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Autore: Blablia87    16/02/2016    6 recensioni
[Omega!verse]
[Alpha!Sherlock][Omega!John]
Pezzi di una filastrocca come briciole di pane lasciate da un passato pronto a riscuotere la sua vendetta.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Allora, pensi di potermi dire adesso cosa diavolo stessi facendo in quel vicolo?”
Domandò John un’ora dopo, posizionando un piatto contenente una fetta di pizza da asporto davanti agli occhi di Sherlock, seduto in poltrona.
L’altro guardò con aria nauseata il cibo, e scostò il piatto con una mano.
“Avanti. Mangia. Già a cose normali dovresti fare pasti più regolari. Dopo aver assunto Soma, poi-“  iniziò il medico, riposizionando la pizza esattamente sotto il naso di Sherlock.
“Dopo aver assunto Soma, John, bisogna reintegrare i liquidi, non necessariamente ingerire cibo dall’aspetto dubbio.”
“Oh per l’amor del cielo.” John prese il piatto e lo posò con gesto stizzito sulle gambe di Sherlock. “Mangia e basta.”
Prese quindi il suo piatto dalla cucina e andò a sedersi sulla poltrona di fronte a quella dell’Alpha.
Da quando si era trasferito Sherlock non si era più seduto lì, e con un tacito accordo mai espresso a parole, quella era diventata “la poltrona di John”. Non aveva il suo odore, non avrebbe potuto, ma gli piaceva pesare che, in qualche modo, portasse una sua traccia impressa sulla stoffa, tra le pieghe del tessuto.
Era un pensiero consolante, e lo faceva sentire ancor più “a casa”.
Sherlock alzò il trancio di pizza e se lo fece ondeggiare davanti agli occhi, assumendo un’aria stomacata. Lanciò un’occhiata supplichevole a John, che di tutta risposta diede un bel morso alla sua fetta, masticandola con aria soddisfatta.
“Ho capito…” si arrese Sherlock, sospirando. Si portò la punta tra i denti e ne staccò un piccolo pezzo, iniziando a rigirarsela lentamente in bocca.
“Stavamo dicendo… Il vicolo.” Lo incoraggiò John, accompagnando le parole con un gesto della mano. “Chi era quel tizio? Perché eri lì?”
“La mia rete me lo aveva indicato come presente sulla scena del secondo suicidio.” Rispose semplicemente Sherlock, dando un altro piccolo morso alla pizza, cercando di non farsi vedere.
“La tua cosa?” chiese John, lanciandogli un’occhiata divertita: era chiaro che il cibo gli stesse piacendo, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
“Rete, John. La mia rete. Beta reietti, per lo più.” Ripeté l’altro con tono annoiato.
Il medico smise di mangiare, facendosi serio in volto.
“Reietti.” Ribadì, per essere sicuro di aver capito bene.
“Sì. Esatto. Beta. Emarginati. Gli Alpha hanno una rete sociale molto forte, è raro che qualcuno possa finire in disgrazia. Gli Omega hanno quasi sempre un familiare prima, un Alpha dopo, a prendersi cura di loro. I Beta, invece…Beh, può accadere che per vari motivi si ritrovino ai margini della società. Non li si vede spesso in giro, tendono a nascondersi e ghettizzarsi, ma sì, esistono.”
John rimase in silenzio, soppesando le parole di Sherlock.
“Ho sempre pensato che fossero loro i più fortunati, tra tutti…” sussurrò poi, più rivolto a se stesso che a l’altro.
“E perché mai?” Il detective parve genuinamente sorpreso. “Agli occhi di chi governa sono poco più che numeri, meccanismi senz’anima che mandano avanti la macchina dello Stato, mantenendola operativa e ben oleata. Sono sostituibili, ed è raro che un Alpha scelga un Beta come compagno. Non hanno praticamente alcun appoggio, nel momento in cui dovessero trovarsi soli e senza lavoro.” Sherlock diede un altro piccolo morso alla pizza, e posò gli occhi su John, trovandolo assorto nei propri pensieri.
“Ne ho sempre fatto una questione di scie e libertà di scelta individuale…” Cercò di spiegare il medico, alzando gli occhi sul viso del coinquilino.
