Capitolo 5: PIOGGIA
La pioggia si infrangeva contro di lei. Sferzava l’aria fredda, abbattendosi sull’oscuro rapace. Lampi e tuoni si susseguivano l’un l’altro, senza fine. Il cielo sembrava voler rigurgitare tutta la sua collera su di lei.
Ma a Rachel non importava.
Le parole di Tara continuavano a ronzarle in testa. Il fatto che il ponte forse smilitarizzato, il fatto che c’era una possibilità di fuga dalla città, il fatto che migliaia e migliaia di persone se ne stavano andando proprio in quel momento.
Il tutto si sommava a ciò che aveva scoperto quello stesso giorno, dalla bocca di quello Spazzino.
Non ci aveva messo molto a mettere insieme le cose e a capire che doveva sbrigarsi. Prima che fosse troppo tardi.
Aveva freddo, era fradicia a causa della pioggia, e non aveva ancora recuperato del tutto le forze. Era stanca, esausta, ma non si sarebbe fermata nemmeno se si sarebbe trovata sull’orlo di un collasso.
Mentre volava le ritornò in mente tutto quello che lei ed X avevano fatto in quelle settimane. Le persone che avevano affrontato, le domande che avevano fatto, le piste che avevano seguito, i luoghi che avevano visitato. Il tempo perso e la fatica fatta. Ora non poteva perdere tutto quanto, di nuovo.
Arrivò nel Neon. Al rumore della pioggia e al fragore dei tuoni si sommarono numerose e poderose voci sovrapposte, provenienti da più punti del distretto. Sembravano degli altoparlanti.
Le luci che un tempo caratterizzavano le strade sotto di lei, le insegne dei locali, i tabelloni, i neon, ora erano spenti, rimpiazzati da dei molto più sgradevoli lampeggianti blu e rossi. Erano ovunque, a perdita d’occhio. Sicuramente erano le volanti della polizia, che ancora cercava di mantenere l’ordine tra i palazzi grigi e neri. Un simile trambusto non si vedeva dai tempi dei primi tumulti.
Tutto ciò non fece altro che incitarla ulteriormente a sbrigarsi.
Finalmente la sua destinazione giunse nel suo campo visivo. Qui non c’erano lampeggianti, ma di tanto in tanto dei fasci di luce bianca e azzurra comparivano, per poi svanire rapidi com’erano arrivati. Forse era ancora in tempo.
Sorvolò infine la strada che portava all’ingresso del Jefferson Tunnel. Qui decine e decine di figuri armati stavano correndo, muovendosi talmente veloce da far credere che si stessero teletrasportando. Erano proprio questi la causa dei fasci di luce.
I conduit uscivano dal tunnel, correvano per un breve tratto di strada, poi saltavano compiendo balzi alti decine di metri ed atterravano sui tetti dei palazzi, dove poi riprendevano a correre e a saltare. Rachel intuì immediatamente dove si stavano dirigendo: al South Bridge.
Devo
sbrigarmi a trovarlo!
Scese in strada, tornando in forma umana. I Mietitori vestiti di bianco continuavano a correre, lasciandosi dietro le scie di luce, ignorandola bellamente. Probabilmente attaccarla non rientrava nei loro incarichi.
Rachel strinse i pugni; avrebbe
dovuto fare da sola. «Richard!» gridò, a
gran voce, rivolta al gruppo di criminali. «Richard! Lo so
che sei lì in mezzo!»
Dal
tunnel continuavano ad uscire volti incappucciati su volti
incappucciati. Nessuno sembrava badare a lei. La ragazza
cominciò ad irritarsi
sul serio. Non aveva fatto tutta quella strada per essere ignorata in
quel
modo. Sollevò una mano, essa si illuminò di nero,
pronta ad attaccare. «Giuro
che se non ti fai vedere te ne farò pentire amaramente! Hai
sentito?!»
La
sgradevole idea che Richard si trovasse lì in mezzo a loro,
ma che
non potesse sentirla perché anche lui ormai era stato
completamente soggiogato
da quei maledetti liquami neri che controllavano la mente dei
Mietitori,
cominciò ad insinuarsi nella mente di Rachel.
