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Autore: Fanny Jumping Sparrow    19/02/2016    4 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente!)
Finalmente, tra impedimenti vari - compresa la sparizione improvvisa di segnale internet -.-", ce l'ho fatta ad aggiornare questa interminabile fanfiction ^.^

In questo nuovo capitolo, come nel precedente, ho deciso di concentrarmi sull'azione e ridurre un po' le introspezioni. Inoltre, come avevo già anticipato nella mia pagina Fb (per chi mi segue anche lì), ho voluto inserire altri due personaggi del mondo Dragon Ball, che potrebbero o non potrebbero ricomparire in qualche altro momento.
Oramai ci avviamo agli ultimi capitoli, per cui spero che il mio approccio ai personaggi, la loro parziale evoluzione risulti credibile - è sempre Vegeta a darmi più grattacapi, perché mi pare di renderlo un po' troppo docile ... D'altronde mi sento giustificata perché ho scelto il genere commedia :v

Ringrazio lettori vecchi e nuovi che continuano a seguirla e a metterla nelle loro liste: il vostro interessamento per questa storia mi è di grande sprono e mi scuso per la lentezza degli aggiornamenti.
Dedico il capitolo a miwako che si è imbarcata da poco ma mi ha sorpresa per la velocità con cui ha letto questa mia deliranza, porgendole, anche se in vergognoso ritardo, i miei auguri.

Al prossimo approdo!)

XXVII - QUICKSAND

Il sartiame e le giunture frusciavano e crepitavano, quasi lamentandosi sotto la resistenza che il solido scafo opponeva alle alte onde, girando intorno al proprio asse per sottrarsi alle fiammate che investivano lo specchio di poppa.
La graduale strambata servì alla Bloody Wench a distanziare il veliero aggressore, ma Capitan Vegeta non si sarebbe accontentato di circoscrivere il rischio. Non contemplava mai la resa. Nessuno poteva osare attaccarlo e sperare di scampare alla sua reazione. Non avrebbe lasciato mai correre un affronto di quella portata, soprattutto conoscendo l’intento e la caratura di chi lo aveva perpetrato.
- Cannonieri! Fuoco a profusione! – seguitava a ruggire come un ossesso, le sclere iniettate di collera e furia, tutti gli arti scalpitanti dalla smania inesaudibile di catapultarsi direttamente su di lui e risolvere da sé l’annosa diatriba che credeva di aver già sepolto in fondo al mare.
Un paio di palle di cannone sfrecciarono sulle loro teste, colpendo la parte superiore del cassero e disseminando ancora detriti e fiamme.
- Difendete l’albero maestro! – urlò Radish, sputando e tossendo tra il fumo, la polvere e il sangue che gli ammorbavano la bocca e le narici.
Le cannonate del nemico continuavano a susseguirsi con cadenza aritmetica, e gli uomini, anziché resistere e contrattaccare, sembravano oramai cedere al terrore e allo sconforto della disfatta.
Bulma, sballottata e tramortita da quell’andirivieni di proiettili, schegge e urla che falciavano il ponte, racimolò tutto il coraggio e la determinazione che le restavano per cercare di inserirsi in quel parapiglia e limitare le probabilità di un tragico e irreparabile disastro. Abbandonò la rientranza posta dietro l’agghiaccio1 in cui era rimasta rintanata fino ad allora, al riparo dalle esplosioni, e approcciò il Capitano, intento a dettare rettifiche alle vele e alle sartie.
- Dovete richiamare subito i vostri uomini e annullare questa follia! – lo scongiurò, spingendo con tutte le sue forze le mani contro le sue braccia per smuoverlo dal timone.
- Siamo sopravento, quel verme non avrà occasione di infilarsi – ribatté imperioso lui, scrollandosela di dosso con una spallata, impassibile ai suoi vacui tentativi di sviarlo.
La turchina rumoreggiò per l’onta ma non demorse ancora. Non poteva assolutamente permettere che una decisione affrettata e offuscata dall’euforia del momento mandasse alle ortiche anni di ricerche e sacrifici, si era spinta troppo oltre. Sebbene sfinita, fisicamente e moralmente, si sorresse alle cime per rialzarsi e tornò alla carica: - Avete la più pallida idea di cosa sia quell’arma che stanno usando contro di noi? Fuoco greco2! Una miscela di pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva! È come se ci stessero gettando addosso del carburante e questo vascello fosse un deposito di esplosivo! Una piccola scintilla e finiremmo per saltare tutti per aria!
