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Autore: Inevitabilmente_Dea    15/02/2016    1 recensioni
Elena si ritrova nella Radura. Sola. L'unica ragazza in mezzo ad un branco di Radurai. Non ricorda nulla del suo passato, se non il suo nome. Tuttavia inizia a fare sogni strani, che ogni notte puntualmente arrivano a spaventarla.
La ragazza stringerà amicizie, ma qualcuno sembra non volerla tra i piedi. Eppure ogni volta che lei avrà bisogno di conforto, Newt sarà al suo fianco. Amore o amicizia? Sta a voi scoprirlo...
Buona lettura.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Non appena entrai sotto il getto dell'acqua, una sensazione di calma e piacere mi invase il corpo. Non mi facevo una bella doccia calda da... Be' da quando ne avevo memoria.
Desiderai di poter rimanere sotto l'acqua più a lungo, ma avevo dei tempi da rispettare e alla mia ferita sembrava non piacere acqua.
Se dal rubinetto essa partiva trasparente e limpida, atterrava nel pavimento sudicia e insanguinata.
Dopo essermi lavata per bene, uscii malvolentieri dalla doccia e mi asciugai.
Controllai l'orologio che era stato fissato alla parete e mi accorsi che avevo pochissimo tempo per me, prima che i medici arrivassero.
Indossai i vestiti puliti e mi legai i capelli in una crocchia. Girovagai per la stanza alla ricerca di qualcosa di interessante da esaminare, ma sembrava essere vuota, quasi spoglia se non ci fossero stati gli arredi.
Mi lasciai cadere sul letto e lo trovai così morbido e confortate, che quasi mi addormentai.
Un'altra volta, il mio pensiero andò a Chuck. 
Se solo ci fosse anche lui a condividere con me tutto questo... Pensai perdendo tutto l'entusiasmo che avevo accumulato. 
Sentii dei passi nel corridoio e balzai a sedere sul letto. Mi guardai attorno impacciata, poi mi rilassai.
La serratura scattò ed entrò una specie di infermiera, seguita da due guardie.
"Prego signorina Elena... Può seguirmi in infermeria." mi disse in tono gentile e calmo. "Riesce a camminare autonomamente?"
Annuii confusa e mi alzai in silenzio. E tutta quella gentilezza da dove veniva? Fino a quel momento tutte le persone in quell'edificio mi erano sembrate autoritarie e fredde. Di certo non si sarebbero fatti scrupoli a trattarci come bambini idioti.
Ma per quanto sembrasse assurdo, ebbi l'impressione che almeno quella giovane donna fosse diversa in qualche modo.
Forse di lei potevo veramente fidarmi.
Percorremmo in silenzio il corridoio, poi lei mi scortò dentro una stanza bianca, illuminata dalle monotone luci accecanti.
"Potete andarvene." disse fredda, rivolta alle guardie. "Se entrate con quei cosi finirete per rompere qualcosa." aggiunse squadrando le loro armi.
Le guardie si lanciarono un'occhiata indecisa, poi ci lasciarono sole.
"Oh, che liberazione..." sussurrò una volta chiusa la porta. "Prego, puoi sederti lì." disse indicandomi un lettino posto al centro della stanza.
Quasi sussultai quando lo vidi, ma cercai di comportarmi come se nulla fosse e mi sedetti.
Quel lettino mi sembrava lo stesso che usavano per farmi gli esperimenti. Quelle brutte e dolorose sensazioni riaffiorarono dentro di me, facendomi sentire male.
"E' tutto okay?" mi chiese cordialmente, armeggiando con dei guanti.
Annuii e cercai di scacciare quel pensiero.
"Togliti la maglia, così posso dare un'occhiata a quelle ferite." ordinò sistemandosi gli occhiali sul naso.
Feci come mi chiese e cercai di mettermi a mio agio, ma mi risultò impossibile.
Perchè con Jeff o con Newt non mi vergognavo, ma con una donna sì?
Jeff... Pensai trattenendo il fiato. Non lo avevo visto scendere nella Tana dei Dolenti. Questo significava che...
