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Autore: AliNicoKITE    17/02/2016    1 recensioni
Dal testo:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 15
Parola d’ordine: Over the rainbow

ERMES
 
Ermes sentiva in quel momento il disperato bisogno di Sferraglia. Non perché avesse paura di essere preso -picchiato a sangue e probabilmente menomato a vita- da Cerbero Three, ormai non vedeva più il suo inseguitore alle calcagna. Ermes semplicemente amava sentirsi abbastanza veloce da fuggire da tutto, quindi correre, correre lontano, non era più abbastanza.
Dopo qualche anno, Ermes avrebbe continuato a ricordare quel momento con una precisione che solitamente ritrovava solo nel riportare alla mente i momenti più importanti della sua vita.
L’insegna era una semplice frase che illuminava con una luce neon blu lo spiazzo davanti al negozio.
Due o tre gattini miagolavano davanti all’entrata, ed Ermes non poté fare a meno di pensare che fossero davvero carini. Uno dei mici, un batuffolo bianco con dei bellissimi occhi azzurro cielo, si mise a seguirlo, incuriosito dalla presenza di una persona sconosciuta davanti al negozio. Intenerito, il ragazzo raccolse il gattino per la collottola, osservandone il muso peloso.
-Ma sei carinissimo-disse, dimenticandosi per un attimo dello sguardo deluso di Artemide. Il suo cervello stava già distruggendo i possibili sensi di colpa: era stato solo un piccolo furto, prendere la bici di Cerbero ricadendo così nell’illegalità!
Stava accarezzando il pelo morbido del gatto, quando immediatamente sentì un brivido scorrergli lungo la schiena, una sensazione spiacevole che provava solo quando i commercianti lo scrutavano diffidenti mentre rubava, o provava a rubare.
Si voltò e vide la persona che avrebbe scoperto essere, forse, allo stesso tempo uguale e diversa da lui.
La ragazza era una accozzaglia di capelli chiarissimi, alcune ciocche dipinte di blu, un ciondolo a forma del simbolo della pace appeso al collo e un sorriso che voleva significare ‘’giù le mani dai miei gatti’.
-Ehm, non volevo rapire nessun gattino innocente.- si difese appoggiando a terra il piccolo, che schizzò verso la ragazza dai capelli colorati.
-Sarà meglio, soprattutto per te. Steve ha la mania di graffiare, dopo ti ritrovi le mani come le mie.
Mostrò le dita fasciate, ricordando ad Ermes il personaggio di Dobby in ‘’Harry Potter’’.
-Mh. Steve?-commentò inarcando un sopracciglio. Lui avrebbe preferito chiamare i gatti Pallina, Fuffi, o che so io. Steve era tante cose, ma non un nome adatto a una palla di pelo bianca come quel cosino lì.
-Steve Rogers II. Suo fratello Bucky è quello nero.
-The winter soldier.
Le parole gli uscirono spontanee, stupite. Leggermente ammirate, avendo immediatamente colto la citazione della ragazza.
Lei fece un sorrisetto, uno sbuffo accondiscendente.
-Ovvio. Seguimi, se non vuoi che quella sottospecie di Hulk ti prenda e mutili gravemente.
Si voltò, senza dare il tempo ad Ermes di dire, a sua volta, un ‘’ovvio’’ sussurrato.
 
