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Autore: Blablia87    14/02/2016    11 recensioni
[Omega!verse]
[Alpha!Sherlock][Omega!John]
Pezzi di una filastrocca come briciole di pane lasciate da un passato pronto a riscuotere la sua vendetta.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Appena varcata la soglia del 221b, Sherlock venne raggiunto da una irrequieta signora Hudson. La donna aveva addosso il grembiule da cucina, odorava di prodotti per la pulizia e impasto per i biscotti, e aveva l’aria di essere mortalmente angustiata per qualcosa.
“Dica, signora Hudson, ma sia breve. Ho bisogno di riposare.” Le disse, sbrigativo.
“Buon Dio!” esalò la donna, guardando con occhi sgranati i profondi tagli sul volto di Sherlock. La sua scia, diventata acuta, si svincolò dal buon odore di cucinato e pulito, ondeggiando come un accusa muta tra loro due.
“Dovrebbe fare più attenzione!” continuò, cercando di tornare ad un tono di voce normale.
“Mi ha bloccato all’ingresso per questo, signora Hudson? Per le sue solite, inutili, raccomandazioni?”
La donna assunse un’aria offesa per qualche secondo, poi sembrò tornare padrona dei propri pensieri e delle intenzioni che l’avevano spinta fuori dalla sua cucina non appena sentito l’aprirsi della porta.
“No, no…” cominciò, portandosi una mano tremante sotto al mento. “Volevo dire che è passato John poco fa, e che mi è sembrato piuttosto… teso. È uscito nuovamente dopo un paio di minuti, e volevo solo chiedere se avesse idea di cosa gli fosse successo…” La donna si interruppe un attimo, guardando nuovamente il viso tumefatto di Sherlock, e l’uomo poté distintamente vedere un pensiero – errato - prendere forma negli occhi di lei.
“Ma forse a questo punto è meglio lasciar perdere. Neanche lei mi sembra… come dire. Particolarmente in forma.” Continuò la donna, con voce incerta.
Sherlock le lanciò un’occhiata ammonitrice, a metà tra un rimprovero e un’intimazione a tacere, ed iniziò a salire le scale, in silenzio.
La signora Hudson si aggrappò al corrimano, guardandolo.
“Deve averlo fatto davvero arrabbiare per farsi ridurre così!” Disse, a voce sufficientemente alta da essere certa che la sentisse. “Certo che anche lei, signor Holmes… Avrebbe almeno potuto provare a difendersi!”
In tutta risposta, la donna sentì la porta dell’appartamento al piano di sopra chiudersi con uno schianto. Il suono rimbombò per tutte le scale.
“Cielo…” commentò la donna tra sé e sé, avviandosi lenta verso i suoi alloggi. “Neanche una settimana di convivenza, e già sono ai ferri corti… Di questo passo non si legherà mai, quell’uomo!” La donna sospirò, e si chiuse la porta alle spalle.
Guardò l’orologio, poi il bollitore sul fuoco. Con aria sconsolata, ripose nella credenza le due tazze preparate per Sherlock e John, e si sedette con aria mesta di fronte alla propria.
 