Come posso essermi dimenticata di lui?
Ero una pessima amica. 
Sentii una fitta all'addome e quel dolore mi bastò per riportarmi alla realtà.
"Scusami, forse avrei dovuto avvisarti. Credo che sia meglio che tu ti stenda, ti farà un po' male." spiegò inzuppando il cotone con una sostanza verde.
Allungai il corpo sul lettino e attesi in silenzio.
Dopo diversi minuti di agonia, lei prese delle fasce ed iniziò ad aggrovigliarmele attorno al busto.
"Mi dispiace per quello che ti hanno fatto." mi disse poi, di punto in bianco.
"Come, scusa?"
"Ho visto le tue cicatrici. Mi dispiace che ti abbiano fatto tutto questo." confessò continuando a lavorare. "Pensavo che ormai i Soggetti C fossero morti."
Spalancai gli occhi: "Soggetti C? Perchè dovremmo essere morti?"
"Ehm... Non avrei dovuto dirlo. Dimenticalo." disse, assumendo un tono agitato.
"Ti prego, ho bisogno di spiegazioni."
Lei si guardò intorno, poi mi si avvicinò ed inziò a parlare a bassa voce: "Tu riesci a ricordare, non è così?"
Annuii confusa. E quello cosa centrava.
"Non riesco a capire perchè ti abbiano spedita nel Labirinto, tu sei immune al siero Oblitus." farfugliò quasi come se stesse facendo delle ipotesi tra sè e sè.
"Io ricordo... Ma solo poche cose, e sono sfocate e disconnesse." precisai grattandomi la testa. "Ma questo cosa centra?"
"Okay... Quando hanno iniziato a fare gli esperimenti sulla risposta incondizionata al dolore, usavano delle sostanze particolari che entravano subito in circolo, in modo che non compromettessero l'esito del test. Queste sostanze ti immobilizzavano, ma ti permettevano di sentire tutto il dolore. Funzionavano per un tempo lunghissimo, in modo che gli scienziati avessero tutto il tempo del mondo. Ma non avevano previsto che in qualche modo queste sostanze sarebbero andate a modificare qualcosa dentro di te, rendendoti immune al siero Oblitus. Questo siero sarebbe una sostanza che fa dimenticare, a chi la ingoia, il suo passato. Permettendogli di ricordare solo il suo nome. E' il siero che ti fanno ingoiare quando vieni spedito..."
"Nel Labirinto." completai, iniziando a capire.
"Esatto. I Soggetti C erano stati ideati come cavie da laboratorio, ma una volta finiti i Test da sperimentare, diventavano inutili. Avevano deciso perciò di usarvi come Soggetti per il Test del Labirinto. Inizialmente avevano spedito il Soggetto C2. Era un ragazzo. Uno splendido, intelligente e dolce ragazzo. Tuttavia quando si sono accorti che, una volta arrivato nella Radura, aveva iniziato a ricordarsi del suo passato, compromettendo l'andatura dell'esperimento, hanno cercato di ucciderlo per mezzo dei Dolenti. Non so che fine abbia fatto, ma probabilmente è morto." spiegò scuotendo la testa frustrata. "Hanno iniziato a studiare come si manifestassero i ricordi e hanno capito che potevate vedere il passato solo durante il sonno. Sai, quando si dorme, la parte conscia della nostra psiche è come se venisse messa a tacere, mentre l'inconscio domina. Era incredibile vedere come il vostro cervello si fosse adattato ad una simile situazione!" esclamò entusiasta.
"Non capisco..." ammisi frustrata. Cosa c'era di incredibile?
"Vedi, se i vostri ricordi fossero riaffiorati tutti insieme, nello stesso istante, probabilmente avreste avuto un crollo psichico e sareste morti. Ma il vostro cervello si è adattato e ha fatto in modo di fornirvi i ricordi a cui tenevate di più solo durante il sonno. In modo che il conscio non venisse danneggiato. Vi venivano presentati sotto forma di sogni, ma non potevate controllarli. E' una cosa incredibile..." concluse sussurrando. "Proprio per questo non capisco perchè abbiano mandato anche te nel Labirinto, se hanno cercato di uccidere il Soggetto C2."