***
Si chiamava Iride Flaw, ed aveva qualche anno in più di lui. Lavorava come impiegata - ‘’come vittima sottopagata piegata appunto dalle avversità’’, citando le sue parole-  per sua nonna. L’amabile vecchietta era in quel momento rappresentata solo da una sua foto con sopra un post-it recante la parola ‘’LAVORA’’. Iride aveva gli occhi azzurri come il cielo di primavera, un colore molto simile a quello delle iridi di Apollo, e i capelli, che fuori dal negozio gli erano parsi bianchi, erano semplicemente biondo platino, ma alcune ciocche si rivelarono blu elettrico - ‘’10$ di tinta artigianale, un furto’’. Ermes la trovò ancora più simpatica quando notò i numerosi tic nervosi che aveva -si toccava la punta del naso leggermente appuntito ogni volta che era a disagio- e quando disse a Cerbero:‘’Il ragazzo che correva urlando come una femminuccia è andato dall’altra parte, sei fuori strada.’’.
In sintesi, lo aveva salvato. Già, incredibile.
-Allora esistono ancora le persone pure di cuore a questo mondo.-declamò nascondendo la sua reale gratitudine.
-Ermes, giusto?-rispose la ragazza mentre spariva nel retro del negozio.
Ah, già, il negozio. Anche quello stuzzicava l’interesse di Ermes.
Era pieno di cianfrusaglie, anche se l’insegna diceva ‘’Rainbow Delivery Service’’. In sintesi, non era solo una ‘’ditta di trasporto merci, lettere e oggetti culinari’ -chissà perché secondo la nonna di Iride non andavano inseriti nell ‘‘merci’, si chiedeva Ermes mentre leggeva il sottotitolo dell’insegna. Il negozio sembrava sul punto di crollare su sé stesso per la quantità di ciondoli, bracciali, cappelli, fasce per capelli -il tutto fatto a mano- che affollava le mensole sulle pareti.
Ermes scorse un possibile regalo per ogni suo amico, compreso un fantastico cartello ‘’Non disturbare. La musica è una cosa seria’’ per Apollo, da appendere sulla porta della sua camera. Tanto il suo migliore amico diceva sempre di andare a studiare quando poi si sentivano gli assoli di chitarra attraverso il legno della porta. Altro regalo fantastico, un orologio che segnava sempre dieci minuti di ritardo per Atena: così avrebbe smesso di arrivare sempre in orario e con la tracotanza di chi sa di esserlo. Erano tutti oggettini originali, dal gusto più o meno pacchiano e molto colorato.
Quando capì che Iride gli aveva chiesto una conferma sul suo nome, si affrettò a rispondere:-Sì, Ermes. Ermes il Furbo, per gli amici.
Davanti al sorrisetto strafottente del ragazzo, Iride arricciò le labbra con un’espressione di superiorità.
-Ermes lo Sconsiderato. Non si offende il nemico che non si può battere.-disse, dopo essere uscita dalla stanzetta retrostante con sei o sette pacchi, indirizzi scribacchiati in un angolo della carta gialla.
-Non è la prima volta che rubo alla persona sbagliata. Anzi, spesso i furti peggiori hanno avuto conseguenze meravigliose.
La ragazza pareva scettica.
-Nel senso che venire picchiato da quell’energumeno simile a un cane sarebbe stato un ottimo risultato?
-Per ora prendere quella bici mi ha portato a conoscere te.-rispose con una adorabile faccia da schiaffi, tanto che Iride scoppiò a ridere piano e lasciò perdere.
-Lasciamo stare, va’. Mi sembri un gran piantagrane e io devo chiudere il negozio.
Pareva dispiaciuta di doverlo farlo andare via, ma l’orario era davvero improponibile per tenere le luci accese in quella piccola bottega. Ermes la osservò mettere a posto alcuni cappelli da cowboy rosa e azzurri in uno scaffale, arrampicarsi su una scaletta per aggiustare la disposizione di pupazzetti di lana e portachiavi. Iride prese poi Steve II, Bucky e Greg -Greg era un gattino nero con gli occhioni verdi talmente bello che Ermes avrebbe voluto rubarlo e cambiargli il nome in Loki, o qualcosa del genere- li imprigionò a forza in un buco nero di coperte di lana dentro ad un cesto di vimini, chiuse la porta che conduceva al retro del negizio e rivolse infine un sorriso soddisfatto allo specchio di fianco alla suddetta porta, il tutto in qualche secondo.
-Wow, sei veloce.-commentò, chiedendosi da dove gli uscivano questi commenti così eloquenti. Probabilmente lo influenzava l’apparente capacità di Iride di resistere al suo sorriso da ladro. Ermes pensava di avere un meraviglioso sex appeal, un fascino che si sarebbe potuto trovare solo in Arsenio Lupin o Zorro; probabilmente sperava, sotto sotto, che le persone avessero compassione di un ladro -più o meno- pentito come lui, e allo stesso tempo non poteva accettare di essere davvero compatito.
Iride lo guardò in modo strano, come se non capisse qualcosa e allo stesso tempo non volesse chiedere.
-E tu sei quasi interessante. Un ladro che cerca una casa.-rispose la ragazza-Quando avrò bisogno che tu mi ripaghi il favore ti saprò trovare, Ermes. Sono brava a recapitare messaggi.
Si voltò a far scendere la serranda sul negozio, l’insegna non rischiarava più l’asfalto con la luce azzurra.
****
 
