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Autore: Shin4    19/02/2016    5 recensioni
La vita a Beika continua a scorrere ininterrotta. Shinichi si ritroverà a dover fare molte scelte difficili per preservare la sicurezza di chi ama mentre l'ombra dell'organizzazione si allungherà sempre più su di lui. Riuscirà il nostro eroe a mantenere il suo sangue freddo, il suo carisma, mentre il mondo sembrerà crollargli addosso?
La mia storia riprende il manga direttamente a partire dal capitolo 940. insomma fresca fresca di novità cercherò di riempire le vostre giornate con nuovi casi, nuove rivelazioni e forti sentimenti che si dipaneranno attraverso questo racconto che prevede essere una lunga fanfiction all'insegna del crimine
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Indagini e Sospetti
 
Quello era un classico caotico e rumoroso lunedì mattina a Tokio.
Le strade erano bloccate per l’intenso traffico dell’ora di punta e i marciapiedi affollati brulicavano di persone frettolose, di nuovo immerse nella routine settimanale, fatta di lavoro, affanni e piaceri più diversi.
C’era fra di loro però, anche chi camminava a testa china pensieroso, con le mani affondate nelle tasche, senza preoccuparsi di poter venire calpestato per la piccola statura.
Da quando avevano salutato l’agente Jodie infatti, Conan, assorto nei suoi pensieri, non aveva più spiaccicato parola.
“Credi che quell’Akai abbia capito chi sei?” Chiese Heiji irrequieto, interrompendo il silenzio dell’amico.
“È possibile.” Rispose laconico il piccolo detective.
D’altronde era qualche mese che viveva a Villa Kudo e, nonostante gli accorgimenti e le precauzioni prese, l’agente dell’FBI aveva sicuramente avuto più di un’occasione per raccogliere piccoli indizi che lo portassero a capire la sua vera identità. Si doveva essere chiesto più di una volta quale potesse essere il collegamento fra un bambino delle elementari, particolarmente sveglio e intelligente, e il detective liceale, figlio del padrone di casa, assente da quasi un anno. Inoltre, considerando che, pur non avendone mai parlato apertamente, era molto probabile che Akai avesse riconosciuto Ai per ciò che era, ovvero l’ex scienziata dell’Organizzazione Shiho Miyano, non ci doveva aver messo molto ad arrivare alla verità.
Comunque quando lo aveva invitato a restare a casa sua, aveva preso atto di questa eventualità.
“E pensi che possa essere un problema?”
“No, se continua a tenere per sé i suoi sospetti.”
“Allora cos’è che ti preoccupa?” Incalzò nuovamente Heiji, che non capiva quale fosse il punto della questione.
Conan gli lanciò una rapida occhiata corrucciata “Hai sentito no? A parte Akai, gli altri dell’FBI non hanno idea di chi sia intervenuto l’altra sera e di ciò che è successo.”
“Ciò vuol dire che sei stato bravo e non hai lasciato indizi che riconducessero a te.” Sostenne il detective dell’Ovest, rilassandosi in un sorriso e osservandolo dall’alto con le mani dietro la nuca.
“Ma significa anche che non sanno come l’Organizzazione intenda agire” precisò il ragazzino, rimanendo serio “e quindi io non posso fare altro che fidarmi del mio istinto per cercare di prevedere le loro mosse.”
Il problema più impellente infatti, era capire chi dell’Organizzazione stava indagando su di lui e come avrebbe potuto ostacolarli, se non contrastarli, nella loro ricerca. Cosa non facile da fare rimanendo nell’ombra.
“Se mi dici questo significa però, che hai già in mente un’idea per contrattaccare o almeno per evitare che vengano a conoscenza della tua identità.” Replicò prontamente Heiji, sorridendo beffardo e sicuro di sé.
“A quest’ora avranno già iniziato a muoversi. È probabile che Bourbon sia stato incaricato di eseguire le ricerche.” Rivelò Conan senza scomporsi, d’altronde reperire informazioni e indagare era sempre stato il suo ruolo.
“Avrà già avuto per le mani il rapporto di polizia e sarà a conoscenza della presenza delle tre testimoni, Ran, Sonoko e Sera. Cercherà di capire se e cosa hanno visto…”
“Quindi dobbiamo impedire a tutti i costi che Amuro si avvicini e che, parlando con loro, scopra il tuo coinvolgimento: se le ragazze dovessero, anche solo involontariamente, fare il nome di Shinichi Kudo, sarebbero grossi guai per te.” Concluse l’altro per lui.