"Non mi ci hanno mandato. Se i miei ricordi sono giusti, ci sono andata da sola, per scappare dalle guardie. Volevano punirmi per aver condiviso quello che mi avevano fatto con..."
"Thomas." completò lei.
Spalancai gli occhi. Come faceva a saperlo?
"Come fai a sapere tutto questo? Chi sei tu, in realtà?" chiesi dura.
"Lo so perchè io ero lì quando tutto è successo. Non ti ricordi di me, huh?" chiese assumendo un tono quasi dispiaciuto.
Scossi la testa confusa, poi lei spiegò: "Ero come la tua tutrice. Ti ho accompagnata, passo per passo nella tua vita... o in quello che ne restava." 
"C-Cosa?" chiesi scioccata.
"Quando ti portarono alla W.I.C.K.E.D. eri solo una bambina. Ti hanno affidata a me. Sapevo tutto su di te. Tutto. Poi un giorno arrivarono e ti dissero che era arrivato il momento di occupare un posto alla W.I.C.K.E.D. e ti utilizzarono come cavia. Ho cercato di oppormi, ma mi dissero che se non avessi accettato, ti avrebbero tolto dalle mie braccia. Ho cercato in tutti i modi di evitarlo, credimi. Ma non ci sono riuscita." sospirò frustata.
"Dopo cosa è successo?" chiesi curiosa.
"Hanno continuato a fare quello che volevano e mi avevano obbligato a tacere, come fecero con te. Io sono stata tutto il tempo dietro il sipario, ad osservarti crescere. Ti ho visto soffrire e poi riacquistare la felicità con Thomas. Eravate molto attaccati l'uno all'altra. Vi amavate. Ma tu continuavi ad avere un vuoto dentro. Io ti mancavo come tu mancavi a me. E' stato un trauma per entrambe... Poi un giorno sei sparita nel nulla. Pensavo che ti avessero spostata in un altro settore, fino a quando non ti ho visto attraverso gli schermi del computer. Quando ho visto che eri nella Radura, ho creduto di morire per il dolore."
"Mi dispiace..." sussurrai. "Sai qualcos'altro che potrebbe tornarmi utile?" 
Lei serrò la mandibola e sospirò assumendo un'aria triste.
"C-Cosa ti succede?" chiesi preoccupata.
"Gli esperimenti che facevano... Il siero che usavano... Non solo ti hanno resa immune al siero Oblitus, ma ti hanno anche resa..." fece una pausa e prese un profondo respiro. "Sterile. Ti hanno resa sterile."
Sbattei le palpebre più volte, allibita. Non che avessi progettato di avere figli, ma la cosa mi sconcertò non poco. Insomma, da una parte la cosa non mi toccava dato che non avrei mai messo al mondo un figlio, sapendo che avrebbe avuto un futuro incerto e pericoloso. Come avrei potuto farlo? Sarebbe stato come regalare ulteriori cavie alla W.I.C.K.E.D. ed io non volevo che i miei figli passassero quello che avevo passato.
Ma d'altra parte la cosa mi scombussoló.
Feci per aggiungere qualcosa, quando si sentirono dei passi nel corridoio e l'infermiera si allontanò velocemente da me, fingendo di mettere a posto alcuni attrezzi.
La porta si spalancò ed entrò un uomo con i capelli neri e radi, pettinati sulla testa pallida. Il naso era lungo, leggermente storto verso destra, e gli occhi castani e furbi guizzavano da me all'infermiera, con fare indagatore.
Indossava un completo bianco. Pantaloni, camicia, cravatta, cappotto. Calze. Scarpe. Tutto bianco. 
"Soggetto C1... Ben tornata." mi disse rivolgendomi un falso sorriso.
"Il mio nome è Elena." lo corressi a denti stretti. Se non mi ricordavo male, lui doveva essere Janson.
