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Autore: Nanamin    15/02/2016    4 recensioni
Tara è una ragazza normale: studia, esce con gli amici, è preoccupata per gli esami, ha una cotta. La sua vita tranquilla continua, finché strani eventi cominciano ad accaderle, accompagnati da inspiegabili mal di testa.
Tara è una ragazza con un enorme potere sopito dentro di sé. Un potere che porterà grandi menti a scontrarsi, interi Paesi a sollevarsi e costringerà i Titans a fare i conti con i fantasmi di un passato che credevano ormai perduto.
-
“Sei sicura di volere questo? Che nessuno si ricordi di te? Pensi di ripartire da zero?”
Red X si alzò e si appoggiò al muro.
“La verità è che non puoi cambiare così. Tutto si ripeterà finché non rimarrai da sola.”
“Perché?”
La voce di Terra uscì roca dalla sua bocca. Red X fece una smorfia.
“Perché anche se le persone e i luoghi intorno a te non sono più gli stessi, sei sempre tu.”
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Red X, Robin, Terra, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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DIETRO LA MASCHERA DI ROBIN
 



 

 

 

 

Ci sono persone che ancora non ho la forza di rivedere, Terra.

Scostò una fronda con la mano e continuò a camminare. Per quanto fosse Rose ora la sua priorità, non riusciva a smettere di pensare a quella dannata valigetta. Sbuffò. Dick aveva già intuito chi fosse, al molo, ma era solo questione di tempo prima che scoprisse il contenuto della ventiquattrore e ne avesse la conferma. Tempo che lui avrebbe impiegato per portarsi il più lontano possibile da quel posto. 

Il cielo iniziò a schiarirsi e gli uccellini a cantare. Dove avrebbe potuto trovare Rose? Robin l’avrebbe cercato?

 Scosse la testa: il pensiero del ragazzo era lì, perenne e rumoroso. Il combattimento al molo, Dick steso che lo guardava come un fantasma. 

Si grattò la nuca: non poteva dire avesse tutti i torti.

Non farla tragica, non è la prima volta che uso un tuo costume, dopotutto.

Calciò una pigna, facendola sbattere con il tronco di un albero. Non era la prima volta.

 

 

“Jason! Se non ti sbrighi andremo a pattugliare Gotham senza di te.”

Il ragazzino scivolò dietro l’enorme computer della batcaverna, e attese, nascosto. Batman era vicino alla macchina, ancora senza maschera; Robin dava le spalle al monitor e aveva le mani sui fianchi.

“Se non sei nemmeno puntuale, non ti cederò mai il mio posto.”

Era il momento. Jason balzò e afferrò Dick per le spalle, facendo ruzzolare entrambi in avanti.

“Preso! Chi è il Robin migliore ora?”

Il ragazzino si alzò e gonfiò il petto, per poi trotterellare verso Batman e girarsi a rimirare Richard, ancora con la faccia sul pavimento.

Batman si mise la maschera e stirò le labbra in un sorriso.

“Dick, credo dovresti affinare l’udito.”

Richard si alzò e si massaggiò la guancia.

“Non è stato corretto.”

“Nemmeno i nemici lo sono, Dick” disse Jason, incrociando le braccia e sfoggiando un largo sorriso di vittoria.

Batman entrò nella batmobile.

“Andiamo, Robin.”

“Eccomi” disse Dick.

“Parlava di me, non ci farebbe niente con uno come te!”

Jason balzò nella macchina e chiuse gli occhi soddisfatto.

“Tutti e due” concluse Batman.

Nessuno obiettò.

 

 

***

 


 

Robin chiuse il ricevitore e si girò verso gli amici.

“Beast Boy l’ha trovata, stanno bene. Cyborg, avverti le autorità.”

Non attese risposta e andò verso la T-car. Vi entrò, ignorando le grida di felicità di Starfire, e si gettò sul sedile.

Era sollevato per Beast Boy e per Terra, ma la loro situazione voleva dire solo una cosa: Red X non aveva mentito. E se non aveva mentito, Jason era vivo.

Affondò la faccia nei palmi delle mani. Non era possibile, il suo cervello si rifiutava di ammettere una cosa del genere, si rifiutava di ammettere che sotto quella maschera ci fosse lui.

La sua schiena si curvò come sotto un macigno: Jason, il secondo Robin, il suo fratello adottivo.

Per tutto quel tempo era stato Red X, suo rivale.

“Stupido…” mormorò a se stesso.

Come aveva fatto a non capirlo prima: indossava il suo costume, adottava lo stesso metodo di combattimento, aveva la capacità di prevedere le sue mosse, dimostrava spirito ribelle.

