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Autore: Ella Rogers    14/02/2016    5 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Scacco
 
Erano passati un paio di giorni dalla partenza di Thor e dall’inizio di quello che si prospettava essere un gioco ostico e pericoloso.
Dopo l’inaspettato ritrovamento del Tesseract, si era protratta una calma piatta e abbastanza fastidiosa.
Nessuna visita a sorpresa o richiamo da parte del Governo.
Niente di niente. Ed era peggiore di un qualsiasi qualcosa.
I Vendicatori erano su tutti i notiziari e i giornalisti non si stavano affatto risparmiando nello strutturare ipotesi per lo più assurde sulla loro azione a Detroit. Senza contare le bizzarrie che uscivano dalla bocca dei comuni individui, ogni qual volta venivano intervistati lungo le strade affollate di New York. Si parlava di una nuova invasione aliena, dello scoppio imminente di una guerra, di avvistamenti di navicelle spaziali e ‘I Vendicatori ci salveranno’ era il motto all’ordine del giorno.
Si poteva dire che quel che era accaduto a Detroit avesse causato parecchio scompiglio nella società. Eppure non vi era stato il minimo segno di una presa di posizione da parte del Consiglio Mondiale e Stark si chiedeva cosa stessero confabulando ai piani alti, perché davvero non trovava una spiegazione logica - e per lui tale costatazione era particolarmente grave - al mutismo fuori luogo di quelli che a tutti gli effetti erano ficcanaso di primissima categoria.
Tony non era riuscito a trovare un po’ di tranquillità, nemmeno quando Rogers aveva stabilito ronde in un’ampia zona intorno alla Tower.
Il Capitano, Barton e la Romanoff si erano divisi la suddetta zona e passavano la maggior parte della mattinata fuori, a controllare che non ci fossero individui sospetti intenzionati a riprendersi il Cubo, anche se Stark era convinto che i tre ex agenti dello SHIELD avessero solo trovato un modo per distrarsi, data l’atmosfera tesa.
Sbuffò, osservando i dati ricavati dall’iniziale analisi che lui e Banner avevano eseguito sul Tesseract e chiedendosi come potesse esistere un tale concentrato di energia.
 
“Tony” la soffice voce di Pepper infranse il silenzio e Stark fece roteare lo sgabello su cui era seduto. La osservò varcare la soglia del laboratorio in cui era rinchiuso da troppo tempo, accogliendola con un sorriso.
“C’è un certo Henry Benson giù nella hall. Lo conosci?”
Stark si alzò dallo sgabello e portò una mano sotto il mento.
“Fammi pensare … no. Mai sentito. Cosa vuole?”
Il miliardario raggiunse la fidanzata e rimase a fissarla, in attesa di una risposta. Pepper era turbata e quando Pepper era turbata, significava che c’erano guai in vista.
Era una donna dotata di grande intuito, la Potts, e Tony non poteva non ripetersi quanto fosse fortunato ad averla accanto.
“Dice di voler incontrare il Capitano Rogers.”
Se Stark fu sorpreso dalla notizia, non lo diede a vedere.
“Rogers è fuori” affermò semplicemente.
“Cosa vuoi che gli dica, allora? È parecchio insistente e non sembra voler demordere.”
 
 
 
                                             ***
 
 
 
“Che cosa hai combinato, Rogers?”
 
La fredda aria invernale lo investì con una folata improvvisa, portandolo a incassare la testa nelle spalle larghe e forti. Con un gesto veloce abbassò ulteriormente la visiera del cappello blu e lanciò sguardi furtivi tutt’intorno, mentre individui ignari gli sfrecciavano accanto, assorbiti dal caotico scorrere della vita.
“Sai che odio quando non vai al punto, Stark.”
Uno sbuffo falsamente esasperato riverberò all’interno del suo orecchio destro, temporaneamente occupato dall’auricolare, il cui filo rosso spariva nell’ampia tasca del morbido cappotto marrone.
“Chi è Harry Benson?”
Questa volta fu Steve a far scivolare l’aria fuori dai polmoni, in un sospiro contrito.
“Perché me lo chiedi?”
Il Capitano stava spudoratamente evitando di rispondere all’interrogativo diretto e Stark, per quella volta, evitò di farglielo notare.
“È alla Tower e vuole te.”
Il pensiero di Steve non poté fare a meno di annidarsi attorno a quel vuole te, due parole che erano espressione di una spaventosa realtà e che sfociavano al di fuori del semplice intendimento figurato, perché Henry Benson lo voleva letteralmente.
Naturalmente il miliardario non poteva sapere.
Un nuovo sospiro contrito e piuttosto profondo.
“Sto arrivando.”
“Niente segreti tra Vendicatori, ricordi?”
“Sì” rispose asciutto Rogers, eseguendo un brusco dietrofront ed accelerando il passo, nonostante la matta voglia di trovare un angolino buio e rimanere nascosto lì, in attesa che la tempesta passasse. È che proprio non riusciva a trovare una briciola di forza nel suo animo devastato e, per quanto si sforzasse di tenere insieme i pezzi del suo spirito, questi non volevano affatto collaborare.
Era decisamente stufo di continuare a sbriciolarsi come intonaco vecchio ed inservibile. Dal giorno del risveglio, non aveva fatto altro che andare incontro ad una sorta di autodistruzione.
Da quando era nato, non aveva mai smesso di combattere, che il nemico fosse un debole e rachitico corpo, la malattia, la paura, la guerra, l’Hydra o alieni venuti da chissà dove.
Eppure era dannatamente consapevole che abbandonare lo scudo, avrebbe significato privarsi dell’ultima barriera che lo proteggeva dal finire in pezzi.
Capitan America aveva la forza di continuare a lottare, a dispetto di uno Steve Rogers stremato e tormentato.
 
“E Rogers. Smettila di sospirare, mi metti ansia.”
 
Dall’altro capo del telefono, Tony rimase ad ascoltare il  tu tu  ripetitivo della chiamata tranciata brutalmente.
 
 
                                                     ***
 
 
Non appena Steve varcò la soglia dell’ufficio privato di Stark, lo sguardo maligno di Henry Benson saettò fulmineo su di lui.
 
“Steve Rogers.”
 
