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Autore: Son of Jericho    21/02/2016    3 recensioni
"You don't know me".
Hai ragione, non ti conosco. Ma come potrei, se non conosco nemmeno me stesso?

Un presente che appare insostenibile, un futuro che rischia di diventare ogni giorno più difficile, e la paura di non farcela, porteranno Beck lontano da tutto ciò che credeva di amare.
Tempo e distanza, per sperare che le cose tra loro si sistemino.
Nuovi amici lo accompagneranno nella sua nuova strada, fino a quando arriverà il momento di chiedersi se davvero vale la pena tornare indietro e lottare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beck Oliver, Jade West, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XIII - Don’t think I’m perfect
 
 

Quella mattina, il sole sembrava splendere ancora più luminoso sulle strade di Seattle.
La Buick verde bottiglia procedeva a velocità costante tra le vie della città, e Beck, tranquillo al volante, la stava mantenendo tale. Non c’era bisogno di accelerare, di correre, di sfidare il vento.
Si sentiva bene. Si era risvegliato con un altro spirito, più leggero e più sereno, e soprattutto, con una ragazza meravigliosa accanto a lui nel letto.
Era stato fantastico trascorrere la notte con Sonja, anche senza averci fatto l’amore.
Una notte finita comunque troppo presto, in cui erano rimasti abbracciati a baciarsi e coccolarsi fino all’alba, quando i loro occhi si erano chiusi all’unisono.
Una notte che gli aveva fatto riscoprire un lato di sé che pareva dimenticato, e che gli aveva ridonato quella complicità mancata nell’ultimo periodo con Jade.
La ragione per cui aveva lasciato Los Angeles, quel qualcosa nel loro rapporto che non lo rendeva più felice.
E fu proprio il ripensare alla ragazza che aveva lasciato, che lo portò a mettere la mano nel portaoggetti, e ad estrarre quello che sembrava un reperto maledetto.
Perché Sonja sembrava avergli regalato, oltre alla gioia, anche il coraggio di ascoltare finalmente quel CD.
Lo inserì nella radio e premette il pulsante di avvio, lasciando che la musica invadesse l’abitacolo.
Gli venne istintivamente di sorridere quando sentì Tori intonare “Make it shine” con un arrangiamento un po’ diverso da quello originale. “I produttori di Hollywood stravolgerebbero qualsiasi cosa, pur di vendere”, pensò.
Circa quindici minuti dopo, lo sguardo cadde sul display dell’autoradio, che segnalava che il brano n. 6 era in esecuzione. “La prossima…”
Sonja era l’esatto contrario di Jade, si disse chiaramente, forse per la prima volta.
C’era un intero mondo di distanza tra i vari aspetti delle loro personalità, come se una fosse stata il sole, e l’altra la luna.
E Sonja era ciò di cui lui aveva bisogno adesso. Il suo personale raggio di sole.
Ma questo cosa significava? Che aveva sempre vissuto in un enorme errore di valutazione? Era possibile che gli fosse servito così tanto tempo per capire cosa volesse realmente da una storia vera?
La voce potente di Jade uscì prepotentemente dagli altoparlanti della Buick, mentre Beck serrava la presa sul volante e affondava il piede sull’acceleratore.
You don’t know me.
Hai ragione, non ti conosco. Ma come potrei, se non conosco nemmeno me stesso?
 
