IV:
When it’s
too hard to stand, kneel
“Sei una
piccola sciocca.”
Le dita di
Alice erano gentili tra i suoi capelli. Avvolta nella trapunta come potesse
proteggerla dal mondo, Madeline soffocava i singhiozzi che le scuotevano le
spalle nel cuscino.
Alice
continuava a carezzarla rassicurante, la mano che scendeva sulla schiena in
cerchi concentrici.
“Cosa devo
fare?” mormorò Madeline con voce spezzata e implorante, sollevandosi appena
dalla stoffa morbida per parlarle. “Se consulterà il dottore sarà la fine!
Crederà che sono malata!” Non era affatto pazza, lei, no: solo speciale.
E tutto
grazie allo specchio, lo aveva detto Alice: doveva essere magico – per questo
le sue rose erano del viola dell’incanto [1], per questo nessuno
l’aveva voluto. Madeline era come l’Alice di Mr. Carroll, intrappolata in un
mondo a cui non apparteneva: che avrebbe dato per scivolare con la sua gemella
oltre lo specchio, in una stanza speculare alla propria, ricoperta di splendidi
fiori.
“Mi credi,
adesso?” le domandò Alice. Pure se la stava confortando, nel suo tono c’era
ancora una punta di tagliente freddezza. “Devi sempre fidarti di me poiché
tutto ciò che dico è vero.”
Madeline la
guardò con gli occhi gonfi di lacrime, tirando sul col naso. “Che cosa
facciamo, Alice?” Gettò una rapida occhiata allo specchio. “Ci separeranno…”
Alice la
osservava da sotto le ciglia lunghe e nel suo sguardo c’era qualcosa di torbido
e sconosciuto che le fece passare un brivido lungo la schiena. Le rose
fremettero.
“Non se la
fermiamo prima che possa accadere.”
“Che… che
cosa vuoi dire con questo?”
“La verità è
che vuole liberarsi di te. Di noi.”
I brividi
sulla pelle di Madeline divennero tremori mentre la voce di Alice si
trasfigurava, divenendo quella di uno spirito maligno delle fiabe, gelida come
pietra. “Non vede il tuo valore, e ora che è certa che non potrai mai sposarti
e che sarai per sempre un peso sulle sue spalle, vuole mandarti via per poter
tornare a essere libera come un tempo. Non ha passato l’età per prender marito,
dopotutto. Riuscirebbe a trovare benissimo qualche vedovo attempato che la
ritenga abbastanza piacente. Hai forse dimenticato quanto ami la compagnia
maschile, fare vita sociale, viaggiare per il mondo?”
Non faceva
una piega: il ritratto che Alice stava componendo era proprio quello della zia
Martha. Forse sarebbe stato più facile illudersi ancora, se la zia non avesse
mostrato la sua vera faccia, ma per loro oramai non aveva più nulla da
nascondere.
Alice non
aveva ancora terminato.
“Dunque,
l’unica maniera perché sia certo che rimarremo insieme per sempre è che tu ottenga
la tua libertà. Tra un anno sarà troppo tardi. [2]”
Madeline si
rannicchiò in posizione fetale, le mani sul viso mentre terribili scenari
venivano evocati dalle parole di Alice. Si premette i palmi sugli occhi per non
vedere, ma le immagini erano incise nelle palpebre, tentatrici.
Era così
facile figurarsi finalmente libera, padrona di se stessa e di una casa propria,
senza più dover sottostare alle richieste impossibili di una zia capricciosa –
Alice al suo fianco di giorno e di notte, l’unica creatura che l’amasse per
com’era senza riserve.
Affondò le
dita nella pelle, strofinando i polpastrelli sulle sopracciglia sottili. Le
labbra le fremevano, intrappolavano la domanda che prudeva sulla punta della
lingua.
C’era un solo
modo possibile perché tutto ciò si realizzasse – troppo terribile per
pronunciarlo a voce alta.
