangue. "Dille..." 
Non finì la frase. Gli occhi si chiusero, il corpo si afflosciò. 
Esalò l'ultimo respiro.
Rimasi a fissarlo.
A fissare il cadavere di un mio amico. Qualcosa accadde dentro di me. Cominciò in basso, nel profondo del mio petto. 
Un seme di rabbia furiosa. Di desiderio di vendetta. Di odio. Qualcosa di oscuro e terribile. 
Poi esplose, dirompendo dai polmoni, dal collo, dalle braccia e dalle gambe. Esplose nella mia mente.
Dovevano morire.
Tutti.
Tutti i Creatori dovevano morire.
Thomas lasciò andare il corpo di Chuck, si alzò tremando e si volse a guardare i nuovi visitatori. 
Lo vidi gettarsi in avanti, scagliandosi su Gally, annaspando con le dita come artigli.
Mi alzai di scatto e prima che potessi trattenerlo, qualcuno mi afferró in vita e mi sollevò da terra.
Non sentii neanche dolore quando le braccia di qualcuno si avvinghiarono a me, premendo sulle ferite, per tenermi ferma.
Rimasi a fissare la scena, senza poter far niente.
Thomas trovò la gola del ragazzo, prese a stringere, cadde a terra sopra di lui. Si mise a cavalcioni sul suo torace, lo tenne fermo con le gambe per non farlo scappare. 
Cominciò a riempirlo di pugni.
Tenne giù Gally con la mano sinistra, spingendogli il collo a terra, e intanto gli riempì selvaggiamente il viso di pugni con la destra. 
Giù, giù e giù ancora, affondando le nocche strette nella guancia e nel naso del ragazzo. 
Si sentì il rumore di qualcosa che si rompeva, vidi sgorgare del sangue, si sentirono urla tremende. 
Non capii se appartenessero a Gally, a Thomas o fossero di entrambi.
Ma ben presto si unirono alle mie.
"Lascialo stare!" gridai in preda al panico. "Lo stavano controllando! Dovresti picchiare lei!" 
Thomas parve non sentirmi neanche e continuó a picchiarlo senza pietà.
Mi dimenai con tutte le forze che avevo in corpo e finalmente riuscii a liberarmi.
Corsi in avanti, puntando alla donna che fino a quel momento se ne era rimasta in disparte a godersi lo spettacolo con un fastidioso sorrisetto stampato sulle labbra, segno che tutto stava procedendo secondo i suoi piani.
Quando mi vide arrivare, la sua espressione tramutó in terrore puro ed indietreggió di qualche passo, con occhi sbarrati.
Senza esitare tirai fuori l'arco e caricai una freccia.
Vidi un'ombra passarmi accanto, poi qualcuno mi colpì al polso, facendomi cadere di mano l'arco.
In un secondo mi ritrovai a terra, bloccata da Minho.
Mi dimenai e mi sorpresi quando emisi dei suoni simili ad un ringhio.
"No!" sentii urlare Thomas, consumato dalla disperazione. "No!" "Glielo avevo promesso!" gridò ancora.
Aveva quasi una voce da folle. 
"Avevo promesso che lo avrei salvato, che lo avrei portato a casa! Glielo avevo promesso!"
Nessuno rispose.
Mi calmai e distesi i muscoli, arrendendomi alla ferrea presa di Minho, che non aveva ceduto neanche per un attimo.
Rimasi stesa a terra, ad ascoltare Thomas piangere come mai prima.
I suoi singhiozzi addolorati risuonavano nella stanza come i lamenti emessi da qualcuno che viene torturato. 
Per un attimo sperai di riuscire a piangere anche io, per esternare tutto quel dolore.
Ma dai miei occhi non uscì neanche una lacrima. 
Erano passati diversi minuti, ma Minho rimaneva ancora sopra di me, per tenermi bloccata.
Per quanto potessi sembrare calma esternamente, in realtà dentro di me si stava svolgendo una battaglia sanguinosa.