Rabbrividì, e non fu né per il
freddo, né per la pioggia.
Gli
ultimi Mietitori ormai erano usciti dal tunnel. La ragazza fece
per chiamare di nuovo il ragazzo, ma fu interrotta da una voce che
giunse alle
sue spalle, una voce molto familiare: «Che diavolo vuoi,
Rachel?»
La
ragazza sussultò e si voltò, abbassando la mano.
«Richard...»
Il suo
vecchio amico d’infanzia era lì, di fronte a lei.
Vestito
proprio come l’ultima volta che lo aveva visto, con un lungo
cappotto bianco e
nero, con pantaloni neri, i sandali e le garze. La pioggia si
infrangeva sul
suo volto incappucciato, e da sotto la visiera raffigurante un teschio
con i
denti affilati riusciva solo a scorgere parte della sua bocca e del suo
mento.
Rabbrividì. Non riusciva a vederlo in faccia, ma era chiaro
che il suo aspetto
doveva essere peggiorato ulteriormente.
«Richard
non esiste più, Rachel. Te l’ho già
detto» rantolò il
Mietitore, apatico.
«Cosa...
cos’hai intenzione di fare... Robin?»
domandò allora Rachel,
titubante. Osservò gli ultimi Mietitori lasciare il tunnel,
per poi saltare
via, lontani da loro. Deglutì, poi riportò lo
sguardo su di lui. «Vuoi lasciare
Empire?»
«Non
abbiamo molta scelta...» ribatté lui, stringendo i
pugni. Sollevò
lo sguardo, i suoi occhi azzurri brillarono sotto la luce
dell’ennesimo lampo. «Tu
e il tuo amico avete eliminato tutti i miei compagni umani. Solamente
noi
Conduit siamo sopravvissuti. Nemmeno Sasha ce l’ha
fatta.»
«Sasha?
Chi è Sasha?!»
«Colei
che ci ha creati. Colei che ci dice cosa è giusto e cosa
è
sbagliato» rispose Richard, quasi come se stesse
cantilenando. Come se lo
avessero obbligato ad imparare quelle parole e a ripeterle testualmente
se
necessario.
«Il
Neon non è più posto per noi, così
come non lo è Empire. Ce ne
andremo, e io prenderò il controllo della fazione.
Ricostruirò i Mietitori da
cima a fondo.»
Rachel
non credette alle proprie orecchie. «Cosa?! Non puoi
farlo!»
«Posso
invece. E lo farò. Sentirai presto parlare di noi, Rachel. I
Neo Mietitori rinasceranno dalle ceneri dei Mietitori di Sasha.
Usciremo da
Empire e ci espanderemo, città dopo città.
Uccideremo chiunque si opporrà al
nostro passaggio. Troveremo un modo di riutilizzare i poteri di Sasha
ed
eserciteremo il nostro controllo mentale su milioni e milioni di
persone.»
La
corvina deglutì. Quello di fronte a lei non era Richard. Non
lui,
non il ragazzo che amava. «Ma... e Kori?»
domandò, disperata a tal punto da
cercare di farlo rinsavire parlando proprio della stessa ragazza per la
quale
aveva provato così tanta gelosia. «Non volevi
vendicare la sua morte?»
«Anche
lei fa parte del passato, ormai.»
Corvina
rimase a bocca aperta. Tra tutte le rivelazioni di quel
giorno, quella fu la più scioccante. A Richard non importava
più niente nemmeno
di Kori. Le parole che si erano scambiati mesi prima, ora non
avevano più
valore alcuno. Possibile che i liquami che lo controllavano lo avessero
portato
a cambiare idea in quel modo? O forse era proprio lui ad essere
cambiato?
Sinceramente,
la conduit non sapeva quale delle due opzioni fosse la
migliore. «Ma... credevo che tu
l’amassi...»
«L’amore...
che emozione stupida» replicò il Mietitore, quasi
disgustato. Rachel ammutolì.