“Esatto, ed è per questo che tu adesso tornerai immediatamente all’agenzia e starai appresso a Kazuha e Ran, senza lasciarle un attimo. Lei è la prima e la più facile con cui può venire a contatto.” Asserì deciso.
Inoltre era anche quella più coinvolta emotivamente, e la più probabile che si facesse scappare il suo nome anche solo per inveirgli contro.
Heiji si fermò di botto, guardandolo storto “E perché solo io devo fare da balia a quelle due?”
“Non mi pare che controllare Kazuha e starle vicino sia mai stato un problema per te.” Ribatté Conan con un’espressione divertita.
“Non intendevo questo” dichiarò Heiji arrossendo “Volevo sapere cosa farai tu nel frattempo.”
“Io andrò dal Dottor Agasa per fare qualche ricerca sullo scienziato morto, Masaki Nejishi.”
Era probabile che anche quello fosse un buco nell’acqua ma valeva almeno la pena di tentare.
“Mi raccomando Hattori fai attenzione. Amuro è scaltro, manipolativo e nonostante sia abituato ad estorcere informazioni con l’inganno, rimane un ottimo detective.”
“Anche io lo sono. Non ti preoccupare, le ragazze sono in buone mani.” affermò deciso il ragazzo del Kansai, afferrando la visiera del cappello, girandolo e calandolo poi sul viso, in segno che le indagini erano ufficialmente aperte.
Conan lo guardò dileguarsi fra la folla prima di dirigersi nella direzione opposta.
Aveva fiducia nelle capacità di Heiji, sapeva che se si fosse scontrato con Bourbon gli avrebbe coperto le spalle, come sempre, e avrebbe addirittura approfittato della situazione per capire di quanto effettivamente fosse a conoscenza.
Non era questo che lo turbava.
Aveva saputo che il sovrintende di polizia, Hyoue Kuroda, aveva fatto alcune pressioni all’Ispettore Megure per  scoprire l’identità del testimone anonimo. Poteva essere dovuto all’eccessivo zelo e alla necessità che le indagini procedessero al meglio a causa del ruolo che ricopriva, ma poteva anche darsi che il suo fine fosse un altro.
Non aveva detto nulla ad Hattori dei suoi dubbi proprio per evitare che si esponesse e si offrisse di indagare al posto suo, tramite i suoi contatti nella polizia di Osaka.
Se Kuroda era davvero Rum come sospettava, allora significava che anche il secondo uomo più importante dell’Organizzazione era sulle sue tracce ed era necessaria una certa cautela, non lo si poteva affrontare a viso aperto.
Era possibile che un pezzo grosso avesse cominciato a muoversi sulla scacchiera e lui al momento non poteva fare alcuna mossa senza rischiare di uscire allo scoperto.
 
“Non possiamo andare direttamente a casa?”
“Insomma Heiji mi vuoi dire che cos’hai contro questo bar?” esclamò Kazuha indispettita, indicando il Poirot “anche prima non hai voluto saperne di fermarti qui!”
“Ma nulla, è solo che ormai siamo arrivati.” ribadì il ragazzo, cercando inutilmente di costringere l’aikidoka a salire le scale dell’agenzia.
“Io e Ran andiamo a bere qualcosa di fresco. Tu fai quello che vuoi.” dichiarò Kazuha irritata, sfuggendo alla presa dell’amico ed entrando nel bar.
L’altra ragazza, sentendosi presa in causa, cercò di smorzare l’aria tesa dalla piccola lite.
“Hattori-kun se sei stanco, puoi andare da solo in agenzia e aspettarci lì. Tanto mio padre non c’è e, a meno che non torni Conan, nessuno ti disturberà.”
“No, vengo con voi.” replicò lui con uno sbuffo seccato, seguendo la ragazza con la coda di cavallo nel locale.
“Accidenti a Kudo e alle sue idee.” Imprecò poi mentalmente il detective.
Quelle due ragazze lo avevano trascinato in giro per la città per tutto il giorno. Con la scusa che era da un po’ che non andavano a Tokio, Kazuha aveva voluto fare un tour turistico completo: erano passati dal Palazzo Imperiale al Parco Ueno, nonostante non fosse la stagione di fioritura dei ciliegi, dal Santuario Meiji alla Torre di Tokio, salendo fino all’osservatorio, per non parlare poi degli infiniti negozietti di amuleti che aveva osservato con occhi adoranti.
Dopo tutto questo aveva voluto andare anche in quel maledetto bar, dove lavorava Bourbon sotto copertura.
Perché Kazuha non capiva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, ma che semplicemente quello era il posto sbagliato per fermarsi a riprendere fiato?
