CAPITOLO VENTITREESIMO: LA LAMA E LO SCUDO.
L’abbraccio della Notte stava cingendo d’assedio
Asterios e i Cavalieri di Avalon, forzati contro le mura interne di un baluardo
del Primo Santuario. L’Angelo d’Acqua era ferito e la sua corazza, che mai
aveva subito un graffio, era scheggiata in più punti, ma i due Cavalieri delle
Stelle erano messi peggio, al punto che, più volte, si era chiesto se Matthew
non fosse svenuto o se il cosmo di Elanor non sarebbe
esploso, aizzato da un desiderio di vendetta che non sapeva contenere. Avesse
avuto tempo, le avrebbe insegnato a incanalarlo, per servirsene in battaglia,
con quel distacco che pure lui, nei millenni trascorsi sulla Luna a osservare
la sua progenie mantenere solida la Conchiglia, aveva imparato a esercitare. Ma
di tempo, ormai, neppure gli Angeli ne avevano più.
Quello che avevano era di fronte a loro e dovevano
affrontarlo.
Forte di quella convinzione, e dei sacrifici fatti
per arrivarci, Asterios espanse il cosmo, riparando Matthew ed Elanor, e sollevando ovunque, nella Corte della Notte,
colonne di energia acquatica, costringendo Nyx a scattare di lato in lato per
evitarle. Una, infine, la raggiunse, scaraventandola in alto e facendole
persino perdere la presa sul tridente. Durò un attimo, prima che la Prima Dea
assumesse la forma di uccello nero e sfrecciasse tra i flutti, i lunghi artigli
di tenebra pronti a ghermire.
L’Arconte Verde tentò di difendersi con una muraglia
di energia acquatica ma Nyx la sventrò, piombando su di lui e graffiandogli il
viso. Gettò a terra Matthew e Elanor, recuperando
forma umana, mentre Asterios si teneva la guancia, con un’espressione mista di
sorpresa e smarrimento. Il tridente tornò nelle sue mani e la Signora della
Notte lo mulinò, mirando al cranio dell’Angelo d’Acqua. Vi furono un urlo, uno
schizzo di sangue e l’agitarsi di Elanor che si tirò
su all’improvviso.
“Matthew…” –Mormorò, osservando il ragazzo che si
era schierato a difesa di Asterios, afferrando con le mani le punte dell’arma.
A denti stretti, con il cosmo al parossismo, stava tentando di respingerla.
“Impavido ragazzo. La lezione che ti ho impartito
sulla Luna non ti è bastata?” –Ghignò Nyx, ritirando il tridente con un secco
movimento che per poco non mozzò le dita del Cavaliere dell’Arcobaleno. –“Pazienza. Sono un’insegnante disponibile nel ripetere
certi concetti!” –E affondò di nuovo, stavolta mirando al cuore del ragazzo. Ma
una raffica di meteore celesti si abbatté su di lei, frenando la corsa
dell’arma e scagliandola indietro, prima che una squillante voce giovanile la
chiamasse.
“Che coincidenza. Anche a me non dispiace ripetermi.
Soprattutto con certe carogne che sono dure assai di comprendonio!”
Irata, Nyx si voltò verso l’ingresso alla Corte
della Notte, osservando un ragazzo in armatura divina correre sopra l’abbattuto
portone, il pugno destro rilucente di energia cosmica. Alla sua destra, sospeso
sopra un letto di fiamme, un giovane dai capelli blu la fissava incuriosito,
con la stessa espressione di una fiera pronta a scattare sulla preda. Quel
pensiero innervosì la Dea, indignata dall’essere considerata alla stregua di un
bottino di guerra, lei che era la Primogenita. Lei che aveva visto l’alba della
creazione del mondo e che, adesso, avrebbe assistito (e contribuito) al suo
tramonto.
“Cavaliere di Pegasus! Lieta di rivederti! Ti ho mai
detto che amo la carne di cavallo?” –Esclamò, rialzandosi e sollevando un muro
di tenebra, su cui si schiantò l’assalto. Migliaia, forse decina di migliaia,
di meteore di energia picchiettarono la barriera oscura, di fronte allo sguardo
ammirato di Asterios, Elanor e Matthew, che avevano
dimenticato quanto ardente fosse la fiamma della determinazione del Primo
Cavaliere di Atena. E quanto arguta fosse la sua mente in battaglia.
Ripensando allo scontro con Eris
della Lucertola, Pegasus mutò strategia, concentrando tutti i pugni lucenti in
un unico attacco, che divorò il suolo che lo separava da Nyx, abbattendosi
sulla muraglia di tenebra come fosse un meteorite composto da sola energia.
“Cometa
lucente!” –Gridò, forzando la Dea a un colpo di mano.
“Marea
d’ombra!”
