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Autore: sissi149    23/02/2016    6 recensioni
Nel Principato di Yomiuri Land, a prima vista, tutto scorre tranquillamente, senza grossi problemi. In realtà il Principe Legittimo è partito da più di un anno per un viaggio senza meta, seguendo uno strano individuo che un giorno si era presentato al castello. Il compito di governare è affidato al fratello e al fedele Sovrintendente, ma il primo è da qualche tempo colpito da misteriosi malori.
Nella foresta, invece, si sta formando un gruppo agguerrito di Ribelli, deciso a porre fine ad alcune crudeli decisioni dell'ultimo periodo prese dalla casa reale.
Tra gli schieramenti trovano posto anche la serva del Signore del Caos e la devota alla Dea dell'Armonia. In più, un tradimento è dietro l'angolo...
[I personaggi sono più di quelli indicati nello specchietto, dove il massimo è 5]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Koshi Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Poemi di Yomiuri Land'
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Al Toho il sole filtrava tra le fronde degli alberi, illuminando il prato della radura e le gocce d'acqua che imperlavano i fili d'erba. Del temporale del giorno prima non c'era alcuna traccia, il cielo era limpido e una leggera brezza muoveva le foglie. Presto sarebbe iniziata la fioritura dei grandi alberi di Kira e le case dei Ribelli sarebbero state circondate da un tripudio di blu e giallo.

Yayoi, davanti alla sua capanna, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, attraversando velocemente uno dei ponti sospesi e riaprendoli solo una volta giunta sulla pedana dall'altro lato. Aveva chiesto parecchie volte di poter avere una scala direttamente sul suo albero, invece di dover raggiungere quello di fronte: non le piaceva per niente camminare su quei passaggi.

Messi i piedi a terra, si avviò con passo molto più deciso.

Era mattina inoltrata e le attività al villaggio erano in fermento: Maki e un gruppo di uomini erano usciti a caccia, mentre le donne, cariche di cesti, erano pronte a partire per andare a lavare i panni dove il letto del fiume si allargava, creando quasi un piccolo laghetto. Bisognava camminare un po', ma rimanevano comunque nel territorio protetto dal Passaggio, senza il rischio di incontrare qualcuno di indesiderato.

“Yayoi!”

La strega si voltò al richiamo:

“Yukari! Come stai oggi?”

“Benissimo, il tuo decotto è miracoloso, non ho più nausea da quando l'hai fatto.”

Le rispose grata e allegra come sempre.

“Prima o poi le nausee spariranno da sole. Vai con le altre al fiume? Non prendere un cesto troppo pesante.”

La donna si rabbuiò un istante:

“Non comincerai anche tu come Ryo, spero. Non sono invalida.”

“Lo so bene, solo devi stare un po' più attenta rispetto al solito. - Le prese le mani fra le sue, con fare incoraggiante – Tutto qui. Poi, conosci tuo marito, quando si tratta di te.”

Yukari annuì: lo conosceva praticamente da tutta la vita e, nonostante tutto, non si era ancora abituata a certi suoi modi.

“Ieri sera, quando Maki mi ha chiesto di portare qualcosa al prigioniero, mi ha fatto una scenata.”

Yayoi sospirò.

“Non si fidano di lui, ma non è pericoloso.”

“Ora che non ha le forze, ma quando si riprenderà? Yayoi – guardò l'amica direttamente negli occhi – ora sono io che ti dico di stare attenta, stai correndo troppi rischi. So quello che vuoi fare con lui e so che cerchi sempre il buono nelle persone, ma è pericoloso entrare troppo in confidenza con i prigionieri.”

La strega ritrasse le mani velocemente, quasi irritata.

“Se non mi prendessi cura di lui, verrei meno ai miei doveri e alla mia fedeltà alla Dea. Ora devo andare.”