 

 

 

Richard rientrò nella sua stanza e si tolse la parte superiore del costume. 

“Non sembra essere stata una serata fortunata, signorino Grayson.”

Dick afferrò una bottiglietta di disinfettante dal vassoio del maggiordomo e ne versò un po’ su un batuffolo d’ovatta.

“Per niente, Alfred. Il Joker è evaso un’altra volta.”

Si tamponò un grosso graffio che aveva sul braccio sinistro, lungo una decina di centimetri. Fece una smorfia per il bruciore della ferita a contatto con la sostanza.

“Come sta Jason?”

“Il signorino Todd non è nella sua forma migliore.” 

“E?”

“Non ha fatto altro che dare a voi la colpa, signorino Grayson. Credo che ora si sia addormentato sul divano.”

“La cosa non mi sorprende.”

Sbuffò, mentre si fasciava il braccio con una benda pulita.

“Non siate troppo duro con lui, il signorino Todd ha un passato difficile.”

Richard si mise la maglia del pigiama.

“Lo so, lo so. Puoi andare Alfred.”

Il maggiordomo lasciò la stanza dopo un lieve inchino.

Richard sospirò. A volte si chiedeva se Bruce avesse fatto la scelta giusta nel prendere Jason con loro, quella notte di qualche anno prima.

Si finì di cambiare e andò in salotto. Il fratello adottivo dormiva stravaccato sul divano, con un braccio penzoloni e con il costume da Robin ancora addosso. Si era tolto solo la maschera, mentre con il sangue delle ferite più superficiali stava imbrattando il divano.

Sbuffò e prese un fazzoletto, cercando di ripulire alla bell’e meglio la parte di pelle sporca, vicino al suo volto.

Rimase a guardarlo qualche minuto. Aveva molto talento: in poco tempo era riuscito ad imparare le sue stesse mosse e le sue stesse acrobazie, benché non provenisse da una famiglia di circensi. Ma era ribelle e sempre, costantemente, arrabbiato.

“Sei dubbioso sulle mie decisioni, Dick?”

Sobbalzò e si girò verso Bruce, già cambiato.

“Non sono sicuro possa essere un buon Robin.”

“Ha talento.”

“Non sono le capacità che mi preoccupano.”

“Dick…” si fermò un attimo, per poi riprendere “Ho preso Jason con me perché sono sicuro che se non lo avessi reso Robin in quel momento, prima o poi l’avrei rincontrato, ma per portarlo in prigione.”

“Ma non mi ascolta mai, non ti ascolta mai” disse rimarcando sull’ultima frase.

“Prenditi cura di lui.”

“Ma come fac-“

Si voltò, Bruce era sparito. Sospirò e prese una coperta dal bracciolo del divano.  Gliela poggiò addosso, stando attento a rimboccarla senza svegliarlo. Guardò ancora un po’ il fratello dormire scomposto, con le dita della mano sinistra che sfioravano il tappeto. Per un attimo, sul suo volto comparve l’ombra di un sorriso.

 

 

***

 

 

 

Red X si appoggiò ad un albero con la mano. Ormai i raggi filtravano tra le chiome del bosco, striando il terreno.

Robin. Lo era stato anche lui, dopotutto. Conosceva le sue mosse, il suo stile, i suoi giocattoli. Si era esposto troppo con Dick, era naturale che prima o poi se ne sarebbe accorto.

In più era tornato a fare il ladro. Ridacchiò: un ritorno alle origini in piena regola. A quel punto non era stato lui a scoprirsi troppo, era stato Richard un coglione a non capirlo prima.

Scrollò le spalle: quando mai era stato furbo, quello.

 

 

“E vedi di tornare con i pezzi di ricambio.”

Jason si levò il grasso sulla guancia con il braccio.

“Sì.”

“Muoviti!”

Frank lo colpì in volto, facendolo cadere a terra. Il ragazzino si tirò su barcollando, l’orecchio sinistro gli bruciava per il dolore, gli occhi gli s’inumidirono. Guardò l’uomo di fronte a lui: gli arrivava a stento all’ombelico e la sua testa era più piccola della sua mano. 

Digrignò i denti e ricacciò indietro le lacrime, non avrebbe mai pianto di fronte a quello là. Girò su se stesso e si avviò verso l’uscita dell’officina. Era quasi arrivato all’entrata, quando un getto di vernice lo investì alla schiena. Jason saltò per il freddo, il tessuto della maglia si era appiccicato alla pelle, facendogli battere i denti. 

Si girò verso colui che gliel’aveva lanciata. Questo sputò a terra e lo prese per la maglietta.

“Che hai da guardare, eh ragazzino?”

“Niente.”

Lo lasciò andare e si mise una sigaretta in bocca.