ZEUS
Apollo la chiamava ‘’maledizione del dopo - sbornia’’, anche se era solo una diceria. Ermes  non vi badava molto, perché troppo spesso era perseguitato dalla sfortuna per essere più accorto in alcune speciali occasioni. In realtà, il tutto era una diretta conseguenza dell’alcool in corpo.
Secondo tale maledizione, che Ares appoggiava in pieno al gemello di Artemide, la mattina dopo una festa -che si fosse bevuto, che ci si fosse ubriacati, o meno- gli astri si muovevano in modo la lanciare verso quello strano gruppo una serie di cambiamenti, perlopiù in negativo. Ci si poteva trovare, la domenica mattina, a fronteggiare la fine imprevista delle scorte di caffè o minacce di morte da parte di persone non bene identificate -era successo, a Zeus, ma stranamente Grace ne usciva sempre illeso.
A volte si litigava a causa di ciò che era successo la sera precedente -Eris cercava sempre di dare il suo contributo a riguardo-, oppure qualcuno si ritrovava vuoti di memoria che si potevano imputare all’alcol senza problemi. Secondo Estia, quella scusa era solo un meccanismo di difesa mentale per non acccettare ciò che avevano combinato senza freni inibitori il giorno prima.
Ade non credeva a quella diceria, anche se quella mattina aveva assunto un’aria talmente funerea da far innervosire Estia dopo qualche minuto: i due non si erano ancora riappacificati, dopo che la ragazza aveva urlato al suo adorato fratello tutta la frustrazione che nasceva dall’essere la piccola, unica femmina, di casa.
   Zeus se ne preoccupava poco: i suoi contatti con la sorella erano sempre stati ridotti al minimo indispensabile, forse perché l’arrivo di Estia l’aveva messo in una posizione spiacevole, in fatto ad età. Zeus si era subito reso conto di non essere Poseidone, che era abbastanza vicino ad Ade in età per sentirsi grande, per sapersi ritagliare dei momenti -rarissimi- in cui stava al centro dell’attenzione di sua madre.
All’inizio, aveva mal sopportato Estia perché, se fosse rimasto il più piccolo, avrebbe ricevuto più attenzioni da Gea e i suoi successi sarebbero valsi il doppio: avrebbe voluto dire che aveva fatto qualcosa che i suoi fratelli maggiori non erano riusciti a fare. Erano pensieri meramente infantili, che però erano rimasti, un tarlo continuo dentro la testa.
      Solo quando aveva raggiunto i sette anni di vita qualcosa era cambiato: aveva scoperto cosa era successo il giorno della sua nascita ascoltando la vicina, Akhlys, spettegolare con una sua amica davanti alla loro porta di casa.
Crono Grace era sempre stato un ottimo argomento di conversazione, che Akhlys riprendeva ciclicamente aggiungendo ogni volta nuovi particolari velenosi. Il signor Grace, comunque, all’inizio era conosciuto dai vicini perché, essendo l’erede della Uranos Company, avrebbe potuto non muovere un dito fino alla morte e vivere comunque con un reddito annuo con tanti zeri. Sua moglie, di notevole bellezza, sembrava, agli inizi del loro matrimonio, pendere dalle labbra del marito. E qui Akhlys cominciava a sorridere –Brutta vecchia inquietante, diceva sempre Pos- e raccontare come il rapporto fosse degenerato: alcuni insinuavano che lei, o lui a seconda dei casi, avesse tradito la propria dolce metà, facendo crollare la famiglia appena costruita.
Altri sostenevano che Gea avesse tentato di rubare dei soldi a suo suocero, Urano, il padre di Crono. In realtà, si sbagliavano su tutta la linea, e quando Zeus ebbe sette anni sentì la vera storia.
Crono Grace era uno stronzo della peggior specie.
Disse proprio così la vecchietta, senza giri di parole. Gli occhi scuri, torbidi, si spostarono sulla porta d’ingresso della casa come se potesse vedere attraverso i muri, scovando le persone di cui stava parlando. Zeus, che era nascosto in un angolo del giardino, si scurì in viso. Suo padre non c’era mai stato. Ade a volte provava a descriverlo, perché era vissuto qualche anno con la presenza di Crono ancora nella casa, ma non parlava mai di quell’argomento tabù davanti alla madre. Zeus, fino a quel giorno, sapeva solo che suo padre se ne era andato dopo la nascita di Estia.
-Vedi-aveva detto Akhlys con quell’aria compiaciuta, da avvoltoio-se dico una cosa del genere c’è una ragione.-si era chinata in avanti, verso la sua interlocutrice-Lui non voleva avere figli. Ha minacciato di ucciderli appena nati, sai, di soffocarli.
Il sangue si era gelato nelle vene di Zeus, il respiro aveva cominciato a correre veloce, pensò che sarebbe morto in quel momento, di crepacuore, come Ade gli aveva raccontato fosse possibile accadere ai cervi, sentendosi braccati e senza via di scampo.