“Non mi sorprende. Hai passato la vita a nascondere il tuo odore e la tua Determinazione, è più che comprensibile che per te sia il primo metro di valutazione della qualità di vita di chi ti è accanto. Ma non esiste solo questo, John. Non siamo mera usta [1], per quanto ai più piaccia crederlo, per dare una giustificazione ai propri istinti.”
Sherlock attese di vedere il medico rilassare i muscoli delle spalle, e lo osservò lasciarsi andare con un sospiro profondo contro lo schienale.
“Inizio a pensare di non aver mai capito niente…” mormorò John mestamente, spostando il piatto dalle gambe al bracciolo della poltrona, dove lo lasciò in equilibrio precario.
“Non dubitare di nulla è il mezzo più sicuro per non sapere mai niente.” Recitò Sherlock, ripescando dalla propria memoria un aforisma di Multatuli, scrittore olandese di metà ottocento che aveva sempre apprezzato. “Non mi sembri il tipo di persona che non ha mai messo in dubbio niente. Sono sicuro che ti sei fatto più domande sulla nostra realtà tu, di chi dovrebbe farlo per amministrarci.”
“Ciò non toglie che per una vita mi sono dato solo risposte sbagliate, a quanto pare.” John si alzò in piedi, ed il piatto ondeggiò pericolosamente.
Si portò due dita all’attaccatura del naso, e chiuse gli occhi con un sospiro profondo.
“Non importa, adesso. Dimmi di quell’uomo.” Disse a Sherlock, mantenendo gli occhi chiusi per qualche secondo e respirando lento aria e odore del detective. Ogni sfumatura gli sembrava più acuta, più netta, da quando aveva dovuto seguirne la scia tra i vicoli, e senza neanche rendersene conto riprese a catalogarne i vari aspetti. Sherlock era stato crudele, in quel cortile, e non avrebbe mai più provato a seguire il suo odore per ritrovarlo, ma sentiva la necessità di continuare ad immagazzinare quante più note possibili.
Sherlock rimase a osservarlo con interesse, guardando attento il petto dell’uomo di fronte a lui alzarsi e abbassarsi regolarmente. Combatté l’impulso di intensificare la propria scia per vedere se avrebbe ottenuto un mutamento nella frequenza dei respiri dell’altro, e si voltò verso il caminetto, osservando il fuoco danzare attorno ai ceppi ardenti.
“Come dicevo… - Sherlock si schiarì la voce, portandosi una mano chiusa a pugno davanti alla bocca – la mia rete mi aveva segnalato quell’uomo come presente nei pressi dell’abitazione della donna. Un paio di loro mi hanno detto che lo avevano visto gettare qualcosa tra i rifiuti, qualche strada più avanti. Ho controllato: c’erano due bombolette spray all’interno del cassonetto che mi avevano indicato.”
John spalancò occhi e bocca e si girò verso Sherlock.
“Mi stai dicendo di aver trovato un indizio fondamentale e di non averlo segnalato alla polizia?!” Domandò, sgomento.
“Ma quale importante! Quell’uomo era importante!” Rispose secco l’altro, alzandosi di scatto e aggirando la poltrona.
“Certo che lo era! È un omicida!” John era assolutamente allibito, e il suo tono di voce tradiva sorpresa e disappunto. “Conoscevi l’identità del killer e hai deciso di seguirlo da solo?! Ma perché?! È assurdo!”
Sherlock lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio a John, immobile con le braccia lungo i fianchi, palmi in su.
“Non è il killer, John. È solo una pedina. Ma non nascondo che ci sarebbe tornato utile, se non fosse scappato.” Rispose semplicemente, chinandosi a recuperare il violino dalla propria custodia.
“Non era… come sarebbe non era l’assassino? Ha scritto lui o no quella frase?!”
“Certo che sì.” Sherlock si appoggiò il violino alla spalla e imbracciò l’archetto.
“Ha scritto quella frase ma non è l’assassino.” Ripeté John, per essere certo di aver capito bene.
“Ancora una volta, sì, John. Proprio così.”
Una sinfonia lenta e triste iniziò a spargersi per la stanza.