Vegeta non si preoccupò neppure di abbassare gli occhi per guardarla o di sprecare fiato per risponderle. Quella donna era un’incorreggibile impicciona, ma anche una straordinaria miniera di conoscenze. E se il suo assunto corrispondeva al vero, come oramai temeva, gli conveniva rinnegare quell’irrefrenabile impulso di mozzarle la testa e magari cambiare strategia.
Il suo galeone stava subendo troppi danni, la scontro si protraeva da troppi minuti, gli uomini continuavano a morire e anche se di loro non gli importava granché, l’eventualità di perdere tutto ciò che aveva conquistato, non senza rinunce e dolore, per la prima volta dopo molti anni gli instillò la disturbante sensazione che il terreno gli mancasse sotto i piedi. Ed era una sensazione nuova e assurda, considerando che aveva praticamente vissuto da sempre sul mare.
A malincuore lasciò parlare il suo tumulto interiore: - Non posso voltargli le spalle di nuovo. Ho già commesso questo errore in passato e questo è stato il risultato. È ritornato – mormorò stringendo i pugni inferocito, identificando l’enorme mortaio lanciafiamme che sbucava dalla parte centrale della prua di quel vascello come una grossa lingua di rettile. Tipico di lui.
La Brief lo scrutò attonita, seriamente stupita e turbata da quella confessione e dalla frustrazione che l’aveva contrassegnata: - Di chi diavolo state parlando? – domandò esterrefatta, tamponandosi un flebile rivolo di sangue che le usciva dal labbro spaccato.
Vegeta inghiottì una bestemmia e distolse lo sguardo, prima che tutto diventasse fatalmente sfocato.
- E va bene. Modificheremo l’angolo della gittata, per colpire con esattezza solo gli obiettivi cruciali e dirottarlo – si risolse dopo qualche secondo, aguzzando le iridi fosche verso il confine fra il cielo e le onde che si estendevano davanti a sé.
- Posso aiutarvi con i calcoli. A questa distanza trovare la corretta combinazione potrebbe rivelarsi meno semplice del previsto – intervenne l’azzurra, arrabattandosi a rovistare dentro l’inseparabile borsa a tracolla per recuperare i suoi strumenti astronomici.
Il pirata la scansò da sé, incurante delle sue profferte, sporgendosi verso la balconata: - Nappa! – tuonò imbizzarrito, sovrastando gli scoppi che li attorniavano.
Il corpulento quartiermastro arrancò prima che poté fino alla plancia, premendosi una ferita di striscio che gli aveva aperto un taglio su un ginocchio.
- Sostituiscimi al timone – gli impartì con autorità il Capitano – E tienila ferma, se ce la fai.
La piratessa stava per aprire bocca e protestare, credendo che si riferisse a lei, quando il braccio del suo collega si agganciò intorno al proprio e le sue gambe dovettero muoversi rapidamente per stargli dietro, mentre la forzava a scendere la rampa verso il ponte inferiore.
A causa delle fiamme propagatesi a bordo, la situazione nei locali dabbasso stava peggiorando e anche la condizione dell’alberatura era compromessa.
- Dovete sbrigarvi a domare quell’incendio – le impose senza sciupare troppi convenevoli Capitan Vegeta, allentando la stretta avvincente con cui l’aveva trattenuta a lui e sospingendola verso il boccaporto.
Milioni di improperi attraversarono la mente di Bulma. I loro caratteri forti e fieri erano inconciliabili, tentavano sempre di prevaricarsi a vicenda, ma i litigi non portavano a nulla di risolto. Solo per quel motivo si frenò dal mandarlo al diavolo.
- Posso provarci. Forse potrei anche riuscirci, se solo avessi un po’ di collaborazione – lo rimbeccò, tanto per chiarire che non era succube del suo volere e gli stava soltanto facendo un favore perché adesso erano tutti in serio pericolo.
Il filibustiere, che le aveva già rivolto la schiena apprestandosi a raggiungere le batterie, si arrestò quasi gli avessero sparato, scoccandole un impietrito sogghigno di convenienza.
- Radish! – richiamò con dispotismo il suo secondo, che si barcamenò a raggiungerlo il prima possibile tra il tuonare dei cannoni avversari – Esegui esattamente quello che ti ordina – si limitò a intimargli in maniera improrogabile.