Per me nella Radura, Chuck era diventato un simbolo. Come un faro che indicava che in qualche modo saremmo riusciti a sistemare le cose. A dormire in un vero letto. Ad avere dei genitori che ci dessero il bacio della buonanotte. A mangiare uova e pancetta a colazione e ad andare in una vera scuola. A essere felici.
Ma ora Chuck non c'era più. Il suo corpo inerme, a cui Thomas era ancora aggrappato, sembrava un talismano freddo. Che diceva che non solo i nostri sogni di un futuro pieno di speranza non si sarebbero mai realizzati, ma anche che comunque la vita non era mai stata così. 
Che anche se eravamo riusciti a fuggire, ci aspettavano giorni tetri. 
Una vita di dolore. Ricordi, incubi e dolore.
Cercai di raccogliere il dolore e di chiuderlo da qualche parte, nel profondo del mio animo. 
Magari sarebbe marcito con il tempo e lo avrei dimenticato.
Dimenticare... Non avevo mai desiderato così tanto dimenticare qualcosa, come in quel momento.
Ma dovevo andare avanti. Lo dovevo a Newt, a Minho, a Thomas.
Qualunque fosse il cupo futuro che ci aspettava, saremmo stati insieme, e in quel momento era tutto ciò che importava.
Vidi Thomas lasciare andare Chuck e accasciarsi all'indietro senza fiato, cercando di non guardare la maglietta del ragazzo tutta annerita dal sangue. 
La maggior parte degli altri ragazzi, invece, stava fissando il cadavere di Chuck con espressione vacua, come se ormai fossero andati oltre la capacità di provare sentimenti. 
Nessuno stava guardando Gally, che respirava ancora, ma che era rimasto immobile.
Per un attimo mi ero dimenticata anche di lui. Avrei voluto raggiungerlo. Avrei voluto delle spiegazioni. 
Ma in fondo, in fondo, non lo desideravo veramente. 
Avevo avuto la fortuna di ricordare una parte del mio passato e non era stata una bella esperienza. Non volevo rischiare di avere altre informazioni e di starci di nuovo male.
Riportai lo sguardo su Chuck e sentii mancarmi l'aria.
Ancora non potevo crederci. Lui era morto...
Ed io mi sentivo insensibile.
Non stavo piangendo e per quanto mi sforzassi non ci riuscivo.
Il dolore dentro me stava aumentando di volume, facendo pressione sulla gabbia toracica, come per farla scoppiare.
La donna della W.I.C.K.E.D. spezzò il silenzio: "Tutto accade per uno scopo" disse. 
Nella sua voce non c'era traccia di malignità, ma neanche di compassione. "Dovete capirlo."
La fissai sperando di incendiarla con lo sguardo, ma la donna non si degnò neanche di guardarmi.
Una fitta improvvisa si propagandò su tutto il mio busto, facendomi gemere di dolore.
Abbassai lo sguardo e mi ritrovai i vestiti completamente bagnati da sangue e da quella sostanza oleosa di cui era impregnato lo scivolo.
"Minho... lasciami andare adesso." dissi con voce ferma.
Se non avessi fatto qualcosa a quella ferita sarei potuta morire dissanguata.
"Cosa ti succ..."
La sua frase fu interrotta da un'improvvisa serie di urla e di rumori al di fuori dell'ingresso da cui era passata la donna. Lei andò chiaramente in panico, voltandosi e impallidendo all'istante. 
Alzai lo sguardo e vidi diversi uomini e donne con addosso jeans luridi e soprabiti fradici fare irruzione dalla porta brandendo pistole, strillando e gridandosi parole a vicenda. 
Era impossibile capire cosa dicessero. 
Minho si spostò immediatamente da sopra di me e mi aiutò ad alzarmi.