Si voltò e riprese la sua strada, cercando di ricacciare indietro le lacrime: nessuno capiva, nessuno nel villaggio si fidava del Principe, ma soprattutto non si fidavano del suo giudizio. Durante il consiglio tenutosi la sera prima nella capanna centrale, aveva dovuto lottare con tutte le sue forze per convincere Kojiro a lasciarla tentare di guarire il prigioniero. Solo l'intervento di Maki le aveva permesso di spuntarla: anche lei era sospettosa nei confronti di sua Maestà, ma pareva disposta quantomeno a dargli una possibilità. Tutti gli altri, Ken in particolare, sembravano mal accettare l'idea che, una volta ripresosi, il Principe potesse girare indisturbato per il villaggio. Tuttavia l'autorità di Kojiro era tale che alla fine nessuno si oppose.

Arrivata alla piccola capanna, Yayoi si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi un istante e sospirando. Vide il Principe ancora addormentato e ne approfittò per iniziare a preparare il filtro: aveva pensato per quasi tutta la notte a quali erbe usare, le foglie di Machiko erano state utili per far rallentare il cuore, ma ora le serviva un effetto diverso, doveva fargli recuperare forza. Alla fine aveva optato per un composto di varie foglie fresche con l'aggiunta dei fiori di Sapporo, una pianticella sempre fiorita che prendeva il nome dalla città celeste da cui alcuni semi sarebbero caduti sulla terra. La donna ne aveva una nella sua abitazione e, prima di scendere, aveva raccolto in un fazzoletto una manciata dei piccoli fiori rosa.

Col coltello tagliò il fogliame, lasciandolo cadere in una tazza a cui aggiunse poca acqua e un pizzico della polvere già usata per il precedente rimedio.

“Divina Machiko, ascolta la preghiera della tua devota: dammi la forza per curare questo bisognoso, per riportare in lui l'Armonia.”

Una luce bianca e chiarissima si formò tra le mani della Strega, che la diresse verso la tazza. La capanna venne interamente illuminata per un brevissimo istante e l'infuso di foglie fu trasformato in un liquido limpido e dorato.

Il Principe, disturbato dalla luce, aprì gli occhi e girò la testa, notando la figura della donna nella stanza.

“Yayoi.” Chiamò.

La donna si voltò, sorridendogli, in modo che Jun riuscì a vederla per intero: indossava un semplice vestito azzurro ghiaccio, le maniche tirate indietro fino ai gomiti, un grembiule più scuro, i capelli di fiamma raccolti in una coda bassa.

“Buongiorno, Altezza.” Yayoi fece un leggero inchino, poi si avvicinò.

“Lascia perdere le formalità, ormai non ho più un titolo.”

“Siete nato Principe, dentro di voi lo sarete sempre.”

“Forse, ma ora sono solo Jun.” Constatò questo amaramente, cercando di sollevarsi.

La Strega si inginocchiò accanto a lui, parlando gentilmente:

“Restate un attimo disteso, ho bisogno di capire quanti fiori usare.”

Appoggiò una mano sul petto, chiudendo gli occhi e cercando di sentire sotto le dita il battito debole del cuore del Principe.

“Ci sono. Volete mettervi seduto?”

Jun annuì e con l'aiuto della donna si accomodò.

Yayoi si spostò per terminare il filtro: a ogni fiore aggiunto, il liquido emanava un piccolo bagliore e il suo colore dorato diventava sempre più intenso.

Il bagliore non sfuggì al Principe, memore anche di ciò che lo aveva svegliato:

“Cos'è quella luce?”

“Non capisco cosa intendete.”

Rispose elusiva: nonostante non ritenesse l'uomo pericoloso, era consapevole che svelare la sua vera natura a un estraneo non era l'idea migliore che potesse avere, molti restavano spaventati quando scoprivano la verità.

Jun si accorse dell'atteggiamento difensivo e cambiò argomento:

“Sei libera di non dirmelo. Posso almeno sapere come una donna così gentile si trova insieme ai Ribelli?”

