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Autore: Stray_Ashes    22/02/2016    1 recensioni
"Hate me
Break me
I'm a criminal"
In città la gente mi indicava col termine di cacciatore di taglie, ma lo diceva con paura, perché nessuno voleva essere la mia prossima tela, su cui avrei appoggiato forse il pennello, forse il coltello. Ma andava bene, come nome, non era tanto male; il termine di cacciatore mi dava un’importanza che non avevo.
Guardai il nome della mia nuova tela, la mia nuova vittima: Frank Anthony Iero.
E il nome non mi comunicò niente.
Avrebbe dovuto..?
"What have I done?"
[Revisionato 04/07/16]
Genere: Avventura, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. Fragile Dove
 
Ahi. 
Pensai solo quello per, almeno, tre minuti esatti. 
Qualcosa mi pungeva la scapola, sotto la schiena.  
Feci una smorfia con le labbra - o almeno ebbi l'intenzione di farlo, con gli occhi ancora ermeticamente chiusi; da sotto le palpebre, riconoscevo una luce arrivare da sinistra. 
Fottuto sole del mattino.
Dov'ero? Non ricordavo niente. Mi accigliai, eppure non ebbi il coraggio di aprire gli occhi... mi sentivo pesante e ogni mio muscolo era addormentato e dolorante. Per quale maledettissima ragione, poi? 'Fanculo.
Mi sentivo anche parecchio arrabbiato: mi ero accorto di star continuando ad imprecare mentalmente dal momento in cui il mio cervello aveva ripreso conoscenza. E l'aveva ripresa davvero conoscenza, poi? Non sentivo il mio corpo quasi per nulla, se non quel qualcosa pungermi la schiena. Ero sdraiato, perlomeno. 
Magari ero morto. Si, magari il mio cuore si era fermato mentre dormivo nel bosco e adesso qualche schifosissima pigna disturbava il mio sonno eterno. Volevo sorridere ma non riuscivo a muovere le labbra... dovevo proprio essere morto morto. 
Strano, però... avevo passato tutta la vita, da vivo, a credere che una volta morto non avrei più dovuto sentire dolore fisico... eppure sentivo la pigna, se una pigna era. All'improvviso, mi immaginai tutti quei cadaveri attraversati e mangiati dai vermi... chissà che razza di male, davvero. Non lo trovavo giusto; insomma, cercare rifugio nella morte e scoprire di dover soffrire ancora. 
Oppure, siccome ero una persona orribile, quel trattamento era riservato solo a me, solo io ero destinato a sentire i vermi strisciarmi tra le viscere per il resto dell'eternità. Beh, brutto e plausibile.
Oppure, non ero morto. Non sapevo tuttavia cosa pensare di questa possibilità... apriva una quantità incredibile di incognite, e non avevo la forza di stare dietro a tutte. Correvano veloci, le incognite, e l'uomo era lento.
Quel che era certo era che.... Ahi... porca put-Ah! 
Senza sapere come, spalancai la bocca e strizzai le palpebre, ma non uscì suono.
Di nuovo, dolore; più forte questa volta, più fastidioso, intenso ed estraneo. Non certo un fastidio nella schiena... questo veniva dal braccio, e lo riconobbi come qualcosa di esterno intento a pungermi la pelle, e strisciarci sotto. Che porco male, e sentire tutto quel male spuntare fuori dal mio oceano di insensibilità, ebbe effetto triplo.
Era così reale come dolore, per essere quello provato da un morto.. forse era solo il primo verme ad aver trovato il mio corpo morto, invece. Maledissi i vermi e il dolore tornò, con lo stesso procedimento: quel qualcosa si insinuò sotto la pelle del mio braccio ed uscì. Ma ancora non riuscivo a muovermi.
Fottuti, fottutissimi verm--
«Scusa»
I miei pensieri si fermarono, cosi, a metà; volli irrigidirmi ma ero già rigido fin da prima; in compenso smisi di respirare... e wow! in effetti avevo continuato a respirare fino a quel momento, mi accorsi: una cosa insolita, per un morto. 