John appoggiò il libro che aveva appena preso dallo scaffale sulla mensola in marmo sotto la finestra, poi mise entrambe le mani sul ripiano e si diede una spinta, sedendocisi. Si sistemò il più comodamente possibile ed inspirò profondamente, trovando pace nel familiare odore di carta e umidità che sentì farsi largo nei propri polmoni.
La biblioteca universitaria del Bart’s. Quante ore aveva passato in quell’esatto punto, appollaiato sul davanzale di marmo dell’immensa vetrata che campeggiava in fondo alla sala lettura, schiena curva sui libri e fianchi appoggiati al vetro gelido. Nottate intere passate a ripetere a bassa voce pagine su pagine di manuali medici. Nozioni e nomi recitati come una preghiera laica, sacra a suo modo, ogni esame dato una medaglia d’onore al suo non aver chinato il capo.
John appoggiò la fronte alla finestra, guardando fuori. I viali interni dell’ospedale erano deserti. Solo un medico, camice bianco che sbucava dal cappotto, stava sfidando il freddo e la pioggia per fumare una sigaretta.
John non avrebbe saputo dire con esattezza perché il suo primo istinto, dopo essere passato velocemente a Baker Street per prendere un paio di vestiti asciutti, fosse stato quello di tornare a quella finestra. Forse aveva a che fare con il ricordare chi era stato, e chi fosse. Non voleva pensarci troppo, ad ogni modo. Perché ammettere che fosse quello il motivo, sarebbe stato come ammettere che le parole dell’Alpha lo avevano colpito più duramente di quanto desiderasse credere.
L’uomo in cortile spense la sigaretta e si avviò all’entrata.
John lo seguì con gli occhi, con una certa invidia che prendeva posto nel suo petto.
Era tornato dalle missioni all’estero con una forma severa di stress post traumatico. Non era mai riuscito a capire se fosse dovuto alle scene raccapriccianti alle quali aveva dovuto assistere, soprattutto ai danno di soggetti Omega, o se dipendesse dal fatto che - anche assumendo regolarmente inibitori - non era mai stato del tutto tranquillo che avrebbero fatto effetto per tutta la durata della sua permanenza lontano dall’Inghilterra (finendo col domandarsi costantemente cosa sarebbe successo se avessero smesso di funzionare durante una missione, o al campo, in mezzo ai suoi commilitoni), e quindi aveva vissuto per anni con una forma di tensione emotiva bassa ma costante e, in parte, logorante. Qualunque fosse stato il motivo, al suo rientro a Londra non era riuscito a svolgere il mestiere di medico ospedaliero, lavoro che aveva sempre immaginato di fare una volta congedato. Troppi sconosciuti, troppe ore da trascorrere bloccato nello stesso posto. Il suo unico amico ai tempi dell’università, Stamford, gli aveva quindi suggerito di unirsi a lui, e John aveva accettato. Non avrebbe dovuto interagire con troppe persone, e avrebbe comunque potuto mettere a frutto quanto studiato in campo medico.
Il dottore si chiuse la porta alle spalle, scomparendo dalla vista di John, che sembrò ridestarsi dai suoi ricordi.
Sospirò, e recuperò il libro che aveva scelto. Conosceva molto bene quel volume, lo aveva letto più e più volte, quando era solo una matricola.
 
“Determinazione e suoi fattori scatenanti. Si nasce, o si diviene?”
 
recava scritto in oro la copertina rossa ormai logora.
Era uno studio (ormai piuttosto datato) atto ad analizzare se la Determinazione in Alpha, Beta o Omega avesse solo spiegazione genetica o se risentisse in parte di stimoli esterni ricevuti nella prima infanzia.
John aveva sempre trovato l’idea - se pur solo accennata nel testo e mai dimostrata con le analisi - che alla nascita tutti avessero potenziale uguale e indistinto, piuttosto rincuorante.
Per questo aveva letto il testo più e più volte, imprimendosi nella mente tutti i passaggi che accennavano a quella possibilità. Gli studi più recenti avevano totalmente eliminato i fattori ambientali come possibili intercause delle diverse Determinazioni, ma John aveva continuato a trovare in quel testo una “carezza emotiva” che non voleva abbandonare. Era un uomo adulto ormai, e sapeva perfettamente quanto acerba e imprecisa fosse la natura dello studio che stringeva tra le mani. Ciò nonostante aprì il libro ed iniziò a leggere, con un sorriso lieve a incurvargli le labbra e le parole di Sherlock sempre più lontane dalla mente.
 
 
Sherlock si passò la compressa turchese tra le mani un paio di volte. Lanciò un’occhiata alla confezione quasi vuota, e si appuntò mentalmente di farsene dare altre da Molly Hooper – Beta Minus con una forma di devozione che non aveva mai capito del tutto nei suoi confronti, impiegata nella farmacia del Bart’s - alla prima occasione buona. Si portò la compressa alla bocca e la boccò tra le labbra, ricoprendo con le camicie la scatola blu e bianca posta sul fondo del cassetto prima di richiuderlo.
Con passo veloce si diresse in cucina, e lasciò cadere in un bicchiere la compressa, che tintinnò al contatto col fondo in vetro. Aprì il rubinetto dell’acqua, e attese che divenisse abbastanza fredda. Riempì il bicchiere e tornò verso la camera da letto, richiudendosi la porta alle spalle.
Quando l’azzurro della pasticca si fu completamente disperso nel bicchiere, Sherlock si sedette sul letto e diede una bella sorsata.
 