Osservai meglio le armi che quelle persone brandivano decise. Erano per lo più fucili e pistoloni, sembravano quasi... arcaiche e rudimentali. Come giocattoli abbandonati in un bosco per anni e appena riscoperti dalla generazione successiva di bambini che volevano giocare alla guerra. Sconvolta, rimasi a fissare due dei nuovi arrivati che gettavano a terra la donna della W.I.C.K.E.D.
Poi uno fece un passo indietro, estrasse la pistola, prese la mira.
Sbarrai gli occhi e mi aggrappai al braccio di Minho.
Cosa volevano fare?
Per un attimo, tutta la mia rabbia nei confronti di quella donna sparì, lasciando spazio all'angoscia.
L'aria si illuminò dei bagliori della pistola, da cui partirono diversi colpi diretti al corpo della donna. Era morta, un cumulo sanguinolento sul pavimento.
Con gambe tremanti feci diversi passi all'indietro, rischiando quasi di inciampare, seguita a ruota da Minho.
Dovevamo andarcene. Quella situazione non avrebbe portato a nulla di buono.
Un uomo si avvicinò ai noi mentre gli altri componenti del gruppo ci circondarono, puntando svelti le pistole a destra e a sinistra e poi sparando alle finestre degli osservatori, mandandole in frantumi.
Mi tappai le orecchie per il frastuono, ma riuscii comunque a sentire delle urla.
Vidi del sangue ed immediatamente distolsi lo sguardo, concentrandomi sull'uomo che si stava avvicinando. Aveva i capelli neri e un viso giovane ma pieno di rughe intorno agli occhi, come se avesse trascorso ogni giorno della sua vita a preoccuparsi di come arrivare a quello successivo.
Non mi piaceva la sua faccia.
Cosa voleva fare? Spararci? Renderci prigionieri ancora una volta?
Serrai i pungi quando lui iniziò a parlare: "Non c'è tempo per le spiegazioni." disse con voce affaticata quanto il suo volto. "Seguitemi e correte come se fosse una questione di vita o di morte. Perché lo è."
Con quelle parole, l'uomo fece alcuni cenni ai compagni e poi corse fuori dalle grandi porte di vetro, tenendo il braccio con cui brandiva la pistola teso e rigido davanti a sé. La stanza era ancora scossa dai colpi di pistola e dalle grida di agonia, ma feci del mio meglio per ignorarli.
Potevamo veramente fidarci?
"Andate!" gridò da dietro uno dei violenti. Era l'unico modo in cui potevo definirli, in quel momento. Avevano ucciso a sangue freddo moltissime persone, senza neanche battere un ciglio.
Dopo una brevissima esitazione, i Radurai seguirono l'uomo, quasi pestandosi i piedi a vicenda nella foga di uscire da quella stanza, andando il più lontano possibile dai Dolenti e dal Labirinto.
Tutto accadde molto in fretta. In un secondo mi ritrovai trascinata via da Minho.
Non avevamo scelta: dovevamo lasciare indietro il corpo di Chuck.
Lanciai un'ultima occhiata a Gally. Era ancora steso a terra, immobile. L'unica cosa che si muoveva in lui, era il petto. Che andava su e giù a ritmi irregolari.
"Gally!" gridai cercando di frenare la corsa di Minho.
Lui per tutta risposta aumentò la stretta sulla mia mano e con uno strattone mi obbligò a continuare a correre.
"Ha ucciso Chuck!" mi gridò senza neanche guardarmi.
"Non è stato lui, lo controllavano!" urlai di rimando. "Non possiamo lasciarlo lì!"
"Lo abbiamo appena fatto." disse secco l'ex-Intendente dei Velocisti.
Corremmo giù per un lungo corridoio e poi entrammo in una galleria scarsamente illuminata. 
Salimmo una tromba di scale a chiocciola. Tutto era buio e c'era odore di roba elettronica. Giù per un altro corridoio. Ancora su per altre scale. Altri corridoi. 
In pochi secondi mi sentii svuotare di tutto. Avevo visto troppo. Ormai c'era solo il vuoto dentro di me. Un nulla.
Continuai ad andare. Continuammo a correre.