“Meglio,” disse, mentre tirava fuori l’accendino dalla tasca, “altrimenti ti faccio fare la fine di quella puttana di tua madre.”

Jason fece schioccare la mascella e uscì dall’officina. Rabbrividì e strofinò le mani per riscaldarsi un po’. Doveva riportare qualcosa quella notte, o non avrebbe mangiato.

Lo stomaco gli brontolò, costringendolo a mettersi le mani sulla pancia. Ringhiò di rabbia e s’immerse nell’ombra dei vicoli, stringendo a sé la sacca di tessuto che aveva addosso.

In due ore non aveva trovato niente di abbastanza decente da permettergli di mangiare, nemmeno un panino. Lo stomaco brontolò di nuovo. Sbuffò, girando in un vicolo. Si bloccò. Gli occhi gli s’illuminarono: aveva trovato la sua cena da tre portate.

Si avvicinò all’enorme auto nera e tirò fuori un piccolo cric. Lo infilò sotto il veicolo e lo sollevò di qualche centimetro, poi lo sostituì con un cubo di cemento. Prese un attrezzo per svitare i dadi e iniziò a lavorare alla prima gomma.

Mentre lavorava sentiva già il gusto di una frittata in bocca. Si morse il labbro e sganciò la prima ruota, che cadde pesante a terra.

“Questa non me l’aspettavo.”

Jason trasalì e nascose l’attrezzo per i dadi dietro alla schiena. Di fronte a lui c’era un uomo mascherato, in nero, con un mantello e una maschera da pipistrello.

“Batman…” mormorò.

“Mi stavi rubando le gomme.”

“No.”

“Dov’è tua madre?”

“Non sono affari tuoi.”

“Dov’è?”

“È morta.”

L’uomo lo indicò.

“Cos’hai dietro la schiena?”

Jason esitò. Socchiuse gli occhi e serrò le dita sull’attrezzo. Ora o mai più. Colpì il supereroe sullo stomaco con tutta la forza che aveva nelle braccia, per poi scattare dalla parte opposta.

Fece una decina di metri a tutta velocità, quando venne preso per la maglia e tirato su.

“Lasciami!”

“No.”

 

 

***

 



 

Abbandonò la schiena sul sedile e chiuse gli occhi. Idiota, Robin, idiota. Sospirò. Per lo meno Beast Boy non era in pericolo. Una volta trovato lo avrebbe spedito subito alla torre, senza ulteriori chiacchiere. Non era in grado di combattere, non ancora. 

Lui era un leader, doveva occuparsi di tutti i suoi compagni e doveva impedire che facesse del male a se stesso o a loro. Almeno quella volta avrebbe dovuto riuscirci, non avrebbe dovuto cedere alla sua parte emotiva. Inspirò a fondo.

“Un buon leader si occupa dei suoi compagni. Un buon leader diventa la forza del compagno che la perde. Un buon leader diventa la ragione del compagno che la perde.”

 

 

“Dickhead, un po’ più d’impegno!”

Richard parò il calcio di Jason con il braccio destro e contrattaccò con il bastone.

“Non chiamarmi Dickhead!”

Jason schivò con un salto all’indietro e si abbassò per colpire la sua caviglia e farlo cadere. Richard saltò e calò un fendente sulla testa del fratello, che lo bloccò con entrambe le mani. 

Il timer suonò: erano passati cinque minuti dall’inizio del combattimento.

“Pari anche questa volta.”

“Ti piacerebbe. È che non voglio farti sfigurare, fratellone” disse Jason, stiracchiandosi.

Richard accorciò il bastone, riponendolo alla cintura. Sospirò alla frase del fratello e raggiunse il tavolino al limite della palestra, dove prese uno degli asciugamani che Alfred aveva predisposto per loro. Se lo passò sulla fronte e sul collo, per poi lasciarlo appeso alle spalle. Jason prese una bottiglia d’acqua e se la buttò completamente sulla testa, bagnando tutto il pavimento.

“Jason” disse severo Dick.

Il ragazzo si passò una mano nei capelli e li scrollò dalle gocce.

“Su Dick, non c’è il vecchio, puoi anche ammorbidirti un po’. A proposito,”  bevve un sorso dalla bottiglietta, “Riguardo a quella cosa…”

Robin sospirò e si appoggiò al muro con la schiena.

“Sai che è mia la responsabilità. Non posso permettertelo.”

Jason schiacciò la bottiglia con la mano, per qualche secondo si sentì solo il rumore della plastica accartocciarsi.

“Richard, sono stato gentile. Ho chiesto il permesso come volevi tu, ti ho informato delle mie intenzioni.” Lasciò cadere il rifiuto a terra e si girò. “Non illuderti, Dick. Che tu lo voglia o no, io andrò a cercarla.”