"Sai... In verità non è neanche quello il tuo nome, ma io continuerò a chiamarti Soggetto C1." specificò duro. "Seguimi se non vuoi rimanere senza mangiare." ordinò poi.
Si incamminò lungo il corridoio, senza neanche verificare se lo stessi seguendo oppure no.
Mi rivolsi alla ragazza e la ringraziai con un sorriso: "Grazie per tutto quello che hai fatto, mi dispiace di non ricordare niente, ma ti sono grata per essere stata sincera con me. Come hai detto che ti chiami?"
"Frances... Ma tu mi chiamavi Fanny."
"Piacere di averti incontrata... Fanny."
Lei mi sorrise e mi fece segno di sbrigarmi a seguire Janson. Corsi per il corridoio e alla fine arrivai al suo pari.
Percorremmo in silenzio tutto il tragitto, poi lui mi scortò dentro una sala gigante, piena di tavolini e sedie d'acciaio.
Sembrava che fosse stata usata di recente perchè cartacce, bicchieri e fazzoletti erano stati lasciati sui tavoli e alcuni pezzetti di cibo erano in terra.
"I tuoi amici si sono sfamati prima di te, ma sono sicuro che troverai un angolo pulito per mangiare la tua pizza." spiegò aprendo uno scaffale e cavando uno scatolone di pizza.
Spalancai gli occhi. Una pizza. Una vera, genuina pizza di quelle che lasciano l'unto sulle dita. 
La afferrai e mi diressi tra i tavoli, sedendomi su quello che mi sembrava meno sporco ed iniziai a mangiarne – o meglio divorare voracemente – ogni boccone, con la fame che vinceva su ogni altra sensazione. 
Un sorriso spontaneo di sollievo e soddisfazione spuntò sul mio viso. Non mi ricordavo quando fosse stata l'ultima volta che ne avevo mangiata una, men che meno con chi la avessi condivisa.
Sentirmi così felice mi causò un turbamento. Mi ero talmente abituata alla disperazione e all'ansia, che sembrava quasi un sogno provare sentimenti positivi per qualche minuto. 
Specialmente in un momento in cui, personalmente, facevo così tanta fatica ad accettare di essere allegra mentre la metà dei miei amici era morta e la parte restante era chissà dove senza di me.
Finii la mia pizza in un silenzio sacrale, quasi temendo che alla prima parola, Janson – che era restato a fissarmi sull'uscio della porta –  me l'avrebbe portata via.
"Ora che hai finito ti riaccompagno nella tua stanza a dormire." ordinò facendomi cenno di seguirlo.

I giorni passarono lenti e non persi mai la speranza che Newt mi avrebbe trovata. Mi aveva fatto una promessa ed ero sicura che la avrebbe mantenuta a tutti i costi.
I giorni erano stati monotoni e pesanti. Spesso mi ritrovavo a pensare al piccolo Chuckie e al periodo passato nella Radura. Spesso i ricordi si impossessavano di me e spesso mi facevano mancare l'aria.
Janson non mi aveva toccata e per fortuna gli esperimenti non si erano più verificati. 
Le mie ferite erano ormai guarite e al loro posto si erano formate delle cicatrici vistose.
Non capivo cosa aspettassero ad usarmi di nuovo come cavia da laboratorio. Sembrava quasi che stessero attendendo qualcosa di importante.
Per quanto riguardava Frances – ovvero Fanny – non l'avevo piú vista e la cosa mi preoccupava.
E se in qualche modo fosse andata nei guai per avermi detto alcune cose?

Ero a sedere sul mio letto, intenta a farmi una treccia per andare a dormire, quando la porta della mia stanza si spalancò, rivelando Janson.
"Abbiamo abbastanza tempo, ancora." disse controllando il suo orologio. "Seguimi." ordinò.
Aveva il volto ricoperto di sudore, come se avesse corso una maratona, e gli occhu fuori dalle orbite.