Alcuni degli uomini e delle donne ci guidavano, in testa al gruppo, mentre altri gridavano incoraggiamenti da dietro.
Raggiungemmo altre porte di vetro e le attraversammo, uscendo all'aperto e trovandoci sotto un cielo nero da cui scendeva una pioggia torrenziale.
Non si vedeva nulla. Solo qualche bagliore opaco che rimbalzava sulle pozzanghere battute dalla pioggia. 
Il capo non smise di muoversi finché non raggiungemmo un grosso pullman dai fianchi ammaccati e graffiati in vari punti e la maggior parte delle finestre coperte da un reticolo di crepe. La pioggia vi scorreva sopra come fosse un'enorme creatura sbucata dalle profondità dell'oceano.
"Salite!" gridò l'uomo. "In fretta!"
I ragazzi ubbidirono. Tutti si strinsero fuori dalla porta del pullman in un gruppo compatto e poi salirono, uno alla volta. Quel momento parve dilatarsi all'infinito. 
I Radurai si spinsero a vicenda e arrancarono sui tre gradini che portavano all'interno dell'automezzo e poi ai posti a sedere.
Io e Minho eravamo rimasti in fondo alla fila, con Newt proprio davanti a me. 
Sollevai lo sguardo verso il cielo e sentii la pioggia battermi sul viso. Era calda, quasi bollente, e l'acqua sembrava stranamente densa. 
Mi concentrai sul pullman. Era quasi arrivato il mio turno. Minho mi spinse avanti, incitandomi a sbrigarmi, ed io mi ritrovai in un secondo seduta su uno dei sedili.
Mi accorsi di aver a fianco Newt solo dopo pochi secondi. Mi era venuto quasi naturale sedermici accanto.
Lui non mi degnò neanche di uno sguardo e un'altra crepa si formò sul mio cuore.
Cosa era successo?
Perchè si comportava così?
Lui, sicuramente per evitare di incrociare il mio sguardo, rimaneva con la faccia incollata al finestrino.
Guardai anche io oltre il vetro mezzo rotto e una scena orribile mi si parò davanti.
Thomas era stato gettato a terra da una donna. Un uomo armato gliela levò di dosso e la scaraventò a terra con forza, puntandole contro il fucile.
Quando vidi il volto della donna fui presa da terrore puro e la pelle mi si accapponò. La pelle della donna era pallida e rugosa, coperta di orribili piaghe che grondavano pus. 
In un istante Thomas salì sul pullman e percorse il corridoio.
Occhi spalancati lo fissarono mentre camminava fino al sedile posteriore vicino a Minho, su cui si lasciò cadere. 
L'acqua nera scorreva a fiumi sulle finestre all'esterno. La pioggia tamburellava rumorosa sul tetto. I tuoni scuotevano il cielo sopra le nostre teste. 
Una delle salvatrici, una donna, si sedette di fronte e Thomas e a Minho. Il capo che aveva parlato con noi in precedenza salì sul pullman e si sistemò al volante, avviando il motore. Il pullman cominciò a muoversi. Proprio in quel momento, vidi guizzare un movimento fuori dalla finestra. 
La donna piagata si era alzata in piedi e stava correndo a perdifiato davanti al pullman, agitando follemente le braccia, gridando qualcosa soffocato dai rumori del temporale. 
I suoi occhi erano accesi dalla follia o dal terrore. 
Si chinò verso il vetro della finestra e la vidi scomparire dal mio campo visivo.
"Aspettate!" urlò Thomas, ma nessuno lo sentì. O forse lo sentirono, ma non importava a nessuno. L'autista diede gas al motore. Il pullman avanzò di colpo e andò a sbattere contro il corpo della donna. Il tonfo mi fece balzare sul sedile: la donna era stata schiacciata dalle ruote anteriori. 
Un secondo tonfo annunciò il passaggio di quelle posteriori. 
Newt mi afferrò la mano e la strinse a sè.