Richard si morse il labbro e appoggiò una mano sulla sua spalla.

“Jay, lo sai che lo faccio per il tuo bene. Sei troppo coinvolto, e non c’è nemmeno Batman. È troppo pericoloso.”

Jason scostò la spalla e continuò a camminare.

“Non puoi andare! Metterai in pericolo noi e te stesso!”

Il ragazzo si fermò, continuando a dargli la schiena. Incassò la testa tra le spalle e le mani si chiusero a pugno.

“Mi dispiace di mettere in pericolo il tuo team, Richard. Non sia mai che Bruce una volta tornato non ti dica quanto sei stato bravo. Che t’importa se dopo anni scopro che mia madre è ancora viva. Sono cose da niente.”

Dick si passò una mano tra i capelli. Si ritrovò con la mente al circo. Una serata come tante, con il solito numero dei Flying Grayson. Rivide di fronte agli occhi Zucco che si alzava tra il pubblico ed estraeva un mitra. Chiuse gli occhi, per non ricordare i fatti successivi. Un impulso di rabbia gli infiammò il cuore, facendogli tremare le dita. 

“Tu cos’avresti fatto, Dick?”

Si morse il labbro. Lui sapeva bene cos’avrebbe fatto, ma non poteva permetterlo in quel momento. Suo fratello non era in condizioni, avrebbe rischiato la vita inutilmente. Jason era così furioso, così ossessionato da mettersi in pericolo per salvare la madre e vendicarla, soprattutto senza i freni impostigli da Batman. 

“L’ossessione e la rabbia non fanno un buon combattente, Jason.”

Jason percorse tutto il salone a passo veloce e mise la mano sulla maniglia.

“Il non agire uccide le persone, Richard.”

Dick dette un pugno al muro e ringhiò. Lo odiava quando faceva così, quando faceva leva sulla sua infanzia e le sue emozioni.

“Va bene.”

Il ragazzo si fermò, poi aprì la porta.

“Grazie, Dick.”

“Non ti entusiasmare tanto, vengo con te.”

 

 

***

 

 

 

Riprese a camminare. Concentrò la sua mente su Rose, la sua priorità in quel momento. L’avrebbe salvata e portata via da Slade, poi sarebbe tornato alla sua solita vita. Nient’altro. Semplice.

Un senso d’inquietudine gli attanagliò il cuore. Strinse i pugni, vicino ai fianchi. Rose meritava di essere salvata?

Sospirò, cercando di scacciare quel pensiero. Certo che meritava di essere salvata, dopo tutto quello che aveva passato.

L’ansia aumentò, Red X si morse il labbro. Nella sua mente si materializzò un volto preciso: pelle bianca, labbra rosse, capelli verdi.

Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi. 

“Rose lo merita, Rose lo merita, Rose lo merita” sussurrò.

Il volto scoppiò a ridere.

 

 

 

“Sei pronto, Robin?”

Richard estrasse dalla cintura un birdarang, mentre osservava la situazione dall’alto della grata del condotto d’areazione.

“Prontissimo, Robin” rispose.

Jason sorrise e prese il fumogeno. Lo guardò per qualche secondo, rigirandoselo tra le dita, poi gettò un’occhiata al locale sotto di loro. 

Nel magazzino abbandonato, proprio al centro  della sala, c’era una donna legata ad una sedia.  Jason perse un battito. Sua madre. Uno scagnozzo le puntava il mitra dietro alla nuca, a circa un metro di distanza.

Una mano si posò sulla sua spalla, il ragazzo sobbalzò. Dick gli sorrise per incoraggiarlo e la tolse.

“C’è una decina di uomini a guardia…” sussurrò Richard, massaggiandosi il mento, “Hai la modifica alla maschera?”

Jason annuì. Niente d’infattibile, quindi. Pochi uomini e vantaggio tecnico su di loro. Si poteva fare anche senza il vecchio. Si mordicchiò l’interno della guancia.

“Tre…”

“Due…” continuò Dick.

“Uno…”

Con un calcio Jason buttò giù la grata. Prima che toccasse terra, Richard lanciò il birdarang conficcandolo nel muro, proprio dietro all’uomo che teneva la donna sotto tiro con il mitragliatore. 

Esplose, scaraventandolo a terra, svenuto. Jason tolse la sicura al fumogeno e lo buttò in mezzo alla sala. In un secondo una gigantesca nuvola bianca invase il locale, nascondendo tutto alla vista.