Lo scontro tra le due potenti energie generò
un’esplosione devastante, che scosse la Corte della Notte e le mura e i
baluardi attorno. Il suolo si schiantò in più punti e le grosse porte, che solo
fino a poche ore prima sembravano una barriera insormontabile, sprofondarono
nell’abisso. Sin degli Accadi, rimasto alle spalle del Cavaliere di Atena, fu
lesto a schizzare avanti, tuffandosi tra le colonne di roccia nera che
segnavano l’ingresso al complesso templare. Colonne che, in parte, si
creparono, crollando a terra, mentre un gruppetto di donne in armatura nera
correva in cerca di riparo. Poco distante, Sin vide Shen
Gado fare altrettanto.
Quando le scosse terminarono e le energie di Pegasus
e Nyx parvero defluire, non vi era più molta differenza tra l’esterno e
l’interno della corte, marcata da segni di lotta e
distruzione. Solamente i due contendenti stavano ancora in piedi, lui con il
pugno destro teso avanti a sé, sulle cui nocche sanguinanti le ultime faville
di luce andavano spegnendosi, lei con il ghigno teso e un’evidente ruga
d’affanno sulla fronte.
“Cavaliere di Pegasus!” –Lo chiamò Asterios, ma il
ragazzo non si voltò.
“Angelo d’Acqua, vi prego di portare aiuto agli Areoi e ai Cavalieri delle Stelle. Abbiamo bloccato
l’Armata delle Tenebre in una bolla di energia psichica, ma dubito che
resisterà a lungo.”
Quasi Caos avesse udito le sue parole, la terra
tremò di nuovo e dalle faglie fuoriuscì un’orripilante melma nera, che presto
si modellò, assumendo forme vagamente umane e venendo rivestita da corazze
scure, come le ombre che le avevano precedute, iniziando ad avanzare verso le
forze dell’Alleanza.
“Li bloccherò!” –Esclamò Asterios, chiamando Matthew ed Elanor.
–“Con me!”
“Ma… mio Signore… e il Cavaliere di Pegasus?”
Se anche questi rispose, Elanor
non riuscì a capirlo, separata dal ragazzo e dalla Corte della Notte da quel
nuovo fiume di ombre deciso a riversarsi all’esterno del Primo Santuario.
Motivo più che sufficiente per fermarlo prima che si ricongiungesse al resto
dell’Armata delle Tenebre.
Pegasus percepì accendersi i cosmi dei Cavalieri
delle Stelle e di Alexer e, poco oltre, anche quelli di Shen
Gado e Sin si infiammarono. Tutti avevano trovato il
proprio avversario, e ugualmente aveva fatto come lui. Lo aveva saputo, in
fondo, fin dal primo sguardo che si era scambiato con Nyx nel Cerchio di Urano,
che i loro destini erano incrociati. E che forse, proprio lì, alle porte del
Santuario delle Origini, la sua avventura avrebbe dovuto concludersi.
In quel momento, mentre gli occhi neri della Dea
lampeggiarono sinistri, a Pegasus parve di udire frasi non dette, ricordi
rimossi dalla coscienza. Gli sembrò di essere di nuovo a Fensalir,
nella vera Asgard, oltre le nuvole, e di ascoltare Odino preoccuparsi per la
salute della sua sposa. E Frigg, ferita a morte da Loki, che cantilenava sul letto, ripetendo le strofe di
un’antica profezia, nota come Profezia della Veggente.
Affiorare lei
vede ancora una volta la terra dal mare di nuovo verde. Cadono le cascate, vola
alta l'aquila, lei che dai monti cattura i pesci.
Quello era il nuovo mondo che, secondo Odino,
sarebbe esistito dopo la fine di quel tempo cosmico. Ciò che il Signore degli Asi non gli aveva confessato era il timore che Pegasus quel
nuovo mondo non l’avrebbe visto. Sospirando, il Cavaliere di Atena allentò la
presa su Balmung. Neppure si era accorto di averne
afferrato l’impugnatura e forse era per quello che quei ricordi erano emersi in
lui. I ricordi di Odino.
Quale fosse la verità, Pegasus non credeva alle
profezie, non ci aveva mai creduto. Loki, a modo suo,
gliel’aveva detto. Mai fidarsi di un
oracolo. Su questo, Pegasus concordava, eppure, di fronte all’immensa forza
dei Progenitori, che lui aveva sentito sulla sua pelle, unico tra tutti i
cinque Cavalieri Divini, la sua sicurezza per la prima volta si incrinò.
Un fruscio lo distrasse, permettendogli di evitare
il raggio di energia oscura che Nyx, mulinando il tridente, gli aveva appena
diretto contro. Saltò indietro, piroettando su se stesso, prima di atterrare su
una mano e darsi la spinta per balzare in alto, aiutato dalle ali
dell’armatura. –“Fulmine
di Pegasus!” –Gridò, liberando lo sciame di meteore azzurre, cui la Dea si
oppose roteando la lancia a tre punte e parandole così una a una.