Lui si era sentito un cervo, che appena pensa di aver trovato l’equilibrio sulle gambe troppo magre, appena uscito dal ventre materno, cade rovinosamente a terra.
-Senza la bambina-la voce di Akhlys era corrosiva, quasi-senza di lei, oh, quei bambini sarebbero senza un soldo.
Il cuore si strinse come compresso da una morsa di acciaio.
-Quando Gea Grace rimase incinta, i medici convennero che era difficile stabilire il sesso del nascituro, ma erano quasi sicuri che si trattasse di una femmina. Crono, che era parso tutto fuorché felice della notizia della gravidanza, sembrò improvvisamente entusiasta del futuro erede, e riempì la moglie di attenzioni, fino al giorno in cui Gea partorì. Un parto prematuro, sai, ma il bambino sembrava stare bene.
Le parole di Akhlys lasciarono un silenzio agghiacciante, una volta dissolte nell’aria. La donna emise una risata rauca, come se dopo la storia fosse molto meglio.
-Era un maschio, capisci? Un maschio, un erede! E Crono fu così arrabbiato che lasciò cadere il bambino come se fosse schifato del contatto. Ci scommetto che ha una cicatrice sulla zucca, il maggiore.
Ade aveva, effettivamente, una ferita sulla fronte, ma la notavano solo quelli che conoscevano la storia –fasulla- secondo la quale si era procurato quella ferita sbattendo la testa contro il legno della culla.
-Crono non voleva dei maschi, perché il vecchio Urano aveva deciso di lasciare il tutto al nipote maschio maggiore, non appena questi avesse compiuto un singolo anno. A Crono non rimaneva un soldo bucato, niente, era un problema! Eppure, rimase. Forse provava davvero qualcosa per quella là-indicò con la testa la casa-o forse non voleva che la gente parlasse male di lui- e qui esibì, divertita, una chiostra di denti gialli-Passò un anno, e la moglie rimase incinta di nuovo. Ed era sempre una scena comica, perché Gea prometteva una figlia femmina, invece anche il secondo si rivelò un maschio! La situazione si aggravava, perché Urano non modificava il testamento. Alla terza gravidanza, Gea stette male e al settimo mese di gravidanza furono costretti a ricoverarla in ospedale. Il bambino, o, come diceva lei al marito, la bambina, scalciava troppo, ed alla terza gravidanza poteva incorrere in alcuni problemi.-riprese fiato, e Zeus tremava, perché era la sua parte della storia.
-Crono era sempre più arrabbiato, perché i figli non riusciva a sopportarli. Aveva cominciato a bere, a non dava eanche la parvenza di lavorare. Ho scoperto, qualche giorno fa, una cosa: l’unico modo, per Gea, per trattenere il marito, era stato quello di modificare il testamento di Urano con una clausola ben strana: -sollevò lo sguardo come per dire ‘’senti un po’ qua’’-non appena il figlio maggiore di Gea avesse compiuto un anno, Urano aveva deciso che avrebbe tagliato i fondi al figlio riservando il capitale al nipote. Ma! Se i figli avessero avuto un solo anno di distanza l’uno dall’altro, cioè se ogni anno Gea avesse avuto un figlio, a Crono sarebbe rimasta la possibilità di gestire in quegli il patrimonio del padre.Come, ti chiederai tu! Come?–Zeus inspirò, non stava capendo niente di quel discorso-Il nome di ciascun figlio sarebbe stato fatto ‘'sparire’’ dal testamento al compimento di un anno, e sarebbe stato sostituito da quello che lo seguiva in età. Come se, al compire di un anno, morisse. Puff! Era un continuo sostituire la data di scadenza, si aggiungeva un anno di tempo a Crono per gozzovigliare.Quando Gea non avrebbe più potuto fare una cosa del genere perché un pupo appena nato non si sarebbe trovato, allora Crono avrebbe potuto andarsene con la somma di denaro destinata a Gea, che aveva riscosso le simpatie del vecchio Urano molto più del figlio maggiore. Quindi-ripetè-Ade compì un anno, ma nel testamento apparve scritto ‘’Poseidone Grace’’, che un anno di vita ancora non aveva. Fuori uno, fuori due, anche Poseidone compì un anno: quando Zeus stava per rivedere anch’egli il giorno della sua nascita sul calendario, Gea era alle strette. Le serviva ancora suo marito, perché senza i documenti del divorzio a lei non sarebbero rimasti soldi, Crono stava arraffando il capitale del padre. Fu allora che rimase incinta della bambina che tanto il padre aveva sperato. Crono se ne andò quando questa nacque, ma appena vide che era realmente una femmina firmò i documenti del divorzio, lasciando i tre maschi illesi in cambio di una somma esorbitante di denaro. Il tutto perché, in quella mente contorta, l’unico essere a cui voleva augurare un po’ di bene era la figlia femmina. Senza Estia, Crono avrebbe lasciato la moglie senza soldi, rubando tutto prima che Zeus compisse un anno.
 