Mezzo grammo per un riposo di mezza giornata, un grammo per una giornata di vacanza, due grammi per un'escursione nel fantasmagorico Oriente, tre per un'oscura eternità nella luna.” [1]
 
Bisbigliò, ricordando le parole che era solito sussurrargli nell’orecchio l’uomo del quale con quella pasticca voleva dimenticare voce e viso.
Scosse la testa e bevve fino in fondo. Lasciò andare il bicchiere sul comodino, senza badare al fatto che si fosse rovesciato.
Si lasciò cadere all’indietro sul materasso, e chiuse gli occhi.
 
“L’Oriente…” riuscì a dire, mentre un’onda di intorpidimento gli risaliva il corpo e rallentava pensieri e respiro.
La sua scia si azzerò quasi totalmente, diventando bassa e costante.
Sentì il formicolio risalirgli la gola e sorrise appena, in attesa di vedere cosa avrebbe visto dall’altra parte.
La sensazione in mezzo al petto di un’ora prima, l’uomo, la sua voce, il suo viso, John, tutto scomparve in una bolla di aria rarefatta e tempo rallentato.
Sherlock emise un piccolo sospiro flebile, poi più nulla.
 
***
 
Il parquet scuro e lucido sembrava attraversato da tante piccole gocce di luce dorata.
Vibravano appena, al tempo dal battito del suo cuore.
Socchiuse gli occhi e si sistemò meglio sul pavimento, facendo aderire la schiena contro il vetro dello specchio alle sue spalle.
Le sbarre in legno per gli esercizi si rincorrevano lungo le pareti chiare, e seguì il loro mutare di altezza e lunghezza con gli sguardo morbido, quasi carezzandole.
La sala da ballo era completamente vuota, come sempre d’altronde, e lui respirò a pieni polmoni l’odore di cera e borotalco, beandosi del silenzio che sentiva attorno.
Non era mai stato l’Oriente, per lui, no. Solo una piccola stanza di una scuola di ballo, sempre deserta. Lì aveva sempre potuto abbandonare i suoi pensieri, alle volte il suo cuore, senza curarsi di nient’altro se non della sensazione dell’aria che gli riempiva i polmoni ad ogni profondo respiro.
Accarezzò lentamente il legno sotto di sé, sentendolo freddo e liscio sotto le dita.
Due grammi non erano più sufficienti per un distacco prolungato dalla realtà, ma sapeva che aumentare la dose avrebbe potuto arrecare gravi problemi al suo sistema nervoso centrale, e non poteva permetterlo in alcun modo. Il suo hard disk andava preservato, era la maledizione benedetta che gli aveva recato in dono la natura, ancor prima della sua Determinazione.
Sherlock girò la testa verso destra, piano, lento, incontrando i suoi occhi nello specchio basso che percorreva tutta la stanza. Occhi azzurri, liquidi, incorniciati da un volto di bambino. Chissà perché aveva sempre avuto l’aspetto dei suoi otto anni, in quei viaggi sintetici offerti dal Soma. Se lo chiedeva ogni volta, seduto nello stesso punto della sala, per dimenticarlo poco dopo, un altro pensiero cancellato da un’ondata di serenità artefatta.
Il Soma, che il governo passava agli Omega che ne facevano richiesta sotto forma di medicina senza effetti collaterali, in realtà un potente euforizzante atto a cancellare preoccupazioni ed ansie, malviste in soggetti tanto preziosi eppure considerati estremamente fragili.
Il Soma, che aveva iniziato ad assumere insieme a… un'altra onda di pace posticcia, e il nome si dissolse nel blu delle iridi che lo fissavano attente dall’altra parte dello specchio.
Gli sorrise, si sorrise, e chiuse di nuovo gli occhi, facendo un altro profondo respiro. Qualcosa, un odore nuovo, si fece largo tra le sue narici, e Sherlock cercò di catalogarlo, ingoiandone enormi sorsate.
Ricordava la menta che da bambino sua madre coltivava sul terrazzo, le arance che suo fratello lo obbligava a mangiare alla fine di ogni pasto.
Aveva un tono di lavanda, lieve, simile al profumo dei maglioni leggeri di suo padre in primavera, quando li riprendeva dall’armadio per le domeniche a casa.
Gli richiamava alla mente un volto, ma appena riusciva a mettere a fuoco un dettaglio lo perdeva nell’oblio della sua mente annebbiata.
Arance, e c’era il biondo scuro di qualche ciuffo di capelli.
Menta, ed il verde delle foglie diveniva il blu profondo di un paio di occhi seri.
La lavanda aveva ancora la forma di lana intrecciata, ma non riusciva a ricordare se fosse qualcosa di suo padre.
Rallentò il respiro, lasciando andare l’ultimo dettaglio sbiadito di un sorriso accennato e di una mano intenta a porgere un piatto pieno di cibo.
Il profumo scomparve, e con lui il colore dei ricordi.
Tornò il silenzio, il freddo del parquet, lo sfarfallio delle luci.
Sherlock aprì gli occhi e si fissò i piedi, dita all’insù, nudi con i talloni contro il pavimento.
Erano ancora piccoli, come piccole e più piene erano le mani che stava allungando per toccarli.
Qualcosa di freddo gli lambì la pelle, impregnandogli i vestiti.
Si guardò intorno, vedendo dell’acqua uscire dalle fughe del parquet.
Rimase immobile ad osservarla zampillare, incapace di provare sentimenti di paura o tensione. Era mai successo prima? Non riusciva a ricordare. L’acqua continuò ad aumentare, arrivando in poco tempo a coprirgli totalmente le gambe. Sherlock lasciò galleggiare le braccia in superficie, vedendola alzarsi sempre più di livello. Quando l’acqua arrivò a lambirgli il mento, si guardò un’ultima volta allo specchio, scoprendosi di nuovo adulto.
Non si sorrise, ma sorrise al volto che vide affiorare accanto al proprio nel riflesso.
Gli sembrava di… Si conoscevano?
L’acqua gli entrò in gola e nel naso, e il Soma portò via anche quell’ultimo pensiero.
No, non ricordava ci fosse mai stata dell’acqua, prima…
Il tempo di un ultimo sguardo, e sprofondò nel buio.
 