“Tutto qua?” –Sogghignò. –“Ti
avviso che sei da solo, adesso, in una trappola in cui tu stesso ti sei
cacciato. I tuoi compagni combattono al di là di quella muraglia di tenebra e
altri, pochi, troveranno la morte nelle stanze a me riservate, per opera di Yako e delle Kitsune Oscure o di
altre creature che l’Unico riterrà opportuno generare. Mi sorprende, Cavaliere
di Pegasus, che tu non abbia ancora capito, eppure, tra tutti i combattenti che
si ammassano stanchi e insicuri fuori da questo santuario, tu per primo
dovresti essere consapevole della vanità delle vostre azioni.”
“Perché io?”
“Non sei forse la guida dei tuoi compagni? Il faro a
cui hanno sempre guardato ogni volta in cui le speranze di vittoria si sono
assottigliate? Non credere che non ti conosca, so tutto di te. Molto più di
quanto tu stesso sappia. Ti ho osservato. Spesso. E mi hai colpito fin da
subito. Quanti altri ragazzetti giapponesi, in fondo, hanno abbattuto un
gigante greco per conquistare lo scrigno dell’armatura?”
“Uh? Intendi dire Cassios?”
Nyx annuì, iniziando a camminare attorno a Pegasus,
i lunghi capelli viola che frusciavano sopra il mantello nero, l’arma
sanguinaria stretta nella mano destra. –“Non lo
ricorderai, immagino. Ma noi ci siamo già incontrati, tre anni fa per
l’esattezza, nelle valli della Morea.”
“Morea? In Grecia?! Che
vuoi dire? Non ti ho mai visto…”
“Ma hai visto i miei figli. I giganti che mi hanno
nutrito per anni, permettendomi di recuperare progressivamente la mia antica
potenza. I giganti che mi hanno venerato, chiamandomi Ebdera,
ovverosia madre, nella loro antica lingua.”
“I giganti di Ebdera! Che Cassios ed io sconfiggemmo nelle prove per ottenere
l’investitura! Tu eri là?”
La Dea agitò una mano avanti a sé, muovendo uno sbuffo
di vapore nero, che crebbe, divenendo delle sagome vagamente umane sullo sfondo
di un aspro paesaggio montuoso. Di colpo, Pegasus si rivide lì, sui fianchi
ripidi di quelle montagne, a lottare contro uomini grossi e robusti da rendere
piccolo persino Cassios. E Nyx? Oh, adesso la vide.
Era in piedi all’ingresso di una caverna e guardava i suoi figli cadere in uno
strapiombo, spinti da quel ragazzino dal ciuffo ribelle che saltava come un
grillo da una parete rocciosa all’altra. In mano, la Prima Dea stringeva una
lancia, o forse era il suo tridente (Pegasus, da quella distanza, non riuscì a
vedere bene in quelle vaporose immagini), e si apprestava a scagliarlo. Ma
esitò e Pegasus uscì dal suo campo visivo, abbattendo l’ultimo gigante. Ecco,
adesso aveva superato la prova e lei lo aveva lasciato andare.
“In un certo senso, tu sei qui per causa mia!”
–Chiosò Nyx, con tono di voce per la prima volta serio. Disperse le immagini
trinciandole con il tridente, prima di riportare lo sguardo su Pegasus, che non
poté evitare di chiederle perché. Perché lo aveva risparmiato quel giorno. –“La verità? Io non lo so. Potrei darti molti motivi, potrei
dirti che la sorte dei giganti non mi interessava, che se erano così deboli da
farsi sconfiggere da due apprendisti non meritavano certo la misericordia della
Madre Notte, potrei dirti che intervenire in una semplice prova d’addestramento
avrebbe mortificato la mia esistenza di Divinità Primogenita. O forse… era così
che doveva andare, forse Caos in persona frenò la mia mano, perché voleva che
arrivassimo qua, quest’oggi, ad affrontarci per i destini del mondo. Tu, il
Portatore della Luce, ed io, la Signora della Notte. Destino? Ironia?
Un’inspiegabile sequela di coincidenza? No, Pegasus. È stato il volere di Lord
Caos, nient’altro!”
“Umpf…” –Commentò il
Cavaliere, strusciandosi la base del naso. –“O forse
avevi già paura di confrontarti con me!”
“Eh eh eh.
Avevo dimenticato l’umorismo di voi mortali. Dote con cui in battaglia
sopperite un’evidente debolezza.”
“Debolezza?!”
“Sì!” –Tuonò Nyx, affondando il tridente di colpo. –“Debolezza.” –Il fendente di energia raggiunse Pegasus a un
fianco, proprio mentre il ragazzo si spostava di lato, sbilanciandolo ed
esponendolo alla successiva carica della Prima Dea, che, fulminea, si era già
portata di fronte a lui, sopra di lui, calando la triplice lama.