Scosse la testa con lo sguardo basso mentre prendeva posto a uno dei tavoli, senza notare l’occhiata d’intesa che si lanciavano le due ragazze e il sorriso che faceva capolino sul viso dell’aikidoka.
Osservò però con cura il ragazzo biondo che aveva segnato le loro ordinazioni.
Dalla prima impressione non aveva proprio l’aria di essere un agente segreto, men che mai un criminale. Effettivamente Kudo lo aveva messo in guardia sul fatto che fosse bravo.
I tre giovani passarono tranquilli la prima mezz’ora, continuando a chiacchierare del più e del meno, fino a che non rimase altro che il ghiaccio nei loro bicchieri e allora Amuro si avvicinò nuovamente come un perfetto cameriere, domandando loro
“Posso portarvi qualcos’altro?”
“No” rispose secco il ragazzo del Kansai, di nuovo desideroso di andarsene al più presto.
“Non essere scortese Heiji!” lo riprese Kazuha.
“Siamo a posto così, grazie.” completò Ran con un sorriso.
“Vedo che ti sei ripresa, ieri sembravi piuttosto scossa.” continuò poi il cameriere, ignorando completamente gli altri due e rivolgendo tutta la sua attenzione a Ran.
La ragazza arrossì un poco imbarazzata “Sì beh, ecco…diciamo che non è stata la mia serata migliore.”
Heiji si fece immediatamente attento a quello scambio di frasi. Significava forse che quei due avevano già discusso di quell’argomento spinoso?
“Capita a tutti una giornata no. Ma volevo scusarmi con te se per caso ho detto qualcosa di inopportuno, tirando fuori quella storia.” Replicò il primo con tono mortificato.
“No, no, non è stata colpa tua.” bofonchiò di rimando la karateka, che non aveva molta voglia di affrontare quella conversazione in presenza del miglior amico di Shinichi.
Amuro le sorrise “Sono contento di vedere che una sparatoria e l’improvviso incontro con due uomini sconosciuti non ha minato il tuo morale.”
La ragazza si fece scura in volto ma Heiji si intromise prima che potesse rispondere.
“Non ti sembra di star dicendo qualcosa di inopportuno, adesso?” affermò marcando la voce sulle ultime parole, come chiaro riferimento a ciò che aveva detto lui stesso poco prima.
“Heiji si può sapere che cosa ti prende oggi?” si insinuò Kazuha sconcertata.
Amuro si concentrò su di lui, con lo sguardo che si faceva impercettibilmente più affilato “No ha ragione, sono stato di nuovo scortese. Permettetemi di offrirvi in cambio le vostre consumazioni.”
“Non ce né bisogno!” esclamò Ran, tirando un sospiro di sollievo per aver evitato una situazione che poteva rivelarsi spiacevole sotto molti punti di vista, più di quanti lei potesse immaginare.
I ragazzi avevano pagato il conto e si stavano poi avviando fuori dal locale, quando Heiji venne casualmente urtato da Amuro, mentre si voltava dopo aver preso un’ordinazione.
“Mi dispiace” si scusò subito il cameriere.
“Dovresti prestare più attenzione a chi si muove attorno a te.” replicò brusco il ragazzo del Kansai, prima di seguire le altre che avevano osservato la scena dall’ingresso.
“Anche tu” pensò Amuro trattenendo un sorriso malizioso.
 
“Ma invece che stare qui tutto il pomeriggio a cercare informazioni, non sarebbe stato più facile chiedere direttamente alla polizia?” domandò il professore mentre portava in salotto tre calde tazze di caffè.
“Non poteva farlo.” Replicò bruscamente Ai, afferrando la sua.
“Se Shinichi Kudo si fosse interessato ulteriormente al caso, l’Ispettore si sarebbe insospettito e poi sarebbe stato troppo pericoloso esporsi così, per una pista che non ci sta conducendo da nessuna parte.” Spiegò meglio Conan, smettendo finalmente di digitare sul computer.
Nel momento in cui Ai aveva aperto la porta e se lo era ritrovato davanti, aveva pensato seccata che fosse tornato per aggiornarsi sui suoi progressi con il farmaco, ma aveva dovuto ricredersi immediatamente.
Aveva un’espressione decisa e assorta come quando si apprestava a indagare, e così infatti era stato: aveva passato quattro ore seduto sulla sedia, alternando minuti di sfrenati battiti sui tasti a momenti di silenziosa riflessione, in cui segnava qualche appunto sui fogli da parte per poi riprendere a fissare insistentemente lo schermo.