Bulma si rimboccò le maniche, ponderando l’entità dei danni cui avrebbe dovuto rimediare. La reazione chimica sviluppata da quella mistura era rapida e irreversibile. Il legno si stava sbriciolando come sotto l’effetto di un potente acido, e le secchiate d’acqua che i marinai continuavano a rovesciarvi sopra per tentare di spegnerlo, alimentavano la combustione anziché frenarla. Le occorse una rapida osservazione per decidere.
- Sabbia e aceto! Portate tutto quello che avete stivato. È l’unica maniera per estinguerlo – comandò risolutamente, sbracciandosi per richiamare quante più orecchie possibili.
Radish però le faceva muro: - Fanculo – gracchiò sputando e tacciandola con spregio. Sottostare alle stramberie di una donna doveva essere per lui inconcepibile.
Il suo ottuso ostruzionismo le contorse le budella. Doveva aspettarselo da un villano della sua risma, ma conosceva bene il principale movente che guidava le azioni di chi si dava alla pirateria.
- Senti, scimmione, evita di fare lo spaccone. Non fosse per me, tu e i tuoi compari la vostra parte di tesoro ve la potreste sognare! – gli rinfacciò di tener presente, mostrandosi per nulla spaventata dalla sua gratuita intimidazione.
Il farabutto sputò di nuovo irritato, riconsiderando che forse quella ragazzina non aveva tutti i torti. Aveva notato che, per qualche inimmaginabile via traversa, in pochi giorni si era guadagnata un certo ascendente sul Capitano. E sarebbe stato più prudente tenersela buona in caso di rivolgimenti, prestandosi ad aiutarla.
- Sabbia e aceto! – ripeté a squarciagola l’avventuriera, sciogliendosi in un sorrisino soddisfatto dopo aver ottenuto la sua rivincita, pur friggendo per non poter partecipare in prima persona a quella che riteneva la parte più eccitante della battaglia.
Capitan Vegeta intanto stava fomentando quel che restava della ciurma.
- Ascoltatemi! Abbiamo il vento dalla nostra, ma siamo comunque in una posizione di svantaggio. Ora come ora, ci offrono un bersaglio limitato e non possiamo permetterci deviazioni per andarli a fottere. Perciò dobbiamo cambiare tattica ...


L’agitazione silente che regnava a bordo della Ice Lord fu sovvertita dal fragore di una poderosa cannonata che dimezzò irrimediabilmente l’albero prodiero, con una precisione quasi chirurgica.
Aveva pazientato e atteso quella mossa, osservando con palpabile interessamento le manovre del suo ex protetto, perché sapeva che quando entrava in competizione con qualcuno si lasciava trascinare dall’ardore incontrollato e agiva d’istinto, ma poi il suo acume strategico veniva fuori e dava il meglio. Era proprio ciò che voleva stuzzicare, in previsione dello scontro finale.
Una seconda palla incendiaria raggiunse l’obiettivo, travolgendo la parte superiore dell’albero maestro che nella sua rovinosa caduta tramortì mortalmente un manipolo di marinai.
Zarbon, il nuovo timoniere che in quel frangente era responsabile anche delle squadre di artiglieria, aspettava il momento propizio per far ripartire l’offensiva, ma ricevette un ordine opposto.
- Cessate il fuoco e riprendete la rotta. Il nostro messaggio è arrivato chiaro e forte – comandò appagato il Capitano, facendo per allontanarsi dal cassero di prora.
Il suo luogotenente temette di aver inteso male: - Capitan Freezer. Li abbiamo sotto tiro. Possiamo polverizzarli! – affermò esaltato, volendo primeggiare come suo più devoto sostenitore.
La sua smaccata adulazione gli dava la nausea.
- Non oggi – lo zittì lapidariamente l’albino, rimarcando ancora una volta le sue priorità – Siamo in vantaggio rispetto alla sua tabella di marcia. Lo attenderemo al varco, preparandogli una bella esca.


L’acceso bagliore del giorno abbacinava le pupille, riverberandosi nelle acque piatte come olio che circondavano il remoto isolotto.
Il paesaggio ameno e verdeggiante risuonava del canto di grilli e cicale e del cinguettio di altri piccoli volatili, eppure una calma surreale aleggiava tra gli alberi rigogliosi di frutti dalle forme e colori stravaganti che aveva dovuto astenersi dal toccare, e l’eco dei propri passi sul ghiaietto del sentiero sterrato sovrastava ogni altro suono.