E in più, i vermi non potevano dirmi scusa, non con quella voce femminile e piatta. 
Ebbi l'intenzione di scuotere la testa per la marea di cagate che la mia mente stava partorendo. Che avessi bevuto? Bhe, d'altronde non ricordavo niente. L'alcool lo sentivo un poco di più della nicotina, perché lo usavo meno.
Mi concentrai di nuovo sulla voce, che però per diversi minuti, non parlò più, ne fiatò. Il dolore tornò ancora una volta, e mentalmente entrai sulla difensiva: non vedevo niente e non sapevo dove fossi, né cos'era che continuava a fare male, né chi fosse quella persona lì con me - perché si, era una persona, non uno stupidissimo verme. Naturalmente non credevo più di essere morto, andiamo, era assurdo, e un po' ridicolo... ma pensarlo, era stato divertente. Credo.
«Finalmente ti sei svegliato, comunque» disse all'improvviso la voce; veniva da sinistra, proprio accanto al braccio che mi faceva male. «Almeno Frank smetterà di farsi paranoie...»
Fu lì, con quel nome, che la mia intorpidita apatia, venne spazzata via. Sbarrai gli occhi, incontrando la fatidica luce bianca del mattino e boccheggiai, provando a tirare su la testa da quello che era, evidentemente, un cuscino.
Il capogiro venne da me violento come un pugno nello stomaco, costringendomi a tornare al ricovero su quel letto modesto, eppure comodo.
Frank... Oh, mioddio, ti prego, no. Tutta la conversazione avuta con lui riaffiorò nella mia mente, e mi spaventò. Ero sicuro di aver chiuso quel discorso, di averlo temporaneamente allontana da me, eppure quella donna mi veniva a dire, in qualche modo, la condizione in cui ero, era collegata a lui.
Gemetti, e provai a sollevarmi, per uscire dal letto. Ebbi giusto tempo di spostarmi la coperta dal petto, scoprendo di essere ancora a torso nudo, che un mano fresca si posò sulla mia fronte, spingendomi delicatamente ma con determinazione, si nuovo giù, sulla comodità del cuscino.
"Oh no no, dolcezza." disse la voce. "Non puoi alzarti, non ho finito di disinfettare la ferita e, ammettilo, sei ancora stordito da far schifo"
Aggrottai la fronte, in disappunto evidente per non poter fare quel che volevo, e feci saettare gli occhi su quella figura fin troppo vicino a me. Ero indifeso, scoperto, nessuno doveva starmi così vicino, o non sarei riuscito a controllare l'arte della morte, e della difesa, della paura. 
Era una ragazza. E si era sporta pericolosamente verso di me per poggiare la mano sulla mia fronte e tenermi giù: potevo sentire, adesso, il suo pollice muoverci impercettibilmente sulla mia pelle chiara e sudata, spostandomi qualche ciuffo troppo lungo dagli occhi. 
Mi accigliai maggiormente, stringendo le labbra. 
Aveva i capelli... strani, tra i più strani che avessi visto. E in quel tempo era insolito, quasi proibito, cosi come gli orecchini ad anello che portava. I capelli erano neri, o meglio, marrone scuro, ma tra essi c'erano alcune ciocche rosse, e perfino qualcuna blu, di un blu vecchio, rovinato, che in più punti era coperti dal rosso stesso. 
Il mio cervello lavorò, mentre fissavo i suoi occhi scuri, abbracciati da ciglia nere di mascara: chi avevo davanti? I capelli erano pettinati e lisci, ma quel colore lasciava intendere un impulsività evidente, un bisogno di lasciarsi alle spalle qualcosa, come il colore blu, e coprirlo abbastanza male da non farlo andare del tutto via, con quel rosso sangue acceso. Non le piacevano gli schemi, sicuramente, si affidava alle proprie voglie e preferenze; che importava se altri trovassero quell'unione di tinte assolutamente contrastante? Una ribelle. Avevo davanti una ribelle, e i capelli della ribelle mi stavano sfiorando la pelle nuda appena sopra la coperta. 