“Dimentichi una cosa…” –Mormorò Pegasus, sollevando
di scatto il braccio destro, che sembrò a Nyx ben più lungo, e parando
l’affondo con un clangore metallico. –“La spada di Balmung! Dono di Odino e ricordo degli Asi
tutti!”
“Reliquia di mondi fagocitati da Caos.” –Chiarì Nyx,
disincastrando il tridente e preparandosi per affondare di nuovo. Ma Pegasus fu
più svelto e la colpì con la spada, troncandole l’arma.
Stupefatta, la Primogenita si trovò a osservare il
bastone mozzato e il sorriso di sfida sul volto di quel moretto fastidioso che
aveva affrontato lei, Etere e Emera, Erebo e persino Caos e ancora aveva la
sfrontatezza di avanzare. Fece per travolgerlo quando notò una macchia sulla
lama di ghiaccio. Una macchia di sangue nero.
“È il sangue del tuo uomo. O di tuo figlio. Non ho
ben capito le vostre strane parentele.” –Commentò Pegasus, muovendo Balmung fino a portarla a un soffio dalla gola di Nyx. –“Guarda bene! Presto gronderà anche del tuo sangue.”
“Erebo è stato colpito?” –Disse Nyx, e a Pegasus
sembrò che parlasse con se stessa. Dunque
era questo che lo aveva irritato, e anche turbato? Per quale motivo non me ne
ha parlato? Cosa temeva, che lo deridessi? Se una lama mortale è riuscita a
ferirlo… questo è sinceramente preoccupante. Rifletté la Prima Dea, prima
di stringere il pugno sull’asta mozza del tridente e gettarla via. Ma che vado pensando? Erebo è spericolato.
Scommetto che avrà giocato con i suoi avversari. Io non farò il suo errore!
Aggiunse, spalancando le braccia ed espandendo il proprio cosmo oscuro. –“Marea d’ombra!
Sollevati!”
Una fiumana di tenebre sorse sotto i suoi piedi,
interponendosi tra lei e la spada e sollevandosi, quasi aprendosi in fauci nere
che si chiusero sul braccio del Cavaliere di Atena, che fu lesto a ritirarlo.
Pegasus menò un paio di fendenti con cui tentò di tenere a distanza quella
sbobba infernale, il tempo di realizzare di non esserne in grado e di darsi un
colpo d’ali per balzare all’indietro.
“È inutile, Cavaliere. Sei stanco, lo sento. Sei
sfiduciato. E soprattutto sei solo. Come sono stata io per tanto, troppo tempo,
un tempo che nessuno ha mai ideato un modo per contare.”
“Ti sbagli, non sono solo. I miei amici combattono
con me, da sempre e per sempre.”
“Oh, e dove sarebbero questi tuoi amici?” –Ridacchiò
Nyx, mentre la marea di ombre aveva travolto Pegasus, sopraffacendolo e
facendogli perdere la presa su Balmung, che sprofondò
in quella vischiosa tenebra. –“Non affannarti! Più ti
agiti e più le ombre si avvinghiano al tuo corpo. Sai bene cosa cercano? Le hai
già affrontate mesi addietro, quando Anhar usò la Maestria di Ombre, un potere
arcano che Caos gli donò. Vogliono la luce, vogliono cibarsene, per
estinguerla, e tu, mio caro, ne sei colmo. Eh eh, mi
farai ubriacare!”
“Vorrei tanto, invece, farti strozzare!”
A quelle parole, Nyx chiuse il pugno di colpo e la
massa di tenebra sormontò Pegasus, affondandolo al suo interno. Divertita, la
Prima Dea vide la goffa sagoma del ragazzo dimenarsi, le ali sbattere, finché
poterono, e lampi di luce azzurra baluginare fino a farsi sempre più fiochi. Si
era preoccupata per nulla, e anche se quel giorno, in Morea,
non l’aveva ucciso, l’avrebbe fatto adesso. La volontà di Caos, in ogni modo,
sarebbe stata eseguita.
Stava quasi per avviarsi oltre, e magari travolgere
quella ridicola linea di difesa che l’Arconte Verde aveva imbastito là dove
prima si ergeva la Porta della Notte, quando notò le faville azzurrognole che
tinteggiavano il manto d’ombra. Faville che non accennavano a spegnersi e che,
anzi, aumentavano in numero e in lucentezza.
“Cosa? No, non è possibile! Sei ancora vivo,
Cavaliere di Pegasus? A cosa ti appigli? A quale patetica speranza?!”
“La speranza non è mai patetica, Nyx. È umana!”