Ricordava perfettamente quella voce così dannatamente falsa e gracchiante, così come non aveva dimenticato lo sguardo avido e morboso dell’uomo.
 
“Signor Benson.”
 
A Tony bastò intercettare gli occhi di Capitan America, per capire quanto fosse sgradita e indisponente la vista del grassoccio individuo dalla testa calva.
Ci furono attimi di teso silenzio, durante i quali il miliardario si sentì di troppo dinanzi lo scambio d'indecifrabili sguardi tra gli altri due.
Fu Benson a rompere il ghiaccio, alla fine. Si presentò come il commissario del Consiglio Mondiale della Sicurezza e non attese oltre per esplicare il perché della sua presenza lì.
 
“Sono arrivate parecchie lamentele dai piani alti, dopo la vostra visita a Detroit. È lo stesso Consiglio Mondiale ad avere approvato il progetto Avengers e perciò non avete l’autorizzazione per agire di vostra volontà.”
“Se non avessimo agito di nostra volontà qualche tempo fa, adesso l’Hydra governerebbe il mondo. Non ricordo che il Consiglio ci abbia fornito assistenza dopo il crollo del Triskelion, anzi, ha pensato bene di etichettare alcuni tra noi come probabili nemici di Stato.”
Steve rispose all’accusa con estrema calma, mentre andava ad affiancare Stark, appoggiato alla grande scrivania in mogano dell’ufficio. Benson stanziava invece di fronte ai due Vendicatori, comodamente seduto su una poltrona in pelle nera.
“Avete distrutto un’organizzazione che era stata posta a salvaguardia dell’umanità. Si aspettava un ringraziamento, forse?”
Era bravo Benson, a rigirare la frittata.
“Lo SHIELD era compromesso. Avete avuto prove concrete, no? E allora, mi chiedo, perché l’Hydra continui a farsi i suoi comodi e perché il Consiglio non si stia muovendo per far fronte al problema.”
La voce di Rogers cominciava a incrinarsi pericolosamente, ma il commissario non parve preoccuparsene.
“Il Consiglio è già attivo su questo fronte e non deve rendere conto a nessuno, tantomeno a un gruppo di pazzi sconclusionati.”
 
“Non le conviene provocarci” sibilò allora Stark, il cui autocontrollo aveva già cominciato a vacillare dall’esatto momento in cui il ciccione aveva aperto bocca.
Benson aveva fatto una mossa decisamente azzardata nell’essere venuto, da solo, ad affrontare un discorso così delicato con Capitan America e Iron Man nella stessa stanza. Due potevano essere le spiegazioni per la cotanta sicurezza che emanava la sua figura: o era uno squilibrato, o poteva contare su mezzi che andavano ben oltre il semplice appoggio dell’intero Consiglio Mondiale.
“Signor Stark, lei-” cominciò quindi tranquillo il commissario, prima di essere interrotto bruscamente.
“State dando asilo e finanze a qualche altro fanatico schizzato? C’è un posto vacante, no? Aldrich Killian è morto, se non ricordo male.”
 
“Cosa vuole il Consiglio?” intervenne a quel punto Rogers, anticipando qualsiasi altra velenosa e altrettanto giustificata frecciatina da parte del compagno, il quale si limitò ad emettere un grugnito rabbioso.
Gli occhi del Capitano, freddi come mai prima, si piantarono in quelli scuri e schiacciati di Benson, sul cui viso era fiorita di nuovo quella soffocante espressione avida.
“Il Consiglio Mondiale vuole che lei smetta di fare di testa propria, Capitano. I miei superiori la invitano a mettersi a loro disposizione, come dipendente, possiamo dire. Lavorerà per il Consiglio e l’azione degli Avengers sarà richiesta solo in casi di estrema necessità. Sarà lei a coordinarla.”
 
Quello non era un invito, ovviamente. Era un maledetto ultimatum, un punto di non ritorno, indifferentemente dalla positività o negatività della risposta.
Già dopo la caduta del Triskelion, il Governo aveva tentato invano di reclutare Capitan America, in modo da poterlo controllare. I piani alti lo temevano, perché era un cane sciolto, privo di qualsiasi legame sociale o politico, a differenza di uno come Stark, che, nonostante la tendenza a fregarsene delle regole, doveva rispettare alcuni limiti, dato che aveva una società composta da centinaia di persone che lavoravano per lui da tutelare.
Ma c’era un altro fattore, forse quello possedente il peso maggiore, che aveva acceso nel Consiglio il desiderio di mettere le mani sul Capitano.
Steve Rogers aveva un carisma tale da riuscire a portare le persone dalla propria parte, così com'era successo durante la battaglia consumatasi vicino le sponde del Potomac: gli agenti SHIELD si erano rivoltati in massa, credendo ciecamente alle parole di Capitan America, nonostante egli fosse stato accusato di tradimento.
Dato che non potevano farlo fuori fisicamente, i piani alti erano disposti a scendere a compromessi, pur di tenerlo a bada.
E Steve lo sapeva. Ne era divenuto consapevole nel momento in cui gli esponenti del Consiglio Mondiale non si erano fatti scrupoli ad appoggiare la caccia all’uomo che Pierce aveva scatenato contro di lui.
 
“Hai sprecato il tuo tempo, allora, caro Benson. Lui non accetterà e gli Avengers continueranno a lavorare autonomamente, che il Consiglio lo voglia o no.”
 
Rogers si sentì mancare nell’udire quelle parole e rivolse al compagno uno sguardo incredulo. Tony non poteva essere così pazzo. Il Governo lo avrebbe perseguitato per il resto dei suoi giorni.
Lo stesso Benson, che era parso così sicuro di sé, rimase pietrificato per qualche istante, prima di iniziare a sputare fuori l’indignazione scaturita da quel rifiuto baldanzoso.
 
“Voi non avete chiaro il concetto di subordinazione. Non avete la facoltà di prendere decisioni e imporre regole. Se il Governo comanda, voi eseguite, non esistono né se e tanto meno ma. Sapete perché avete la fortuna di essere ancora in circolazione? Perché siete utili. Se diverrete un peso o un impiccio, beh in quel caso, se fossi in voi, comincerei a guardarmi le spalle. I piani alti dispongono di risorse eccezionali e state certi che non si faranno scrupoli nell’utilizzarle. Quindi, evitate di scavarvi la fossa prima del tempo, soprattutto lei signor Stark.”
 