Mi si era avvicinata, un po' troppo, considerando il mio essere uno sconosciuto, per lei. Era molto estroversa? Poteva darsi. Oppure le piacevo io, c'era una luce affamata nelle sue pupille nere. Che pessima, pessima decisione. La gente è stupida.
Non capivo quasi mai quella stupidità umana e invece a volte la comprendevo, soprattutto la studiavo... facevo questo di me l'ennesimo stupido? Forse sì, forse no.
Non mi sembrò pericolosa comunque, non finché non notai l'ago nella sua mano, non finché non seguii con lo sguardo il percorso del filo, trovandolo incastrato nella pelle del mio braccio, su cui spiccava la ferita, ora cucita chiusa. La pelle era ancora arrossata, e faceva schifo.
Mi lasciai sfuggire un gemito lungo e strattonai quella mano via da me, via dalla mia fronte. Merda, non volevo quell'ago sotto la pelle, meglio i vermi. 
«Ehy ehy, ti ho detto calmati, rischi di peggiorare. Hai anche un brutta ferita in testa, lo sai? E pare tu abbia fatto tutto da solo, bell'idiota» mi guardò con stizza, forse dispetto.
No, mi eri sbagliato. Probabilmente non le piacevo. Perché l'avevo anche solo pensato, poi?
E, soprattutto, che diamine stava dicendo? Non ricordavo neanche che anno fosse, perché fossi ferito, perché fossi lì, perché in tutto questo c'entrasse Frank. Caspita, l'avevo detto che lo scoprire di essere ancora vivo avrebbe posto troppe incognite. 
Sbuffai e decisi di fare quello che volevo: feci pressione contro il letto e mi tirai un poco su, appoggiando la testa allo schienale, in modo da poter vedere meglio l'ambiente. Era una stanza piccola, di legno, a destra c'era quella finestra da cui filtrava il "fottutissimo sole", poi c’era il mio letto, la sedia della tizia, la tizia, un mobile, un comodino, medicamenti, garze insanguinate, travi per terra consumate, porta mangiata dai tarli, il filo, l'ago, io. 
Un quadretto che faceva schifo. Mi parve che l'unico colore serio fosse quello dei capelli della giovane, a parte quello del mio sangue, ovviamente. In realtà amavo segretamente il colore del mio sangue. Era lo stesso rosso del sangue di tutti, ma era irrimediabilmente il mio rosso ed il mio sangue, e la cosa mi faceva sentire a casa. Assurdo? Mh, molto. Probabilmente ero un sociopatico. 
Socchiusi le palpebre, sentendo all'improvviso la stanchezza, e mossi lo sguardo sulla ragazza. «Mi avete drogato?» chiesi, schietto.
Lei non mi guardò, ma nel mentre aveva afferrato le forbici e aveva tagliato il filo che suturava la mia ferita, così di dividerlo dall'ago. Rabbrividii, silenzioso.
«Abbiamo dovuto. Curare la ferita alla testa e richiuderti la voragine sul braccio sono operazioni piuttosto dolorose. E Frank non voleva che ti svegliassi urlando e sentissi dolore...» dissi infine, umettandosi le labbra, e le mie budella si contorsero ancora una volta, appena il nome del ragazzo tornò a galla. Diavolo, cosa non aveva capito di "stiamoci lontani"? 
La ragazza sollevò gli occhi su di me. «Non so che razza di amicizia abbiate, ma non aveva mai portato nessuno al rifugio prima... Anzi, non credevo nemmeno conoscesse qualcuno al di fuori di noi. Chi diavolo sei?» azzardò, ma il suo tono non era né sprezzante, né cordiale, era solo un... tono. Che ragazza strana. 
Poi, noi? Noi chi? 
E poi, io? Chi diavolo ero io? Ottima questione, tizia. 
«...domanda di scorta?» replicai, piatto. Sollevai il braccio all'altezza del viso, studiando critico la ferita, poi riabbassai il braccio sul letto. Assurdamente, lei non insistette; bensì, prese una bottiglietta bianca e senza tanti complimenti me la versò sul braccio. Cazzo, acqua ossigenata. Bruciava, ma mi limitai a sbarrare un poco gli occhi e stringere la mascella. Insomma, prima mi accarezzava la fronte, poi mi svuotava l'acqua ossigenata sulla ferita appena ricucita. Bella stronza. 