–Disse all’improvviso una voce di donna. –“E tu che
sei soltanto un Dio, non potrai mai capirlo!” –Aggiunse, costringendo la
Primogenita a voltarsi verso il cielo, dove una macchia dorata, simile a una
campana, era appena apparsa. Una macchia che andava facendosi più grande, man
mano che calava su di lei.
Sulle prime Nyx non capì cosa fosse quella bizzarria
poi, quando vide la lancia comparire nella sua mano destra e puntare su di lei,
quando riconobbe il simbolo di Nike scintillare fulgido e spavaldo, comprese
che quella era Atena.
“Nike! Philotes! Dike!
Questo colpo è per voi!” –Esclamò la Dea della Guerra, piombando su Nyx con la
lancia tesa e mirando al suo cuore. Ripresasi dall’iniziale sorpresa, la
Primogenita balzò indietro, lasciando che lo scettro di Atena le lacerasse
soltanto le vesti, prima di conficcarsi nel suolo, liberando una violenta
esplosione di luce. Di quell’attimo approfittò Pegasus, per bruciare il proprio
cosmo e dilaniare dall’interno la vischiosa cortina d’ombra che l’aveva
sommerso.
“Fulmine di
Pegasus!” –Gridò, traforandola in più punti, fino a uscirne. –“Atena! Cosa ci fai qua? Ti credevo alla Porta delle
Tenebre…”
“Ho lasciato mio padre e gli Olimpi ad affrontare i
mostri partoriti da Caos e mi sono fatta portare qua da Ermes. Avevo sentito
che stavi combattendo, riconoscendo subito contro chi. Per questo sono venuta,
per portarti aiuto. Hai rischiato troppe volte la vita per me, lascia che
questa volta io faccia altrettanto per te!”
“Isabel… Atena, io…”
“Combatteremo insieme, Pegasus!” –Disse la Dea,
voltandosi verso Nyx, che li guardava con disgusto al suono di quelle parole,
ma anche con divertimento. –“Recupera la spada e
preparati ad attaccare. Io sarò la tua difesa!” –Aggiunse Atena, sollevando il
braccio sinistro su cui l’ampio scudo riluceva. –“Non
temere per me! Colpisci finché sarà necessario!”
“Offesa e difesa combinati!” –Mormorò Pegasus,
mentre Balmung tornava nella sua mano. –“Come una cosa sola. Noi siamo una cosa sola!”
“E allora vi ucciderò assieme!” –Ringhiò Nyx,
spalancando le braccia ed espandendo il cosmo, che concentrò attorno alle mani,
prima di unirle assieme e liberarlo sotto forma di un’unica devastante onda di
tenebra. –“Io sono la Prima Nata, Signora della Notte
primordiale che esisteva quando il sole non era ancora stato creato. Io sono
l’uccello dalle ali nere dalle cui uova sono nati tutti gli altri Dei. Io sono
Nyx la Procreatrice, Nyx la Vittoriosa. E questo è il mio trionfo! Nox invictus!”
L’assalto devastante si abbatté su Pegasus e Atena,
entrambi con i cosmi espansi al massimo; quello di Pegasus, specialmente,
pareva tracimare i confini stessi dell’universo, andando oltre, esaltato dalla
presenza di Atena al suo fianco. Atena che gli sorrideva con ammirazione per
tale rinnovato miracolo. Atena che lui amava.
“Pegasus è oltre il Nono Senso…” –Rifletté, mentre
le loro aure, unite assieme, quasi fuse in un anello d’argentea energia,
tentavano di opporsi al maremoto oscuro partorito da Nyx. –“Che
sia dunque… la condizione primigenia… l’essenza alla base della creazione e
della distruzione dei mondi… l’Omega?”
Tutti, in ogni angolo del Santuario delle Origini, o
nella pianura attorno, percepirono i cosmi di Atena e di Pegasus crescere e
crescere ancora, come fari di luce verso cui si ritrovarono a guardare, colmi
di speranza, fiducia e ritrovata fede.
Sirio, che in quel momento stava fluttuando nella
beatitudine eterna che Etere gli aveva donato, parve scuotersi, come se una
nota discordante avesse rotto l’incanto del suono primordiale. Andromeda e Cristal, circondati dai Guerrieri del Caos e da Drakon e dalle bestie che la Porta delle Tenebre continuava
a vomitare fuori, sorrisero. E anche Phoenix, a modo suo, recepì il messaggio.
Soltanto Nyx parve non vederlo, o forse non volle
vedere, gli occhi colmi di una notte quasi totale che stava riversando nel suo
massimo attacco. Un attacco che, era certa, sarebbe stato vittorioso.
Sogghignando, vide Atena barcollare, sfinita, con l’Egida che ondeggiava,
tremava e si crepava in più punti, mentre Pegasus, al suo fianco… Pegasus non
c’era più!