«Cos’è
l’amore, se non una delle tante cause della sofferenza che
imperversa questo mondo? Niente di niente. Cosa siamo tutti noi, se non
schiavi
di quell’inutile sentimento? L’amore che in passato
nutrivo per Kori ora per me
non significa più nulla. Così come quello che
anche tu provi nei miei
confronti. Le emozioni, per me non significano più
nulla.»
Rachel si
sentì morire. Quelle parole furono più dolorose
di qualsiasi
ferita avesse mai subito. Richard sapeva. Sapeva che lei lo amava
ancora,
nonostante tutto quello che era successo. E ora glielo aveva detto
apertamente,
lui non la ricambiava. Per lui, lei non significava nulla. E
probabilmente non
avrebbe mai più significato qualcosa.
Qualcosa
si incrinò dentro di lei. E fece male. Ne fece parecchio.
Credeva
che sarebbe stata pronta, nel caso in cui
quest’eventualità si
fosse verificata. Credeva che sarebbe riuscita ad accettare il fatto
che
Richard potesse non amarla. Si era sbagliata.
Osservò
i suoi occhi, incapace di fare altro. Quegli occhi che un
tempo la guardavano con affetto, con felicità, come per
dire: "sono
contento che tu sia qui", e che ora, invece, la scrutavano con
indifferenza, come se lei non avesse mai infuso queste emozioni dentro
di loro.
«Onoreró la memoria di Sasha»disse ancora lui, prima di darle le spalle.
«E ora addio Rachel.
Per sempre.»
Non appena finì di parlare, il suo corpo
si
caricò di energia e saltò. Rachel lo osservò impotente, incapace di
sopportare quella scena. Avrebbe voluto fermarlo, ma la
verità era che ormai
non poteva fare più nulla. Nonostante Sasha fosse morta,
Richard era divenuto
ugualmente un Mietitore a tutti gli effetti. Riportarlo indietro era
impossibile. Lo vide allontanarsi, sentì la sua presa
scivolare via dalle sue mani. Le sembrò di perdere
l’unica ragione per cui
ancora combatteva in quel mondo infernale. Ora non le era rimasto più niente, per
davvero. Le
sue
parole erano state micidiali per lei. Dopo l’abbandono di sua
madre, Richard era
stata l’unica persona che per lei avesse mai rappresentato
qualcosa. Lui per lei
era tutto. Era il suo punto di riferimento, la sua ancora, la mano che
la aiutava
a salire quando rischiava di precipitare. Era il mondo, per lei. Ma lei
non era
niente per lui. Cadde in ginocchio, inzuppandosi i pantaloni, ma
non ci fece nemmeno caso. Incapace ormai di trattenersi, scoppiò
in
lacrime. Si sentì una stupida. Non avrebbe dovuto
piangere in quel modo, non dopo tutto quello che aveva passato. Ma non
riusciva
comunque a fermarsi. Era disperata. La sua vista appannata cadde sulle sue mani, ora
immerse in una pozzanghera. Odiò quella vista.
Odiò quelle mani, odiò ciò che da
dopo il giorno dell’esplosione erano in grado di fare.
Odiò il suo corpo, odiò
i suoi poteri. Era tutta colpa loro. Non sarebbe stata li, se non fosse
stato per
loro. Non avrebbe mai dovuto trovarsi lì, poteva esserci
chiunque altro, ma non
lei. Il suo ruolo era altrove. Anche lei sarebbe dovuta morire
nell’esplosione. Strinse i pugni. Lacrime salate ed amare
scivolarono
lungo le sue guancie, insieme alla pioggia. Serrò la
mascella, alzò lo sguardo
al cielo, dove tuoni e lampi continuano a dominare incontrastati.
Chiuse gli
occhi ed urlò. Urlò con quanto fiato avesse in
corpo, rivolta al mondo intero. Lunghi, interminabili momenti dopo, una mano si
appoggiò all’improvviso sulla sua spalla. Si volto
lentamente, sorpresa. Lucas era
lì, accanto a lei. La guardava, preoccupato, anche lui
bagnato fradicio. Rachel
non seppe spiegarsi come avesse fatto a trovarla, ma non le
importò. Singhiozzò di nuovo e si
gettò tra le sue
braccia. Lui ricambiò la stretta, avvolgendola con fare
protettivo. Appoggiò il mento sul suo capo e le
accarezzò la
schiena. Non disse una parola, e a lei andò bene
così. E poco prima che il resto di quella nottata si
confondesse
con l’oscurità della città, la corvina
riuscì a realizzare che, infondo,
qualcuno che ancora teneva a lei esisteva ancora.