Basta imprecare a caso, Gerard. Contieni la rabbia, mi ripresi mentalmente, da solo. 
Scrollai le spalle per scacciare la tensione, e mi tastai la testa: era vero, appena sopra la nuca ritrovai una ferita chiusa da poco, i capelli ancora un po’ bagnati, forse di acqua ossigenata, forse di sangue. Beh, non mi faceva molto male, anzi, mi stava dando più fastidio l’effetto della droga o chissà cosa mi avessero iniettati, abbandonare il mio corpo e lasciarmi scombussolato e confuso. Volevo alzarmi, ma sapevo che se avessi provato, il giramento di testa sarebbe stato sufficiente da spezzarmi l’equilibrio, farmi cadere in avanti nell’angolazione giusta per beccare lo spigolo del mobile e mandare al vento le cure che mi erano state riservate. Immaginai la scena in ogni minimo dettaglio, prima di tornare in me e farmi passare la mano dalla nuca, alla fronte, agitandomi i capelli, fino a posare le dita sugli occhi e stropicciarli. Avevo bisogno di sentirmi ancora vivo e sensibile, da un lato, e che modo migliore se non tormentarsi la faccia?
Con la coda dell’occhio vidi la ragazza sistemare le bende avanzate e prepararsi per alzarsi e andarsene, così mi costrinsi  a dire qualcosa: «Ehy, uhm... com’è che sono qui, esattamente? Io, sai... ho un gran casino, in testa...» mormorai, facendo finta di alludere all’effetto della droga – morfina? – picchiettandomi la fronte con un dito, ma in realtà il casino c’era indipendentemente dalla droga, di cui di fatti non sentivo più alcun effetto.
Lei, già in piedi, mi squadrò un poco, le labbra ristrette, e non potei non chiedermi a cosa stesse pensando, sulla mia domanda, di me... indovinare cose sulla gente dall’aspetto era semplice, ma indovinare i pensieri solo dal viso era complicato. Dovevo ancora imparare, per quello, ma sapevo che prima o poi ci sarei riuscito... il mio stupido cervello a volte funzionava abbastanza bene, sapete? Era tutto molto curioso, ma non ero sicuro che altri avrebbero pensato così, del mio cervello, sul fatto che non fosse completamente inutile... forse avrebbero trasformato la mia ipotetica intelligenza in banale pazzia. Per questo ogni mio pensiero, ogni mia deduzione, la tenevo strettamente per me.
In compenso, mentre la mia testa lavorava, regalavo loro la meglio faccia ebete.
«Ti confesso di sapere poco, e questa è una delle varie cose che mi danno sui nervi...» mi rispose alla fine, stringendosi nelle spalle, e guardando un punto qualunque che non fossero i miei occhi. «Frank ti ha portato qui, sanguinante, e non ha detto granché, se non urlare di fare qualcosa...» Non mi lasciai sfuggire il tono vagamente acido e infastidito, che però non compresi del tutto. Rompeva così le palle prendersi cura di me? Probabilmente sì, ok, ma non c’era bisogno di dimostrarmelo eccessivamente... e anzi, io non avrei voluto essere lì, a pesare sull’animo alla gente. Com’è che ero finito sanguinante? La mente mi suggeriva che fosse tutta una cosa stupidissima, quella storia... beh, anche se fosse stato, avrei preferito rimanere a morire dissanguato in quel qualunque posto. L’avrei urlato in faccia a Frank, appena l’avessi visto, mi promisi. E poi me ne sarei andato impettito, ecco. Prendendomi una camicia, prima, però. E il mio amato cappotto, e la sacca, e la chiav—la chiave! La mia chiave!
Il cuore mi balzò nel petto e feci scorrere lo sguardo ovunque, alla ricerca della sacca. Avevo.. avevo tolto la chiave per lavarmi al lago, lasciandola nella borsa, ma poi.. Frank, la mia fuga... uh, giusto, la mia fuga. Era lì che la memoria si bloccava... fanculo al mio cervello.