 
*****
 
 
Lo spettacolo era da considerarsi ormai alle porte, e più gli attori si mostravano tesi e nervosi, più i membri dietro le quinte sembravano invece calmi e rilassati.
Si respirava un bel clima nel backstage tra gli addetti ai lavori, consapevoli di aver svolto il loro compito in maniera egregia.
Tra questi c’era Robbie, estremamente soddisfatto del suo operato, e sempre più convinto di aver provato alla maggior parte dei professori di essersi sempre sbagliati sul suo conto.
Non c’era rimasto granché da fare a questo punto, e gli ultimi giorni scorrevano soltanto all’insegna di controlli e verifiche.
Quella mattina, dopo aver scambiato due chiacchiere e aver salutato alcuni ragazzi che collaboravano con lui, Robbie decise di spostarsi verso la sala luci.
Appena vi entrò, si ricordò perché evitava sempre il più possibile di metterci piede.
Il tecnico era seduto davanti a tre monitor e ad una grande tastiera simile a quella di un dj, e accanto a lui, Cat.
Robbie la osservò, mentre scambiava consigli con l’altro a proposito di angolazioni, intensità e sfumature, e gli sfuggì un sorriso.
Sembrava felice, e questo bastava a far sentire anche lui nello stesso modo. Era bello vederla così, dopo tutto quello che aveva passato di recente.
A un certo punto, il giovane tecnico premette un bottone. - Vado a controllare un paio di collegamenti. - annunciò, alzandosi dalla sedia e accorgendosi di Robbie. - Ciao, Robbie. Ci vediamo dopo, ok? - fece a entrambi, prima di sparire al di là della porta.
Rimasti soli, Robbie si sedette vicino a Cat. - Tutto a posto con le luci? -
Lei inclinò leggermente la testa. - Sì, vanno bene. Nonostante anche lui abbia bocciato la mia idea del sottofondo blu. - aggiunse con il suo solito broncio, angelico e ingenuo.
- Blu? Sarebbe sembrata Atlantide, altrimenti! - scherzò lui.
- Perché? Le sale da gioco sono illuminate di blu? -
Robbie scoppiò a ridere. - Quella è Atlantic City, Cat. Io stavo parlando di Atlantide, la città sommersa. -
- Chissà quanti secchi serviranno per togliere tutta l’acqua. -
Robbie rise di nuovo, non sicuro tuttavia se stesse parlando sul serio o no.
Dopo qualche secondo passato a guardarla, recuperò la parola. - Volevo farti una domanda. -
- Certo, cosa? -
- Hai già pensato a cosa farai dopo il diploma? -
Lei parve sorpresa dalla domanda. - No, non… non me lo sono mai chiesta. Perché avrei dovuto? In fondo non cambierà nulla, ne sono certa. Potremo continuare a divertirci come adesso, con tutti i nostri migliori amici. -
- Purtroppo non sarà così, Cat. - le disse piano, dispiaciuto di doverla contraddire. - Le cose cambieranno eccome. C’è chi vorrà concentrarsi sulla propria carriera, chi lascerà o ha già deciso di lasciare Los Angeles, chi vorrà trovarsi un lavoro e costruirsi una vita. -
- Io ho già un lavoro. - ribatté.
- Pensi davvero di poter continuare per sempre a fare la babysitter con Sam? Che succederà quando lei ne avrà abbastanza, vorrà cercarsi qualcos’altro, o peggio ancora cambiare città? Hai bisogno di qualcosa di più… stabile, ecco. Come me. -
Cat fece una strana espressione, confusa. - Cosa ti passa per la mente, Robbie? -
Lui fece un lungo sospiro. - Una volta ricevuto il diploma, e completato lo spettacolo, partirò per l’Europa. In Germania, più precisamente. - si interruppe quando notò che lei lo stava fissando con occhi sgranati. - Sono riuscito ad entrare in un istituto di cinematografia a Dusseldorf, uno dei più importanti al mondo, a quanto ho letto. Si tratta di un’occasione incredibile. Avrò la possibilità di frequentare un corso avanzato da cineoperatore. -
Si dovette fermare di nuovo. Gli occhioni di Cat erano improvvisamente diventati lucidi. - Te ne vuoi andare anche tu? -
Robbie si sporse verso di lei e le sorrise. - Non piangere, Cat. Ho semplicemente scoperto qual è la mia vera vocazione, il mio sogno. Non è stare davanti alla telecamera, come avevo sempre pensato, ma dietro. -
Avrebbe voluto sentire la voce della ragazza, ma quel silenzio lo stava uccidendo. - Non devi piangere. - le ripeté.
- Anche tu, dopo Beck, hai deciso di abbandonarci, e fino ad ora lo avevi tenuto nascosto. Mi spieghi perché non dovrei piangere? - c’era qualcosa di rotto in quella frase, forse qualcosa di più della semplice tristezza per la perdita di un amico.
- E’ proprio perché non volevo che tu reagissi così che te l’ho detto solo adesso. Mi sono informato, ed esiste laggiù anche un corso di fotografia cinematografica e teatrale. Potresti entrarci anche tu. -
Lei lo guardò storto. - Cosa? - come se niente di ciò che Robbie aveva detto avesse alcun senso.
- E’ la tua strada, Cat, solo che ancora non lo hai capito. Tu sei fatta per la fotografia. -
- Ma che stai dicendo? -
- Ho visto di cosa sei capace. - il suo tono era confortante, dolce, pieno di speranza. - Non dirmi di no subito, per favore. Prenditi tutto il tempo che vuoi per pensarci. -
Rimase a fissarla negli occhi un’ultima volta. Non si aspettava niente di più da quel momento: uno sguardo perso che lui avrebbe rincorso fino in capo al mondo.
Si tirò su dalla sedia, con le ginocchia deboli, e si avviò verso la porta. Si voltò indietro arrivato sulla soglia. - Saprai sempre dove trovarmi. -
 