Era un’esplicita minaccia e se Benson riusciva a minacciare con così tanta tranquillità i Vendicatori, significava una sola cosa: le suddette eccezionali risorse di cui il Governo era in possesso dovevano essere estremamente eccezionali.
 
“I piani alti non sono poi tanto diversi dall’Hydra, allora, se intendono imporre il loro volere con la forza, a discapito di chiunque agisca al di fuori dei loro progetti. Forse è il Governo che farebbe meglio a guadarsi le spalle.”
 
Rogers sentì immediatamente il desiderio di mordersi la lingua.
Perché diavolo non riusciva a starsene zitto e buono una volta tanto?
Stava condannando tutti.
Forse avrebbe solo dovuto accettare la costrizione del Consiglio ed evitare inutili spargimenti di sangue.
 
“E glielo sta dicendo colui che ha distrutto il Triskelion, mio caro Benson, perciò non sottovaluterei le sue parole.”
La mano di Stark strinse con energia la spalla del super soldato.
I Vendicatori non erano e mai sarebbero stati i cagnolini del Governo e, a quel punto, un aperto scontro con quegli uomini di potere diveniva inevitabile.
Fury aveva rappresentato l’elemento cuscinetto che aveva impedito il cozzare tra le due inconciliabili entità e la sua dipartita - anche se fittizia - aveva decretato il crollo dell’ultimo muro di malsana accondiscendenza e forzata tolleranza.
Benson aveva affermato che il Consiglio non avrebbe esitato a rendere inoffensivo chi avesse rappresentato un ostacolo al suo volere. Cosa c’era allora di diverso tra un tale modo di fare e la fortunatamente sventata soppressione di vite umane, attraverso titanici carri armati da spedire in orbita?
Le parole del commissario avevano un non so che di raggelante e Steve si sorprese a pensare a un uomo il cui volto non aveva ancora smesso di bruciare nella memoria, mentre il battito del cuore gli rimbombava violento nelle orecchie.
 
“Voi, inietti, come vi permettete di minacciarci?”
Benson recuperò la posizione eretta con un movimento goffo e lento, mentre il viso si accedeva di rabbia.
“Ma sapete? Non importa. Era prevedibile. Siete solo un branco di scellerati che si divertono a giocare agli eroi.”
 
“Non è stato il Consiglio a fermare ben due offensive aliene, da quanto ne so. E non è stato il Consiglio a sventare un attacco terroristico di dimensioni epocali. Quindi non credo che il nostro possa essere definito un semplice gioco, signor commissario.”
 
“Fare il supereroe non è un gioco, Stark” lo aveva ripreso Rogers, solo qualche giorno prima, e Tony non era mai stato più d’accordo con il biondo, nonostante fingesse di pensarla diversamente, solo per stuzzicarlo.
Il miliardario percepì il proprio ego fare scintille, non appena si accorse dello sguardo orgoglioso che il Capitano gli stava rivolgendo.
 
Il sorriso sornione di Stark fece perdere completamente le staffe a Benson, che si sentì deriso e oltraggiato. Con andamento furioso, il grassoccio commissario si precipitò verso la porta, ma prima di lasciare la stanza, si voltò indietro un’ultima volta.
 
“Ci rivedremo, giovanotto” esordì, puntando gli occhi sulla figura del super soldato.
“Non puoi sfuggire al tuo destino. Nessuno di voi può farlo. Potete dilatare il tempo, opponendovi, ma non evitarlo.”
E Benson sparì, lasciando i due Vendicatori piuttosto interdetti.
Parlare di destino era decisamente paradossale, per uno che lavorava con persone che si divertivano a controllare i poveri mortali.
 
Steve rabbrividì, quando capì che il commissario aveva inteso ricordargli quella pericolosa promessa che si era lasciato alle spalle parecchi anni prima.
 
 
 
                                     ***
 
 
 
“Penso che sarò davvero costretta a chiamare una baby sitter per voi due idioti.”
 
Natasha incrociò le braccia sotto i seni, spiegazzando la camicetta bianca che metteva in risalto le belle forme, adesso tese e pronte a scattare.
Il cipiglio severo e il fatto che continuasse a battere con nervosismo il piede destro contro il parquet, indussero i due Idioti a preoccuparsi seriamente per la propria incolumità.
Tale preoccupazione non toccava affatto Barton, che se ne stava stravaccato sul divano a sghignazzare senza freno alla vista di due uomini grandi e grossi - o almeno uno di loro lo era, sull’altro avrebbe avuto qualcosa da ridire -, comportarsi come impacciati bambini appena colti in fallo.
Dal canto suo, Bruce decise di rimanere fuori dalla discussione. Non era cosa nuova per lui trovarsi nel mirino del Governo, dopotutto. Certo, gli sarebbe piaciuto evitare lo scontro, ma in cuor suo aveva sempre saputo che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato.
 
“Che cosa avete nel cervello?” continuava intanto Natasha, che aveva preso a camminare avanti e indietro, sbuffando frustrata.
“Da Stark avrei anche potuto aspettarmelo, ma da te, Steve … accidenti, dovevate trovare un compromesso. Non avevamo bisogno di un’esplicita dichiarazione di guerra, non ora che Thor non c’è e il Tesseract è misteriosamente riapparso.”
 
“Volevi consegnare loro Rogers, per caso? Sai che non possiamo fidarci, soprattutto perché l’Hydra è ancora in circolazione e nessuno ci dà la certezza che non sia immischiata con gli affari dei piani alti. Hai dimenticato quello che ci ha detto Legolas?”
 
“Non mettermi in mezzo, Stark. Sono innocente questa volta e non voglio finire in bianco per colpa vostra.”
Barton capì che in bianco ci sarebbe rimasto comunque, perché lo sguardo omicida della Romanoff lo perforò come un proiettile.
 