Richard gli fece un segno di assenso e si buttò, scomparendo nel bianco del fumo; Jason inspirò e fondo e attivò la visione a raggi X. Subito comparvero dodici corpi a parte il suo: ne vide uno andare a tentoni verso quello legato di sua madre. Si lanciò per dare un calcio all’uomo. Lo colpì sulla nuca con lo stivale e lo buttò a terra, poi allungò il bastone e lo passò sotto al suo collo in modo da soffocarlo fino a fargli perdere i sensi.

Il fumo iniziò a diradarsi, Jason tolse la vista a raggi X. Non si udivano più rumori dovuti alla lotta, Dick doveva già aver steso tutti. Sorrise, finché non riuscì a scorgere il viso di sua madre.

“Mamma…” mormorò.

La donna, legata ad una sedia, aveva i capelli lunghi raggrumati a ciocche, il volto bianco e scarno, come se non mangiasse da un mese. Profonde occhiaie le circondavano gli occhi scuri, piccoli e incavati. Una spalla bianca e ossuta spuntava dal maglione logoro che la vestiva.

“Che ti hanno fatto…”

Le labbra della donna si strinsero in una fessura, il suo sguardo era vuoto, come se non riuscisse a vederlo.

La slegò e l’aiutò ad alzarsi. Era leggera, Jason poté sentire le sue costole attraverso il maglione.

Richard s’avvicinò.

“È stato facile.”

Jason non rispose, continuava a fissare quei piccoli occhi neri senza un’emozione.

“Troppo” continuò Dick.

Due spari echeggiarono nel locale. Un urlo. 

Jason spalancò gli occhi e si girò. Dick era per terra, da entrambe le gambe uscivano fiotti di sangue che fluivano in una pozza che andava via via allargandosi sul pavimento.

“No!”

Si accucciò sul fratello.

“Robin!”

Dick fece una smorfia e digrignò i denti.

“Porta via tua madre.”

“No.”

“Portala subito. Obbedisci, sono io il capo.”

Jason si morse il labbro. Guardò la madre, che si reggeva a stento in piedi senza dire una parola e poi Dick, steso in quella pozza di sangue.

Una risata rimbombò nella stanza, acuta, folle. Una risata ben conosciuta. Jason serrò i pugni. C’era lui dietro a tutto questo. Lui aveva ridotto sua madre in quello stato e aveva sparato a Robin. Lui, che aveva ucciso tante persone e riusciva ad evadere sempre dalla prigione.

“Mi dispiace fratellino, ma non me ne andrò finché non l’avrò fatto fuori.”

Un’altra risata, un uomo in completo viola che compariva alla porta. Jason serrò le dita intorno al bastone e lo allungò. La rabbia che per tanto tempo aveva tenuto dentro di sé stava per esplodere come un vulcano.

“Joker.”

Un’altra risata, ancora più acuta.

“Bene bene bene. Fate un pigiama party e non m’invitate? Ma che maleducati!”

L’uomo fece un passo in avanti, aveva una pistola nella mano destra.

“Grazie Sheila, mia cara. Vieni qui” disse, mentre faceva cenno di avvicinarsi con la mano.

Jason spalancò gli occhi e si girò verso la donna.

“Madre…”

Lei sembrò non ascoltarlo e corse dal Joker. Si buttò in ginocchio e si aggrappò ai suoi pantaloni con entrambe le mani.

“Per favore!” Urlò con voce stridula. Il suo corpo tremava visibilmente, i capelli scivolarono all’indietro scoprendo i suoi zigomi ossuti.

“Sheila, non è educato!”

Il Joker mosse l’indice a destra e a sinistra.

“E va bene, ma solo perché mi hai portato questi begli uccellini” disse e prese dalla tasca un sacchetto pieno di polvere bianca e glielo tirò in un angolo.

Jason si paralizzò.

“Ma cosa succede…”

La donna seguì con la testa la traiettoria dell’oggetto e si buttò a prenderlo, come un cane. Si rannicchiò nell’angolo e lo strinse a sé, dondolandosi avanti e indietro. 

Joker si portò una mano alla bocca e fece una faccia mortificata.

“Oh, pettirosso, mi dispiace.” Scosse la testa con fare teatrale. “Questi drogati sono sempre meno leali. Cattiva Sheila, cattiva!”

Jason fremette dalla rabbia, il sangue gli andò al cervello.

“Io t’ammazzo!”

“No! Non farlo!”

Dick rotolò sul fianco e tese una mano verso di lui.

Jason scattò verso l’uomo a tutta velocità, con il bastone sguainato. L’uomo mirò alla donna, ancora rannicchiata.

“Sei sicuro, Robin?”

Il ragazzo si bloccò. Il suo sguardo andò dal Joker a sua madre e poi di nuovo al Joker.