Ero confusa dal suo comportamento inusuale, ma feci come disse. Ero troppo stanca per obbiettare e l'unica cosa che desideravo in quel momento era andarmi a seppellire sotto le coperte.
E magari restarci anche per giorni senza dover far niente.
Janson, dopo alcuni minuti di cammino, si fermò davanti ad una porta d'acciaio, con una scritta sopra di essa.
Lessi attentamente: SALA OPERATORIA.
Indietreggiai di qualche passo e mi guardai attorno alla ricerca di una via di fuga in casi estremi.
"Tranquilla, abbiamo finito con i Test sul dolore. Ma dobbiamo farti bere il contro siero per farti riacquistare la memoria e..."
Lo interruppi. "Io non voglio riacquistarla. Quello che ho visto mi è bastato, grazie."
"Be' in ogni caso dobbiamo anche inserirti un chip." sentenziò aprendo la porta. 
Dei dottori in camice bianco e con delle mascherine – anche esse bianche –  si stavano infilando dei guanti e stavano parlando tra di loro.
"Per..?"
Lui sbuffò sonoramente, visibilmente scocciato dalle mie domande, poi si grattò la testa con fare superficiale e parlò: "Tutti i Soggetti appartenenti al Test del Labirinto ce l'hanno. Tu sei entrata di testa tua e non abbiamo fatto in tempo a mettertelo. Quindi fai come ti dico, oppure le conseguenze saranno pesanti."
Mi guardai di nuovo attorno. Non c'erano guardie o altre persone. 
Forse avevo via libera. Potevo correre e andare a chiudermi in camera mia. Non volevo che giocassero ancora con il mio cervello!
Janson mi afferrò il polso e senza che potessi ribellarmi mi trascinò dentro la stanza, che poi chiuse a chiave.
"Sbrigatevi." ordinò ai dottori, scaraventandomi sul lettino posto al centro della stanza.
Mi alzai di scatto e afferrai un bisturi, posto alla mia sinistra, poi lo puntai verso Janson.
"Lasciami uscire." ordinai con voce ferma.
Lui alzò le mani in segno di resa, poi sorrise soddisfatto e abbassò le braccia.
Non capii perchè non fosse spaventato dall'arma che tenevo in mano, nè perchè avesse assunto un sorriso vittorioso. Ora avevo io il coltello dalla parte del manico... Non avrebbe dovuto implorarmi di risparmiarlo? 
La risposta alle mie domande arrivò subito e sentii qualcosa pizzicarmi il collo.
Persi il controllo del mio corpo e mi accasciai a terra, incapace di muovere un solo muscolo.
"Cosa mi avete iniettato?" chiesi con voce tremante.
Cercai più volte di muovermi, ma il mio corpo non rispondeva ai comandi.
Anche solo un dito, ti prego. Pensai concentrandomi al massimo.
"Come? Vorresti dirmi che non ti ricordi di quando non riuscivi a muoverti, ma sentivi tutto il dolore?" chiese con voce maligna.
Qualcuno mi sollevò e mi stese sul lettino.
Janson fece un cenno ad un medico e lui mi avvicinò alla bocca una mascherina.
Trattenni il fiato quando questa si appoggiò sul mio viso.
Passarono diversi secondi e sentivo i miei polmoni bruciare e chiedere ossigeno.
Senza riuscire a resistere, inspirai tutta l'aria che potevo.
Le mie palpebre iniziarono a farsi pesanti e la mia mente a non ragionare più lucidamente. Le figure davanti a me iniziarono a diventare sfocate e sempre più confuse.
In breve tempo, tutto diventò buio ed io mi addormentai, perdendo la concezione del tempo.

Aprii lentamente gli occhi e mi trovai in una stanza bianca. Non era la mia camera e non era la stanza in cui mi trovavo poco prima di svenire.
Cosa era successo? Cosa mi avevano fatto?
Sentii la porta cigolare lentamente e poi aprirsi. Cercai vi voltarmi, ma non ci riuscii.
Per quanto sarebbe ancora durata la sostanza che mi avevano iniettato?