Zeus non aveva capito molto di quella conversazione, se non una cosa: senza Estia e la sua presenza femminile, non avrebbero avuto una esistenza tranquilla come quella che avevano potuto vivere.
Allora, ti chiederai tu, confuso dal raccontare sconclusionato di una vecchietta, come mai Zeus, sapendo questo, non si sia avvicinato, anche poco, ad Estia. Le doveva molto, tutti le dovevano molto, per il semplice fatto di essere nata femmina. Ma Zeus, ovviamente, non poteva dirlo, non voleva: sentiva che quel segreto terribile su loro padre era stato loro nascosto per un motivo. Ed Estia, secondo lui, non meritava onori e gloria solo perché Crono era uno svitato che non voleva eredi maschi. Quindi aveva continuato come se nulla fosse, picchiando i fratelli e ignorando la sorella, prendendo in giro il cuginetto Dion –lui e i suoi succhi di frutta strani-, ponendosi come piccolo despota senza incontrare resistenza dai fratelli. Come se la mansarda l’avesse investito di un’aura di comando, che un po’ gli veniva naturale. A Gea, spesso Zeus ricordava Urano, il nonno burbero e solitario, potente e autoritario che aveva deciso di preferire sua nuora al figlio.
 Zeus, erede di Urano o meno, risultava spesso insopportabile, con questo suo atteggiamento.
     Il suo reale problema era che, dopotutto, non capiva di non avere nulla da dimostrare a nessuno. Non serviva che superasse i suoi fratelli in tutto, non aveva bisogno di trovare il suo posto nella famiglia in una maniera così decisa e drastica. Estia non cambiava nulla, Zeus non riusciva ad evitare di sentirsi come se gli mancasse qualcosa rispetto agli altri. Si imponeva così sui suoi fratelli, cercando di supplire questa mancanza. Perché tutti avevano un posto: Poseidone, volubile, ma capace e genuinamente simpatico, era ciò che non sarebbe mai stato, Ade poteva fare a meno di tutti, era nel suo mondo di Inferi e solitudine, si era adattato così bene a quella scelta che avevano fatto i dadi… Estia era amata. Estia era una ragazza, era una bellissima bambina che poteva attaccarsi alle gambe di Gea per un po’ di coccole come Zeus non avrebbe mai potuto fare. Se lui avesse implorato per un po’ di affetto, gli altri l’avrebbero preso in giro, sarebbe stato un debole.
Non sarebbe stato lo Zeus che aveva deciso di essere: capo, ma solo.  
 
