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Autore: artemisia reight    16/02/2016    0 recensioni
Questa è la storia di un'atleta. Un'atleta che ha rinunciato a tutto per la corsa e, in un attimo, viene abbandonata da chi più credeva in lei. Questa è la storia di una ragazza che vuole dimostrare al mondo che lei è abbastanza, che vuole dimostrare a chi una volta credeva in lei che può ancora farcela e che ha il coraggio necessario per vincere sopra tutto e tutti. Questa è la storia di Beatrix.
Genere: Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una decina di minuti sono di fronte all’impianto sportivo a cui mi ha indirizzato Marta. I cancelli qui sono aperti, ma esito prima di entrare. La mia mente sta cercando di convincersi sempre di più che ci sia stato un errore, un fraintendimento, per cui Marshall si sia dimenticato di avvisarmi del cambiamento. Continuo a ripensare al momento in cui ho trovato il cancello chiuso senza capire. Quando questa storia sarà chiarita, penso, mi risulterà comunque difficile perdonare il mio allenatore per una situazione del genere. Penso anche al fatto che a quest’ora il mio allenamento sarebbe quasi finito. Una volta qui mi farà recuperare l’allenamento di oggi o dovrò cominciare da domani? Non voglio perdere l’allenamento. Comincio ad innervosirmi di nuovo.

Passano più o meno altri cinque minuti di riflessioni prima che convinca me stessa a varcare la soglia dell’edificio. Appena entro, noto il lusso di quel posto. È molto diverso dalla nostra vecchia palestra. Il pavimento è lucido e la segreteria è posta ad un lato dell’ingresso, mentre al lato opposto c’è un bar particolarmente grande e fornito. Mi guardo intorno con aria contrita. Dopo essermi allenata per undici anni nella stessa palestra mi sembra quasi un tradimento trovarmi qui e fare apprezzamenti su questo posto, ma devo ammettere che è spettacolare. Non deve esserlo altrettanto la segretaria, perché al momento non c’è nessuno al bancone della segreteria. Noto una porta e capisco quasi immediatamente che al di là si trova la pista. Decido di affacciarmi, mentre aspetto che qualcuno torni dalla sua pausa e mi aiuti ad orientarmi. Mi bastano due passi per trovarmi ad una delle estremità dell’anello. Tra molti volti sconosciuti riconosco Becca, una ragazza della mia età che oggi avrebbe dovuto allenarsi insieme a me. È sudata, e capisco che si è allenata tranquillamente, all’orario stabilito, senza neanche chiedersi dove fossi. Finisce i suoi 400m e si ferma, appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando affannosamente. All’improvviso volta la testa, abbastanza da individuare la mia figura che la osserva appoggiata alla porta. Sgrana gli occhi e apre la bocca, ma una voce che la chiama le impedisce di fare qualsiasi altra cosa. “Becca!” urla la voce “Un secondo in più della volta precedente. È un risultato pessimo! Vai a cambiarti, ma domani voglio vederti molto più in forma!”. Seguo il suono di quella voce così familiare fino ad associarla ad un volto. Marshall è al centro dell’anello, cronometro alla mano e solita faccia svogliata. Becca gli si avvicina e gli dice qualcosa, indicando verso la mia direzione. Sobbalzo. Marshall guarda verso il punto indicato da Becca, fino ad incrociare gli occhi con i miei. Ecco qui. Ora mi si avvicinerà e spiegherà il motivo di questa situazione assurda. Mi dirà che è stato tutto un equivoco e potrò tornare la sua atleta preferita. Tutto tornerà come prima, anzi meglio, e presto dimenticherò questo pomeriggio da incubo. Ma Marshall non viene verso di me. Non appena mi individua, volta di nuovo la testa e se ne va dalla parte opposta del campo. Rimango a bocca aperta. “Mi scusi” chiede una voce alle mie spalle “ha bisogno di aiuto?”. La segretaria deve aver finalmente finito la sua pausa. “Mi segua” si siede al bancone “voleva iscriversi?”. “In realtà..” guardo la scrivania e leggo i cognomi di alcune delle mie compagne su un elenco “io sono Beatrix James”. La segretaria capisce che non sono solo una ragazza che ha deciso di iscriversi ad atletica leggera, e si mette a controllare gli elenchi appoggiati sul tavolo. Dalla parte opposta dell’ultimo foglio, dove credevo non ci fosse scritto nulla, i suoi occhi si soffermano su un nome e lei annuisce. “Si, signorina James” la ragazza continua ad annuire “purtroppo la scuola è piena e non possono esserci altre iscrizioni. Siamo spiacenti”. Scuoto la testa, incredula. “La mia squadra si è appena trasferita qui” dico “tutta la mia squadra”. Lei fa l’ennesimo cenno di assenso ed alza un sopracciglio. Improvvisamente capisco. Non mi vogliono. Hanno detto alla segretaria di impedirmi di iscrivermi. Non vogliono che io faccia parte della squadra. Marshall non vuole allenarmi. La consapevolezza mi colpisce come una pugnalata allo stomaco. All’improvviso smetto di respirare. Apro la bocca ma non riesco ad emettere suono. Sento le lacrime raggiungere i miei occhi ma mi costringo a rimandarle dentro. Devo resistere. Non qui. “Capisco” ho la voce strozzata, ma mantengo tutto l’autocontrollo possibile “c’è un bagno?”. La segretaria mi indica gli spogliatoi femminili e io mi precipito in una toilette, sapendo che non riuscirei a resistere per più di due minuti senza scoppiare. Non appena la porta si chiude alle mie spalle lascio che le lacrime mi scorrano sulle guance. Com’è possibile? Per quale motivo la persona di cui mi fidavo più di chiunque altro mi ha tradito nel modo più infimo immaginabile? Non riesco a trovare un motivo. Non riesco a trovare una spiegazione. Riesco solo a piangere tutte le lacrime che ho.