Mi tastai il petto nudo, probabilmente sotto la sguardo stranito della giovane, ma non mi importò: a gira collo, trovai finalmente la cordicella, e la tirai: dalla mia schiena, la piccola chiave scivolò sulla mia spalla e poi mi ciondolò sotto il mento, rassicurante e familiare. Oh, ecco cos’era, che stando sdraiato mi pungeva la pelle, tra me e il materasso. Sospirai pesantemente, tenendola nel pugno e abbassando le palpebre... non sapevo perché avessi quella chiave, non sapevo di che fosse, cosa aprisse, se effettivamente apriva qualcosa, ma era parte di me da quando ne avessi memoria, la tenevo sempre nascosta sotto i vestiti, e occasionalmente la toglievo per fare il bagno. E...
Riaprii gli occhi di scatto. Le non cose tornavano, non tornavano... non me l’ero rimessa, la chiave al collo, ne ero certo, per una volta nella vita. Era rimasta nella sacca, quando ero scappato, e allora perché...?
«Stai... stai bene?»
La voce della ragazza mi riportò alla realtà, interrompendo i miei pensieri. Probabilmente avevo smesso di respirare, fissando il niente. Liberai il respiro ed annuii, per poi guardarla negli occhi. «Io... sto. Sei un dottore?»
Lei si passò ancora una volta la lingua sulle labbra, probabilmente ragionando sula mia risposta enigmatica. «Quando serve...» replicò infine, enigmatica a sua volta.
Eo stato ricucito da una persona che era un medico solo quando serviva? Forte. Sperai solo di non morire per un braccio in cancrena, non sarebbe stata una morte dignitosa. Tenni il pensiero per me. «Come ti chiami?»
La ragazza infilò le mani nelle tasche dei pantaloni stretti. «Mi chiamo Johann»
Sorrisi, con quel sorriso storto, ma pur sempre sincero, per una volta. «Beh, grazie, Johann» tentai. A lei potevo dirlo grazie, giusto? Non era Frank, potevo farlo. Potevo? E soprattutto... perché mi stavo davvero ponendo questo problema? Potevo dire grazie a chi mi pareva, diamine.
Mi parve quasi di riconoscere un rossore su quelle guance, ma ben presto sparì, quando lei annuii  e fece spallucce. «Nulla. Ti vedo abbastanza bene, penso che andrò a chiamare Frank»
Ingoiai amaro, e annuii a mia volta. Che potere avevo di ribattere, dopotutto? Non era stata una domanda. E Frank mi aveva portato lì, dove mi aveva fatto curare, seppur contro la mia volontà, e allora forse si meritava di vedermi... aspetta, c’era qualcuno che si meritava di vedermi? Sul serio..? Sbuffai, a me stesso, perché ero noioso. Io, e le mie paranoie.
Dopo qualche minuto, mi ricordai che stavo ancora intrattenendo una banale conversazione di cortesia. «Comunque, io sono Gerard-- »
Johann fece un sorrisetto beffardo ed enigmatico, spiazzandomi. «Lo so» disse soltanto, poi fece un gesto con la mano e se ne andò, lasciandomi solo nella mia confusione. Solo nella stanza che non conoscevo, solo con il mio disappunto e i miei fantasmi, solo con il sonno che decise di anestetizzare tutto il resto e portarmi via.
 
Ancora una volta, una delle prime cose che sentii, fu un fastidio al braccio. Niente, in confronto a quell’ago infernale, ma sentivo ancora il filo chiudermi le carni, e adesso quel nuovo qualcuno, stava turbando la mia quiete toccandomi la pelle sensibile.
Aggottai le sopracciglia, senza aprire gli occhi. «Johann, smettila. Ora. O ti... taglio le dita» borbottai, la voce impastata, quindi neppure seppi che razza di suono ne uscì.
«Oh, Johann, stanno minacciando le tue dita di fata...! » non conoscevo quella voce, e la cosa mi fece irrigidire, ma riconobbi facilmente il pesante tono sarcastico nella frase.