“Chiaramente,
dovresti farlo passare per un incidente.”
Madeline
avrebbe potuto portarsi le mani alle orecchie e non sentire, ma la voce di
Alice era fuori e dentro la testa e non era possibile sfuggirle.
“La zia non
sarà forse così vecchia, ma non è neppure un fiore di primavera e la scalinata
è alta e ripida…”
Basta, basta!
“Io non
potrei mai,” mugolò, dondolandosi sul materasso. “Non potrei mai, dovresti
farlo tu.”
Che cosa
stava dicendo?
“Sai bene che
non è fattibile.” Il cinismo nel tono di Alice si tagliava col coltello. “Non
ho corpo fuori da questa stanza, e no, non posso prendere il tuo in prestito.
Sono te, certo, ma non del tutto.”
A Madeline
sfuggì un gemito riottoso – dietro le palpebre, vedeva l’immagine del volto
della zia, non più rubizzo ma illividito dalla morte, gli occhi spalancati in
un’espressione di sorpresa e tradimento.
La mano di
Alice le sfiorò la nuca, amorevole. “Lei ha già vissuto la sua vita, Maddie.
Deve lasciare che viviamo la nostra.”
“Non è
proprio possibile, Kate. Non in questa situazione, sciocca ragazza.”
La voce della
zia Martha era un sussurro aspro ma Madeline riusciva ugualmente a udirla,
acquattata oltre la soglia del retrocucina col viso accostato alla porta
socchiusa.
La pentola
che bolliva rumorosa sulla stufa accanto a lei, spandendo nell’aria l’odore di
fagioli, nulla poteva fare per coprire i mormorii cospiratori di Kate e della
zia.
“Ma Madam, è
la mia unica parente…”
“Ho bisogno
di te qui, Kate. Con Madeline in queste condizioni, mi serve che mi aiuti a
prendermi cura di lei. Nessuno deve sapere delle nostre disgrazie, non posso
mettermi in casa qualcun altro in attesa che torni chissà da dove…”
“Belfast,
Madam…”
“Ah, che
importa. Mi servi qui, il discorso è chiuso.”
Kate si
tormentava il grembiule ingiallito, spiegazzando la stoffa con le unghie
mangiate. “Lasciate che ve lo dica, Madam. Secondo me quel dottorone della
testa non servirà a niente. Miss Maddie è posseduta.”
“Che
baggianate vai dicendo?”
Questa volta,
zia Martha aveva alzato i toni e fu Kate a portarsi un dito alle labbra facendo
rispettosamente cenno di abbassare la voce.
“Ne sono
certa: è quello specchio che la sta facendo andare fuori di senno.” Kate si
segnò rapida, indietreggiando intimorita dalle sue stesse parole. “Le sta
avvelenando l’anima. Ci parla, lo carezza, lo abbraccia. Le sta rubando
l’anima, vi dico!”
Madeline
deglutì lentamente, gli occhi fissi sul cipiglio della zia – l’orrore che
aumentava mentre il suo viso si faceva sempre più scuro, le sopracciglia vicine
e un dito a tormentarsi il mento.
“Dunque,
secondo te, facendo sparire quella maledetta specchiera potrei riavere mia
nipote indietro. Che follia!”
“Sarà folle,
Madam, ma avete visto Miss Maddie: lei ci crede, e la sta consumando! Casca
dentro ai vestiti, ormai; un giorno è felice, un giorno vuole morire. Così non
può andare e lo specchio non la aiuta, date retta a me. Bisogna che glielo
togliamo.”
Fu in
quell’attimo di silenzio sospeso in cui le due donne parevano star raccogliendo
i pensieri che le sfuggì un singulto. Madeline si premette una mano sulla bocca
traditrice, ma era troppo tardi. Le vide voltare i capi all’unisono verso la
porta, i lineamenti composti in un’identica espressione di sorpresa.
L’avevano
sentita.
“Madeline!”
“Miss!”