Ci fu un istante in cui tutti pensarono che la rossa avrebbe commesso una strage senza precedenti, proprio lì, togliendo al Governo il peso di dover convivere con i potenti Vendicatori.
Ma Natasha si limitò a lasciarsi cadere sul divano, al fianco di Clint, incapace di capire cosa le fosse preso.
Era da qualche settimana che si era resa conto di non riuscire più a tenere a bada le emozioni. Le sembrava di aver assunto una di quelle droghe che amplificano esponenzialmente anche la più piccola sensazione.
Si sentiva così strana. Diversa.
Forse la scomparsa dello SHIELD l’aveva toccata davvero nel profondo.
 
“Okay” soffiò fuori, rimettendosi in piedi, mentre i compagni tornavano a rivolgerle tutta la loro attenzione.
“Sia chiaro che non voglio consegnare Steve al Consiglio, perché sappiamo tutti quanto quei bastardi aspirino a farlo fuori. Ci sono passata, quando ero la spietata Vedova Nera, il terrore rosso, un’assassina fuori da ogni controllo. Oggi sono qui per un motivo: scelsi di essere controllata, scelsi di seguire gli ordini che lo SHIELD mi imponeva e, per questo, il Governo smise di braccarmi come fossi stata un bestia.”
 
Nessuno osò fiatare. Per rispetto e per ammirazione.
Natasha fece un respiro profondo e continuò.
 
“Forse ho paura. Ero terrorizzata, quando ho scoperto che lo SHIELD era solo un’altra sporca menzogna e probabilmente avrei dato di matto se non ci fosse stato quell’Idiota al mio fianco” e la donna rivolse al biondo un’occhiata veloce ma intensa.
“Non crediate neppure per un secondo che io sia dalla parte del Consiglio. I piani alti mi odiano e il sentimento è reciproco, ma non posso sopportare di perdere una delle poche cose che danno valore alla mia vita. Non voglio che gli Avengers smettano di esistere. Voi siete gli unici che ritengo degni della mia fiducia, adesso. Ho perso già lo SHIELD, che mi faceva credere di avere un posto nel mondo. Senza di voi, mi sentirei completamente svuotata ed è per questo che avrei voluto trattare la situazione con i guanti, senza inutili colpi di testa.”
 
Quello di Natasha era uno sfogo con i fiocchi. Voleva che gli altri sapessero, perché era stufa di nascondersi dietro una maschera di freddo cinismo, quando era di fronte a loro.
Quegli Idioti erano riusciti a farla uscire dal guscio, alla fine.
Si stava rammollendo e, acciden-
E questo era prevedibile, dopotutto.
Steve l’aveva avvolta in un abbraccio, schiacciandola contro il suo petto e Natasha si rilassò in quella stretta gentile.
 
“Io farei attenzione, Barton.”
 
Per quella volta, Clint lasciò che l’innocente frecciatina di Stark gli scivolasse semplicemente addosso.
Era orgoglioso della sua Natasha. Era orgoglioso di poterla finalmente ammirare senza veli. Vedeva, nella sua interezza, la donna che aveva solamente scorto tanti anni prima, a Budapest, quando lo SHIELD lo aveva incaricato di uccidere quella da tutti conosciuta come una macchina assassina senza sentimento alcuno. Era stato proprio il sopravvissuto sprazzo di umanità che aveva scorto in quella bellissima giovane dai capelli rossi come il sangue, ad averlo spinto a preservarne la vita.
Da quando lo SHIELD era crollato, nella rossa qualcosa era scattato e quello stesso qualcosa aveva iniziato ad infiammarsi durante la loro permanenza a Budapest.
Era cambiata, Natasha.
 
“Mi dispiace, Natasha. Rimedierò, in qualche modo.”
Steve si staccò dalla donna e le riservò uno sguardo intenso.
In risposta, la Romanoff scosse il capo, sorridendo lievemente.
“Rimedieremo, Steve. Insieme, come sempre.”
 
 
 
                                             ***
 
 
 
Osservò l’uomo grassoccio uscire dall’immenso grattacielo e venire immediatamente affiancato da una scorta composta di due omaccioni in nero. Per quanto grosse, le due guardie del corpo non avrebbero di certo rappresentato un problema.
La sua preoccupazione era stata un’altra, ma essa si era dissolta, non appena aveva individuato il soggetto in questione.
Si concesse un respiro di sollievo.
 
Lui non c’era. Non lo avevano preso.
Lui era ancora al sicuro.
 
Confondendosi nella schiera di persone che affollavano la strada, seguì l’uomo grassoccio, stando ben attento a mantenere una certa distanza.
Erano mesi che portava avanti la sua personale caccia all’Hydra, ma era riuscito a scovare solo pesci piccoli, inutili per il raggiungimento dell’obiettivo che si era prefissato.
Il cuore ancora pulsante dell’organizzazione che per anni aveva controllato la sua vita, era nascosto da qualche parte nel mondo, in attesa di tempi più maturi. O forse i tempi erano già maturati e i giochi avevano già avuto inizio.
Ma l’avrebbe scoperto presto, cosa stessero macchinando quei bastardi, perché aveva appena trovato una via d’accesso ai loro più oscuri segreti.
 
Continuò a pedinare il commissario, con estrema discrezione.
Nell’arte dell’invisibilità era un maestro. Camuffarsi da fantasma era facile come respirare, grazie a tutte quelle abilità che gli erano state conferite artificialmente.
Dopotutto, non voleva che all’Hydra arrivasse la voce della sua non morte.
Aveva, per questo, ucciso tutti gli agenti dell’organizzazione con cui era stato costretto ad entrare in contatto.
Non poteva fidarsi di nessuno. Non doveva commettere errori.
Stava giocando contemporaneamente il ruolo del cacciatore e della preda. Era alla ricerca nel nucleo ancora vivo dell’Hydra e, al tempo stesso, si sforzava di rimanere invisibile, affinché l’organizzazione non lo trovasse.
 
In realtà, si stava nascondendo anche da Lui.
E avrebbe continuato a nascondersi - creando altre false piste -, se quella mattina non fosse incappato in Henry Benson, proprio mentre cercava di allontanarsi il più possibile da New York, dato che Lui era tornato.
Rischiava di incontrarlo e non era pronto, dannazione.
 