"Vedo che sei sveglia, Soggetto C1." sentire quella voce mi bastò per capire di chi si trattasse.
Sospirai e chiusi gli occhi, stanca come non mai.
"Non mi importa se hai deciso di non parlarmi. A me basta che ascolti le parole che dico." spiegò Janson calmo. "Partiamo dal fatto che tutto questo è colpa tua. Hai rovinato l'esperimento, ma sono riuscito in qualche modo a ripararlo, anzi, forse a migliorarlo. Quando ti sei spontaneamente buttata dentro il Labirinto, pensavamo che tutto fosse andato in frantumi, ma ci sbagliavamo. Vedi... L'idea iniziale, era quella di spedire un'altra ragazza, poco dopo Thomas. Il suo nome è Teresa, non so se tu la abbia conosciuta, ma non ha importanza. Ma poi tu hai deciso di fare di testa tua, credendo di scappare da noi e cercare di dimenticare. Ops... Il tuo tentativo è stato vano. Non solo sei di nuovo qui come Soggetto della W.I.C.K.E.D., ma riavrai indietro ance i tuoi ricordi."
Spalancai gli occhi. No. Non poteva farlo.
Lo vidi avvicinarsi a me, con una fiala di liquido viola in mano.
"Apri la bocca..." ordinò avvicinandomela alle labbra.
Serrai le labbra convinta. Non me lo avrebbe fatto ingoiare facilmente.
"Come vuoi tu..." bisbligiò prendendo qualcosa dal tavolino vicino alla mia testa.
Solo quando portò l'oggetto sotto la luce, riuscii ad identificarlo.
Il metallo liscio del bisturi risplendeva malignamente.
Con destrezza lo rigirò tra le mani, poi osservò ogni parte del mio corpo.
Poi, senza esitare, lo conficcò nella mia clavicola, facendomi urlare dal dolore.
Immediatamente versò il liquido nella mia bocca e mi fece quasi soffocare.
Tossii più volte per riuscire a prendere fiato e sperando che in qualche modo riuscissi a farlo uscire dalla mia gola, ma ormai era fatta. Lo avevo ingoiato.
La ferita alla clavicola continuava a pulsare insistentemente. 
Al quel dolore insopportabile si aggiunse ben presto un mal di testa lacerante.
Le fitte alle tempie infatti non tardarono ad arrivare e mi fecero gemere di dolore. Mi sarei stretta la testa tra le mani se avessi potuto.
In pochi secondi ricordai. Tutto era partito dalle eruzioni solari. Non era stato possibile prevederle. Solitamente le eruzioni erano fenomeni normali, ma in quel caso furono senza precedenti, immani. Raggiunsero picchi sempre più alti... e una volta che furono individuate, fu solo questione di minuti prima che l'ondata di calore colpisse la Terra. Prima furono inceneriti i satelliti. Migliaia di persone morirono all'istante, milioni nel giro di qualche giorno. Un numero incalcolabile di chilometri terrestri fu ridotto a una landa desolata. 
Ma quello che accadde dopo fu peggiore.
Poi arrivò la malattia. L'ecosistema andò in pezzi e divenne impossibile controllarla. Venne chiamata dalla gente Eruzione. Da quanto potevo ricordarmi, era una cosa orribile. Solo i più ricchi potevano essere curati, ma nessuno poteva essere guarito. 
L'Eruzione era un virus mortale che attacca il cervello. Era violento, imprevedibile, incurabile. Come prima cosa cominciavano le allucinazioni, poi gli istinti animali iniziavano a sopraffare quelli umani. Infine si veniva consumati, privati della propria umanità. 
Con il tempo era emersa una nuova generazione che poteva in qualche modo sopravvivere alla malattia. La W.I.C.K.E.D. ci strappò alle nostre famiglie, promettendoci un futuro più sicuro.
Eravamo solo milioni di ragazzi rimasti orfani. Scelsero noi per il grande evento. La prova delle prove. Tutto ciò che avevamo vissuto era stato calcolato nei minimi dettagli. Erano stati messi dei catalizzatori a studiare le nostre reazioni, le nostre onde cerebrali, i nostri pensieri. Tutto nel tentativo di trovare una cura.