“Secondo me Nejishi era stato contattato solo come sostituto del Dottor Asai, per fare le sue veci nello scambio.” Commentò la piccola scienziata inghiottendo un sorso del liquido bollente, che l’aiutava a tenere i nervi saldi in attesa del verdetto definitivo del detective.
“Lo credo anche io. Ho controllato e ricontrollato ogni dettaglio, non ho trovato nulla più di quanto già sapessimo.” Confermò il ragazzino con un sospiro rassegnato.
Per quanto lui potesse essere contrariato per il punto morto a cui erano giunte le indagini, lei invece non poteva che esserne felice: si era già esposto troppo per impossessarsi di quel dischetto, non occorreva correre altri insulsi rischi.
“Non varrebbe la pena di dare almeno un’occhiata al suo appartamento?” suggerì il Dottor Agasa, prendendo posto sul divano.
Ai scosse la testa “Sarebbe inutile. La polizia l’avrà sicuramente già perquisito, e se anche ci fosse stato qualcosa di rilevante gli Uomini in Nero avrebbero fatto sparire ogni traccia riconducibile a loro.”
“Per di più” continuò il ragazzino con un tono basso, quasi parlasse tra sé e sé e non volesse farsi sentire “potrebbe darsi che lo tengano sotto controllo nel caso in cui, chi ha compromesso lo scambio, decidesse stupidamente di farsi vivo.”
Il Dottor Agasa strabuzzò gli occhi prendendo atto della minaccia inespressa racchiusa in quelle parole, mentre Ai venne percorsa da un brivido che intaccò la sua finta imperturbabilità.
L’ansia e la paura, che da alcuni giorni tentava di reprimere, iniziarono a insinuarsi prepotenti: sentiva l’ombra nera dell’Organizzazione allungarsi su di lei e il fiato di Gin, pronto ad afferrarla, sul suo collo.
Finalmente pose a Conan la domanda che non aveva ancora avuto il coraggio di fare in modo così diretto
“Sei sicuro che non ci sia modo di risalire a te?”
Un rapido guizzo di incertezza oscurò per un attimo il blu intenso dei suoi occhi, prima che vincolasse lo sguardo limpido e deciso al suo e la tranquillizzasse con un sorriso.
“Ne sono sicuro.”
Ma lei lo aveva colto quel breve momento di esitazione, così quando lui di lì a poco se ne andò, si avviò silenziosa verso le scale del laboratorio.
“Ai-kun non vorrai rimetterti subito al lavoro, vero? Dovresti riposare” le disse preoccupato il dottor Agasa, ancora un po’ scosso dalla precedente conversazione.
“Devo approfittare del tempo libero di questi giorni.” replicò la piccola scienziata senza voltarsi.
Ma in realtà non era per quello che stava per rimmergersi fra le sue provette e i suoi calcoli complicati.
Aveva la brutta sensazione che presto o tardi Kudo sarebbe entrato trafelato da quella porta per chiederle nuovamente un antidoto e che lei quella volta non avrebbe potuto rifiutare.
 
Non aveva fatto che pochi passi fuori dal locale che aveva già in mano il cellulare.
“Ragazze andate avanti, devo fare una telefonata e vi raggiungo.” annunciò Heiji con un tono deciso.
Kazuha anche se perplessa annuì, e segui la karateka su per le scale dell’agenzia.
Selezionando il numero dalla rubrica, continuò ad osservare Amuro di sottecchi, attraverso la vetrina del bar, mentre si destreggiava tranquillo fra i tavoli.
“Puoi parlare?” disse a bassa voce, voltandosi e allontanandosi da occhi indiscreti.
“Sì, sono solo, perché cos’è successo?”
“Lo abbiamo incontrato. Avevi ragione sta raccogliendo informazioni.”
“Ha scoperto qualcosa?” chiese Conan con la voce leggermente agitata.
“Ha parlato con Mori già l’altra sera. Probabilmente quando le due ragazze sono uscite, sono venute qui. Però tranquillo, non sa nulla di compromettente.” Replicò il detective dell’Ovest, lasciandosi sfuggire un sorriso.
“MALEDIZIONE HATTORI NON POTEVI DIRLO SUBITO?”
Scostò un attimo il telefono dall’orecchio per riprendersi dalle grida del ragazzino che gli avevano forato un timpano. Era il solito esagerato, se la prendeva sempre per nulla.
“Ehi, ehi non urlare, non sono mica sordo!”
Percepì uno buffo seccato dall’altro lato del ricevitore “Siete a casa adesso?”