 Qualcuno, alla mia destra, ridacchiò, e non era certo Johann. Frank.
«Sì, certo, Andrew, le stesse dita di fata che tra poco ti caveranno gli occhi» rispose, Frank, ghignando ancora a quel qualcuno a me sconosciuto, lì in qualche punto della stanza.
Sbarrai gli occhi, vedendo sopra di me solo il soffitto di legno, ma non ebbi altra forza psicologica per guardarmi intorno; il sonno, questa volta non dovuto alle droghe, era ancora attaccato alle mie ossa.
«Sì, però prima devi arrivarci, all’altezza dei miei occhi, Frankie...»
«Niente battute sull’altezza Andrew, ricordi? O ti risbatto per strada»
«Certo che me lo ricordo»
Frank tacque per almeno un minuto, finché non sospirò. «...e niente battute tristi. Anche questa clausola era nel patto, mh?»
Andrew sghignazzò, e finalmente mossi gli occhi nella stanza, tirandomi su sullo schienale quel che bastava, senza farmi notare: accanto a me, Frank era seduto con in mano una garza, che fino a poco prima mi stava arrotolando attorno al braccio curato da Johann. Ora però era bloccato e stava fissando il ragazzo appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto.
Lo guardai con rinnovato interesse, perché proprio come Frank, proprio come Johann, era una persona davvero particolare: il fisico asciutto ma muscoloso era messo in risalto da una maglietta largamente sbracciata, i pantaloni stretti, la cintura spessa, gli stivali, e... ma tutti aveva i capelli così assurdi, lì? Frank almeno li aveva corvini come i miei, mentre Andrew aveva ciuffi tagliati completamente a caso, un po’ lunghi un po’ corti, un po’ blu e un po’ neri, così come gli occhi magnetici, che erano un po’ blu e un po’ neri, un po’ iride e un po’ pupilla. Sembrava quasi finto quel ragazzo, con quello stesso anelletto alle labbra che aveva Frank. Notai altri mille particolari utili per capire che tipo di persona fosse, ma non avevo tempo.
Deglutii, perché troppe persone lì dentro mi stavano mettendo in soggezione. Ero sempre stato io quello a fare paura, quello avvolto nella sua aura nera, che sapeva di morte... e adesso queste persone da dove saltavano fuori? Mi resi conto in un lampo di essermi infilato in qualcosa di pericoloso... io, che doveva andare lì, restare un giorno, prendermi i miei soldi, uccidere... Frank. Oh, giusto. Ecco che tornava l’istinto di scappare via, lontano dalle cose viventi, a meno che non fossero alberi, o magari gatti.
Neanche a farlo apposta, nell’esatto istante in cui spostai gli occhi pieni di ansia sul corpo del ragazzo accanto a me, quello piantò i suoi nei miei, e subito lo vidi illuminarsi, l’anello al labbro brillare nel sorriso.
«Ehy! Ti sei svegliato finalmente» mi disse, e quel suo tono così schifosamente puro strisciò ancora una volta nella mia anima intrisa di catrame.
Deglutii. «Uhm, già... credo» mossi lo sguardo su Frank, poi su Andrew, il quale notò i miei occhi e liberò un braccio, facendomi un gesto, e poi tornare a incrociarselo sul petto. «Holà...» mormorò, semplice, con un sorriso storto come il mio. Mi andava a genio.
Sollevai a mia volta una mano, poi guardai me stesso, sotto quel lenzuolo, e feci una smorfia di disgusto. Il ricovero era finito, non sopportavo più di stare sdraiato lì... mi faceva sentire come una colomba caduta dal nido, bisognosa di cure e riposo, e io non ero questo, nulla di così candido: io ero un cacciatore, ero un assassino, ero il gatto randagio. Pensai a Frank, che mi stava così innocentemente accanto, e ricordai di essere anche il cane. E dovevo fuggire.