La Strega si passò una mano tra i capelli, mentre ricordava.

“La Dea ci ha messo sulla stessa strada, un po' come con voi. Io avevo bisogno di aiuto – abbassò gli occhi quasi vergognandosi – e uno di loro è venuto in mio soccorso.”

Aveva ancora ben in mente di come si fosse intestardita a voler salvare un cerbiatto intrappolato su una parete ripida. Stava per tentare la scalata, ma l'arrivo di Ken Wakashimazu, che non esitò un istante a sostituirsi a lei per aiutare l'animale, le risparmiò il rischio. Purtroppo fu il Ribelle a rimanere ferito ad una gamba. Allora lei l'aveva curato e in pochi giorni era stato nuovamente in piedi. Per riconoscenza, Kojiro le aveva offerto un tetto al Toho, assicurandosi così la presenza di qualcuno in grado di prendersi cura di loro in caso di necessità.

Scosse la testa, allontanando il ricordo e focalizzandosi sul presente.

“Voi volete guarire?”

“Certamente, devo risolvere tutti i problemi che ho scoperto esserci nel regno.”

Il suo sguardo era fermo e deciso, lo sguardo di chi aveva preso una risoluzione importante.

“Bene, ma dovete fare esattamente come dico io. Non vi prometto di guarirvi in un istante, ma se mi ascolterete sarà più facile: questa medicina da sola non basta, occorre che voi non commettiate imprudenze che possano annullarne gli effetti.”

Jun sentì la gola farsi secca, voleva rispondere nuovamente, ma riuscì solo ad annuire.

“Berrete questo due volte al giorno, ve lo preparerò personalmente. Per i primi tempi dovrete restare a letto, a poco a poco potrete cominciare ad alzarvi e fare piccoli sforzi. Sentirete la forza ritornarvi. Tra qualche giorno sarete abbastanza forte da poter essere trasferito sugli alberi: è più sicuro stare sollevati da terra la notte.”

Gli porse la tazza. Il Principe l'afferrò con entrambe le mani, notando subito la diversità con l'intruglio che gli somministrava Lady Sugimoto.

“Farò come dici, ma anch'io devo porre una condizione: per favore, smettila di usare l'etichetta con me. Mi hai salvato la vita, hai tutti i diritti di rivolgerti a me come a un tuo pari. Chiamami Jun.”

Yayoi sentì per un brevissimo istante mancarle il fiato, mentre i suoi occhi incrociavano quelli dell'uomo davanti a lei.

“Come... come volete. Ora bevete, cioè, bevi.”

Jun svuotò la tazza in un solo sorso, aiutato anche dal sapore non del tutto sgradevole, sentendo subito dentro di sé svilupparsi una sorta di calore, dallo stomaco fino alla punta delle mani e dei piedi. Durò pochissimi istanti, ma già gli sembrava di stare meglio, anche se non si azzardò a tentare di alzarsi: non voleva ripetere l'esperienza della sera precedente.

“Grazie.”

“Dovere. Comunque, i Ribelli non sono cattivi, in fondo combattono per le loro famiglie. Anche Kojiro, è solo un po', come dire...”

“Irruento? Me ne sono accorto.”

Istintivamente si portò una mano dove era stato strattonato dal fuorilegge.

“Già, ma in fondo è un uomo buono, ha praticamente dovuto aiutare fin da piccolo sua madre a crescere i tre fratellini.”

Il Principe abbassò lo sguardo, sospirando:

“Alla fine della storia, sono io quello cattivo.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo! – la Strega gli afferrò le mani, senza pensarci troppo – Non è colpa tua, ti hanno ingannato e stregato.”

“Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.”

“Shh”

La donna strinse più forte la presa, quasi cercando di trasmettergli un po' di quell'ottimismo che lei possedeva di natura, ma si rendeva perfettamente conto di come quel momento fosse difficile per il Principe: da Kojiro aveva imparato che un buon leader si preoccupa e si sente responsabile degli altri prima che di sé stesso.