Lo guardai e vidi sul suo viso un'espressione nauseata, che sicuramente rispecchiava la mia.
Senza dire una parola, l'autista tenne il piede premuto sul pedale e il pullman procedette faticosamente, nella notte inondata dalla pioggia.
L'ora che seguì, fu una nebbia indistinta di suoni e visioni. L'autista guidava a velocità spericolata, attraversando città e cittadine, mentre la pioggia fitta rendeva quasi impossibile vedere alcun ché. 
Le luci e gli edifici apparivano annacquati e deformi, come scaturiti da un'allucinazione indotta da qualche droga. 
A un certo punto intorno al pullman si ammassarono delle persone dai vestiti logori, con i capelli incollati alla testa e i visi devastati da strane piaghe, come quelle che avevo visto sulla donna. 
Si misero a battere sui fianchi dell'automezzo, come se volessero salire, se volessero sfuggire alle esistenze orribili che stavano vivendo.
Il pullman non rallentò mai. 
Ad ogni piccolo scossone, mi appiccicavo sempre più a Newt.
Non ci eravamo mai lasciati la mano, dall'inizio del tragitto, ma nessuno dei due aveva osato dire una parola.
Thomas aveva iniziato a parlare con la donna seduta di fronte a lui, sicuramente in cerca di spiegazioni e decisi di seguire il suo esempio.
"Newt?" lo chiamai cavando fuori tutto il coraggio che mi era rimasto.
Lui mi rivolse lo sguardo e si morse il labbro, nervoso.
"Perchè ti comporti in modo così strano? Sembra quasi che tu mi odi..." spiegai mettendo una ciocca dietro l'orecchio.
"Io non ti odio." rispose con voce leggermente dolce.
"E allora perchè ti comporti come se fosse così?"
Lui fece un profondo respiro e si grattò la testa, forse alla ricerca delle parole più giuste.
"Non lo so... E' tutto questo che..." fece un altro respiro, poi continuò. "Tutto è partito dal bacio tra te e Gally. Mi ha fatto veramente infuriare il fatto che lui lo abbia fatto, ma mi ha fatto uscire ancora più di senno il fatto che tu non lo abbia respinto."
Una fitta mi travolse il cuore. Sentire il suo nome... La sua immagine coperta di sangue e stesa sul pavimento, riaffiorò nella mia mente.
"Ti sembrerò un bambino capriccioso e insensibile. Insomma, sono morti molti nostri amici. E' morto Chuck... Tu sei stata ferita..." spiegò accarezzandomi il palmo. "E io mi lego al dito proprio il bacio, come se fosse una questione di vita o di morte."
"Mi dispiace... Mi ha colta di sorpresa... I-Io non sapevo cosa fare!" mi giustificai.
"Lo so... Dispiace anche a me." disse lui. "Sono un'idiota e lo so. Per questo se d'ora in poi mi vedrai trasformato in stronzo temporaneo, dimmelo e perdonami. Mi ci vorrà un po' per mandare giù tutto questo."
Annuii lentamente e mi accoccolai sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e sperando che tutto il mondo intorno a me smettesse di esistere.
"Newt?" chiamai tenendo gli occhi ancora serrati tra di loro.
"Mh?" 
"So che ora ci stanno aiutando, ma io non riesco a fidarmi. Starei più tranquilla se tu..." lasciai cadere la frase.
"Se io..?" mi incitò lui.
"Se tu rinnovassi una vecchia promessa." spiegai. "Non devi lasciare che mi portino via da te e che mi facciano di nuovo tutto quello che in passato non hanno esitato a fare."
"Te lo prometto." disse lui, con tono sincero. "Hai già abbastanza cicatrici di guerra."
Due ore dopo, il pullman frenò. 
Ci eravamo fermati in un parcheggio fangoso che circondava un edificio anonimo con diverse file di finestre. La donna e altri soccorritori ci fecero spostare, facendoci entrare dalla porta d'ingresso e poi salire su una scala. 