“Che cosa?!” –Ebbe solo il tempo di squittire, prima
di doversi coprire gli occhi, accecata da un bagliore celeste, quasi
celestiale, che stava sfrecciando verso di lei.
“Hai detto che ero solo, Nyx, come te. Ma ti sei
sbagliata. Un Cavaliere di Atena non è mai solo. Un Cavaliere di Atena porta
nel cuore il ricordo, la fede e la forza di chi lo ha preceduto. Questo sono,
l’ultimo di una stirpe di eroi, ma tutti loro sono con me, a sostenermi quando
le mie ali non bastano più a sollevarmi. Tenma, Seiya, Bellerofonte, e tutti i
Cavalieri di Pegasus che hanno avuto l’onore di servire Atena in questi
millenni, i cui nomi figurano negli annali del Grande Tempio! Cometa di Pegasus!!!” –Gridò, liberando
un poderoso assalto che saettò verso Nyx a una velocità ormai non più
misurabile in termini umani. Trapassò la marea d’ombra, spinto da centinaia di
ali di luce, tante quanti coloro che avevano indossato l’armatura del destriero
alato, e infine fu su Nyx, che tentò di resistere, frenandone la corsa,
divorandolo con l’oscurità, finché non rimase soltanto una punta stretta e
affilata.
Che le si piantò nel ventre.
“Ma… cosa…” –Balbettò la Prima Dea, abbassando gli
occhi e notando la spada di Odino conficcata nella sua stessa pelle, macchiata,
adesso, anche del suo sangue. –“L’hai spinta… con il
tuo attacco!”
“Tanto rifuggi la luce da non averla neppure vista…”
–Commentò Pegasus, planando a terra e crollando sulle ginocchia, senza più
fiato neppure per parlare. Atena gli si avvicinò, incespicando nell’armatura,
quasi perdendo la presa sul danneggiato scudo, fino ad abbracciarlo,
complimentandosi, e ringraziandolo, per quell’ennesimo trionfo.
“Non può essere…” –Rantolò Nyx, afferrando la lama
per rimuoverla e bruciandosi le dita al solo contatto. Era così forte la luce
dei Cavalieri di Atena? Più forte della Prima Notte? –“No!”
–Ruggì, estraendola di forza e gettandola via. Ma con essa se ne andò anche il
suo prezioso sangue, il cosmo di tenebra che la sosteneva. Lo vide gocciolare
lungo le sue vesti, macchiare il suolo fino a generare una pozza nera, in cui
la Primogenita iniziò a sprofondare. Si agitò, cercò di afferrarsi a qualcosa,
raschiò la terra con unghie sempre più avvizzite, finché non fu completamente
immersa nella sua stessa oscurità.
In quel momento Pegasus perse i sensi.
***
Shen Gado
sentì spegnersi il cosmo di Mani, come se fosse morto all’improvviso.
Possibile? Si chiese, evitando
l’affondo di una Volpe Nera. Per quanto non brillasse per strategia bellica, il
Selenite di Saturno era pur sempre uno degli Asi. Che la sua stella sia dunque tramontata? Tirando
un ultimo sguardo verso le rozze colonne di pietra, dietro le quali era
scomparso il compagno (perché poi? Perché
allontanarsi da solo in un posto che ancora non conosciamo?), prima di
sollevare il braccio destro, l’indice puntato al cielo e liberare il suo colpo
segreto.
“Dominion of light!”
–La pioggia di lame lucenti travolse le Kitsune
Oscure, squarciando le loro corazze e la pelle al di sotto, che, stupendosene, Shen Gado notò era una
normalissima pelle umana, piuttosto bianca in verità. Dunque non tutti i mostri al servizio di Caos sono effettivamente
mostri?
“Non hai mai visto una donna nuda?” –Gli chiese una
voce spregiudicata, mentre la figura a cui apparteneva balzava sul Selenite,
evitando la pletora di raggi luminosi. –“Ti farò
vedere com’è, alla fine, dopo averti ucciso! Yaah! Kyūbi no Kitsune!”
–Gridò, portando avanti il braccio destro e liberando una raffica di ben nove
fendenti, precisi e taglienti come lame, che forzarono Shen
Gado sulla difensiva.
Lo raggiunsero sull’avambraccio e nell’interno
coscia, strappandogli un moto di dolore, mentre si aiutava con le ali
dell’armatura a portarsi in alto, di poco in verità, quel tanto che gli bastò
per incastrare i piedi sotto le ascelle della donna e tirarla su di colpo,
scaraventandola in alto. Presa alla sprovvista, la Volpe Oscura roteò su se
stessa, cercando di stabilizzarsi, mentre il Capitano dei Seleniti la
tempestava di pugni, riuscendo a raggiungerla in testa, crepandole l’elmo e
spingendola a terra.