“Non appena comincerai a stare meglio tutto ti sembrerà meno terribile.”

“Sarà... Parlami della vita al villaggio, puoi?”

Yayoi sorrise e cominciò a soddisfare la sua curiosità, raccontandogli gli aneddoti più divertenti che riuscisse a ricordare.

Senza che se accorgessero, passò buona parte della mattina, finché arrivò Ken. Quando questo aprì la porta, si trovò davanti una scena che non gli piacque per niente: Yayoi e il prigioniero stavano ridendo amabilmente.

“Sai, Maki mi ricorda Lady Sorimachi, anche lei era un maschiaccio a tal punto che suo fratello le ha insegnato a combattere per disperazione.”

“Yayoi, puoi venire? C'è bisogno di te.” Wakashimazu la richiamò stizzito.

La Strega si alzò velocemente, fin troppo velocemente, come se si sentisse colta in fallo.

“Eccomi, che c'è?”

“Takeshi ha avuto un incontro ravvicinato con un cinghiale.”

Yayoi scosse il capo e uscì dalla capanna, non senza aver rivolto un gesto di saluto al Principe. Ken, invece, si fermò più a lungo, lanciandogli uno sguardo eloquente.

Jun avvertì chiaramente l'astio del Ribelle nei suoi confronti e fu sicuro che non riguardasse solo la causa per cui lottava: quell'uomo lo considerava un rivale nei confronti di Yayoi. Eppure lui non si riteneva tale: era grato alla donna per quello che aveva fatto e faceva per aiutarlo, ma nulla di più.

 

 

 

 

Poco prima del tramonto il cortile della Caserma risuonava del cozzare di lame le une contro le altre: i membri della Guardia Reale erano impegnati nell'addestramento quotidiano, sotto la severa sorveglianza del Capitano, che si aggirava tra i vari duellanti.

“Morisaki, devi essere più rapido! Ringrazia che la spada del tuo avversario è spuntata.”

“Sì, Capitano!”

“Ottimo lavoro Kisugi!”

“Grazie, Capitano.”

Teppei Kisugi, un giovane soldato dalla capigliatura riccia, era appena riuscito a costringere spalle al muro il compagno di allenamento Hajime Taki, ma questo, cogliendo al volo la distrazione del ragazzo nel ricevere i complimenti, con una mossa a sorpresa riuscì a disarmarlo.

“Non dovresti abbassare così la guardia, se fossi stato un nemico non mi sarei limitato a toglierti la spada di mano.” Lo redarguì Taki.

L'altro sorrise bonario.

“Ci stiamo solo allenando.”

“Peccato che il Capitano prenda molto sul serio gli allenamenti.”

Incrociarono un'altra volta le lame e ricominciarono a battersi con più attenzione.

“Capitano Wakabayashi!”

Genzo si voltò in direzione della porta del blocco centrale della costruzione, scorgendo una figura affacciata e decidendo di raggiungerla.

“Reggente. – si inchinò – A cosa devo l'onore della vostra visita?”

“Dobbiamo discutere alcune questioni inerenti il buon funzionamento della Guardia Reale. Ultimamente le cose non si sono svolte nel migliore dei modi.”

Il Capitano dovette fare ricorso a tutta la sua volontà per reprimere uno scatto di rabbia, quando veniva toccato sul suo lavoro era particolarmente sensibile.

“Che intendete dire?”

“Mi sembra chiaro. – rispose Kanda, con fare arrogante – I Ribelli minacciano il regno da parecchio ormai e non un solo progresso è stato fatto per fermarli: nessuno di loro è stato eliminato e non è stata scoperta nemmeno la loro base.”

“Stiamo facendo del nostro meglio. Gli uomini sono sempre impegnati, si stanno allenando anche in questo preciso momento, come potete vedere.”