***
Rachel si
risvegliò in un letto. Per un attimo rimase sorpresa quando
se ne accorse, notando le coperte nere e le lenzuola grigie. Non
ricordava di
essere andata a dormire. E, per finire, si trovava in una stanza che
non era
assolutamente la sua.
Dalla
finestra filtravano i raggi del sole mattutino, illuminando le
pareti bianche della camera da letto. Si mise a sedere, massaggiandosi
la
testa. Uno sbadiglio scivolò fuori dalla sua bocca, ma lo
coprì con una mano.
Si
sorprese di nuovo, per la seconda volta di fila, quando si accorse
dei suoi abiti. Era vestita con una maglietta dalle maniche corte
grigia che
rimpiazzava la felpa con cappuccio, e un paio di pantaloni da
ginnastica che
sostituivano i jeans. Non ricordava nemmeno di essersi cambiata.
Confusa,
stropicciò le proprie palpebre, cercando di destarsi.
Provò a
fare mente locale, a riordinare le idee e ricordare cos’era
successo quella
notte. E quando ci riuscì, in parte se ne pentì.
Forse sarebbe stato meglio se
non si fosse più ricordata l’accaduto.
Strinse
con forza le lenzuola tra le sue mani. Le labbra tremolarono.
Chiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di scacciare via quei
pensieri, di
allontanare per sempre dalla sua mente le parole che Richard le aveva
rivolto,
quelle stesse parole che ormai sembravano marchiate a fuoco nei suoi
ricordi e che
probabilmente mai sarebbe riuscita a dimenticare.
Uno
scricchiolio le fece alzare improvvisamente lo sguardo. Di fronte
a lei, accanto ad un armadio di legno, si trovava la porta. Questa
stava
venendo aperta, causando di conseguenza il rumore che aveva attirato la
sua
attenzione.
La testa
mora di Lucas fece capolino nella stanza. Il ragazzo sorrise
quando si accorse di Rachel. «Ehi! Sei sveglia!»
«Ehi...»
Un abbozzo di sorriso si dipinse anche sul volto della
corvina. Vederlo la fece sentire più tranquilla. Ovunque
fosse, se non altro
c’era anche lui insieme a lei.
Red X
entrò nella stanza, andando a sedersi su una sedia situata
accanto al letto. Si accomodò, guardandola con attenzione.
La ragazza lo seguì
con lo sguardo, e notò che si era cambiato. Non aveva
più la sua tuta
attillata, i copri avambracci e tutta la sua classica bigiotteria. Era
vestito
con una giacca di pelle nera e dei jeans, come un comunissimo ragazzo.
Non
aveva nemmeno il trucco.
La
sorprese vederlo così. Le uniche volte in cui aveva visto il
suo
volto era stato quando la pittura facciale si era prosciugata da sola,
a causa
del sudore o della pioggia. Questa volta no, era al naturale, davanti a
lei.
Notò
alcuni dettagli nel suo volto dapprima sempre sfuggiti alla sua
attenzione. Graffietti, piccole cicatrici sparse qua e là,
ed anche un lieve
principio di barba, segno che si radeva soventemente.
Era
così... normale. Era strano per lei, vederlo in quel modo.
Fu solo
in quel momento che realizzò che Lucas non era solo Red X,
era anche... Lucas.
Un ragazzo come tanti, con la barba, i brufoli, l’acne ed
eccetera. L’aveva
visto con indosso il suo travestimento talmente tante volte che ormai
si era
convinta che quello era il suo vero lui, quando la realtà,
invece, era molto
diversa.
Si rese
conto solo dopo diversi istanti di essere rimasta immobile ad
osservarlo senza dire una parola. Distolse lo sguardo di colpo,
imbarazzata.