“Bastardo!” –Ringhiò lei, ruzzolando sul selciato,
tra i cadaveri delle compagne. Le guardò, trattenendo l’impulso di piangere, e
poi si tirò su di nuovo, scattando avanti alla velocità della luce, avvolta nel
suo cosmo violetto. Tutto attorno a lei brillavano le sagome di dodici volpi
dai denti aguzzi. –“Assaggia le nove code delle Volpi
Nere! Assaggia la furia di Yako del Nogitsune e delle sue sorelle! Kyūbi no Kitsune!”
L’assalto srecciò verso Shen Gado, che stava atterrando
proprio in quel momento, costringendolo a puntargli contro l’indice destro e a
liberare migliaia di lame di luce, con cui dilaniò cinque delle code affilate
di Yako. Ma le altre quattro, guizzanti e letali, lo
raggiunsero, e una, in particolare, gli si piantò sotto la spalla sinistra,
poco sopra il cuore, frantumando l’armatura dell’Ippogrifo e facendolo
barcollare.
“Non è facile prevedere dove colpiscono, vero? Le
volpi sono così. Imprevedibili. Soprattutto noi, che siamo le Kitsune Oscure, le malfidate. Le maledette.” –Ridacchiò Yako, con il fiatone e il sangue che le colava dalla ferita
al cranio.
“Che divertimento trovate in tutto questo?” –Chiese
allora Shen Gado. –“Donne di così rara bellezza, agilità e forza che si
piegano al volere del Distruttore di Mondi? È questo che siete davvero?”
“Taci! Tu non sai niente di noi! Di come siano state
cacciate e costrette a vivere nel corso dei secoli! Allinearsi al volere di
Inari, come le pavide Zenko, o soffrire per la
libertà, come abbiamo scelto di fare io e le mie sorelle. Solo questo volevamo.
Essere libere di vivere la nostra vita, sposarci, avere figli, anziché essere
schiave del suo volere. Ma Inari non ce lo ha concesso, dicendoci che non era
il nostro destino.”
“Forse era così.”
“Proprio tu che sei uomo dovresti dare più valore al
libero arbitrio!”
“E combattere per l’Unico che presto azzererà il
libero arbitrio di chiunque non è un controsenso?”
“Fa’ silenzio! Sei come Inari! Non capisci! Non
conosci la nostra ansia di libertà, che Caos ci ha promesso!”
“Caos vi userà, come sta usando tutte le creature
che ha risvegliato da un sonno millenario per combattere la sua guerra. Non è
schiavitù questa?”
Yako fece per colpire Shen Gado con l’altro braccio, ma
il Selenite lo afferrò, chiudendo il pugno sulla sua mano e stringendo forte,
molto forte, mentre il cosmo fluiva tra le sue dita, liberandosi sotto forma di
lame di luce. La Volpe Nera strillò, balzando indietro ed estraendo infine le
dita tese dal petto del Capitano, che adesso poté accasciarsi, tenendosi la
ferita sanguinante. Prima che uno dei due potesse muoversi, una bomba di fuoco
esplose tra loro, allungandosi sinuosa verso Yako e
inseguendola in ogni movimento. Subito i cadaveri delle Kitsune
Oscure vennero divorati dalle fiamme, tra le grida furibonde della
sopravvissuta che non aveva potuto dare loro l’ultimo saluto.
“Cos’hai da strillare? Sei una volpe o una gallina?”
–Disse una voce acuta, che Shen Gado
riconobbe subito, prima ancora di vederlo camminare su un tappeto di fuoco.
“Sin… Non…”
“Non ringraziarmi. Lo faccio solo perché mi diverte
combattere e il Cavaliere di Pegasus mi ha tolto la preda più ambita!” –Chiarì
il Selenite di Marte, indicando l’esplodere dei cosmi del ragazzo e di Nyx alle
loro spalle.
“Mani… lui è… più avanti. Cercalo. Salvalo!”
“Cosa sono? Un cane per ciechi? Vado solo perché qua
ormai lo scontro è finito!” –Borbottò Sin, prima di avviarsi verso la bizzarra
costruzione che sorgeva poco distante e che, ai suoi occhi, sembrava un pezzo
di montagna staccato dalla catena dell’Himalaia e
poggiato lì in mezzo al deserto. –“Niente a che vedere
con la bellezza dei palazzi di Babilonia e della grande piramide di Anduruna!” –Aggiunse, scomparendo in uno sbuffo di fiamme.
Yako si rimise in piedi in quel
momento, tossendo e respirando a fatica, mentre già Shen
Gado aveva espanso il cosmo, spalancando le ali e
preparandosi all’attacco.