Tutto sommato, eccetto quell’interminabile e tortuosa salita che si avvolgeva come un gigantesco serpente attorno alla boscosa collinetta, quel posto sperduto non era così inaccessibile. In quei due giorni di cammino non aveva incontrato trabocchetti o ostacoli di altra sorta che si interponessero al suo tragitto, anche se adesso l’aria sempre più rarefatta gli rendeva la testa leggera e le orecchie fischiavano fastidiosamente per l’altitudine elevata.
La Castle of Fire, ancorata a circa un miglio dalla costa, appariva appena come una macchiolina in quella distesa azzurra e sconfinata.
Goku trascinò stancamente ma con immutata tenacia le gambe, continuando ad inerpicarsi su per quella stradina stretta ed impervia, chiedendosi ad ogni nuovo tornante quando mai sarebbe giunto in cima e quali sembianze avrebbe avuto l’unico misterioso abitante che da tempo immemore dimorava lì in completo isolamento dal resto del mondo.
Procedendo di buona lena, si ritrovò in una radura spoglia e nebbiosa, mentre all’ennesimo sbuffare una nuvoletta di fiato si condensava nell’aria divenuta più che frizzante.
- Urca! Non mi avevano detto che ci sarebbe stato questo freddo! – commentò spontaneamente ad alta voce tra sé e sé, sfregandosi le braccia sul busto e rimpiangendo di non aver avuto l’accortezza di indossare un giaccone di lana.
Ad un tratto avvertì un subitaneo spostamento, provocato da qualcosa di invisibile e molto veloce, che la sua vista, assorta da altri pensieri, non riuscì a cogliere. Un bruciore secco gli ferì la guancia destra e il respiro si fece rumoroso e spesso, attutendo ogni altro fruscio circostante. Toccandosi con la punta delle dita capì che qualcosa l’aveva graffiato. Un taglio preciso, millimetrico, inferto da qualcuno che doveva possedere l’abilità di infliggere ferite ben più gravi. Aveva avuto l’imponderabile sensazione di essere spiato, ma, nonostante versi e fruscii indefiniti, non aveva scorto alcun vero segno di vita.
Un lieve formicolio gli percorse i nervi, suggerendogli di sguainare lestamente la spada e assumere una posizione di guardia, saettando gli occhi tra i rami e i cespugli, continuando ad avanzare circospetto, cercando di produrre il minimo tramestio sui sassolini del selciato, finché quel sibilo non si ripropose e una figura alta e mascherata si materializzò davanti a lui, brandendo una lama lucente e pericolosamente affilata.
L’imperscrutabile guerriero gli concesse un rapido istante di ricognizione prima di cozzare con clangore contro di lui, costringendolo ad ingaggiare un duello forsennato. Attaccava in silenzio e con fervore, rifilandogli violente stoccate e fendenti e misurati, studiando le sue vulnerabilità ma trovandolo sempre preparato a rispondere ad ogni suo assalto.
Goku aveva milioni di domande che si addensavano ed evaporavano di fronte alla necessità di non perdere neppure un briciolo di concentrazione in quella difficile tenzone. Ciò che lo destabilizzava era il fatto che quel formidabile avversario non sembrava davvero intenzionato ad ucciderlo, quanto piuttosto solo a disarmarlo. Nessuno dei suoi affondi era diretto a ledere dei punti vitali, solo l’acciaio era il suo obiettivo. E quella sfida fittizia per assurdo, lo stava stizzendo.
- Basta così! – si interpose senza alcun preavviso una nuova presenza.
I duellanti abbassarono adagio le spade, le cui estremità erano arrivate a sfiorare le rispettive gole.
Goku fece un lieve inchino con il capo, come a complimentarsi con il rivale il cui volto rimaneva celato da un turbante che scendeva a lasciargli scoperti solo gli occhi, scuri, allungati e alieni che lo fissavano con rivalità e malizia. Nessuno dei due era uscito sconfitto da quella gara, anzi credeva quasi che lo avesse graziato.
- Niente male, per uno della tua razza – stridette sotto l’alto bavero il valente spadaccino, più irriso che ammirato – Ma un semplice umano non è degno di occuparsi di una missione così cruciale – mugugnò velenoso, voltandosi e recuperando un grande mantello bianco dal prato per poi andarsi a sedere poco più in là sul terreno, a gambe incrociate e braccia conserte.
