Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: BabaYagaIsBack    15/02/2016    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 1
parte1

"It would be a lot better if I slit your throat

And die for me, die for me
Why don't you?"

Fuck you and all your friends, Falling in Reverse


 

Spostando lo sguardo verso la porta e lasciando nuovamente oscillare il bicchiere di scotch oltre il bracciolo del divano, Joseph non poté impedirsi di lanciare in direzione dell'amico un'occhiata bieca. Il suo sesto senso era in allerta, sapeva che qualcosa di terribilmente scocciante lo stava attendendo, ma evitò di aprir bocca finché non vide Kyle sbattere un pugno al muro e chiudere la chiamata. Non aveva capito assolutamente nulla della questione, il suo braccio destro non era tipo da troppe parole, ma dai suoi monosillabi e la sfilza di imprecazioni era chiaro che il branco li stesse reclamando.

«Guai?» gli domandò, tendendo teatralmente un angolo della bocca e mimando un sorriso ben lontano dal rispecchiare il suo attuale stato d'animo – detestava essere interrotto nel bel mezzo del weekend, soprattutto quando si trattava di qualsiasi evento riguardante i Menalcan. Non che odiasse il suo branco, in fin dei conti era tutto ciò che conosceva e la famiglia che Arianrhod aveva scelto per lui, ma se avesse potuto star loro lontano non gli sarebbe affatto dispiaciuto; per quanto nelle sue vene scorresse il sangue dell'Alpha, non desiderava affatto essere coinvolto nei sadici giochi di potere che suo padre, suo fratello, o un qualsivoglia Fior-Ghlan desiderava mettere in atto. Tutto ciò che voleva si riassumeva in un'unica parola: libertà. Peccato che fosse un concetto fin troppo astratto visti i suoi doveri.

L'altro grugnì, avvicinandosi all'attaccapanni accanto all'entrata. Ad ogni secondo di silenzio, il cipiglio di Kyle diventava sempre più snervante, così Joseph capì che non si doveva trattare della solita scaramuccia, ma bensì di un disastro.
«Arwen.»
Il ragazzo sussultò, rovesciando parte del liquore sul tappeto: «Che vuol dire?»
L'amico gli porse la giacca. Nei suoi occhi la tempesta imperversava furiosa, nuvole grigie che non sembravano promettere altro che guerra gli stavano incupendo lo sguardo: «Che siamo nella merda» ringhiò poi, incitandolo ad alzarsi e indossarla.
Sfortunatamente quella frase voleva dire tutto e nulla, soprattutto vista la loro natura. Arwen era sinonimo di rogne, di caccia spietata, lotta e sangue, ma anche di mezzosangue esaltati – il suo nome poteva assumere centinaia di significati diversi se non contestualizzato.

«Più specifico, Kyle.»
«Hanno fatto irruzione nella Villa, massacrato qualche bràthair (fratello) e preso il Pugnale di Fenrir. Vuoi sapere altro?»
No.
In uno scatto fu in piedi. Le sue sinapsi presero a passare informazioni e pensieri da un lato all'altro della mente a una velocità incredibile e, oltrepassando la soglia di casa, si ritrovò già pronto ad adempiere ai suoi doveri. Nelle parole del suo vice c'era tutto ciò che mai avrebbe voluto udire, né nel weekend, né in qualsiasi altro momento della sua vita. Quello che era accaduto era il peggiore degli scenari che avrebbe potuto immaginare – e se dal quartier generale avevano chiamato loro, anziché l'Alpha, voleva dire che né lui né il primogenito si trovavano nei paraggi della magione.

Dalla gola di Joseph si fece largo un suono gutturale, una sorta di ringhio minaccioso che parve rimbombare lungo il corridoio. Era furioso, fuori di sé, ma soprattutto agitato. Se voleva evitare l'aggravarsi della situazione doveva sbrigarsi, doveva raggiungere Villa Menalcan prima che il caos potesse dilagare e le malelingue raccontare di quel terribile misfatto. Doveva assicurarsi di non dare a proprio padre un motivo per accanirsi su di lui più del dovuto, anche se già dubitava di poterci riuscire.
Douglas non era tipo da restare impassibile; in lui si agitava con costanza una rabbia di cui non si conosceva l'origine, per questo avrebbe sfogato sul suo secondo erede tutta la frustrazione causata da quel furto – perché bisognava pur incolpare qualcuno, no? E, in assenza di Arwen Calhum su cui convergere l'odio, il figlio minore sarebbe stato il capro espiatorio perfetto – perché più vicino, ma anche perché era sempre stato il più riluttante ad accettare il proprio ruolo all'interno del branco e, quindi, a svolgere più svogliatamente il suo dovere.
Il capoclan lo avrebbe insultato per la sua negligenza, forse lo avrebbe punito fisicamente per la poca lungimiranza nel prevedere un attacco e, poi, lo avrebbe costretto a trovare una soluzione pratica per ottenere una vendetta cruenta, impressionante, indelebile e rimediare così a delle lacune che, a dire il vero, avevano ben poco a che fare con lui. Suo padre lo avrebbe obbligato a escogitare un modo per colpire quel branco talmente in profondità da rendere inguaribile qualsiasi ferita – li avrebbe mutilati, in qualsiasi senso.