“Sì, le ragazze sono già salite. Io prima ti ho chiamato.” Rispose lasciando scorrere lo sguardo verso l’alto, fino alle scritte sui vetri del primo piano.
“Sono appena uscito dalla casa del dottore, sarò lì fra poco.”
“Va bene, ne riparleremo dopo allora.” concluse prima di riattaccare.
Avviandosi su per le scale, ripercorse mentalmente la conversazione di poco prima. Forse Kudo stavolta si era sbagliato, a lui quell’uomo non era sembrato poi così scaltro.
Ripensò alla scarsa sottigliezza con cui Bourbon aveva fatto le domande e all’ingenuità con cui aveva chiaramente mostrato il suo interesse verso l’accaduto di quella infausta sera.
Però c’era qualcosa che non lo convinceva, un particolare che non riusciva a metter bene a fuoco.
Se in quel momento avesse visto il sorriso malizioso e lo strano luccichio che pervadeva gli occhi del soggetto dei suoi pensieri, probabilmente avrebbe capito.
 
Nonostante fosse stanca e abbattuta, aveva deciso che quella sera avrebbe preparato una cenetta speciale per i suoi ospiti, soprattutto per ringraziare Kazuha, che quel giorno con la sua allegria e leggerezza aveva fatto di tutto per cercare di tenerle alto il morale e farla sorridere.
Anche perché Ran era effettivamente riuscita a distrarsi: lui non aveva mai abbandonato del tutto i suoi pensieri, però era rimasto confinato in un angolino nascosto della sua mente, almeno fino a quando Amuro non glielo aveva bruscamente ricordato.
Erano bastati due minuti per sprofondare di nuovo nel baratro della tristezza e dello sconforto, un baratro nero che sentiva allargarsi sempre di più sotto i suoi piedi, oscurandole la vista e appannandole i sensi.
Si perse, affondando fra i suoi pensieri cupi, finché una voce sottile di bambino la riportò a galla, ancorandola alla realtà.
“Ciao, sono a casa!” annunciò Conan con tono leggero.
“Era ora che tornassi, pensavo di dover fare tutto da solo.” borbottò Heiji, seduto a braccia incrociate sul divano, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del piccoletto.
“Conan-kun finalmente! Ma cosa hai fatto dal Dottor Agasa fino ad ora?” chiese Ran affacciandosi dalla porta della cucina.
Lo vide avvicinarsi cauto, mentre osservava attento la reazione di lei a ogni suo movimento, memore della freddezza che gli aveva riservato dopo l’irruente accoglienza della sera prima.
“Il dottore era dovuto uscire e Ai non stava molto bene, così sono rimasto a farle compagnia.” Spiegò con voce un po’ incerta, come se si aspettasse che quella spiegazione non venisse ritenuta sufficiente.
Si sentì in colpa: doveva averlo scosso parecchio se si comportava così nei suoi confronti.
Cercò di rimediare mostrandosi il più gentile possibile “Sei stato carino a preoccuparti per lei. Sta meglio adesso?”
Una risata sommessa provenne dalla direzione del divano, ma venne coperta dalle parole del bambino
“Sì, si è già un po’ ripresa.”
Soddisfatta della risposta, Ran ricominciò ad affaccendarsi ai fornelli.
Non si accorse subito che il ragazzino l’aveva seguita in cucina e stava adocchiando affamato la torta sul tavolo.
Mentre si girava per prendere alcuni ingredienti dalla dispensa, lo colse in fragrante mentre cercava di assaggiare un po’ di panna con un dito.
“CONAN!”
Il piccolo ebbe un brivido: anche se lei non poteva saperlo, aveva usato esattamente lo stesso tono con cui lo riprendeva nelle vesti da liceale e in genere, se non correva subito ai ripari, questo non preannunciava mai nulla di buono.
Ran lo vide voltarsi lentamente, ma non sembrava particolarmente pentito.
“Era così invitante che non ho saputo resistere” si scusò lui leccandosi il dito “e poi dai, non si nota nemmeno che ne ho assaggiato un pezzettino.”
In viso uno sguardo impertinente e un mezzo sorriso, come se volesse sfidarla a dire il contrario.
Era la stessa espressione che le rivolgeva sempre Shinichi tutte le volte che lo aveva beccato a fare qualcosa di male.
“Va bene, passi per questa volta, ma non farlo più.” Lo rimproverò lei, senza però essere in grado di trattenere un sorriso.
Non riusciva ad arrabbiarsi seriamente con lui, non se la guardava così.