Una cosa era certa: conosceva Henry Benson e sapeva che era immischiato negli affari sporchi dell’Hydra. Non ricordava nitidamente le circostanze del loro incontro - le sue memorie parevano essersi trasformate in un ammasso informe di fili -, ma non aveva importanza.
Importava solo che il commissario non fosse uno dei tanti inutili pesci piccoli, uno di quelli sacrificabili.
 
Benson, seguito dalle due guardie, imboccò una stradina secondaria, tirandosi fuori dalla folla.
Quello era il momento perfetto per agire.
Oscurò meglio il volto, tirando in basso la visiera del cappello ed infilò le mani nelle tasche della larga felpa nera, mentre imboccava lo stesso vicolo dentro cui il commissario era sparito.
 
Un altro passo verso la redenzione.
Un altro passo verso l’uomo con lo Scudo.
Un altro passo verso Steve Rogers.
 
 
 
“Non combatterò contro di te. Tu sei mio amico.”
 
“Perché io sarò con te fino alla fine.”

 
 
 
                                                      ***
 
 
 
Doveva assolutamente imparare a tenere la bocca chiusa, o almeno evitare di sparare idiozie prive di senso.
Era colpa della sua lingua impertinente, se quella sera Natasha non lo aveva raggiunto come al solito. Sì, doveva essere per quel “finire in bianco” decisamente fuori luogo, se Nat era rimasta in camera sua.
Eppure, la russa non era quel tipo di persona che se la prendeva per piccolezze del genere. Forse, l’aveva offesa più di quanto immaginasse.
Fortunatamente era bravo, quando si trattava di farsi perdonare. Conosceva parecchi espedienti per ammorbidire la compagna.
 
Quando sgattaiolò all’interno dell’appartamento della Romanoff, la sua attenzione fu catturata da uno strano rumore.
Rimase fermo nel buio, in ascolto, e sentì nuovamente quello strano suono soffocato. Si mosse, allora, cercando di capire da dove provenisse, e si ritrovò davanti la porta chiusa del bagno, dalla cui fessura inferiore fuoriusciva una lingua di luce.
Il suono era scomparso.
“Natasha” chiamò piano.
Non ricevette alcuna risposta, perciò, preoccupato, si decise ad entrare. Non appena abbassò la maniglia, una voce rauca e stanca risuonò oltre la porta.
 
“Non entrare.”
 
L’arciere si bloccò e un solco di confusione prese forma tra le sue sopracciglia.
“Nat, stai bene?”
A rispondergli fu il soffocato suono di prima, ma questa volta il suo cervello impiegò un istante per identificarlo.
Clint aprì la porta con fin troppa forza, sbarrando gli occhi nel trovarsi di fronte la minuta figura di Natasha, inginocchiata ai piedi del water. La donna aveva i capelli scompigliati, la fronte imperlata di sudore e tremava come una foglia.
 
“Ti avevo detto di non entrare” esalò con un filo di voce.
 
Barton fece per rispondere, ma Natasha tornò a piegarsi sul water, quando un nuovo conato le fece contrarre dolorosamente l’addome.
L’uomo si precipitò subito in aiuto della compagna, inginocchiandosi al suo fianco, e non esitò a poggiarle delicatamente una mano sulla fronte umida.
 
Dopo un tempo che parve infinito, Natasha sembrò non avere più nulla da tirare fuori. Clint la aiutò a rimettersi in piedi, sostenendola saldamente per la vita e sospirando sollevato nell’accorgersi che lei si era rilassata e che lo stava lasciando fare.
Natasha non sopportava farsi vedere nei momenti di debolezza.
Nella Stanza Rossa, il mostrare debolezza veniva punito severamente.
 
Clint le rimase vicino, osservandola sciacquarsi il viso e la bocca con l’acqua che correva veloce dal rubinetto del lavandino.
“Stai bene?”
 
La rossa incrociò gli occhi del compagno attraverso lo specchio posizionato appena sopra il lavello.
“Sarà stato il sushi che Stark ci ha fatto mangiare per cena. Mi riprenderò.”
Afferrò un asciugamano di spugna e si tamponò il viso provato e segnato da occhiaie scure e profonde. Era pallida e si sentiva strana.
 
“Rimango con te.”
“Sto bene, davvero.”
“Okay, ma rimango lo stesso.”
 
Natasha scosse il capo, sorridendo lievemente. Quando Barton si metteva in testa qualcosa, non c’era niente da fare.
In fondo, non le dispiaceva per nulla averlo lì. Se c’era una persona con cui poteva permettersi di essere debole, quella era Clint.
 
“Allora andiamo a letto. Sono stanca.”
Natasha non vedeva l’ora di infilarsi sotto le coperte, per abbandonarsi ad un sonno ristoratore, cullata dal calore del compagno.
Sfortunatamente i piani della russa andarono a monte.
 
La voce atona di JARVIS infranse il silenzio della notte.
 
“Agente Barton. Agente Romanoff” esordì l’AI.
“Il signor Stark richiede la vostra presenza nel suo laboratorio. È un’emergenza.”
 
“Oh, ma che tempis-”
“Muoviti Barton.”
“Sì signora!”
 
 
 
                                                 ***
 
 
 
“Mi chiedo se questa sia la conseguenza del rifiuto a voler scendere a trattative con il Consiglio.”
 
“Sai che la tua insinuazione insinua che il Consiglio sia immischiato negli affari dell’Hydra, Stark?”
 
“Già. Hai proprio ragione, Barton. Insinui bene insinuando che la mia insinuazione insinui una tale eventualità.”
 
“Smettetela.”
Lo sguardo assassino di Rogers incenerì Stark e Barton.
 
“Stai forse insinuando che quello che Legolas ha insinuato io stessi insinuando sia un’insinuazione che non andava insinuata?”
 
Una venuzza rigonfia prese a pulsare sulla tempia destra del super soldato.
Signor Stark.
Forse l’ultima volta che Rogers aveva utilizzato quell’appellativo, risaliva a quattro anni prima, durante il suo primissimo incontro con Iron Man.
Il richiamo ebbe il suo effetto, perché Tony roteò lo sgabello, per tornare a rivolgere lo sguardo allo schermo del computer.
Gli altri Avengers si strinsero attorno al miliardario, in modo da poter osservare l’immagine satellitare di un quartiere a Washington. Affiancata alla suddetta foto, ce n’era un’altra che ritraeva il quartiere Midtown di New York, dove s'innalzava grandioso l’Empire State Building.
 