Una falcata dopo l'altra, i due licantropi si fecero strada fino alla berlina parcheggiata in strada e, una volta a bordo, Kyle non si preoccupò di alcun limite chilometrico o del regolamento stradale. Sfrecciarono lungo la A7 senza mai fermarsi, macinando in poco tempo i chilometri che separavano Edimburgo dalla campagna intorno a Carrington, lì dove il loro Clan, secoli prima, aveva stabilito la propria residenza.
Tra di loro, come spesso accadeva, vi furono scambi di ben poche parole; solo qualche imprecazione, frasi rabbiose e grugniti infastiditi. Nessuno dei due si sarebbe aspettato di dover correre alla Villa poco dopo il sorgere dell'alba, Joseph ne era certo, e più il tempo passava, più tra i suoi pensieri si facevano largo gli scenari peggiori. Cosa avrebbero trovato al loro arrivo? Quanto sangue si sarebbe appiccicato sotto le suole delle loro scarpe? Avrebbero escogitato qualcosa di sensato prima della sfuriata di Douglas? Non ne aveva idea e, purtroppo, quella consapevolezza fu un pugno dritto in faccia al suo orgoglio – nessun Fior-Ghlan poteva accettare d'essere preso in contropiede da dei luridi bastardi.

***

Douglas aveva sempre fatto vanto della violenza dei suoi lupi. Ne aveva elogiato in ogni modo le abilità, sottolineando come i veri discendenti del dio Fenrir e di Arianrhod fossero invincibili – peccato che ciò che Joseph stava guardando testimoniava tutto il contrario.
Dieci dei suoi confratelli se ne stavano ammucchiati in un angolo, dilaniati da zanne e artigli sconosciuti, esanimi, e i corridoi che dalle cucine conducevano alla sala da pranzo erano ornati d'impronte scarlatte e resti di carne.
I superstiti di quella sera si potevano contare sulle dita di una mano e, se non fosse stato per Kyle e il suo contegno, li avrebbe malmenati a tal punto da renderli privi di qualsiasi utilità – ma gli servivano, erano gli unici a poter fornire un identikit degli aggressori e impedire all'Alpha di compiere un ulteriore omicidio: il suo.

Mettendo un piede di fronte all'altro, il ragazzo prese ad avanzare lungo il corridoio. Ovunque posasse lo sguardo gli sembrava di vedere le orme dei nemici, le loro ombre, le sagome furtive dei loro corpi ferini. Riusciva a immaginarli con annichilante facilità, sovrapponendo i ricordi di un passato lontano a quelli del presente.
Gli sembrò di udire gli ansiti uscire dalle bocche ricolme di saliva dei Neo-Ghlan che si erano spinti sin lì, ma soprattutto quello di lui, del licantropo che aveva avuto modo d'incontrare un'unica volta, eppure restargli impresso nella memoria per sempre. Il manto candido di Arwen infatti aveva infestato per lungo tempo i suoi incubi, così come quegli occhi dorati, carichi di una ferocia animale, lo avevano perseguitato ogni volta che aveva incrociato la strada di un altro lupo; seppur quella volta avesse avuto la meglio sul nemico, Joseph era rimasto profondamente segnato dal loro incontro, ma dubitava potesse essere lo stesso per lui – dopotutto gran parte dei Menalcan poteva vantare peluria scura e un profumo pungente.
Ad ogni modo però, nonostante le sue fantasie, l'Alpha nemico non aveva partecipato a quell'attacco. O almeno questo era quello che gli era stato riferito – e difficilmente, se ci fosse stato, sarebbe passato inosservato.