Venne travolta da un’ondata di malinconia e si lasciò andare ai ricordi. La cosa che più le mancava erano proprio i momenti come quelli, dove colui che era stato il suo appassionato di gialli era capace di farla ridere anche solo con un piccolo gesto o poche parole.
“Che c’è?” si sentì chiedere, mentre una mano le afferrava la manica per richiamare la sua attenzione.
Perché si dimenticava sempre che quel ragazzino riusciva a leggerle dentro con la stessa facilità con cui solo un’altra persona riusciva a fare?
“Niente, va tutto bene.”
Lui la scrutò pensieroso negli occhi per qualche secondo, prima di pronunciare una frase che la spiazzò completamente
“Io non ti ho abbandonato, né lo farò mai Ran…neechan.”
Il tono troppo serio, che cozzava inevitabilmente con la voce fanciullesca.
Lo osservò stupita per un attimo, prima di ricordare le parole con cui lo aveva accolto la sera prima e comprendendo ciò a cui si riferiva
“Sei tornato finalmente, pensavo mi avessi abbandonato anche tu.”
Un sincero e caloroso sorriso, che venne immediatamente ricambiato, le illuminò il volto “Grazie di cuore Conan-kun”
In quel momento, i due sentirono qualcuno schiarirsi la voce alle loro spalle, e Conan, riconoscendone il proprietario, si fece subito rosso in volto.
“Se avete finito” disse Heiji con un’espressione divertita “avrei bisogno di parlare un attimo con il piccoletto.”
“Oh, sì certo” replicò Ran, inspiegabilmente imbarazzata.
Kazuha, che aveva anche lei assistito alla scena da dietro la porta, s’intromise rimbeccando, per l’ennesima volta in quella giornata, il giovane dalla pelle scura
“Heiji ma è possibile che tu non abbia mai un po’ di tatto?”
“È questo cosa vorrebbe dire?” domandò il diretto interessato.
“Sei sempre scortese e invadente con tutti!”
“Questo non è vero.”
“Sì invece.” Affermò decisa l’aikidoka “Anche oggi ti sei comportato malissimo con quel gentile cameriere del Poirot”
“Ma se è stato lui il primo a essere scortese e invadente con Mori-kun” ribatté Heiji facendo il verso alle parole dell’amica.
“Lui si è dimostrato sensibile e comprensivo, mentre tu non ti sei nemmeno scusato quando l’hai urtato prima di uscire!” continuò imperterrita Kazuha, senza che Ran avesse il coraggio di intromettersi per porre fine a quell’inutile discussione.
“Ti sei scontrato con Amuro-san?” chiese Conan perplesso, pensando che quel ragazzo non era mai stato una persona goffa.
“Ma se è stato lui ad urtare me e infatti è sempre stato lui a scusarsi.” replicò Heiji seccato, credendo che anche l’amico fosse contro di lui.
Prima che Kazuha avesse il tempo di riaprire bocca, Conan si intromise di nuovo richiamandolo con tono allarmato “Heiji-niichan!”
 
Era stato facile, fin troppo facile fregare quel detective di Osaka.
Era bastato esporsi un pochino più del dovuto, mostrarsi risentito per essere stato interrotto e, quando lo aveva volutamente urtato per mettergli la cimice addosso, non si era accorto di nulla, non si era nemmeno insospettito.
Era caduto nella sua trappola come un ragazzino alle prime armi.
Non appena lo aveva visto comparire al fianco di quel bambino con gli occhiali, si era immediatamente informato su di lui: Heiji Hattori, figlio del capo della polizia di Osaka Heizo Hattori, un brillante e giovane detective, conosciuto soprattutto nella zona Ovest del Giappone.
Quando aveva seguito lui e Conan, e li aveva visti parlare con quell’agente dell’FBI aveva perfino valutato, per un momento, la possibilità che fosse proprio lui il ragazzo che stava cercando.
Hattori era acuto, agile e scattante di mente e aveva già molti casi al suo attivo, non era assurdo pensare che in qualche modo fosse rimasto invischiato in quella faccenda.
Ma aveva un difetto, che gli aveva permesso, quel pomeriggio stesso, di escluderlo come sospettato non appena era uscito dal bar: era troppo impulsivo.
Amuro sorrise ripensandoci.
Non appena aveva messo piede fuori dal locale, istigato dalle parole che aveva rivolto alla figlia del detective Mori, aveva fatto una telefonata per informare qualcuno dell’accaduto.