Improvvisamente,
l’idea di essere sdraiata su un letto di fronte a
lui, con indosso una maglietta molto più attillata di quanto
si fosse resa
conto, la mise a disagio.
«Stai
bene?» domandò infine lui, inarcando un
sopracciglio.
«Io...
sì, credo di sì...» rispose lei,
massaggiandosi la testa. Si
appoggiò meglio con la schiena alla tastiera del letto,
aiutandosi con i
gomiti. Una volta messasi più comoda, domandò:
«Ma... dove siamo?»
«Siamo a casa di
Amalia» spiegò
il ragazzo, con un sorrisetto sarcastico. «È stata
molto felice di farti
dormire nel suo letto.»
Rachel si
sentì in imbarazzo, nonostante Komand’r non fosse
lì in quel
momento. Più che altro, la fece sentire in colpa il fatto di
avere di nuovo
coinvolto nei suoi problemi la sorella di Kori. Doveva averne fin sopra
ai capelli,
di lei. «E... cos’è successo ieri notte?
Dopo che... insomma...»
Dopo che ti
sei gettata su di lui piangendo disperata?
Rachel
sentì le goti arrossarsi e non concluse la frase.
«Sei
svenuta.» Lucas scrollò le spalle, come se la cosa
non lo avesse per
nulla preoccupato o infastidito. «Così ti ho
riportata qui, dove Tara si è
presa cura di te.»
«Tara?!»
Il
ragazzo annuì. «Lei e Amalia ti hanno cambiata e
dato una ripulita.
Non potevano coricarti altrimenti, i tuoi vestiti erano bagnati
fradici.»
Corvina
annuì, in parte ancora incredula. Se non altro, ora si
spiegava i vestiti nuovi. E se non altro non era stato Lucas a
svestirla. Un
brivido le percorse la schiena all’improvviso, quando ebbe
quel pensiero. Non
seppe spiegarsi se era perché quell’idea la
preoccupava, o se invece era
l’esatto contrario.
«As...
aspetta! Mi ha portata fino a qui dal Neon?!» La ragazza
spalancò la bocca, quando si rese conto di quel dettaglio.
«Sei impazzito?!
Pioveva a dirotto!»
«La
pioggia non ha mai ucciso nessuno, Roth.» Lucas
incrociò le
braccia, guardandola con un’espressione di
superiorità. «E comunque non sei
certo nella posizione di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare.»
Rachel
fece una smorfia e distolse lo sguardo da lui. Poi realizzò
che
comportarsi così non era affatto sinonimo di riconoscenza.
Sospirò, poi gli
sorrise, cordiale. «Beh... allora grazie, Lucas.»
«Nessun
problema.»
«A
proposito, come facevi a sapere che ieri notte ero...»
«Al
Jefferson Tunnel?» la anticipò lui, sorridendo di
nuovo beffardo. «Ti
prego. E dove altro saresti mai potuta andare, in quel
momento?»
La corvina non rispose. Sentì nuovamente le guancie in fiamme e, di nuovo, pensò di essere la ragazza più idiota di quell’universo. Chissà cos’avevano pensato gli altri, quando l’avevano vista scappare via in quel modo. Il suolo pensiero di rivedere Tara dopo tutto quello che era successo le faceva contorcere le viscere dall’imbarazzo.
«Eri
davvero esausta, sai?»
proseguì il ragazzo, interrompendo il
breve silenzio che si era andato a creare. «Hai dormito
tredici ore, circa...»
«C-Cosa?»
Corvina spalancò le palpebre. «Così
tanto?»
Lucas
annuì. «Sì, ma non preoccuparti troppo.
Mentre riposavi noi
altri ci siamo organizzati. Io e Amalia siamo andati a controllare il
West
Bridge, per vedere se anche quello era stato smilitarizzato, mentre
Tara e Ryan
ti hanno tenuta d’occhio mentre dormivi. Hanno detto che ti
sei agitata
parecchio nel sonno.»
«Davvero?»
domandò la ragazza, perplessa. Lei non ricordava di avere
avuto incubi o altro. L’unica cosa che ricordava di aver
sognato... era
stranamente la baraccopoli che aveva visitato insieme ad Amalia e
Lucas. Nessun
incubo sulla partenza di Richard o altro.