Zeus ragionava così, mentre Estia si alzava da tavola con la sua tazza in mano. I suoi occhi rossi non cercarono quelli del fratello più piccolo per un po’ di appoggio. E Zeus fece finta di niente, mentre apriva uno sportello e prendeva la scatola di cereali per fare colazione. Inutile dire quanto fu comica la sua espressione facciale quando scoprì che nella credenza non c’era più nemmeno l’ombra, di cereali. Poseidone gli passò dietro la schiena nascondendo la sua risata:-Vedi, se non vai a fare la spesa, prima o poi i cereali finiscono.
Zeus gli rivolse una occhiata omicida, al che suo fratello si difese con una semplice frase: ‘‘Maledizione del dopo-sbornia’’.
 
****
PERSEFONE
 
Persefone aveva un buon spirito di osservazione. Coglieva spesso sua sorella reduce da una nottata
che sicuramente sua madre non avrebbe approvato, quando Demetra scendeva le scale con passi pesanti, i capelli disordinati. Se proprio il giorno prima aveva lasciato andare buona parte della sua razionalità, allora non si preoccupava neanche di coprire i segni violacei che Thanatos le aveva lasciato sul collo, morsi che lasciavano intuire come i due avessero passato la serata. Spesso notava un particolare curioso comune a ogni domenica mattina: se qualcosa andava storto, Demetra imputava il tutto a una certa ‘‘maledizione del dopo-sbornia’’.
 
 
    Sefi si svegliò al cantare del gallo, cioè della sua sveglia a forma di volatile che ogni tanto preferiva cantare due ore prima o, come in questo caso, dure ore dopo.  
Demetra stava urlando qualcosa al telefono, quindi si rigirò nel letto cercando di soffocare con un cuscino sulla testa i due strilli quasi identici, prodotti uno della sveglia e uno dalla sorella.
Tralasciando noiosi particolari su come un calzino fosse finito sotto il letto, una pantofola decise di apparire sotto al suo piede nudo senza che lo sapesse, facendola scivolare con il secondo calzino in mano alzato come trofeo, o come talismano contro le avversità.
Una risata facilmente riconoscibile come appartenente a un essere umano maschio, giovane e con una strana tendenza a ridere sembrando un cane -la prima e la terza caratteristica erano sicuramente riprovevoli, la terza di difficile interpretazione- la fece bloccare sul posto. Grazie al cielo era di nuovo in piedi, con in mano il calzino a pois rosa -pessima caratteristica per l’indumento di una sedicenne- mentre la risata continuava.
Un cane, sembra un cane. Di chi è questa risata, quando l’ho già sentita?
Si stava spremendo il cervello, appigliandosi a volti a malapena conosciuti, scartando toni di voce uno dopo l’altro, quando realizzò alcune cose.
Primo, sua sorella non stava urlando al suo ragazzo al telefono, ma in diretta, dalla finestra, con la vestaglia viola calata sulle spalle in fretta e furia.
Secondo, non era Thanatos a ridere, dato che stava rispondendo a sua sorella per le rime -le piaceva sempre di più quel ragazzo, visite mattutine a parte.
Terzo, c’era un ragazzo che la fissava dalla finestra, appoggiato alla moto come se fosse uscito da una commedia romantica per ragazzine di pessimo gusto.
Un ragazzo, che vedeva lei.
Chi l’ha pagato per guardarmi? Mi sta guardando. Sta guardando me.
E sta ridendo di me.
Ed è Ade Grace.
 