D'un tratto, schiarendosi la gola, Kyle lo riportò alla realtà: «Tra i morti c'è uno di loro.»
«Uno solo?» senza voltarsi, il ragazzo si portò una mano alla bocca, passandosi l'indice sul labbro inferiore e soppesando l'avvilente notizia. La tanta citata bravura, la convinzione di Douglas ad avere tra i propri uomini i licantropi più preparati, indomiti e aggressivi, si riassumeva con un unico abbattimento – e la cosa avrebbe dovuto farli riflettere tutti, dal primo all'ultimo.

Si concesse qualche istante, stringendo il pugno nascosto nella tasca dei jeans, poi riprese a camminare.
«Dove è?»
«Dove lo abbiamo trovato, accanto all'ingresso della sala da pranzo. Vuoi che lo faccia spostare?» Ma il ragazzo non rispose, preoccupandosi solamente di raggiungere il cadavere prima che qualcuno potesse comprometterlo. Doveva essere il primo a studiarlo, a muoverlo, a capire. Doveva trovare su di lui qualcosa, un indizio capace d'illuminare l'oscurità in cui stava brancolando – perché nolente, doveva ammettere di non avere idee su come rintracciare il Clan di Arwen e vendicarsi.
A grandi falcate raggiunse il corridoio perpendicolare a quello in cui si trovava, i dodici metri quadrati dove i primi scontri avevano avuto luogo e, una volta arrivato a metà, si concesse il lusso di arrestare l'avanzata.

Il Neo-Ghlan era lì, nudo e prono. La posizione innaturale degli arti raccontava mutamente la violenza della sua morte, il tentativo fallito di respingere gli attacchi. Sulla schiena c'erano lunghi solchi rossastri, ferite da cui il sangue aveva da poco smesso di sgorgare. Era stato massacrato senza alcuna pietà, le sue membra erano state ripetutamente violate dagli artigli dei Menalcan, ma il fatto che fosse l'unico mezzosangue a essere perito nello scontro poteva significare un'unica cosa: doveva essere l'anello debole del gruppo che aveva osato violare le terre del Clan, oppure il loro ariete.
Joseph si fece vicino. Il fetore della morte divenne ad ogni passo più nauseante, obbligandolo a storcere la smorfia ma non a retrocedere – perché per quanto fastidioso aveva anche un ché di familiare e, ne era certo, presto vi avrebbe fatto l'abitudine, riuscendo a ignorarlo.
Chinandosi prese a esaminare con più attenzione il corpo. Sotto alle ecchimosi fresche, seppur con difficoltà, poté scorgere la pelle raggrinzita di una cicatrice, le pallide linee lasciate da un precedente scontro con i Lupi – e da quel che gli sembrava, doveva anche essere stato il primo.

Allungando una mano gli afferrò una ciocca di capelli in prossimità della fronte e, facendo leva, volse il viso dello sconosciuto verso di sé, così da poterlo osservare meglio. La rigidità del rigor mortis lo costrinse ad essere più brutale di quel che avrebbe voluto, arrivando persino a far scricchiolare le ossa del collo. Non seppe dirsi con certezza se nel compiere quel gesto glielo avesse definitivamente spezzato, e nemmeno si preoccupò di scoprirlo: un dettaglio più interessante lo costrinse a concentrarsi altrove.
Non furono gli occhi vacui, riversi all'indietro a interessarlo, e nemmeno la lunga striscia cremisi che dal naso scendeva lungo il collo; non fu neanche la mancanza di qualche dente nella cavità orale, ma piuttosto tutto l'insieme.
Su quel viso, sotto ai segni della lotta, c'era quel che restava di un ragazzino: troppo grande per essere definito un bambino e non sufficientemente cresciuto per essere considerato un uomo – a occhio e croce, pensò il Fior-Ghlan, doveva avere una decina d'anni meno di lui. E a quella visione digrignò i denti.

«Un moccioso» sibilò, avvertendo la rabbia montare.
«A quanto pare...» come un'ombra, Kyle era rimasto alle sue spalle, muto, in attesa. Lo aveva seguito per ogni istante dal momento in cui avevano varcato la soglia della magione e non si era permesso di infierire ulteriormente sulla situazione. Avrebbe potuto far notate tutti i lati negativi di quella svilente sconfitta, in modo da renderlo partecipe della moltitudine di errori commessi dai loro bhràithrean (fratelli), ma aveva invece raccolto le informazioni mancanti, le aveva elaborate ed esposte con poche e semplici frasi, cosicché la pazienza del proprio migliore amico non andasse del tutto persa – peccato che non fosse quella di Joseph a doverlo preoccupare.
«Me ne domando il motivo.»
«Che vorresti dire?»
Sospirando, il figlio dell'Alpha tornò a fissare la schiena del giovane. Era diventato licantropo da poco, forse un anno, al massimo due: per quale ragione Arwen lo aveva mandato al massacro? Non sarebbe stato più logico coinvolgere dei Lupi esperti? Perché per quanta forza o agilità quel tipo avesse potuto vantare, la sua morte era sinonimo di inesperienza.
«Il loro Alpha è un signore della guerra, Kyle. Uno stratega, persino... per quale ragione ha scelto di coinvolgere un neofita?»
L'uomo gli si avvicinò. Ritto accanto a lui prese a osservare nel medesimo punto, soppesando il quesito.