Aveva potuto sentire solo ciò che aveva detto Hattori e non il suo interlocutore. Quest’ultimo rimaneva ancora un sconosciuto poiché non era mai stato chiamato per nome, però c’era la possibilità, non molto remota, che si fosse trattato proprio di quel ragazzo che aveva messo i bastoni fra le ruote all’Organizzazione.
Ad ogni modo, anche se non fosse stato lui, poteva comunque presumere che quel detective dal forte accento del Kansai sapesse più di quanto dava a vedere, come quel moccioso con gli occhiali.
“Se avete finito, avrei bisogno di parlare un attimo con il piccoletto.”
“Oh sì, certo”
Eccolo il momento che tanto aspettava e in cui non aveva osato sperare: finalmente avrebbe scoperto di più non solo sul suo obiettivo, ma anche su quel ragazzino ficcanaso.
“Heiji ma è possibile che tu non abbia mai un po’ di tatto?”
Di nuovo quella ragazza impicciona, era già la terza volta che si metteva in mezzo.
Se quei due perdevano tempo a litigare, c’era il rischio che tutto andasse a monte.
“Sì invece. Anche oggi ti sei comportato malissimo con quel gentile cameriere del Poirot”
“Ma se è stato lui il primo a essere scortese e invadente con Mori-kun”
“Lui si è dimostrato sensibile e comprensivo, mentre tu non ti sei nemmeno scusato quando l’hai urtato prima di uscire!”
“Ti sei scontrato con Amuro-san?”
Ehi, cosa stava succedendo, perché Conan si era intromesso?
“Ma se è stato lui ad urtare me e infatti è sempre stato lui a scusarsi.”
“Heiji-niichan!”
Amuro si bloccò mentre stava riponendo le tazzine sopra la macchina per l’espresso: il tono di quel bambino era troppo allarmato.
“C-che c’è?”
“Puoi venire di là un attimo con me?”
Un terribile dubbio si insinuò nella sua mente.
Si portò una mano all’auricolare, per escludere il vociferare di sottofondo del bar, che aveva iniziato ad essere affollato, prestando la massima attenzione al dialogo spiato che stava avvenendo qualche metro sopra di lui.
Udì per qualche secondo solo un fruscio di abiti e il tonfo leggero dei passi, prima che i due ricominciassero a parlare.
“Si può sapere che accidenti ti è preso C…”
“NON CHIAMARMI PER NOME!”
Era davvero possibile che fosse bastato un rapido scambio di frasi perché quel ragazzino avesse capito tutto?
Adesso c’era silenzio, solo il rumore di una porta sbattuta con forza.
“Togliti la giacca. Controlla le tasche, i risvolti delle maniche e sotto al colletto.”
“Ma che diavolo…”
E poi un forte fischio gli trapassò l’orecchio, costringendolo ad un gesto convulso.
“Accidenti!” esclamò con uno scatto di rabbia.
“Tutto bene Amuro-san?” chiese Azusa preoccupata, non lo aveva mai visto reagire così.
“Sì scusa, mi sono solo scottato inavvertitamente con il caffè” replicò lui, riprendendo immediatamente il controllo di sé “vado di là un attimo per prendere la cassetta del pronto soccorso.”
Avevano trovato e distrutto la cimice.
No, non loro. Era stato lui a farlo. Conan.
Amuro sbatté forte il pugno contro il muro e vi appoggiò la testa bionda, fissando lo sguardò atterrito e sgomento al pavimento.
Come era possibile che nell’arco di soli due minuti quel bambino avesse intuito, accertato e reso vano il suo piano?
Nessuno si era accorto di nulla tranne lui.
“Chi sei veramente ragazzino?”
 
“Heiji-niichan!”
Le parole gli uscirono di bocca senza che ne fosse certo al cento per cento. Ma poteva forse rischiare e non controllare? Assolutamente no. 
Tutti si girarono e abbassarono il capo verso di lui. 
“C-Che c’è?” chiese Heiji preoccupato, d’altronde non poteva essere un caso se aveva deciso di pronunciare quel suffisso che odiava. Doveva esserci qualcosa che non andava, poteva averlo fatto solo per non destare sospetti.
“Puoi venire di là un attimo con me?”
Conan non attese nemmeno la risposta e iniziò a trascinarlo per la manica, lasciando le ragazze stranite da sole in cucina.
“Ma che cosa gli è preso?” domandò Kazuha perplessa.
“Lo sai che quei due ogni tanto si comportano in modo strano.” replicò Ran con un alzata di spalle, confusa quanto lei.
Gli altri due intanto arrancavano per il corridoio, con Heiji che sembrava non volersi decidere a darsi una mossa per seguire il piccolo detective, anzi cercava di impuntarsi per risolvere immediatamente la questione.