Mentre continuava a chiedersi chi fosse, perché fosse lì e quali ragioni lo avessero spinto ad agire in quel modo, l’individuo che li aveva interrotti si ripresentò a riscuotere la sua coscienza.
- Insomma giovanotto! Sto parlando con te! Sai qual è il colmo per un marinaio?
Goku stavolta vide a chi apparteneva quella voce simpatica e un po’ autoritaria e gli parve che fosse un’allucinazione indotta dalla stanchezza.
Era la creatura più buffa su cui avesse mai posato lo sguardo, e dire che aveva viaggiato in lungo e in largo, sin da quando era poco più che un bambino. Non poté fare a meno di pensare che il suo corpo, piccolo e tozzo, insaccato in una specie di saio scuro, ricordasse vagamente quello di un bacherozzo. La sua pelle aveva un colorito bluastro, le orecchie finivano a punta e degli strani baffetti ai lati delle guance tonde fluttuavano al ritmo delle sue strambe parole: - Perdersi in un bicchiere d’acqua! – ridacchiò di gusto, coprendosi la bocca con una mano.
Il marinaio rinfoderò cautamente l’arma, sospettando che ci fosse un malinteso: - Voi siete il Dio del Mare del Nord? – farfugliò allibito, non potendo evitare di usare un’intonazione che lasciava trasparire la sua incredulità e la sua delusione.
L’ometto annuì e si avvicinò a lui, saltellando sui minuti piedi: - Eccoti, finalmente. Erano settimane che attendevo il tuo arrivo – esordì con fare gioviale e lievemente severo, sistemandosi gli occhialetti neri e rotondi sul naso schiacciato.
L’ufficiale sbatté le palpebre un paio di volte, guardandosi attorno e alle spalle e infine indicandosi, un po’ impreparato, un po’ sbalordito.
- Aspettavate me? Mi conoscete? – barbugliò piegandosi alla sua altezza, oltremodo impacciato dal ritrovarsi al cospetto di un essere così speciale e non volendo sovrastarlo, e allo stesso tempo domandandosi se fosse proprio lui o piuttosto non si trattasse di qualche suo servitore. Insomma, quell’omuncolo non aveva affatto l’aspetto regale e imponente di un Dio!
Quesiti dello stesso tenore frullavano nella mente dell’antico nume, mentre soppesava il giovane ospite che ben poco sembrava avere da spartire con l’eroico salvatore che si prefigurava di accogliere.
I suoi lineamenti fanciulleschi e la sua espressione candida erano l’emblema della bontà e dell’innocenza, tuttavia percepiva una scintilla di combattività nel suo petto e il fulgore della perseveranza gli scaldava le robuste membra.
- Ho appena finito di preparare il tè. Vuoi favorire? – lo invitò spicciamente, girandosi verso la casupola che si ergeva poco più avanti.
Il tenente, ancora rintontito e a corto di parole, gli tenne dietro, lanciando un’ultima occhiata incuriosita al taciturno guerriero seduto a ginocchia incrociate sul prato.
Il Dio se ne accorse: - Non badare a lui. Non gli piacciono molto gli umani – bisbigliò rassegnato, aprendo la porta e invitandolo ad entrare.
Una gradevole fragranza di spezie ed erbe aromatiche arieggiava tra le pareti curve di quell’unica abitazione, costruita proprio sulla vetta dell’isola. Pochi mobili, sobri ed essenziali, per fattura e stile, erano racchiusi in quello spazio che contava non più di tre stanze.
Il padrone di casa lo fece accomodare su un divano con fare cerimonioso e gli riempì la tazzina, offrendogli anche una gran varietà di biscotti.
Goku sentì chiaramente brontolare lo stomaco dinanzi a quell’appetitosa offerta di dolciumi, sebbene si impose di onorare la promessa che aveva stipulato con i suoi superiori e con se stesso.
- Vostra Eminenza, la ragione della mia visita è chiedervi di aiutarmi ad impedire che le Sfere del Drago cadano nelle mire di persone molto cattive – proclamò con urgenza, dopo aver inghiottito tutto in un sorso la bevanda fumante.
- Son Goku, giusto? – ruppe le formalità lo stravagante ospite, mangiucchiando dei biscotti – Puoi chiamarmi Re Kaio – sorrise cordialmente, offrendogli una fetta di crostata alle albicocche.