Sospirai e scostai la coperta, alzandomi velocemente in piedi. Forse troppo? Barcollai un poco ma riuscii a stare in piedi, ormai la droga mi aveva del tutto abbandonato, ma continuavo a essere debole... quanto sangue avevo perso? Scossi la testa, abbandonando l’impellente bisogno di chiedere spiegazioni su cosa fosse successo, ma l’unico pensiero a tormentarmi era “scappa”. Ringrazia e fuggi, torna ai posti a cui appartieni.
Non sapevo ancora cosa fare col mio incarico. Mi passò l’idea di uccidere Frank lì, e liberarmi di quel peso e farla finita con le paranoie. Ma no... non l’avrei fatto, non avrei potuto più. Dovevo scappare dalla città, trovare Bert e dire che abbandonavo il lavoro; forse avrei fatto la fame per il prossimo mese, ma all’improvviso non mi importava.
Scappa.
Frank si alzò in piedi di scatto, allarmato, e credetti quasi che volesse afferrarmi un braccio per fermarmi, ma invece si limitò a guardarmi, stranito, la schiena. «Ehy ehy, dove vai?»
Andrew si sollevò dallo stipite della porta, le braccia ancora incrociate e una ruga sottile sulla fronte.
Deglutii ancora, guardandomi intorno con circospezione. «Io... devo andare via» risposi soltanto, ma la mia mente era assente.
«Non ti sei ancora del tutto ripreso, e non ti sarà concesso di uscire da questa base in stato cosciente, se vuoi saperlo. Non ti conviene prendere un botta in testa da qualcuno che ti becca a scappare, e finire l’opera spappolandoti il cervello»
Mi voltai verso di lui, sbarrando gli occhi. «Sono.. prigioniero?» realizzai poi, allibito, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Frank sembrò ponderare la risposta, scambiando uno sguardo con Andrew, che dopo aver ghignato, lasciò la stanza.
Tornò a guardarmi, Frank, e mi fissò serio, quasi altezzoso.
«Sì»
Mi sentii davvero una colomba caduta da nido, sentii le mie piume rovinate, sentii le mani di qualcuno raccogliermi dal suolo, ma anziché ripormi nel mio nido, decise di stringermi in una morsa e portarmi via.
Potevano uccidermi, lasciarmi a piangere per terra e morire dissanguato, ma non dovevano rubarmi la libertà.
Ero ancora il gatto randagio, dopotutto, che aveva paura dei cani.
Ero la colomba caduta, che aveva paura degli estranei e delle mani.

 
 
 
 
 
                                                                                     


Ok, questo capitolo fa un po' schifo, ok, non è accaduto niente... e avrei voluto mettere anche qualche disegno, ma ho un blocco anche lì, e ogni cosa che faccio nel giro di qualche ora non mi piace più. I apologize...
Coomunque, uhm... se ho fatto qualcosa di buono e se siete arrivati fino a qui, come vi sembrano i personaggi nuovi? Johann è del tutto improvvisata scrivendo, il suo aspetto fisico, perlomeno, mentre Andrew è un personaggio particolare a cui pensavo da un po'. Ametto che, nella mia mente, corrisponde a Andy Biersack(omg i suoi cristo di occhi.........), ma in realtà ha la faccia un po' diversa e i capelli parecchio diversi, anche, comunque, ma... vabbé, il concetto è quello. Poi Andrew ha una voce più sottile e giovane, Andy ha una voce bellissima, ma troppo grave, non c'entrava niente con il mio personaggio... ma perché sto dicendo tutto questo, allora?? Mi sento Gerard stesso, a volte, forse sto dando troppo di me stessa, a quel ragazzo. Usare la prima persona è pericoloso....
E uh, essermi vista tutta quanta la serie Sherlock nel giro di due giorni con un'amica, mi ha del tutto stravolto il cervello.... è qualcosa di bellissimo, e voglio uno Sherlock tutto per me e.e
Ohimé, vi lascio andare. Non so i quani di voi stiano leggendo questa roba, sia il capitolo, che queesto angolino, ma ringrazio comunque i lettori silenziosi, quelli che hanno messo sta roba nelle seguite e preferite, e ovviamente la mia commentatrice Gengarparade, che mi dà una ragione per continuare :3 grazie ragazza.

Bye!

_StrayAshes_
 
  
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