“Bravo ragazzo. Se stai fermo, lascerò andare la tua adorata mammina, e anche l’altro Robin. A proposito, ma dove vi pesca Batman tutti uguali? Vi alleva come dei cuccioli?”

Jason si morse il labbro fino a farlo sanguinare. La pozzanghera attorno a Dick si allargava sempre di più: non sarebbe sopravvissuto a lungo, sarebbe morto dissanguato entro pochi minuti. Non poteva lasciare che accadesse, era tutta colpa sua.

Abbassò la testa. Game over. Joker aveva vinto di nuovo. Lasciò cadere il bastone.

Joker rise e gli legò i polsi dietro alla schiena, per poi buttarlo a terra con uno spintone.

“Sono un uomo di parola” disse, accovacciandosi e dando due schiaffetti al ragazzo.

Jason osservò la sua faccia bianca e i suoi capelli verdi. Rabbrividì disgustato alla sola vista. Joker si alzò e legò stretti due stracci attorno alle cosce di Richard, poi estrasse la pistola e mirò a Jason.

“Un passerotto morto e uno quasi morto. Batman sarà così felice del mio regalo!”

Il ragazzo fece schioccare la mascella. La rabbia svanì, lasciando posto alla frustrazione.

“Spara pure, tanto non me ne frega più un cazzo.”

L’uomo rise e fece spallucce.

“Oh beh, in tal caso…”

Cambiò mira e sparò alla donna. Jason sgranò gli occhi, vide il corpo esanime della madre crollare a terra, senza nemmeno fare rumore. La bustina cadde, sparpagliando l’eroina sul pavimento. Sul volto, un largo sorriso e gli occhi sgranati, mentre la polvere le macchiava di bianco le dita e le narici.

Il suo cuore si fermò. Guardò il cadavere a terra, con nessun altra sensazione se non disprezzo verso se stesso e verso quella donna che l’aveva venduto per un pacchetto di droga.

Il Joker rinfoderò la pistola e camminò tranquillo per la stanza, fino a che non raggiunse il corpo riverso di uno scagnozzo. Gli dette un calcio, rovesciandolo supino e si chinò a prendere il piede di porco che aveva ancora tra le mani.

S’avvicinò a Jason, battendo ripetutamente l’estremità dell’attrezzo sul palmo della mano.

“Questi giovani d’oggi, non hanno più i genitori a raddrizzarli.” Guardò prima il ragazzo e poi Dick, che respirava a fatica. “Dovrò pensarci io. Quale dei due passerotti ha avuto questa brillante idea?”

“Io.”

Jason alzò la testa e sostenne lo sguardo del Joker, socchiudendo gli occhi.

“N-no…” mormorò Dick.

“Sono stato io” ripeté Jason.

L’uomo rise e si leccò le labbra.

“Molto bene allora.”

Il ragazzo non distolse lo sguardo, nemmeno quando vide cadere su di lui il primo fendente. 

Un dolore lancinante gl’investì la spalla, non appena il ferro venne a contatto con la sua pelle. Gemette, ma non chiuse gli occhi. Voleva guardare in faccia quell’uomo folle, voleva imprimersi negli occhi quel volto, voleva indirizzare tutto il suo odio verso di lui. Non avrebbe pianto.

Un altro colpo al fianco. Urlò. Il Joker rideva, i suoi lineamenti erano tirati in una smorfia folle, nei suoi occhi verdi riusciva e scorgere il suo stesso volto deformato.

Un colpo alla schiena. Tossì, delle gocce di sangue macchiarono il pavimento. Fissò l’uomo, mentre la vista lo abbandonava.

“Batman verrà a prenderci.”

Joker lasciò cadere il piede di porco.

“Lo spero, ragazzo.”

Lo colpì un’altra volta, e un’altra e un’altra ancora, per minuti.

“Ora scusate, ma devo andare” si avviò verso l’uscita, sistemandosi la giacca del vestito viola. Si fermò sulla soglia e guardò i due ragazzi.

“Fate i bravi e finite i compiti per domani, vi ho lasciato la cena in frigo” ridacchiò, per poi uscire e chiudersi dietro la porta.

Jason tossì di nuovo.

“Dick…”

Un lieve mugolio gli giunse in risposta.

“Ti tirerò fuori di qui, Dick.”

Raggomitolò le gambe verso l’addome e fece passare le mani legate al di sotto, in modo da averle di nuovo di fronte al busto. 

Si tirò su in piedi, gemendo, con la schiena curva dal dolore. La porta in fondo alla stanza era doppia per la fatica. Scosse la testa, non doveva svenire.