Finimmo in un enorme dormitorio con una serie di letti a castello allineati lungo una parete. Dal lato opposto c'erano cassettiere e scrivanie. Le finestre coperte dalle tende si intervallavano su ciascuna parete della stanza come in una scacchiera.
Osservai tutto con un silenzioso senso di stupore distante. Ormai non c'era più niente che potesse stupirmi o sopraffarmi di nuovo.
La stanza era coloratissima. Muri color giallo acceso, coperte rosse, tende verdi. 
Dopo il grigiore smorto della Radura, era come essere trasportati in un arcobaleno vivente. 
La vista di quell'insieme di cose - i letti, le cassettiere, tutto fresco e pronto all'uso - trasmetteva un senso di normalità quasi opprimente. 
Troppo bello per essere vero. 
Ma non potevo fare a meno di chiedermi quanto sarebbe durato.
Quando misi piede nel nostro nuovo mondo, Minho espresse quella sensazione al meglio: "Caspio, sono morto e sono finito in paradiso."
Avevo difficoltà a provare gioia, come se facendolo avessi potuto tradire Chuck. 
Ma da qualche parte c'era qualcosa. Qualcosa. 
L'autista e capo del gruppo ci lasciò nelle mani del personale, nove o dieci uomini e donne che indossavano pantaloni neri stirati e camicie bianche, i capelli impeccabili, i visi e le mani ben puliti. Erano tutti sorridenti. I colori. I letti. Il personale. 
Percepii una felicità impossibile, che cercava di erompere dentro di me. 
Tuttavia, vi si nascondeva un enorme abisso, una cupa depressione che forse non mi avrebbe mai abbandonato: il ricordo di Chuck e del suo brutale assassinio. Del suo sacrificio. 
Ma nonostante questo, nonostante tutto, per la prima volta da quando ero uscita dalla Scatola mi sentii al sicuro.
Come avevo predetto, quella sensazione non durò a lungo.
Furono assegnati i letti e poi distribuiti i vestiti e l'occorrente per il bagno. 
Uno ad uno i Radurai venivano chiamati ed organizzati. Ma il mio nome non arrivò mai.
Mi dissero che potevo avere una stanza tutta mia.
Obbiettai. Io non volevo abbandonarli, ma soprattutto non volevo rimanere sola con me stessa.
"Non possiamo lasciarti dormire con loro." mi disse una donna con i capelli pari e neri.
"Ma loro sono la mia famiglia. Ci ho dormito insieme per mesi. Non corro rischi, posso assicurartelo." spiegai cercando di mantenere la calma.
"Sono gli ordini. In più ti servono delle medicazioni urgenti." fu l'ultima cosa che disse prima di prendere in mano l'arma, in modo saldo. "Se non accetti sarò obbligata a costringerti."
Guardai Newt, che se ne stava sulla soglia, a discutere con una guardia.
"Lei non se ne va. Non potete portarla via da me."
"Ripeto per l'ultima volta." disse secca la donna. "Vieni con me nella tua stanza."
Incontrai lo sguardo di Newt e lo supplicai con lo sguardo.
"Come non detto..." sibilò la donna facendo un cenno alle mie spalle.
Due grandi e grossi uomini armati mi afferrarono le braccia e mi trascinarono all'indietro, lungo il corridoio.
"Newt!" gridai in preda al panico.
Lui scattò in avanti, ma fu bloccato a sua volta dalla guardia con cui stava discutendo prima.
"Eli!" gridò lui di rimando.
Venni trascinata di forza fino ad una porta. Solo quando fui al suo interno, le guardie mi lasciarono andare.
Provai a scappare un paio di volte, ma fu tutto inutile.
"Hai mezz'ora per farti una doccia, poi verranno a medicarti e ti porteranno la cena." disse secca la donna.
Quella fu l'ultima frase che disse prima di sbattere la porta dietro di sè.
Il suono del chiavistello mi rimbombò nella testa.
Ero rimasta sola.
Senza via d'uscita.

   
 
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