George non soffre più per la morte di Fred.
Sta mentendo.
Soffre ancora, ma meno.
Semplicemente, è riuscito a farsene una ragione, e ad andare avanti, per quanto gli sia permesso dalla solitudine.
Il fatto che abbia perso completamente la capacità di sorridere non gli pesa.
Non più di tanto, almeno.
La sua felicità è stata sepolta con Fred, molto tempo fa, ed esattamente come lui non potrà mai più tornare.
E George è quasi contento, di questo.
È contento di aver racchiuso la propria risata nella bara del fratello, affinché adesso egli possa gustare in ogni momento il sapore zuccherino della gioia giovanile che è intrinsecamente racchiusa in essa.
A George non importa se non potrà mai più essere felice, a lui basta solo che lo sia fratello, ovunque egli si trovi, per l’eternità.
E sente dentro di sé che è così, lo percepisce distintamente, come quando erano piccoli e riusciva a provare lo stesso dolore o la stessa gioia di Fred anche a miglia di distanza.
È un alone di benessere, quello che divampa adesso in George, in quella parte segreta e sacra del cuore che è sempre appartenuta a Fred.
Ed è questo strascico di emozione che gli ha permesso di andare avanti, o almeno di provarci.
Non piange più, quasi.
E non ride.
E nemmeno vive.
Esiste, ecco tutto.
Tuttavia, non prova più quel bisogno ardente di abbandonare il mondo, per cercar una via che lo possa condurre dalla persona più importante della sua vita, che lo ha ingiustamente abbandonato.
Adesso lascia semplicemente che i giorni trascorrano, vuoti ed incolori, lenti ed inesorabili.
Ed in quei momenti nei quali crede proprio di non farcela, di non riuscire neanche più a respirare, si porta la mano all’orecchio, e lo accarezza, con delicatezza, e si sente confortato nel suo dolore senza fine.
Perché, esattamente come lui, anche esso è solo.
Perché, esattamente come lui, anche esso ha perso il suo gemello.