Fece un passo, la sua gamba cedette. Cadde a terra, sbattendo la guancia. Non riusciva a muovere la spalla senza che una fitta lancinante lo passasse da parte a parte. Il dolore al fianco gli mozzava il fiato.

“Dick.”

Nessuna risposta.

“Dick, parlami.”

Ringhiò dal dolore e si tirò su di nuovo. Camminò verso la porta, barcollando. Un mugolio gli rispose.

“Dick, rimani sveglio. Adesso ce ne andiamo.”

Cadde ancora. Gemette. Jason allungò le braccia e fece leva con i gomiti, urlando per il dolore alla spalla. La porta era vicina, doveva farcela. Li aveva cacciati lui in quel casino, doveva tirarli fuori.

“Dick.”

Nulla.

“Dickhead non provare a morire. Non pensarci nemmeno.”

Toccò con una mano la porta. L’aveva raggiunta. Fece un ultimo sforzo per mettersi in piedi e abbassare la maniglia.

Era chiusa a chiave.

“Vaffanculo!”

Si zittì, facendo attenzione ad un rumore in sottofondo.

Tic.

Tac.

Tic.

Si girò: su una cassa, un timer era collegato a della dinamite. Venti secondi rimanenti.
 

 

 

***

 

 

 

Cyborg e gli altri entrarono in macchina, chiacchierando come se non fosse successo nulla, felici per il ritrovamento sia di BB che di Terra. Persino Raven spiccicava qualche parola in più del solito.

Robin girò la testa e guardò il paesaggio sfrecciare fuori dal finestrino. Il suo pensiero volò a quella notte, la notte che lo teneva ancora sveglio a distanza di anni.

Si massaggiò le cosce, mentre i suoi occhi si chiudevano di nuovo. In un attimo gli sembrò di tornare anima e corpo in quel magazzino.

 

 

Il suo respiro era pesante, tutta la stanza era sfocata. Il freddo scosse il suo corpo, tremò battendo i denti. Rannicchiò a stento le gambe al suo addome per farsi un po’ di calore. 

L’unica cosa che riusciva ad udire era la voce di Jason, ma dalle sue labbra non uscivano più di grugniti, in risposta.

Le forze lo stavano abbandonando, mentre il rosso del suo sangue era l’unico colore che riusciva a scorgere: tutto il resto stava diventando bianco.

“Dickhead non provare a morire. Non pensarci nemmeno.”

Tossì e spostò il volto, in modo da riuscire ad intravedere Jason. Era di fronte alla porta, girato verso delle casse di legno.

Un ticchettio raggiunse le sue orecchie, ovattato. Non riusciva capirne la provenienza, ma non importava. In ogni caso sarebbe morto di lì a poco.

“C’è una bomba.”

Si leccò le labbra e socchiuse gli occhi. C’era una bomba, il Joker l’aveva proprio pensata bene. Chissà cos’avrebbe fatto Batman, trovandoli entrambi morti in un magazzino abbandonato. Era stato una delusione come Robin, come figlio, come fratello e come capo. Sapeva quanto Jason fosse instabile, ma si era fatto convincere comunque. Era lui la parte razionale di suo fratello e si era lasciato vincere dall’emotività, come un bambino. Non era stato un buon capo, aveva condannato a morte entrambi.

“Jay, s-scappa.”

Jason si girò verso di lui e si avvicinò, barcollante.

Cosa stava facendo? Perché stava andando verso di lui?

Riuscì a scorgere la figura del ragazzo, circondata da un grosso alone bianco; il respiro era sempre più lento, non riusciva più ad espandere la cassa toracica.

Jason cadde, a pochi centimetri da lui, con le mani vicino al suo volto.

Richard gemette. Avrebbe voluto dirgli tante cose: di andarsene, di lasciarlo lì, che non era stato un capo all’altezza, né un buon amico, ma dalla sua bocca uscì solo un grugnito accorato.

Jason strisciò fino a trovarsi steso a fianco a lui, con il volto verso il suo e la schiena verso la bomba.

“C…”

Che stai facendo, avrebbe voluto dire. Concentrò le ultime forze sul viso di Jason: stava piangendo.

“Salutami il vecchio, Dick.”

Il ragazzo fece passare le sue braccia attorno al collo di Richard e si rannicchiò, in modo da spingere la sua testa sotto al suo mento e in modo da coprire con il suo corpo quello accucciato del fratello.

I tic scomparvero. Il silenzio arrivò. Il calore l’investì.

 

 

Aprì gli occhi: una lacrima era scesa lungo la sua guancia.

Una mano si posò sulla sua spalla, Robin trasalì: era Cyborg.

“Tutto bene?” chiese, gettandogli un’occhiata e poi tornando a guardare la strada.