Solo Banner se ne stava in disparte, appoggiato al piano di lavoro del laboratorio. Era stato il primo a essere informato da Stark, dopo che era giunta una nuova segnalazione di un’anomala emissione di raggi gamma, e non riusciva a capacitarsi di quel che stava accadendo.
Due emissioni anomale, decisamente aliene, provenienti da due luoghi tra loro abbastanza lontani.
Se il Tesseract era alla Tower, allora doveva essere rimasto in giro solo lo scettro di Loki. Eppure c’erano state due emissioni anomale e il Tesseract non era coinvolto.
 
“Ne hanno un’altra.”
Bruce si lisciò la camicia azzurra sul petto, mentre i presenti rivolgevano a lui tutta la loro attenzione.
“Hanno un’altra di quelle maledette armi e questa cosa ce la stanno spiattellando in faccia. Non si stanno più nascondendo, ormai. Ci hanno appena sfidato.”
 
“Se l’Hydra era lo SHIELD, allora era a conoscenza della rintracciabilità di queste armi aliene, se stuzzicate. Ci hanno attirato a Detroit, utilizzando il Tesseract, e ce lo hanno lasciato portare via.”
La voce di Steve era intrisa di fredda consapevolezza.
“Ma perché?”
“Vorrei essere in grado di risponderti, Stark.”
 
Erano a un punto morto. Da quel momento in avanti, avrebbero dovuto muoversi con estrema cautela, così come si fa quando si è impegnati a costruire un castello con le carte.
 
“Che facciamo questa volta?” chiese Natasha, che intanto aveva riacquistato un po’ di colore in viso.
 
“C’è più del novanta per cento delle possibilità che questa sia una trappola. Non dimentichiamo, inoltre, che sono in possesso di un’arma micidiale, che potrebbe essere lo scettro di Loki, oppure qualcosa di assai più pericoloso.”
“E Thor non c’è” aggiunse Stark, come a voler chiarificare lo svantaggio a loro discapito, se mai avessero ingaggiato battaglia.
“Quindi restiamo qui?” si azzardò a proporre Clint, mentre l’aria si caricava di una strana atmosfera, brulicante di dubbi ed incertezze.
“Visto come stanno le cose …”
La sospensione teatrale di Natasha era l’ennesimo espediente, per far sì che una persona in particolare si risvegliasse dall’improvviso coma e si decidesse a chiudere lì quel meeting notturno improvvisato - molto improvvisato, dato che i Vendicatori erano in pigiama, ad eccezione di Bruce che si era sforzato di indossare la solita camicia sopra i pantaloni grigi della tuta.
 
“Forse dovremmo, sì.”
Le orecchie dei presenti si tesero verso il suono incerto della voce del Capitano, rigidamente dritto, con le braccia incrociate sul petto e un pericoloso solco tra gli occhi, persi a contemplare un punto indefinito del lucido pavimento.
“Sarebbe un grosso azzardo perfino per noi, dopotutto” argomentò il super soldato, tamburellando con l’indice destro sopra il braccio sinistro e sospirando ripetutamente.
 
Stark, ancora seduto sullo sgabello girevole, si tese in direzione di Barton, in piedi lì accanto, e sussurrò in modo che solo l’arciere potesse udirlo.
“Prepara l’arco, Legolas.”
 
 
 
                                            ***
 
 
 
L’Empire State Building, che per trentasei anni aveva conservato il primato di edificio più alto del mondo, prima che i Russi glielo sottraessero, si innalzava in tutti i suoi centotré piani all'angolo tra la Fifth Avenue e la West 34th Street.
Gli ultimi trenta piani e l’apice del grattacielo, illuminati da una luce di un giallo incredibilmente intenso, si stagliavano su un orizzonte macchiato di nuvole grigiastre, che formavano una coltre sull’esiguo spicchio di luna crescente.
 
Stark, Rogers, Barton e Romanoff si erano ritrovati dinanzi l’ingresso del grattacielo, dopo aver parcheggiato le auto in East 36th Street.
Il miliardario aveva, a malincuore, messo a disposizione due delle sue preziosissime Audi e si era visto costretto a lasciare che Barton ne guidasse una; difatti, Tony non poteva di certo guidarne due contemporaneamente, ma per il futuro si ripromise di progettare qualche intelligenza artificiale da inserire nei suoi amati gioiellini, in modo da avere più possibilità di riaverle indietro sane.
 
“Le porte sono aperte.”
Natasha, che era andata avanti, rimase quasi sorpresa nell’osservare roteare le porte girevoli, dopo averle spinte con la certezza di trovarle bloccate.
L’Empire chiudeva ufficialmente alle due di notte e in quel momento le tre e mezzo erano state superate di qualche minuto.
 
“Il nostro satellite rileva la presenza di sedici individui all’ottantaseiesimo piano, dove è situato l’Osservatorio. Il resto dell’edificio appare completamente vuoto. Non riscontro più alcuna emissione di raggi gamma.”
La voce di Banner comunicò il tutto con fermezza, attraverso le ricetrasmittenti. Il dottore era rimasto alla Tower, perché gli Avengers non potevano di certo rischiare di distruggere l’Empire, uno dei maggiori simboli di New York, oltre che attrazione turistica per eccellenza - cosa di cui l’Hydra sembrava non preoccuparsi, invece.
Il mostro dalle infinite teste stava attendendo placidamente l’arrivo delle sue prede ed aveva schierato sul campo sedici soli uomini.
I Vendicatori si scambiarono occhiate veloci. Il bagliore dei lampioni disegnava sui loro volti macchie di luce, che mettevano in risalto i lineamenti tesi.
Approfittando del fatto che la strada fosse deserta e che non ci fosse nessuno nei dintorni, si intrufolarono all’interno dell’edificio con la guardia alta, ma ad accoglierli ci fu solo il buio più totale e l’eco dei loro stessi passi.
 