ADE
Thanatos si svegliava sempre carico di propositi illegali: un giorno voleva rubare prima di andare a scuola un vaso di fiori dal davanzale dei vicini. Troppo spesso parlava di morti –di insetti, di libri-, e allora solo Ade riusciva a starlo a sentire. La domenica mattina, sempre a causa della  maledizione, le sue idee erano ancora peggiori.
Poiché il tempo che abbiamo a disposizione è limitato, tratteremo solo del proposito mattutino che espose ad Ade Grace la domenica mattina di cui abbiamo fino ad ora parlato.
-Voglio vedere Demetra anche se sua madre non vuole.-aveva annunciato Andrew con un sorriso, l’equivalente, per Ade, di una insegna luminosa recante la scritta ‘‘PERICOLO: MALEDIZIONE?’’.
Grace aveva cercato di rimanere calmo e di opporsi con una remora razionale, matura e adulta.
-Pensa, potresti vedere Persefone! E non avrebbe nemmeno la sorella intorno, perché voglio portarla in giro per farmi perdonare del fatto che hai investito Sefi.
Avrebbe potuto vedere Persefone. Magari appena sveglia, con gli occhi verdi sgranati per la sorpresa di vedere lui ed Ade la domenica mattina. Magari gli avrebbero offerto la colazione. Sicuramente Persefone era bellissima, appena sveglia.
 
Una remora razionale, matura e adulta, Ade.
 
-Ci sto.
 
 
La scena era stata divertente. La sveglia sembrava urlare come Demetra, che non sapeva fingere di essere completamente arrabbiata con Thanatos per quella visita inaspettata -forse si vergognava del pigiama con cui dormiva, ma i fiorellini non erano mai fuori moda, lo sapevano tutti.
Poi si era accorto che le persiane della finestra accanto alla camera di Demetra erano aperte e l’occhio gli era caduto su una inconfondibile Persefone in pigiama verde mela che, cercando un calzino, da come si intuiva dalle sue sottili imprecazioni, era scivolata su una pantofola in una maniera così ridicola e goffa da farlo ridere. Forse quella mattina non sembrava più così carina come gli era rimasta in mente dal loro incontro, però non ce la faceva proprio a non ridere, anche se senza una reale cattiveria, solo un lieve velo di compatimento.
Poi lei si era rialzata e, dopo qualche secondo, si era accorta di essere stata ammirata nella sua mirabolante caduta.
-STALKER!-urlò, tirando le tende con un colpo secco-Non si invade così la privacy altrui!
Ade sbatté le palpebre per qualche attimo, scioccato. Un forte mal di testa, che lo perseguitava dal suo risveglio, tornò a farsi sentire, martellando nelle tempie come un esercito di ultras della squadra di basket della scuola.  
Altro che colazione gratis, Persefone con un bel pigiama e i capelli scompigliati ad arte. E sicuramente Demetra gliel’avrebbe fatta pagare, per quel tentativo di approccio alla sorella.
E aveva solo riso! Figuriamoci se le avesse detto: ‘‘Ehilà, buongiorno!’’. Probabilmente in quel caso lei l’avrebbe pure preso per pazzo, poi Demi avrebbe frainteso le due parole con ‘‘Salve, sono pieno di malvagie intenzioni poco caste!’’
Si voltò a guardare Thanatos che veniva deriso dalla sua ragazza –IO, venire in giro con te su quella moto orrenda? Mai!-, poi Demetra chiuse di scatto le imposte e Ade e Andrew se ne andarono, lasciando dietro le loro spalle due finestre che di certo non si sarebbero riaperte per augurare loro una buona domenica.
Ade guardò casa Gardiner un’ultima volta, poi si volse verso Thanatos, assorto.
-Ma secondo te-chiese, le sopracciglia aggrottate e la risata da cane sparita del tutto-la maledizione del dopo-sbornia esiste sul serio?

 
Questo capitolo è stato un parto, ho ampliato, modificato -penso ancora che Akhlys sia incomprensibile, ma doveva essere così, è una vecchia rincitrullita, come direbbe Pos- e ora avete più di 4000 parole che in realtà sono solo un:''Grazie, per continuare a leggere. Esisto ancora. Baci,spero vi piaccia.''.
Ali
   
 
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