“Sì.” Inspirò a pieni polmoni e buttò fuori tutta l’aria. Si asciugò la lacrima con la mano. “È colpa di tutto questo polline.”

La voce di Raven arrivò, atona.

“Robin, siamo a settembre.” 

Nell’auto calò il silenzio, il ragazzo si massaggiò le tempie con le mani e buttò la testa sul sedile.

“Devo raccontarvi un po’ di cose.”











Angolo dell'autrice
Ciao a tutti!
Come vedete, la narrazione si è bloccata per lasciare spazio ad un po' di spiegazioni sulla vicenda Robin-Red X e sul loro rapporto.
In questa nota, vorrei un po' parlarvi delle opere a cui mi sono ispirata per questo spezzone piuttosto importante. Avverto subito che ci saranno degli spoiler sull'opera originale, per cui:

- SPOILER -

Molti di voi sapranno che Jason Todd è stato il secondo Robin, il famoso Robin che morì grazie ad un sondaggio telefonico, per mano del Joker mentre cercava la madre. Ho mantenuto simile all'originale il modo in cui lui e il Cavaliere Oscuro si sono incontrati, quand'era un bambino. Per il resto ho preso semplicemente ispirazione. Infatti Dick non è stato presente in quelle vicende successive dove Jason oltrepassava il limite e dove veniva catturato dal principe dei Clown per poi essere ucciso brutalmente.
Ho deciso d'inserire comunque il leader dei Teen Titans, per spiegare questo suo carattere cupo e questo suo modo di anteporre sempre la ragione, impedendo per l'appunto a Beast Boy di combattere, in generale e soprattutto contro Red X, verso cui provava odio.
Benché potesse essere sviluppato meglio (e di questo me ne rendo conto, ma ho cambiato biografia di Red X in corso d'opera), un minimo di psicologia di Robin riguardo al fratello adottivo era presente anche all'inizio di questa fan fiction, e si mostrava più che altro con la sua iperprotettività.
Il metodo di uccisione di Jason è molto simile a quello che si trova nel fumetto "Una morte in famiglia", ma il ragazzo in quel caso non si lancia su Dick in un disperato tentativo di salvataggio, ma sulla madre. Purtroppo in quel caso, la madre non riesce a salvarsi con il suo sacrificio.

- FINE SPOILER -

Red X, quindi, nel capitolo precedente si è bloccato nel vedere Terra per un motivo. Si è rivisto sia al posto di Amber, sotto quella spranga, sia al posto di Terra, con i suoi stessi sentimenti d'odio verso una persona che era riuscita solo a fare del male. È per questo che poi dice quelle parole alla ragazza. In realtà, anche ciò che dice alla biondina per convincerla è un riferimento a Batman e ai suoi principi morali.
È vero anche che è strano che un personaggio come Jason Todd faccia un discorsetto del genere a Terra, quando lui nel fumetto diventerà in seguito ben altro tipo di giustiziere. Tuttavia in questa fan fiction lui ancora quell'anti eroe non lo è diventato, perciò non l'ho trovato particolarmente fuori dal personaggio. Red X quindi non ha ancora mai ucciso, benché il suo alter ego fumettisco l'abbia fatto più e più volte!

Mi soffermo in ultimo sulle età dei personaggi, per rendere un po' più verosimile la cosa. Serie e fumetti discordano palesemente, perciò qui di seguito vi scrivo le età di Robin e Red X nei vari momenti della serie e della ff:

- Dick entra nei Teen Titans come Robin a 15 anni, 2003
- Dick diventa il primo Robin a 11 anni, nel 1999
- Jason diventa Red X nel 2004 a 15 anni - prendendo come punto di riferimento l'episodio "X" della terza stagione
- Jason diventa il secondo Robin a 12 anni, nel 2001
- Attualmente, Dick ha 20 anni (2008)
- Attualmente, Jason ha 19 anni (2008)

Bene, penso di essermi dilungata un po' troppo, ma ci tenevo a spiegare tutto per filo e per segno, considerando anche che Jason Todd è uno dei miei personaggi preferiti della DC.
Spero apprezziate e recensiate in molti. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno commentato fino ad adesso, dandomi la forza di andare avanti! Se avete domande basta scrivere e risponderò il prima possibile.
A prestissimo,

x Carlotta

Ps. Vi lascio qualche link interessante e vi consiglio moltissimo la visione del film "Batman: Under the Red Hood", che si trova attualmente solo in inglese. Per gli eventi nel magazzino mi sono ispirata a quello stesso film, vi lascio qui di seguito uno spezzone.
Batman: Under the Red Hood - Jason Todd
Copertina di "Una morte in famiglia"


 

   
 
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