“Adesso ci penso io.”
In pochi attimi, la valigetta che Tony aveva tenuto in mano fino ad allora, si scartocciò aderendo al corpo del proprietario.
Dal centro del petto metallico di Iron Man, si propagò una luce tanto intensa da illuminare buona parte dello stanzone d’ingresso. I tre ex agenti dello SHIELD, intanto, si spogliarono dei soprabiti utilizzati per nascondere le uniformi e le armi, abbandonandoli a terra.
Era quasi assurda la facilità con la quale erano giunti fino a quel punto. Il fatto che nessuno avesse provato a fermarli, faceva sì che la teoria della trappola divenisse sempre più tangibile e sicura.
Rogers strinse con forza le cinghie di cuoio attorno alle spalle e lo scudo aderì maggiormente sulla sua schiena. Si perse ad osservare i riflessi creati dalla luce sulle pareti ed il pavimento, cui la commistione di marmi di diversa provenienza conferiva un colore simile all’ambra, impreziosita da sfumature nere e dorate.
In fondo all’atrio, sulla destra, vi erano delle scale mobili momentaneamente ferme. Barton le indicò, richiamando l’attenzione dei colleghi.
“Quelle portano agli ascensori. Stark, puoi farli funzionare gli ascensori?”
“Nulla di più semplice.”
“Che mi dite riguardo le scale, invece?” chiese il Capitano.
“Organizzano ogni anno una gara e i partecipanti devono salire fino all’Osservatorio. I migliori ci impiegano dieci minuti circa. È divertente. Da guardare, intendo.”
Steve annuì in direzione di Clint, soddisfatto della risposta.
 
“Okay, ascoltate” esordì il Capitano, ormai conscio che tornare indietro non sarebbe stato possibile e, al tempo stesso, certo che non avrebbe in alcun modo reso le cose facili al nemico.
 
 
                                               ***
 
 
“Sicuro di stare bene, Nat?”
“Non mi sembra il caso di parlare di questo, ora.”
 
Le due spie erano nella cabina del terzo ed ultimo ascensore, quello che li avrebbe condotti sino all’Osservatorio. Dovevano solo attendere che Rogers fosse in posizione e poi Stark avrebbe fatto il resto. Ci avevano impiegato circa un paio di minuti a raggiungere l’ottantesimo piano con i due precedenti ascensori ed ora c’erano solo pochi secondi a separarli dall’ottantaseiesimo.
Certamente, i movimenti degli ascensori non erano passati inosservati, perciò bisognava evitare ulteriori azzardi, dato che già essere lì, nella ragnatela del nemico, era un azzardo enorme.
Eppure, nessun membro della squadra aveva avuto la volontà di opporsi alla proposta di Steve, momentaneamente non incline all’Aspettare. Probabilmente l’Aspettare non andava giù a nessuno fra loro, data la situazione.
Avrebbero agito, colpendo da fronti differenti.
 
“E comunque ho preso degli integratori alla Tower. Il mio stomaco ha fatto capricci ed ecco tutto. Sto bene.”
Clint decise di lasciar cadere la discussione, nonostante il senso di inquietudine che gli aveva invaso lo stomaco non accennasse ad alleviarsi. Qualcosa non andava in Natasha e il fatto che non riuscisse a capire cosa, gli dava terribilmente fastidio.
“Ci sono” comunicò Rogers, interrompendo il filo dei pensieri dell’arciere.
“Complimenti, Capitano. Meno di cinque minuti. Dovresti partecipare alla gara annuale del ‘Sali i 1576 scalini dell’Empire se non ti spaventa l’idea di morire di infarto’, stracceresti la concorrenza.”
“Sì, ma a condizione che partecipi anche tu, Barton.”
Mentre Steve riprendeva fiato, Clint cominciò a delirare, affermando che soffriva di allergia da scale.
 
 
 
Il Capitano era in cima alle scale e una sola parete lo separava dal nemico. Il piano era interamente illuminato e le luci, incastonate nel soffitto decorato da ampi altorilievi a forma di soli stilizzati, si riflettevano sul lucido pavimento in marmo a strisce bianche e grigie.
 
“Aspettate il segnale. Non intervenite prima.”
 
Il super soldato uscì allo scoperto con lo scudo davanti a sé, ma con la consapevolezza che nessuno gli avrebbe sparato addosso.
Perché attirarli fin lì? Perché sfidarli con un ridicolmente piccolo manipolo di uomini?
Ucciderli a sangue freddo non era l’obiettivo dell’Hydra, non quella volta.
Steve smise di pensare, quando una voce conosciuta pronunciò il suo nome, sputandolo fuori come fosse un disgustoso cibo indigesto.
Un brivido percorse la schiena del giovane Capitano, mentre il ricordo del tradimento prese a bruciargli lo stomaco.
 
“Chi non muore si rivede, eh Rogers?”
 
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
“Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion.”
La risata tagliente di Rumlow riempì l’aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L’uomo assunse un’espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
“Credevi male, Rogers. Credevi male.”
La sua voce era un ammasso informe di puro odio. Brock era una belva che fremeva dalla voglia di sgozzare la tanto bramata preda.
Il Capitano si sforzò di analizzare la situazione, deviando l’attenzione sul gruppo di uomini alle spalle del suo ex compagno di squadra. Bruce aveva detto che in tutto dovevano essere sedici, ma Steve ne contò uno in più e lo sguardo gli cadde su un’imponente figura, più indietro rispetto al gruppo.
Quell’uomo lo superava in altezza e in robustezza, aveva un sacco di tessuto che gli copriva il volto ed era talmente immobile, che pareva non respirasse. Come gli altri, era vestito da una semplice divisa nera, ma non possedeva alcuna arma.
Brock sorrise nello scorgere perplessità negli occhi del super soldato e si lasciò andare ad una nuova e gelida risata.
“Fai bene a preoccuparti, Rogers. Perché non dici ai tuoi amichetti di unirsi alla festa? Sappiamo che non sei solo.”
Steve ignorò il commento dell’uomo, per nulla sorpreso o preoccupato del fatto che sapesse.
“Siamo a conoscenza del fatto che siete in possesso di due armi aliene” disse invece, asciutto.
“Non sono affari che ti riguardano.”
Anche la risposta di Brock fu estremamente asciutta e priva di qualsiasi sfumatura emozionale nel tono della voce.
“Perché qui?” riprovò allora Steve, con l’intento di estrapolare informazioni utili.
 
