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Autore: fillyvi    15/02/2016    0 recensioni
Alice ha il cuore a pezzi, ha perso la persona a lei più cara e adesso tutto le sembra perduto, tutto intorno a lei non ha più senso, le sembra che ormai tutto sia perduto. Ma è realmente finita? O dietro l'angolo c'è un nuovo inizio?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Da allora ogni sera un incubo, sempre lo stesso: lo vedevo, con i suoi capelli scuri, i suoi bellissimi occhi verdi, perfetto come qualche tempo prima, prima che tutto iniziasse. Era lì, così vicino da poterlo toccare, eppure così lontano da non riuscire mai a raggiungerlo, e quando ormai mi sembrava di avercela fatta, la sveglia suonava e tutto svaniva. Morfeo mi salutava lasciando il posto al pianto e alla disperazione.
Quante volte avevo pensato di farla finita, ma non ho mai trovato il coraggio. Non saprei dire se avessi più amore per la vita, o più paura della morte.
Ogni giorno era sempre la stessa storia, gli stessi sguardi, le stesse domande, le stesse parole di conforto. La gente non capiva quanto era difficile sopportare quella situazione. Non avevo la forza né la voglia di guardarmi allo specchio, tanto meno di sopportare quei consigli e quelle premure che in fin dei conti servivano a poco. Volevo solo essere lasciata in pace.
Nessuno capiva il mio dolore muto, tutti si chiedevano perché nell’apprendere la notizia mi fossi limitata al silenzio, perché al funerale non avessi fatto alcuna scenata. Solo io sapevo quanto stavo soffrendo. Non avevo neanche la forza di parlarne con qualcuno. Non volevo mi vedessero piangere, non perché non volessi mostrarmi debole, ma perché non avevo voglia d’altra compassione.
C’erano momenti in cui avrei voluto dimenticare tutto, buttarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Poi però mi pentivo. Di tutti i momenti passati insieme, non volevo dimenticare neanche un attimo; ogni cosa che parlasse di lui era speciale. No, non volevo dimenticare, desideravo averlo ancora con me.
Ogni cosa mi ricordava di lui: l’alba, il tramonto, le stelle, il vento, la pioggia, la neve, i fiori, le nuvole, un cane, un gatto, un passero… ogni cosa mi riportava in mente qualche momento speciale che avevamo condiviso. Infondo, anche se avessi voluto dimenticarlo con tutte le mie forze, non ci sarei mai riuscita, perché era parte di me. Si era radicato così a fondo dentro di me, che non avrei potuto cancellarlo neanche se ci avessi provato per tutta la vita che mi restava davanti. Eravamo diventati una sola cosa.
Anche se contro voglia, mi rialzai dal letto, presi la borsa e uscii per andare a scuola.

Era marzo, il tempo era ormai mite, i gelidi giorni invernali avevano lasciato il posto a giornate di sole. C’era una lieve brezza quella mattina, avrei detto alquanto piacevole. Scesi i gradini del portico e m’incamminai verso scuola.
Casa mia era molto distante, ma mi è sempre piaciuto passeggiare; mi aiutava a riflettere.
Arrivai a scuola come sempre al suono della campanella. Quella mattina la giornata si prospettava particolarmente pesante.
Il quinto anno non è per niente semplice, e lo è ancora meno, quando hai perennemente la mente altrove. Studiare era inutile, potevo stare anche interi pomeriggi sui libri, ma non riuscivo a concentrarmi. All’inizio i professori erano stati molto disponibili, ma ormai era passato il primo quadrimestre e se non mi sarei data una mossa, mi avrebbero sicuramente bocciato.
Come tutte le mattine le mie compagne di classe vennero a darmi qualche abbraccio e a pronunciare qualche parola di conforto; qualche ragazzo fece qualche battuta stupida per strapparmi un sorriso. Dovevo ammettere che più passava il tempo, meno m’irritava averli attorno.
All’inizio era stata tragica. Durante le prime due settimane di scuola non avevo proprio voluto metterci piede; in seguito mia madre fu costretta a portarmici con la forza.
«Buon giorno ragazzi.» disse il professore di filosofia entrando in classe.
Tutti si sedettero ai loro posti e salutarono.
«Il primo quadrimestre è finito, e penso l’abbiate capito un po’ tutti. Direi sia il momento di darsi una mossa.»
Non era neanche arrivato che già incominciava con le prediche; non lo reggevo proprio.
«Prima di fare l’appello, volevo informarvi che da oggi si trasferirà nella vostra classe un nuovo ragazzo. Viene da fuori; mi raccomando ragazzi. Arriverà tra poco, ora è a un colloquio col preside.»
Detto ciò il professore fece l’appello. Subito dopo in classe non si parlava altro che di questo nuovo ragazzo; la cosa strana era che non c’era stato anticipato nulla, chissà come mai. Anch’io ero curiosa di vedere chi fosse questo tipo e me ne meravigliai, dato che ultimamente ero diventata totalmente apatica.
«Hai sentito viene un ragazzo nuovo, speriamo sia carino.» mi sussurrò Stella, la mia compagna di banco, e mia migliore amica.
Mentre stavo per risponderle, il professore attirò la nostra attenzione.
«Un po’ di silenzio per favore.»
Subito capimmo che tutti i nostri dilemmi stavano per essere risolti, perciò ci fu un silenzio tombale.
Un ragazzo, alto e moro, varcò la soglia. Aveva i capelli castani e lisci; un fisico slanciato e atletico. Indossava dei jeans, una camicia bianca e un maglioncino di filo, blu e bianca. I suoi tratti erano gentili: era bello.
«Allora.» disse il professore interrompendo il silenzio, «Lui è Manuel Sandez. Si è appena trasferito da Madrid.»
«Salve ragazzi.» rispose Manuel, facendo scivolare lo zaino che portava su una spalla lungo il fianco.
«Siediti al terzo banco per ora.» disse il professore, e il ragazzo si diresse verso il posto a lui assegnato che era proprio dietro di me.
Il banco era vuoto perché c’erano alcuni assenti. Quando mi passò accanto, guardò verso di me, ma abbassai immediatamente lo sguardo. Non lo feci per vergogna o timidezza. Li rividi, quegli occhi, erano di nuovo davanti a me, erano reali, quei bellissimi occhi color smeraldo. Non ce la feci a sopportarlo.

Non appena il ragazzo nuovo si fu seduto Stella, si girò verso di lui.
«Piacere io sono Stella. Capisci la mia lingua?»
«Conosco l’inglese.» rispose lui ridendo, «Piacere mio, io sono Manuel.»
«Lei è Alice.» disse indicandomi; fortunatamente fui salvata in calcio d’angolo dal professore.
«Ragazzi, farete conoscenza dopo. Aprite il libro a pagina 240.»
«Professore, Mark non è venuto; sono senza libro.» disse Eric.
«Chi ha due libri?» chiese il prof.
Tutti si guardarono intorno, «Solo noi professore.» rispose Stella.
«McCallen siediti vicino a Douglas, per favore.»
Stella fece come le aveva detto il professore, e alzandosi andò a sedersi vicino a Eric. Per lei non fu un peso, anzi. Ormai l’aveva capito tutta la classe che quei due si piacevano da morire; ma nessuno riusciva a capire perché mai non stessero ancora insieme.
«Qualcun altro è senza libro?»
«Veramente io.» rispose una voce con un forte accento spagnolo dietro di me, era Manuel.
«Passa davanti vicino a Foster.» rispose indicandomi, «E ora cominciamo la lezione, altrimenti l’ora passa senza che facciamo niente.»
   
 
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