Arwen Calhum aveva tanti difetti, per quel che riguardava Joseph, ma certamente non gli si potevano attribuire aggettivi quali stolto, ignorante o incapace. A prescindere dalla sua natura di meticcio era un vero capobranco, per questo il sacrificio di quel ragazzino gli sembrava essere una mossa insensata.

«Dubito ci sottovaluti, ormai siamo i suoi più acerrimi nemici. Abbiamo ucciso decine di suoi compagni e sa di cosa siamo capaci. Magari credeva fosse più bravo di quel che era.»
L'altro scosse la testa: «No, non è per questo.» In un movimento involontario tornò a sfiorarsi il labbro con le dita. Le sue pupille continuavano a percorrere avanti e indietro le ferite sulla schiena del Neo-Ghlan cercando un senso a quella dipartita.
«Quando è stato il loro ultimo attacco?»
«Sei mesi fa, in Spagna. Erano sulle tracce di Gabriel.»
«E quanti ne abbiamo abbattuti?»

Un fruscio indicò che Kyle aveva cambiato posizione. Conoscendolo, Joseph lo immaginò infilarsi le mani nelle tasche del completo, piegare la testa all'indietro e cercare di rievocare le informazioni necessarie – dopotutto, loro erano stati informati dell'accaduto solamente giorni dopo, quando il primogenito di Douglas aveva deciso di allietarli con l'ennesimo resoconto dei suoi successi. L'ego di Gabe superava qualsiasi più rosea aspettativa.

«Tre, forse quattro. Se non erro l'unico superstite era stato gravemente ferito, ma nessuno ne ha trovato il corpo.»
«Nel giro degli ultimi due anni, invece?» Finalmente nella mente del ragazzo i pensieri avevano iniziato ad amalgamarsi secondo una logica sempre più plausibile e, con la risposta che gli avrebbe dato ora l'amico, avrebbe saputo se fosse giusta o meno.

«Ho una buona memoria, Joseph, ma non fino a questo punto.» Un sospiro gli sfuggì di bocca, seguito da alcuni istanti di silenzio: «Una dozzina di Lupi, credo.»
Uno più o uno meno però, poco cambiava. Quel numero era sufficiente per confutare i suoi sospetti – perché anche nei Clan più grandi dodici lupi significavano una perdita grave.

«Quelli come loro non si riproducono come noi. Non possono liberamente andare in giro a ferire persone o ingravidare umani, va contro la Legge... hanno bisogno di tempo, pazienza, peccato che in guerra siano un lusso.» Fece una pausa, umettandosi le labbra. Il Comhairle era intransigente a riguardo: l'esistenza dei licantropi doveva restare segreta, in modo da preservarli dall'ignoranza e dall'odio umano, quindi un accoppiamento tra le due specie era visto come uno scempio. Allo stesso modo, ferire e trasformare qualcuno estraneo al loro mondo era lecito solo accidentalmente, anche se decretarne la casualità era cosa assai difficile. I Neo-Ghlan erano errori, abomini, la rovina di creature leggendarie – per questo dovevano essere debellati. E per via di quelle regole stavano diventando sempre meno, o almeno era ciò che Lupi come Douglas speravano.

«Non hanno più guerrieri» decretò Joseph infine, rimettendosi dritto.
«Carlyle però-» la replica di Kyle fu interrotta ancor prima d'essere formulata.
«Carlyle fa parte del Comhairle, anche se si erge a paladino dei mezzosangue. Quindi, nonostante il suo pupillo sia in difficoltà, non può trasgredire la Legge. E Arwen non ha altre soluzioni se non affiancare lupi esperti a mocciosi di questo genere» per enfatizzare maggiormente la frase, con la punta della scarpa il ragazzo si permise di colpire una delle braccia del cadavere, smuovendola appena. Inerme e silenzioso, quel corpo gli parve essere un sacco – eppure c'era stata vita, in lui, anche se al momento poteva sembrare tutto il contrario.

«E sarà questa esigenza a diventare la sua rovina.»

   
 
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