“Galoppo
dell’Ippogrifo!” –Tuonò, lanciandosi su di lei con il pugno teso. La Nogitsune tentò di frenarne la corsa con nove fendenti di
energia, ma la stanchezza e l’incrinarsi delle sue convinzioni, dovuta alle
parole del Selenite, resero l’assalto confuso e poco preciso, permettendo a Shen Gado di piombare su di lei e
travolgerla in un’esplosione di luce.
“Forse avevi ragione. Questa era davvero una
schiavitù. Eppure adesso sono libera!” –Mormorò, allungando una mano verso i
cadaveri delle compagne e spirando.
***
Vi fu un gorgoglio e una bolla d’ombra sorse dal terreno,
espandendosi in mezzo al salone. Si gonfiò e poi esplose, inondando il
pavimento di pietra nera con una scura sostanza fangosa, una sostanza che, a
fatica, assunse le forme di una donna.
Era stata bella, all’inizio, con quei lunghi capelli
viola e il viso volpino, con quel corpo snello e flessuoso. Adesso,
ischeletrita, divorata dalla luce che tanto aborriva, con il cranio glabro e
deforme e gli occhi cisposi di fango nero, Nyx non era poi così diversa dalle
tante creature abominevoli risvegliate da Caos dagli abissi del mondo.
Eppure, se lui aveva concesso loro di esistere, e di
assisterlo nell’ultima guerra, forse avrebbe potuto aiutarla. Avrebbe potuto
farla tornare a essere la Signora della Notte. Era la Primogenita, in fondo.
Passi lenti risuonarono sulla pavimentazione, passi
che si avvicinarono, rimbombando nel sepolcrale silenzio del santuario che
ormai doveva essersi del tutto svuotato. Con i Progenitori in campo, tutte i
servitori dell’Unico di certo li avevano seguiti; quindi chi era rimasto ad
aspettarla? Forse una delle Kitsune Oscure?
“Yako?” –Rantolò,
scuotendo la testa. Accecata dalla vischiosa sostanza che le colava sugli
occhi, riuscì a distinguere solo una sagoma sfuocata, alta e possente,
rivestita da un’armatura ornata di spuntoni. Una sagoma di cui riconobbe la
tetra aura prima ancora di sentirla parlare.
“Erebo…”
“Che misera fine per la Signora della Notte!” –Disse
il Tenebroso, piegandosi sulle ginocchia per osservare meglio quella poltiglia
deforme che un tempo era stata la sua madre e sposa. –“Fine
che comunque ti sei meritata, per aver lasciato che quei ragazzetti ti
sbarrassero il passo. Prima i Cavalieri di Avalon, poi l’Angelo d’Acqua, infine
Pegasus e Atena. Io, ad Asgard, ho tenuto testa a una ben più incisiva coalizione,
uscendone vittorioso.” –Declamò, rialzandosi.
“Ma non indenne…”
A quelle parole, Erebo sibilò, fissandola con due
occhi fiammeggianti, che fecero ritrarre la massacrata Dea. Tossì, sputò sangue
o qualche altro liquido nerastro, prima di tendere un braccio verso l’alto,
invocando la misericordia di Caos.
“Mio Signore… Sommo Creatore… Vi prego…”
“Tu che preghi? Posso dire di averle viste tutte, in
questa nuova vita!” –Commentò Erebo, mentre la mano rachitica della Notte gli
sfiorava un piede, afferrandovisi come fosse uno scoglio e lei una barca in
balia della tempesta.
“Caos… ti prego, intercedi…”
“Oh, farò di meglio, mia cara Nyx!” –Le sussurrò,
chinandosi e agguantandola per un braccio, fino a tirarla su e a fiatarle in
faccia la verità. –“Dovresti saperlo! Io non concedo
aiuto, soltanto morte.” –E, nel dir questo, le trapassò lo sterno con un
braccio teso, strappandole il cuore.
Come un fantoccio incartapecorito, la Signora della
Notte si afflosciò, liquefacendosi in un torbido pantano, sul volto ancora la
sorpresa e il terrore per quell’imprevista fine. Divertito, il Tenebroso si
rigirò in mano il cuore della Dea per qualche istante, osservandolo pulsare
ancora, intriso di una luminosità violacea, quasi spettrale. Lo strinse forte,
nutrendosi dell’energia residua. Lo strinse fino a consumarlo, inspirando e
ubriacandosi di una verità fino a quel momento sconosciuta.
Non era vero che la Primogenita era la più forte. Né
era vero che i loro ruoli fossero fissi. La corrente di potere che l’aveva
invaso in quel momento lo dimostrava. E se i resti di un cuore maciullato
avevano potuto tanto, cosa avrebbe ottenuto da un cuore che invece pulsava
vivida energia? O, meglio ancora, da due cuori?
Tirando uno sguardo verso il bastione orientale del
Primo Santuario, dove una luce bianca e una fiamma rossa ardevano intense,
Erebo si avviò in quella direzione, desideroso come non mai di scoprirlo.