Mentre singhiozzo, sento qualcuno entrare nello spogliatoio. Controllo che la porta del bagno in cui mi trovo sia chiusa per bene e appoggio l’orecchio alla porta. Riconosco la voce di Holly, una mia ex compagna di squadra. Parla con una ragazza che non conosco: probabilmente faceva già parte di questa associazione. Scherzano un po’ sulle loro abitudini durante gli allenamenti, si scambiano consigli. Decido di aspettare che se ne vadano per uscire, ma a quel punto la ragazza sconosciuta, che Holly chiama Taylor, fa una domanda interessante. “Becca mi ha detto che ha visto Beatrix in pista. È vero?”. Alzo la testa e ascolto con più attenzione. “Sì, è vero” conferma Holly “quella povera ragazza non è neanche stata avvisata del cambiamento”. “Ma” Taylor sembra confusa “puoi spiegarmi per bene cos’è successo? Insomma, ho sentito voci, ma non so quale sia la verità”. “La verità è semplice, Tay” spiega Holly, anche se non sa che Taylor non è l’unica a cui sta fornendo delucidazioni in questo momento “Beatrix era veramente brava. Un fenomeno, a detta di Marshall stesso. Ma purtroppo è cresciuta. Il suo corpo è diventato più pesante, è ingrassata, e ha smesso di allenarsi come una volta. Marshall non voleva portarsi un peso del genere dietro”. Il cuore mi sprofonda nel petto. “Ma dicevano tutti che il rapporto tra lei e Marshall era particolare” ribatte Taylor “li vedevo alle gare. Sì, litigavano spesso, però si vedeva che non erano solo atleta ed allenatore. Sembravano più fratello e sorella”. Annuisco, anche se nessuno può vedermi. “Il rapporto non era più quello di una volta” dice Holly “me lo ha detto Marshall. Litigavano sempre più spesso. Lei non voleva seguire il suo modo di allenarla e non gli dava più retta. Voleva fare tutto da sola ed il risultato è stata una veloce decadenza di Beatrix stessa. Non aveva più voglia di allenarsi. Marshall dice che le ha fatto un favore a non farla venire qui”. Mi viene voglia di urlare. Mi viene voglia di gridare a quella stronza sputa-sentenze che nulla di quello che sta dicendo corrisponde alla verità. Io e Marshall litigavamo spesso, è vero, ma è una cosa che abbiamo sempre fatto. È sempre stato il mio fratello maggiore. Mi correggeva quando facevo qualcosa di sbagliato e mi consigliava quando non sapevo cosa fare. Quello di cui parlano non è Marshall, non può essere lui. Come può una persona cambiare totalmente a distanza di un giorno? Non riesco proprio a capire. Non riesco a darmi una spiegazione logica e sentire queste atlete mediocri sparlare di me come se mi conoscessero, come se sapessero tutti i sacrifici e le rinunce che ho fatto per questo sport, mi fa impazzire. Ma costringo me stessa a rimanere chiusa in quel bagno. A non dare spettacolo, perché in questo momento non servirebbe a nulla se non ad alimentare ancora di più le voci che si staranno sicuramente spargendo peggio di un virus. Mi conoscono tutti all’interno di questo mondo. Il mio soprannome era la Ragazzina Prodigio quando ero piccola. Ero un fenomeno della corsa fino ai tredici anni e tutti conoscevano il mio nome perché vincevo ogni gara. È vero, con il tempo non ho più raggiunto i risultati passati, ma questo non significa che non abbia continuato a dare il massimo. Scoppio di nuovo a piangere, perché improvvisamente mi domando cosa ne sarà della mia vita. Io vivevo per questo sport. Le mie giornate, sei giorni su sette, erano incentrate sulle due ore di allenamento pomeridiano e spesso anche mattutino. Ho basato la mia esistenza su questo sport da quando avevo sei anni e ora, a diciassette anni compiuti, non so più che farne. 
  
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