“Maledizione, Sherlock!” La voce giungeva ovattata e sdoppiata, come attraverso un muro di vibrazioni. Provò a prendere fiato, ma il freddo, sotto forma di un getto costante d’acqua, non gli permise di espandere i polmoni quanto avrebbe voluto.
“Che… dove…” provò, portando in avanti una mano, ancora incapace di aprire gli occhi, e andando a sbattere contro qualcosa di liscio e umido.
“Tu sei pazzo. Completamente pazzo!” Una spinta contro il petto lo fece tornare indietro, sotto la cascata d’acqua che ormai percepiva chiaramente picchiare sulla sua testa.
“Cosa…” tossì, portandosi nuovamente in avanti, e riuscendo a fatica ad aprire gli occhi.
La prima cosa che mise a fuoco fu il rubinetto argentato della vasca, davanti a sé. Poi, spostando leggermente in basso lo sguardo, riuscì a capire cosa lo tenesse premuto verso il bordo, direttamente sotto il doccione ancora aperto: la mano di John, che premeva con forza ma senza violenza contro il suo petto. La manica del suo maglione era completamente intrisa d’acqua, ed era diventata scura e pesante.
“Che diavolo…” esalò, alzando gli occhi sul viso di John, e sorprendendosi nel trovarlo contratto in un’espressione tesa.
“Sei forse impazzito? Soma, Sherlock? Davvero?!” Domandò John, serio, dandogli un’ultima spinta leggera e lasciandolo andare. Si alzò in piedi, ed il detective poté notare che anche i pantaloni, all’altezza delle ginocchia, erano bagnati.
“Come accidenti… sei entrato in camera mia?!” Ringhiò Sherlock, cercando di rimettersi in piedi, ma scivolando sul fondo sdrucciolevole della vasca. “Con che diritto…”
“Non rispondevi, maledizione! Quando sono tornato a casa ho trovato la signora Hudson quasi morta dalla paura! Era salita per portarti la cena, e ti ha trovato in camera tua, totalmente incosciente!” Si difese John, scuotendo la testa con aria sbigottita. “Ho provato a svegliarti, ma non reagivi! Quanta ne avevi assunta?! Tu-“
“IO” Sherlock riuscì a mettersi in piedi ed uscì dalla vasca con movimento lento e traballante. “IO decido cosa fare della MIA vita, e TU, TU non devi provare neanche a pensare di INTROMETTERTI!” Gli soffiò contro, portandosi a pochi centimetri dal suo viso e scoprendo i denti.
John deglutì, combattendo l’istinto di arretrare, e rimase immobile, senza staccare gli occhi da quelli dell’altro.
“TU puoi fare tutto ciò che vuoi della tua vita, Sherlock.” Rispose, calmo, osservando con la coda dell’occhio le labbra di Sherlock abbassarsi appena sui denti. “Ma questo… questo non ha senso. Non… non per te.” Concluse, aspettando di vedere quale sarebbe stata la reazione che le sue parole avrebbero ottenuto.
“Non sai niente di me. Di cosa abbia o non abbia senso, per me.” Sherlock fece un passo indietro e smise di ringhiare, la continuò a mantenere gli occhi saldi in quelli dell’altro.
“Non azzardarti mai più a interferire. MAI PIÙ.” Concluse, girandosi per uscire dalla stanza. Il pavimento era ricoperto da un sottile strado d’acqua, e le sue gambe ancora malferme, per cui dovette appoggiarsi alla parete per raggiungere la porta.
“Ed io che ti ho difeso.”
Sussurrò John, dietro di lui, scuotendo la testa e mordendosi un labbro.
“Scusa?” Domandò Sherlock, fermandosi sulla soglia ma senza girarsi indietro.