 
*****
 
 
Non riusciva proprio a concentrarsi. Si accorse di aver perso l’ennesima frase del professore, quando la penna non riuscì a scrivere nemmeno una lettera di appunto.
Freddie si lasciò andare sullo schienale della sedia e guardò verso la cattedra: la sentiva lontana quel giorno, e la lezione di storia suonava soltanto una lista di inutili date e luoghi. Non era mai stato così distratto in classe.
La mente continuava a vorticare per altre terre, in direzione di qualcosa che lo stava facendo sentire strano, e che lo stava mettendo terribilmente in difficoltà. Di nuovo.
Freddie abbassò lo sguardo sul banco. Non poteva essere nient’altro che lei.
Si soffermò su un passaggio che l’insegnante stava rivolgendo ai suoi studenti: - Nelle società antiche era usanza rappresentare, con dipinti, affreschi o anche semplici testi, i momenti cruciali delle battaglie. A quei tempi, lo facevano per rendere onore ai valorosi combattenti, e per celebrare le loro conquiste. Giunti ai nostri giorni, invece, si sono rivelati utili per conoscere quelle civiltà, e soprattutto la loro storia. Perché ragazzi, ricordate, la storia è una parte importante del nostro essere. Studiare la storia, conoscere il passato, ci aiuta a sapere come comportarci, e a non ripetere gli stessi errori. Anche se, secondo il parere di tanta gente, nemmeno questo ci impedisce di commettere gli stessi sbagli per la seconda volta. -
In quell’istante, avrebbe voluto semplicemente dare a Beck la colpa di tutto. La colpa di avergli fatto riportare a galla ricordi e pensieri che credeva seppelliti ormai da anni.
La verità però era che la responsabilità era tutta sua, e di nessun altro. Quella di essersi sempre sbagliato.
Stava scoprendo che forse quei pensieri non li aveva seppelliti così bene. O forse, non aveva mai voluto farlo.
Quando Sam era partita per Los Angeles, aveva finto che non gli importasse, che andasse tutto bene, che potesse accettarlo senza problemi.
Ma guardando in faccia la realtà, quella era stata la sfida più difficile che avesse mai dovuto affrontare.
 