Goku stavolta non resistette a placare la morsa che gli stringeva lo stomaco e addentò voracemente il fragrante dolce, sebbene quel losco e imperscrutabile figuro che continuava ad occupare il suo campo visivo gli impediva di gustarsi appieno la scorpacciata di zuccheri.
 - Chi è quel tizio là fuori? – si risolse a inquisire rimasticando a bocca aperta, servendosi da solo con le altre leccornie disposte sul tavolinetto.
Re Kaio, pur basito dal grande appetito e dalla poca educazione del suo giovane allievo, esaudì la sua richiesta: - Quello lì è Pikkoro3, il figlio del Supremo. È sceso apposta per conoscerti, per conoscere il prescelto.
Il ragazzo interruppe l’abbuffata e si grattò i capelli arruffati, ma non occorse che proferisse parola, perché il Dio rispose subito al suo interrogativo, leggendogli il pensiero:
- Tu sei il prescelto perché hai sconfitto l’oscurità e pensiamo che potrai riuscirci di nuovo. Sei nato da un ventre morto, nel mezzo di una guerra. La tua stessa esistenza è un prodigio. E discendi da una stirpe di semidei, i sayan. Ti serve altro per credere?
Il volto di Goku si tinse di dispetto, incupendosi e accalorandosi: - Non mi basta crederci, se non mi dite che cosa posso fare per risolvere la situazione! – protestò alzandosi di scatto e quasi rovesciando con una ginocchiata il piccolo banchetto – E sinceramente credevo che avreste saputo aiutarmi di più!
La sua improvvisa e battagliera effervescenza indusse il Dio del Mare del Nord a ripararsi dietro lo schienale della poltrona: - Con calma, ragazzo. Non sai qual è un altro colmo per un marinaio? Salpare con il morale a terra!
Il padrone di casa aveva cominciato a ridere di nuovo insensatamente e la sua levità lo demoralizzava. Era un tipo alquanto ilare e bizzarro, se lo era  immaginato molto austero e più serioso.
Per la seconda volta parve proprio possedere il dono della telepatia, poiché i suoi tratti divennero corrucciati e concentrati e, dal nulla, fece materializzare magicamente un lucido prisma che pose con stizza nelle sue mani.
- Questa bussola ti mostrerà la posizione delle sfere, in qualunque luogo del pianeta esse si nascondano. Funziona solo con chi è capace di pensare e sentire – gli rivelò ambiguamente, mostrandogli come aprirla e consultarne le indicazioni – È questa che volevi, prendila – sbottò irritato, versandosi dell’altro the e sbirciandolo di sottecchi – Ma non ti serve. Sai già dove dovresti essere.
Le pupille di Goku erano immerse in quel reticolo di linee e punti che gli si erano dispiegati dinanzi nell’istante in cui il Dio aveva attivato il meccanismo di accensione di quell’eccezionale marchingegno.
Adesso lo vedeva anche lui chiaramente, da una parte c’erano le tre sfere che aveva nascosto nel cuore della sua casa, dall’altra parte dell’emisfero altre tre stavano viaggiando insieme ai loro detentori verso Oriente per ricongiungersi all’ultima.
- Devi solo capire cosa ti interessa davvero. – lo riportò coi piedi per terra Re Kaio, con accento assennato e comprensivo – Tornare a casa e salvare la tua famiglia, oppure lanciarti all’inseguimento di quei criminali e accrescere la tua fama – gli prospettò, proiettandolo direttamente in uno scenario in cui le vite delle persone erano come pedine su un’immensa scacchiera di sabbie mobili.
Una sua mossa azzardata e sarebbero stati perduti.

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1 Agghiaccio: è il nome dato al locale poppiero dove si manovra direttamente sulla barra del timone. 
2 Il fuoco greco è esattamente la mistura esplosiva descritta da Bulma; il nome deriva dal fatto che venne usato per la prima volta da navi greche o meglio bizantine in epoca medievale per contrastare gli assalti dei turchi. La composizione era ai più sconosciuta (si dice che fosse nota solo all'imperatore), non si poteva spegnere con l'acqua come il fuoco normale perché conteneva calce e pece che tra l'altro entrando in contatto con il legno lo liquefacevano.
3 Ho preferito usare il nome giapponese anziché quello usato nell'anime, Junior, ma si tratta sempre di lui.
   
 
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