“Ed io che ti ho pure difeso.” Ripeté l’altro, a voce più sostenuta. “Con tuo fratello, quando è venuto a dirmi che non eri la persona che credevo che fossi.” John sospirò, sottolineando con con il tono di voce quanto trovasse la cosa tristemente ironica.
“Mycroft ha fatto… COSA?” Sherlock si era voltato completamente, e adesso il suo sguardo era attraversato da un sordo furore.
“Mi ha accompagnato al Bart’s, questa mattina. Ha detto che me ne sarei dovuto andare da qui, che la mia presenza non ti fa bene. E forse non aveva tutti i torti, a giudicare da questo.” Disse, accennando con la mano al bagno e all’acqua che ancora scorreva nella vasca.
“Questo non ha niente a che vedere con te, John.” La voce di Sherlock si era abbassata, e il viso era tornato alla solita espressione distaccata. “Assolutamente niente a che vedere con te.”
“Neanche i miei soppressori hanno a che vedere con te… però sai che li assumo.”
“È diverso.” Rispose Sherlock, sbrigativo.
“Perché? Perché tu hai potuto dedurre tutto di me, mentre io ho bisogno che tu mi parli di te, per conoscerti?” Chiese John, abbassandosi a chiudere l’acqua. Il silenzio prese il posto dello scrocio costante, e i due rimasero immobili per qualche secondo.
“No. Perché che io assuma o non assuma Soma non cambia assolutamente niente al fine della tua incolumità. Ed io non ho bisogno che la gente sappia di me più di quel che voglio far conoscere. Non mi spaventa la solitudine, John. La solitudine ti protegge.”
“Lo so bene.” Rispose l’altro. “Dio solo sa se esiste qualcuno che lo sappia meglio di me. Ma sai una cosa? Quando mi hai chiesto di venire qui, e mi hai detto che sarei potuto essere me stesso, in questo posto… beh, è stato incredibile scoprire quanto fosse stato ingombrante il peso del silenzio fino a quel momento. Con gli altri, alle volte anche con me stesso.”
“Non capisco.” Rispose Sherlock, secco.
“Sto solo dicendo…” John si guardò intorno, in cerca delle parole adatte. “Sto solo dicendo che puoi essere te stesso, con me. Se ti va. Non giudicherò mai, giuro. Magari potrò avere qualche “sussulto” da medico, o preoccuparmi, ma-“
“Non ho bisogno che qualcuno si preoccupi per me.” Sherlock si voltò verso il corridoio, fermandosi dopo un paio di passi. “Ma credo di aver capito cosa stai cercando di dire. Ad ogni modo mi sarei svegliato da solo fra circa venti minuti.” Disse, senza girarsi. “Assumo solo dosi controllate di Soma. Ma…” John vide la testa di Sherlock inclinarsi da un lato, e immaginò che stesse cercando di trovare le parole adatte. “Ma grazie comunque, John. Visto come ti ho trattato in quel vicolo avresti potuto tranquillamente lasciarmi in camera in preda a quella che ritenevi una possibile overdose. Ma immagino che l’istinto del medico sia più forte di ogni cosa, giusto?” Concluse, voltando appena la testa di lato, quanto bastava affinché John potesse distinguere il leggero sorriso che gli stava increspando le labbra.
“Il mio giuramento mi obbliga a salvare anche gli Alpha boriosi e stronzi, sì.”
Confermò John, con una punta di soddisfazione nella voce.
Sherlock annuì, e si riavviò verso la sua camera senza aggiungere altro, lasciando dietro di sé una scia lievemente dolciastra.