Strano..., pensò.
Ma
forse era meglio così. Degli incubi sarebbero stata
l’ultima cosa che avrebbe
voluto.
«In
ogni caso, proprio come il South Bridge, anche il West è
libero.
Ma lì non c’è traffico.»
Lucas cominciò a dondolarsi sulla sedia, guardandola
serio. «Dopo esserci riposati, questa mattina Tara ed io
abbiamo deciso di
andarcene dalla città, con quel ponte. Non abbiamo
più nulla da fare qui,
ormai. Vengono anche Amalia e Ryan, e naturalmente tu sei la benvenuta.
Allora,
che ne pensi? Vieni con noi?»
Quelle
parole lasciarono la ragazza di stucco. Avevano davvero deciso
di andarsene dalla città, così. Certo, era
piuttosto prevedibile, ma fu
comunque una sorpresa per lei. In effetti, avevano tutti i motivi per
farlo.
Lasciare Empire, probabilmente, era la cosa più saggia che
si potesse fare
ormai. C’erano troppi brutti ricordi legati a quella
metropoli, e la cosa
riguardava tutti loro. E, inoltre, ora che la zona non era
più in quarantena,
era probabile che il governo avrebbe smesso di sganciare del tutto le
provviste.
Eppure,
la scelta di Lucas la sorprendeva. «Ma... credevo che volessi
ancora vendicarti dei Mietitori per aver...»
«Sinceramente,
lasciare la città per me ora ha la
priorità.» Il
ragazzo allargò le braccia, ritornando con le gambe della
sedia a terra. «E
comunque, i Mietitori sono scappati da Empire, ho visto con i miei
occhi quei
dannati fasci di luce che si lasciano dietro. Dubito che li rivedremo
mai più.»
Rachel si
mordicchiò l’interno della guancia, perplessa. Le
parole di
Richard le tornarono improvvisamente in mente. Non era davvero finita
con i
Mietitori. Avrebbero presto sentito di nuovo parlare di loro.
Guardò
Lucas. Valutò se dirgli o no ciò che aveva
scoperto, poi si
interruppe. Al ragazzo non sembrava importare davvero la faccenda, ora
che ci
faceva caso non le aveva nemmeno chiesto cosa fosse successo con
Richard prima
che lui arrivasse. Forse lasciare Empire era davvero diventata per lui
la cosa
migliore da fare. E forse lo era davvero.
Andarsene,
lasciarsi tutto alle spalle.
Ricominciare.
In effetti Rachel ne aveva davvero, davvero bisogno.
L’America era grande, e a dire il vero dubitava che avrebbe
mai più avuto a che
fare con Robin e i suoi pseudo Neo Mietitori.
Eppure...
c’era qualcosa di davvero strano sotto tutto quello.
Perché
i posti di blocco erano stati smantellati così,
all’improvviso? Nessuno aveva
detto niente. I notiziari non ne avevano parlato, non era circolata
nessuna
voce o notizia prima di tutto quello, niente di niente. Era davvero
così sicuro
andarsene?
Ed
inoltre, sia il capo degli Spazzini che quello dei Mietitori erano
morti, coincidenza, poco prima che la quarantena terminasse. Era
davvero una
combinazione, o le cose erano collegate?
Corvina
sentiva una forte puzza di bruciato, riflettendoci meglio. Ma
le alternative quali erano? Restare lì? Da sola, visto che
Lucas e gli altri
sembravano davvero intenzionati ad andarsene?
No di
certo. Stranezze o meno, abbandonare Empire era l’unica cosa
che
le restava da fare. Prese la sua decisione: avrebbe tentato la sorte.
La vita
era come un’ enorme roulette, ormai lo aveva capito. Aveva
sempre scelto i
numeri sbagliati, questa volta invece, forse, avrebbe preso quelli
giusti.
Cacciò tutti i suoi dubbi dalla testa. Annuì e si tolse le coperte di dosso, mettendosi a sedere sul bordo del materasso, davanti a Lucas. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza sorrise determinata. «Beh, allora cosa stiamo aspettando?»