“E questo te l’hanno detto i tuoi Beta.” Continuò John, osservando il braccio di Sherlock muoversi al ritmo della melodia e della sua scia, improvvisamente stemperata.
“Questo me lo hanno detto i fatti.” Si limitò a rispondere l’altro, facendo un passo verso la finestra senza smettere di suonare.
“Ed i fatti sarebbero?” Domandò John, pazientemente, tornando a sedersi sulla sua poltrona e riappoggiando il piatto sulle gambe.
“Che era solo un Beta in cerca di un po’ di soldi per procurarsi una dose di Soma. Uno dei tanti reietti di cui parlavamo. Troppo impulsivo, troppo poco lucido, per essere uno che si siede al capezzale di una donna e aspetta che muoia per delle ore.”
“Quindi doveva essere un diversivo.” Commentò il medico, sistemandosi meglio sulla seduta e dando nuovamente un morso alla sua pizza.
“Doveva essere un capro espiatorio, in caso ce ne fosse stato bisogno.”
I due rimasero in silenzio per qualche secondo, e tra loro ci fu solo la musica malinconica di Sherlock.
“Lo hai già detto a Greg?” Domandò poi John, rompendo il silenzio.
Sherlock fece cenno di no con la testa, un movimento minimo, quanto bastava a render chiara la risposta senza staccarsi dallo strumento.
Per alcuni minuti, nessuno dei due parlò più.
Fu Sherlock a riprendere la parola, e fu come se la sua domanda sgorgasse da un filo di pensieri che non aveva mai abbondonato.
“Hai seguito la mia scia, in quel vicolo, vero?” Chiese, senza voltarsi e senza fermare la musica.
John, che nel frattempo si era lasciato andare contro lo schienale e aveva chiuso gli occhi, si sentì avvampare.
“Io…” cominciò, senza sapere bene cosa dire.
“Notevole.” Lo bloccò l’altro, senza tradire alcuna emozione nella voce e nella scia.
“Non avrei dovuto dirti quella cosa. È stato meschino.” Buttò lì, quasi con noncuranza, e si sorprese a scoprire di star trattenendo il fiato, dopo averlo detto.
Lasciò uscire tutta l’aria e sperò che John non se ne fosse accorto.
“Non importa. Hai ragione, in fondo. Siamo praticamente due estranei. Non devi dirmi dove vai.” Rispose l’altro, tornando a chiudere gli occhi.
Sherlock continuò a suonare per alcuni minuti, seguendo con la musica il filo dei propri pensieri. Alcune immagini di quanto aveva visto durante l’ultima assunzione di Soma emersero insieme alle note e, ancor prima di capire perché, si trovò a chiedere a John: “Hai mai pensato a come sarebbe la tua scia, se non assumessi inibitori?”
“Liquirizia e cannella.” Rispose il medico di getto, pensando ai due bambini nel vicolo, e gli venne da ridere.
Il detective smise di suonare, e si voltò verso di lui con un sopracciglio alzato.
“No, no, lascia perdere, era una sciocchezza!” Gli disse John. “In verità non lo so proprio. Non c’ho mai pensato. Tu come pensi sarebbe?” Domandò, senza pensarci.
Sherlock lo osservò per qualche secondo, indeciso se rispondere o meno. Alla fine imbracciò nuovamente il violino e tornò a rivolgersi alla finestra.
“Arance, menta e lavanda.” Rispose, con tono distaccato.
John succhiuse la bocca per la sorpresa, e rimase immobile a osservare il coinquilino ondeggiare insieme alle note che erano tornate a riempire la stanza.
“Davvero?” Disse, ma Sherlock non diede segno di voler aggiungere altro. “Beh… ok. A me sta bene. Adoro la menta e la lavanda. Dovrei farmi fare un profumo così, che ne dici?” Chiese, cercando di smorzare la tensione che sentiva essersi creata.
“Sarebbe assurdo.” Rispose secco l’altro, alzando di poco il suono del violino.
“In effetti.” John si lasciò andare di nuovo contro lo schienale, e chiuse gli occhi.
“Sei andato a colpo sicuro al quarto cassetto della mia cassettiera, quando mi hai trovato. Ho visto che è stato l’unico cassetto che hai aperto. Mycroft?” Chiese quindi il detective, dopo qualche altro minuto di silenzio.