Note:
[1] Frase tratta dall'opera "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley che descrive le diverse capacità del Soma a seconda della quantità assunta.

Il soma, nel romanzo come in questa storia, è una droga.
 
Nell'opera di Huxley è una sostanza euforizzante, priva di qualsiasi effetto collaterale sgradevole (se non quello di accorciare la vita di qualche anno), prodotta in forma di compresse da mezzo grammo, aggiunta alle bevande e - quando necessario per sedare situazioni di disordine pubblico - spruzzata nell'aria come aerosol.
 
Attraverso il soma, distribuito gratuitamente dallo Stato a tutti i cittadini sin dall'infanzia, ed il condizionamento cerebrale pre- e post-nascita, viene realizzato l'ideale utopico di un mondo in cui in nome della stabilità sociale viene bandita qualsiasi forma di sofferenza, a partire da quella generata dai vincoli familiari e amorosi, non più previsti nella società descritta nel romanzo.

Nella mia idea (e nella storia) è qualcosa di simile, ma pensata per essere somministrata su richiesta (dell'Omega stesso o del suo Alpha) ai soli soggetti Omega, al fine di render loro più "sopportabile" la propria condizione qualora la ritenessero troppo dura. È una droga a tutti gli effetti, e ha risvolti potenzialmente più pericolosi rispetto a quelli descritti nel libro (che chiaramente chi governa tende a minimizzare, per ovvie ragioni.) Va da sé che un Alpha (come nessun altro, in realtà) dovrebbe assumerla, in quanto potenzialmente letale e altamente distruttiva nel lungo periodo.
Insomma, Sherlock doveva avere i suoi problemi di dipendenza anche qui, chiaramente, ma non volevo che fosse la solita morfina o eroina. AU diverso, dinamiche diverse, droghe diverse. ^_^

Angolo dell'autrice:
Inizialmente i due pezzi separati dall'asterisco dovevano essere due capitoli diversi, ma mi sembrava ingiusto separarli, quindi ho finito col pubblicarli assieme, anche per rendere il capitolo un po' più sostanzioso.
Non so se sia per via della settimana di febbre alta, con tutto quello che ne è conseguito a livello fisico (e mentale), o se per altri fattori (vari), ma oggi pubblico con un po' di titubanza. Mi sta nascendo qualche dubbio sulla storia, temo di non riuscire a darvi quello che ci si aspetterebbe da una Omega!verse. Procedo molto lenta, me ne sto rendendo conto, e forse chi legge un AU come questo si aspetta ben altro. Non so.

Ad ogni modo spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come sempre vi ringrazio per aver letto fin qui. :)
Un saluto a tutte/i. ^_^

B.
 
   
 
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