Nel petto, il
cuore stava per esploderle.
Madeline!
Alice. Alice.
Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. ALICE.
Corri!
Madeline
corse a perdifiato, inciampando nelle gonne che teneva raccolte nella presa
spasmodica delle dita. Mentre si lanciava su per la scala, i gradini andarono a
cozzare dolorosamente contro una caviglia, lacerando la calza sottile e
facendola sanguinare; ignorò la sofferenza, il cuore che tambureggiava nel
petto e il respiro che le doleva in gola.
Sentiva i
loro passi dietro di sé: un paio di piedi che si muovevano a falcate concitate,
attutite dalla moquette; altri, più lenti, che seguivano a ruota, accompagnati
da un controcanto stonato di respiro affannoso.
Si gettò
nella sua camera senza voltarsi indietro, chiudendosi la porta alle spalle e
concedendosi solo una frazione di secondo per posarvi la schiena. Nelle
orecchie, il grido di Alice perforava i timpani, sottraendole quella poca
ragione che le rimaneva.
Gli occhi
impazziti, Madeline si guardò attorno alla disperata ricerca di un peso da
spingere contro il legno: era consapevole di essere in trappola, ma non si
sarebbe arresa senza lottare. Lacrimando copiosamente, si staccò dalla porta
girando attorno al letto e chinandosi – le stecche del busto che si
conficcavano sotto i seni facendola gridare.
Digrignò i
denti per lo sforzo, il sudore che colava dalla fronte, sul petto, sotto le
ascelle. Le voci si facevano sempre più vicine – riusciva a sentire la parlata
strascicata di Kate e il tono di comando della zia, rotto appena dalla fatica
di salire per le scale.
Le sue
braccia esili nulla poterono contro il pesante letto, che non si smosse dalla
posizione originale. Con un gemito disperato, Madeline abbandonò quello sforzo
vano, mordendosi le labbra e slanciandosi verso la porta per bloccarla col
proprio corpo…
Si ritrovò
riversa a terra, allungata sul pavimento; un ronzio copriva le grida di Alice e
un rivolo di liquido caldo le colava dalla fronte, accecandole l’occhio destro.
Con l’altro, socchiuso e umido, non poté che assistere impotente mentre la
cameriera e la zia entravano nella stanza, infine – Kate che scavalcava il suo
corpo e la zia che la afferrava per il polso, lacerando il pizzo consumato
della manica e strappando via un bottone.
Imprigionata
tra le braccia ferree della zia, emise un solo gemito mentre Kate premeva il
corpo contro il legno della specchiera fino a sbilanciarla sulle zampe
intarsiate – rovinando a terra con un agghiacciante frastuono di vetro
spezzato.
La mano della
zia sulla fronte era calda.
Le dita
grassocce le carezzavano le tempie come a scacciare la sofferenza che la faceva
martellare, pulsare sotto i polpastrelli.
Madeline
fissava sul soffitto uno sguardo vuoto, morente come gli estremi raggi del sole
al tramonto che penetravano dalla finestra.
La fascia
attorno alla testa la stringeva troppo, ma lei non se ne curava granché. Sotto
la coperta teneva un pugno chiuso mentre la destra tremava lievemente.
“Starai bene,
piccola mia.”
La voce di
zia Martha era quasi carezzevole, più dolce di quanto l’avesse sentita da anni.
Le dita
risalirono fino alla sommità del capo, seguendo la piega dei riccioli ribelli
in un tocco gentile e materno.
Madeline
serrò il pugno con più decisione, incurante del sottile dolore della pelle che
si lacerava, bruciando debolmente mentre la grossa scheggia di vetro penetrava
a fondo nella carne.
NOTE
[1]: Nel
linguaggio dei fiori, il significato dela rosa viola, introdotta in Europa nel
XIX° secolo, è quello di “incantesimo”.
[2]: In
Inghilterra, la maggiore età si raggiunge solo al compimento dei ventuno anni.