“Si può sapere che accidenti ti è preso K…”
“NON CHIAMARMI PER NOME!” lo aggredì Conan, interrompendolo appena in tempo prima che pronunciasse il nome Kudo.
Heiji smise di fare resistenza e lesse negli occhi dell’amico l’urgenza di fare in silenzio ciò che diceva.
Raggiunta la camera che condivideva con Kogoro, il ragazzino chiuse rapidamente la porta alle sue spalle e poi gli ordinò in tono serio e deciso
“Togliti la giacca. Controlla le tasche, i risvolti delle maniche e sotto al colletto.”
Il ragazzo dalla pelle ambrata seguì alla lettera le istruzioni senza fiatare, fino a che non trovò un piccolo oggetto dalle linee smussate in una delle pieghe del polsino.
“Ma che diavolo è questo coso?”
Non fece in tempo a finire la frase che l’altro l’aveva già distrutto.
Conan tirò un sospiro di sollievo per il disastro appena sventato “Era una cimice.”
“Che cosa?”
“Deve avertela messa addosso Amuro quando vi siete scontrati.”
“E pensava che non me ne sarei accorto prima o poi?” disse Heiji adirato, più con sé stesso, per essersi fatto ingannare, che con altri.
“Credo fosse uno di quei modelli che si dissolvono in poche ore, lì usano soprattutto per monitorare le nuove reclute.” Replicò il piccolo, ricordando di come allo stesso modo era saltata la copertura di Ethan Hondo, agente della CIA e padre di Hidemi, alias Kir.
“Non prendertela con te stesso” continuò poi vedendo la reazione dell’amico “era la prima volta che ti scontravi con Bourbon, avrei dovuto darti maggiori dettagli sul suo conto e allora avresti saputo che non è da lui compiere involontariamente un’azione così goffa come urtare qualcuno. Ma non avevo pensato che avrebbe osato tanto.”
Rimasero in silenzio qualche minuto ripercorrendo mentalmente tutto ciò che era stato detto, o anche solo sussurrato, da quando il detective del Kansai aveva lasciato il locale, per capire di quanto si fossero esposti e contemplando i possibili negativi risvolti di quella spiacevole situazione.
“Fortunatamente non ha avuto il tuo nome.” asserì alla fine Heiji con un sospiro.
“Però adesso sa che sappiamo, dovremo stare ancora più attenti.”
  
Stava sorseggiando con calma un bicchiere di scotch, mentre faceva scorrere lentamente gli occhi sui dieci nomi della lista che teneva in mano.
Fra quelli era certo ci fosse anche quello del ragazzo che lo stava facendo tanto divertire.
Non doveva fare altro che controllarli uno per uno.
Un ghigno sadico si delineò sul suo volto alla prospettiva di ciò che lo aspettava.
Nonostante tutto non poteva non ammirare un poco quel ragazzo, che come lui si destreggiava agendo nell’ombra, mandando avanti gli altri al suo posto.
Ma proprio perché lui era il supremo maestro burattinaio, che eccelleva nell’arte del travestimento e della manipolazione, sapeva bene che, per colpire chi si celava, bastava seguire attentamente i quasi invisibili fili che dipartivano dalle marionette: partendo dall’Ispettore Megure, e controllando fra i suoi contatti più fidati, sarebbe presto arrivato a chi cercava. Non poteva fallire.
D’altronde lui era l’ombra nera in piena luce.
Lui era Rum.
 
 
 
Angolo D’Autrice
Salve!
Ringraziò chiunque sia arrivato fin qui e abbia letto queste 5000 deliranti parole (Già perché sono proprio 5000).
Inizialmente non volevo investirvi con un capitolo così lungo, ma purtroppo mi sono fatta prendere un po' troppo la mano -.-‘
Quindi vi prego fatemi sapere cosa ne pensate e se ho effettivamente esagerato.
Ho cercato di alleggerire il tono un po’ cupo e molto investigativo inserendo un piccolo dolce momento fra Conan e Ran, e quella scena è l’idea migliore che mi sia venuta in mente.
E voi mi direte anche stavolta torta con panna (tranquilli niente sorprese sotto quel punto di vista stavolta! ^^)
Solo un’ultimissima piccola precisazione e poi vi lascio andare:
le ultime tre scene sono un po’ ripetitive lo so, ma volevo sottolineare bene le reazioni dei diversi personaggi e soprattutto che mentre Amuro ha capito Conan, Heiji intendeva Kudo… ;)
Baci e ancora mille grazie
Shin4
   
 
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