“Mhm mhm”, annuì l’altro, senza muoversi dalla sua posizione. La musica lo stava rilassando, e non voleva rischiare di perdere la sensazione di pace che sentiva muoversi lungo le vene.
“Come ti è parso?” Continuò Sherlock, voltandosi verso John senza fermare la musica.
Lo osservò aggrottare le sopracciglia e schiudersi in un sorriso, mantenendo le palpebre abbassate.
“Mi sembra che essere boriosi sia un tratto familiare.” Cominciò lui, aprendo un occhio per guardare in direzione del detective, che si affrettò a tornare viso alla finestra.
“Ma mi sembra anche genuinamente preoccupato per te. E non ha tutti i torti. Il Soma può essere molto pericoloso, e-“
Sherlock alzò ancora il tono della musica, fino a coprire del tutto la voce del medico.
John lo guardò per qualche secondo, corrucciato. Alla fine si arrese.
“OK!” Gridò, cercando di farsi sentire. “HO CAPITO!”
Sherlock tornò a suonare con più calma, e John chiuse di nuovo gli occhi.
Arance, menta e lavanda, pensò, cercando di immaginarla. Ancora concentrato sul mettere a fuoco la propria potenziale scia, non si accorse che la stanchezza di era fatta prepotente su i suoi occhi. Si addormentò con l’immagine del proprio odore che finalmente reclamava qualcosa per lui: lo vide avvolgere come una carezza la poltrona sulla quale era seduto e, lento, spingersi poco più in là, verso l’uomo che l’aveva “creato”. Sorprendentemente, non provò paura, né vergogna, solo curiosità per quella scia quasi reale che vedeva muoversi per la stanza, tra loro.
Sherlock, nuovamente girato verso di lui, osservò il sorriso leggero che stava nascendo su le labbra del medico e virò la musica su toni più morbidi, improvvisando una nenia. Quando si rese conto, dopo svariato tempo, di star praticamente suonando al ritmo del respiro ormai lento e regolare dell’altro, si fermò, lasciando cadere lo strumento su la poltrona. Serio, un’epressione tesa sul volto, superò il salotto e andò a chiudersi in camera sua.

[1] Usta: odore caratteristico che gli animali selvatici lasciano sul terreno e che è seguito dai cani da caccia.
Non essendo esattamente un termine di uso "comune", ho preferito lasciarvi la nota. ^_^ 

Angolo dell'autrice:
Per prima cosa, GRAZIE. Un grazie enorme, gigante, a tutte voi. Mi avete riempito di parole meravigliose, di mp, di commenti splendidi. Non mi sarei MAI aspettata tanto in risposta al mio piccolo sfogo, e davvero... non so come rendervi a parole quanto bello sia stato leggervi, nessuna esclusa.

Detto questo... eccoci qui. Un altra piccola parte di questa società si scopre, un piccolo passo avanti viene fatto da Sherlock (anche se, appena se ne rende conto, molla tutto e fugge. Direi che comunque ci possiamo accontentare. XD) 
In questo caso credo che sia il gesto (anzi, il paio di gesti che compie) siano dovuti ad una parte di "istinto" che è comunque presente dentro di lui per quanto non lo voglia né vedere né accettare. Sherlock è straordinario, ma resta comunque un Alpha in presenza di un Omega, e alcuni comportamenti potrebbero essere visti come "ancestrali", anche in assenza di scia dell'altro. C'è anche da dire che sicuramente in un contesto come questo il detective faticherebbe non poco (ed infatti fatica) a distinguere cosa sia dettato dell'istinto puro, e cosa da una sua eventuale e "spontanea" attrazione per John, qualunque siano i fattori che la potrebbero determinare.
Insomma, abbiamo fatto un piccolo passo avanti, che però si porta dietro una valanga di problemi più grossi e domande più complesse... come dire: siamo messi bene. XD
Quindi, al solito... armatevi di taaaanta pazienza. Intanto nel prossimo capitolo torneremo su la scena di un crimine. 

Come sempre grazie mille per aver letto fin qui. Mi permetto di mandare un abbraccio a tutte. Così, anche se sono ancora "parzialmente infettiva." XD

B.
   
 
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