"Bene. Dato che hai deciso spontaneamente di sostituirti a Teresa, dovrai prendere il suo posto anche nella Fase Due." disse Janson secco, riportandomi alla realtà. "In realtà ci hai semplificato il lavoro. Abbiamo sfruttato il fatto che tu e Thomas eravate innamorati a nostro favore. Abbiamo addirittura deciso di restituirgli i ricordi in cui stavate insieme, ovviamente solo quelli belli."
Fece una breve pausa, poi riprese a parlare: "Ora ti dirò cosa dovrai fare nella Fase Due. Ascoltami attentamente perchè se sbagli, tutto andrà a tuo sfavore."
Gli ci vollero ben dieci minuti per spiegare nel dettaglio ogni cosa. Ogni mia azione era stata pianificata e anche le reazioni degli altri, erano state previste.
"Non esiste che io faccia una cosa del genere." constatai secca. "Non lo farò e non potete obbligarmi."
"Hai ragione... Non possiamo. Be' peccato... significa che dovremmo uccidere tutti i Soggetti sopravvissuti." disse voltandosi verso l'uscita.
"Aspetta! Non puoi!" urlai. 
"Se non accetti, l'esperimento fallirà. E se questo dovesse accadere, i Soggetti diventeranno inutili."
"E va bene." constatai sospirando. "Lo faró."
"Sapevo che avresti accettato. Ora non ci rimane che attendere che arrivino a salvarti, per mettere in atto la grande fuga." esordì lui, con un sorriso soddisfatto. "Passa una buona notte... Soggetto C1."
Janson si avvicinò alla porta e fece per andarsene, ma all'ultimo si girò e aggiunse: "Oh, a proposito... Non provare neanche a raccontare a tutti che questo è solo un esperimento."
"Non potrete controllarmi una volta che sarò fuori, nella Zona Bruciata o come cacchio si chiama." spiegai con un sorrisetto.
"E invece sì. Hai presente il chip che ti abbiamo inserito? Ecco, quello non solo ci permette di controllare le tue azioni motorie e altro, ma se mai trasgredissi agli ordini o provassi a spifferare qualcosa, lanceremo una scarica elettrica talmente alta che ti farà svenire nel giro di pochi secondi. Non ti preoccupare, nulla del tuo corpo verrà danneggiato."
Poi, con un sorriso di vittoria sulle labbra, Janson uscì dalla porta e la richiuse dietro di sè.
Abbassai lo sguardo sulla clavicola e per quanto possibile cercai di vedere in che condizioni fosse.
Vedevo solo sangue. Sangue sulla mia camicia bianca. Sangue sulle lenzuola. Sangue sul cuscino. Sangue nei capelli.
Nonostante il dolore, la stanchezza mi stava consumando.
Lasciai vagare la mente, sperando che il pensare mi avrebbe distratto dal dolore.
Mi sforzai di riflettere su qualcosa, fino a ripensare al breve periodo trascorso nel Labirinto, ai giorni passati a fare il Medicale, fino alla mia prima notte nella Radura. Sembrava che tutto fosse accaduto cent'anni prima. Come un sogno. 
Fissai il soffitto bianco sopra di me, sentendo arrivare il sonno. 
Lo respinsi con forza. Cosa avevo appena fatto?
Avevo accettato di fare cose orribili ai miei amici. A Thomas, a Minho, a Newt...
Tutti quelli che si fidavano di me. Li avrei delusi.
Sentii le lacrime gonfiarsi sotto le palpebre. Una riuscì a sfuggire e gocciolò giù dalla tempia destra, finendo nei capelli. 
Al dolore della ferita si aggiunse il dolore al petto. Quest'ultimo era peggiore e consumante. Era come un macigno, caduto direttamente su di me. Un dolore soffocante e attanagliante.
Mi dispiace, Newt... Pensai rilasciando un'altra lacrima. Perdonami.

   
 
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