Gli altri Avengers erano in ascolto, pronti ad agire in qualsiasi momento. Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato e che l’aria fosse divenuta improvvisamente soffocante.
 
Rumlow rise ancora una volta, prima di degnarsi di rispondere.
“Non si porta un elefante in cristalleria. L’elefante è grosso ed è pericoloso se istigato, ma può essere abbattuto se un branco di leoni lo scova da solo, separato dalla sua mandria. Non sei d’accordo, Rogers?”
Quelle parole erano inquietanti e prima che la consapevolezza colpisse i Vendicatori come uno schiaffo in pieno volto, Brock continuò a parlare in quel modo assurdo, trattenendo a stento un ghigno di sadico compiacimento.
“Se l’aquila lascia incustodito il proprio nido, chissà, potrebbe arrivarci il serpente a mangiare tutte le uova, rimaste disgraziatamente indifese. Oh, dimenticavo. Da qui potrete godervi lo spettacolo.”
 
“Steve”
Il quasi disperato richiamo di Stark, attraverso la ricetrasmittente, fu seguito da un boato assordate. Le vetrate dell’Osservatorio tremolarono sensibilmente, mentre in un punto non distante si accendeva il bagliore ardente di lingue di fuoco che incendiarono il cielo.
Le fiamme avevano assediato un particolare piano dell’Avengers Tower.
Iron Man, rimasto fino ad allora in modalità invisibile, proprio ad un palmo dalle vetrate dell’Osservatorio in attesa del segnale di Rogers, ritornò a splendere di rosso ed oro e, senza alcuna esitazione, partì alla volta del nido rimasto incustodito.
 
“Capitano, cos-”
Barton fu interrotto dall’allarmato “Andate!”, esploso nel suo orecchio destro, così come in quello di Natasha.
Le due spie corsero fuori dall’ascensore e Clint armò l’arco con una delle sue frecce-cavo, facendo intuire alla compagna il modo in cui intendeva scendere gli ottanta piani che li separavano da terra.
 
Accadde tutto troppo in fretta, perché dubbi o flebili sospetti interrompessero quel caotico modo di agire. In pochi minuti, i Vendicatori si ritrovarono divisi in tre gruppi, due dei quali contavano un solo elemento.
Il piano dei laboratori della Tower, laddove era custodito il Tesseract, stava venendo divorato dalle fiamme e le comunicazioni con Banner si erano interrotte di colpo.
 
Anche la lucidità di Rogers venne meno. Il Capitano si arrischiò a dare le spalle al nemico, per poter raggiungere velocemente le scale e tornare alle auto.
L’Avengers Tower aveva la priorità assoluta. Banner la aveva.
La distrazione gli costò cara, perché il suo corpo fu utilizzato per demolire una parete dell’Osservatorio. Steve riemerse dalle macerie a fatica e si portò una mano sulla tempia sinistra, da dove presero a fuoriuscire rivoli di sangue che gli macchiarono il viso.
A due passi di distanza, stava colui che era riuscito a lanciarlo come fosse stato una bambola di pezza. Due occhi completamente neri e inespressivi lo fissavano con una intensità tale da far venire i brividi.
“Tu sei il passato, Rogers. Ecco il futuro.”
Rumlow affiancò il possente uomo dagli occhi simili ad un oscuro e profondo oblio e contemplò estasiato il liquido vermiglio che continuava a sporcare il volto del giovane super soldato.
 
Esistono limiti, addirittura per te, Capitano. Non è forse così?
 
 
 
                                                         ***
 
 
 
Nelle successive ore, i programmi televisivi trasmisero un solo ed unico servizio speciale che i cittadini di New York, destati dal boato improvviso, furono i primi a guardare, seguiti poi a ruota dagli abitanti del resto dell’America e di buona parte del mondo.
Henry Benson accusava i Vendicatori di tradimento e di pericolose macchinazioni contro il Consiglio Mondiale della Sicurezza.
Durante la trasmissione, più volte le voci di Tony Stark e Steve Rogers ripeterono parole che scavano loro la fossa, dentro cui veniva trascinata l’intera squadra.
Le preoccupazioni di Natasha erano state fondate.
 
“ … è il Governo che farebbe meglio a guardarsi le spalle.”
“E glielo sta dicendo colui che ha distrutto il Triskelion, mio caro Benson, perciò non sottovaluterei le sue parole.”
 
 
 
 
Scacco.
 
 
Note
Eccoci giunti alla svolta, o meglio, allo Scacco. Le cose si complicheranno da qui in avanti e, credo, parecchio anche.
Non ho molto da dire questa volta, se non che vi ringrazio di essere giunti, miei cari lettori, fin qui, subendo lo sclero della mia follia.
Rumlow è tornato. Bucky ha fatto capolino nella storia.
E tante insinuazioni sono state insinuate, tocca solo a voi coglierle!
 
Voglio dedicare un saluto dolcioso alle New Entry che hanno aggiunto la storia nelle speciali liste!
StevenRogers e happyfun, sempre presenti veterane! Spero che il sequel vi appassioni come la prima storia <3
Anny2001 e selenagomezlover99, che hanno avuto il coraggio di iniziare a seguirmi, così come ha fatto Giulietta Beccaccina. A voi mando un Abbraccio, come scusa preventiva per ciò che vi ritroverete a leggere (ho la mente contorta, sappiatelo) <3
 
Grazie, ovviamente, al resto della comitiva!
fredfredina, winterlover97, Ragdoll_Cat (la mia Sister, a cui non si può nascondere nulla <3), Siria_Ilias (Tony sempre implicato nei casini, visto? Colpa di tutto quell’insinuare), Eclisse Lunare (Clintasha! E un pizzico di Romanogers, perché noi, in fondo, amiamo entrambe le coppie <3).
 
Bene! Al prossimo appuntamento!
Un buon San Valentino a tutti (grazie alla buona anima che mi ha ricordato della festa, perché me ne ero completamente dimenticata!)
 
Tanto Amore <3
Ella
   
 
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