 
*****
 
                                                                                                                     
Per quanto le pesasse ancora ammetterlo, era arrivata al punto di essersi totalmente ricreduta.
Era rimasta piacevolmente sorpresa, quando Mark era passato a prenderla sotto casa sua alle otto in punto, e l’aveva portata in uno dei ristoranti più eleganti di Los Angeles.
Appena entrata Jade si era sentita quasi frastornata, data la raffinatezza e la classe che la circondavano e che, a dire il vero, poco si addicevano alla sua persona.
Mark le aveva raccontato di come il locale rappresentasse un ritrovo abituale per chi frequentava Hollywood, e che se quella sera avessero avuto fortuna, avrebbero potuto incontrare anche qualche attore famoso.
Una volta accomodati ad un intimo tavolino per due, il ragazzo iniziò a parlare dello spettacolo che li attendeva, e di come si sentiva emozionato al pensiero di debuttare davanti a centinaia di persone.
Riuscì persino a coinvolgere anche Jade nella conversazione. - Suppongo invece che per te non sarà la prima volta su un palco così importante. -
- Infatti non lo è, in questi anni ho partecipato a parecchie rappresentazioni. -
- Sarai stata la protagonista. Non riesco ad immaginarti in altro modo. -
Jade esitò prima di rispondere, ripensando per un attimo a Tori. - A dire il vero no. C’è qualcuno che è sempre stato il “preferito” di turno e che è sempre passato avanti. -
Furono interrotti dall’arrivo del cameriere, che porse loro una bottiglia di vino rosso e raccolse le ordinazioni.
Dopo averlo ringraziato, Mark riprese. - Non lo merita, in confronto a te. Ne sono sicuro. - le sorrise. - Si vede da come ti muovi che questo è ciò che ami fare: riesci a calamitare l’attenzione di tutti, quando reciti. Soprattutto la mia. -
Jade agguantò il bicchiere, lo riempì di vino e cercò di distogliere lo sguardo.
Di nuovo quegli occhi, due zaffiri che brillavano alla luce soffusa e romantica del ristorante. La fissavano, la esploravano, la desideravano.
Un lieve brivido prese a correrle lungo la schiena. Non poteva cedere.
La successiva ora e mezza trascorse in maniera piacevole, con Mark che non si risparmiò in quanto a complimenti e galanteria, e con Jade che non poté fare a meno di apprezzare tutto questo. Aiutata magari anche dal vino che aveva in corpo.
Erano le dieci passate quando i due si alzarono per lasciare il tavolo.
- Ti va di fare due passi? - le chiese lui, mentre provvedeva a saldare il conto.
Jade lanciò un’occhiata alla strada attraverso la vetrata centrale. - Perché no? -
Si incamminarono lungo il marciapiede, tra i motori delle auto e le luci di una città immersa nella notte ancora giovane.
- Non potrei essere più felice di essere accanto a te. - se ne uscì a un certo punto Mark.
Lei lo guardò di traverso.
- E non intendo solo adesso, ma anche di poter passare le mie giornate a provare e a lavorare con te. - fece una pausa per sospirare. - Ti avevo notata già all’inizio dell’anno, e c’era qualcosa di te che mi aveva particolarmente colpito. Solo che non sapevo cosa fare. Ti vedevo sempre in compagnia dei tuoi amici e… impegnata. Poi, si è presentata questa opportunità, e io… -
Si fermò, costringendo Jade a voltarsi verso di lui. - Mi piaci davvero, Jade. -
Al bagliore fioco del lampione, Jade avvertì una mano sfiorarle delicatamente la spalla, e un’ombra avvicinarsi sempre più al suo viso. Sentì un respiro tremante raggiungerla, mentre le labbra di Mark si accostavano pericolosamente alle sue.
Di nuovo quel brivido lungo la schiena.
Fu una reazione impulsiva, guidata dall’istinto e forse macchiata dall’alcol. Prima che Mark potesse toccarla, Jade si ritrasse, le sue mani andarono ad afferrarlo per il bavero del giubbotto e lo spinsero con forza contro il lampione.
Lui la guardò stranito, mentre si espandeva il rumore dell’impatto tra schiena e metallo.
Nonostante il vino, si era mantenuta lucida a sufficienza. - Ti considero un bravo ragazzo, Mark. Ma questo bacio non può avvenire qui, e soprattutto non adesso. - Allo stesso modo si era mantenuta la sua insicurezza, riguardo a quella persona che lui non avrebbe dovuto menzionare.
- Perché… - le chiese timidamente.
- Il perché non ti deve interessare. - lo zittì. Ecco uno dei tanti lati nascosti di Jade West che lui non poteva conoscere.
Mark era ancora frastornato. - Ma, tu… noi… -
Jade gli si accostò all’orecchio. - Non ti sto mandando via, Mark. Ti sto solo dicendo che, per qualsiasi evoluzione tu stia cercando nel nostro rapporto… nella nostra storia, dovrai aspettare la sera dello spettacolo. -
 
 
*****
 
 
- Ciao Beck, sono Andre. -
- Come te la passi, amico? -
Non gli avrebbe detto che era contento che questa volta gli avesse quantomeno risposto. - Qui va tutto alla grande. Tu come stai? -
- Bene. - rise. - Seattle non è il Canada, ma mi sto abituando. -
Andre, nascosto dall’altro lato del telefono e degli USA, scosse il capo: ne aveva abbastanza di quei convenevoli. - Ascolta Beck… lo spettacolo è tra pochi giorni. Il 23 andiamo in scena. -
- Lo so. - commentò laconico.
- Quindi sai anche quanto sarebbe importante per tutti noi averti qui. -
- Andre, per favore… -
- Mi ricordo cosa hai detto, qual è stata la ragione per cui te ne sei andato. Ma potresti tornare almeno per lo spettacolo, solo per quello. Potrai anche non farti vedere, se vuoi, ci basta sapere che ci sarai. -
D’un tratto Beck si sentì mancare il respiro. Tornare?
- Non… - non trovò la forza di rispondere. Sapeva che dentro, una parte di lui, aveva già cominciato a sgomitare e combattere.
A salvarlo fu un’improvvisa notifica proveniente dal telefono. Lo allontanò dall’orecchio e guardò il display: Sonja.
- Ho un’altra chiamata in arrivo. - si giustificò agitandosi.
- Promettimi almeno che prenderai in considerazione l’idea. -
Beck si sentiva sollevato, ma allo stesso tempo un vigliacco. Aveva dovuto approfittare di una misera via di fuga pur di non affrontare un discorso in cui non aveva idea di cosa dire. E questo non avrebbe dovuto accadere con il suo migliore amico.
- Mi dispiace, devo andare. -
 
 

 
   
 
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