Con un gesto del braccio gli indicò il cortile. Il Reggente osservò per alcuni istanti lo spiazzo di terra battuta e le coppie che si battevano: c'erano tutti, dai cadetti ai soldati più esperti, con le divise bianche e sporche, in base a quante volte fossero caduti nella polvere.

“Tuttavia i risultati non sono quelli sperati.”

“Se lo ritenete opportuno, potrei lasciare la Cittadella sguarnita del suo servizio d'ordine e della protezione, per dare la caccia a tempo pieno ai Ribelli.”

Ribatté Genzo in tono di sfida. Solo la Dea sapeva quanto gli bruciasse non essere ancora riuscito a fare passi avanti decisivi per fermare i fuori legge, alla stregua di come non sopportava il sentirsi impotente di fronte alla morte del Principe, tuttavia il compito della Guardia non si limitava solo a quello, aveva anche molti altri doveri.

Sul volto di Kanda apparve uno dei suoi soliti ghigni di compiacimento.

“Se aveste più uomini a disposizione, il problema non si porrebbe.”

“Non ho tempo di addestrare nuove reclute.”

Il Reggente allargò le braccia.

“Ma io parlo di uomini già di esperienza: Makoto ha inviato un messaggio ai suoi vecchi compagni d'armi e tra pochi giorni saranno alla Cittadella, pronti a prendere servizio.”

Un brivido gelato corse sulla schiena di Wakabayashi. Si mormorava che Soda fosse originario di Azumachi e tutti sapevano che tipo di guerrieri venissero formati su quei monti: sicari, mercenari, assassini senza alcuna moralità o codice d'onore, disposti a servire chi pagava di più o semplicemente loro stessi. Piuttosto che accettare l'aiuto di una simile feccia avrebbe preferito essere dato in pasto a un branco di lupi affamati.

“Se non erro, decidere se degli uomini sono idonei al servizio nella Guardia spetta a me, la Casa Reale si è sempre fidata del giudizio dei suoi Capitani.”

“Una volta era così, ora sono io che governo e ho ricevuto l'incarico direttamente dal Principe Jun, che la sua anima riposi in pace. Non rinnegherete i vostri giuramenti?”

I due uomini si fissarono negli occhi, in una sfida silenziosa: erano entrambi orgogliosi, Genzo però si trovava in posizione subalterna in partenza. Fu costretto a chinare il capo.

“Come il mio Signore ordina. Quali sono esattamente i vostri disegni?”

“I nuovi uomini formeranno un Gruppo Speciale, per dare la caccia ai Ribelli. Makoto sarà con loro e li comanderà.”

“Quando non sarò io stesso a farlo. - Genzo ebbe un nuovo moto d'orgoglio – Sono pur sempre il Capitano, è mio dovere condurre la Guardia Reale in azione. Dell'ordinaria amministrazione si può occupare anche il mio vice, o volete togliermi pure questa mansione?”

Kanda comprese che per il momento non poteva tirare la corda più di quanto non avesse già fatto, quindi annuì leggermente.

“E sia. Ora non voglio impedirvi di continuare gli addestramenti, vi lascio ai vostri doveri. Buona serata.”

Così come era arrivato il Reggente se ne andò, senza dare modo a nessuno di accompagnarlo o a Genzo di controbattere un'ultima volta.

Quest'ultimo, sentì montare la rabbia e si diresse a rapide falcate al centro dello spiazzo, togliendosi il mantello rosso e sfoderando la spada.

“Izawa! - urlò – Vieni a duellare con me!”

Mamoru lasciò il suo avversario, orgoglioso per essere stato scelto.

“Eccomi Capitano!”

“Izawa, prendi una vera arma, non ho intenzione di battermi con una lama smussata.”

Il vice Capitano si voltò e vide Yuzo, il più vicino all'armeria, farglisi incontro con una lama appena affilata da Mastro Takasugi, armaiolo della Guardia. Era sorprendentemente leggera e maneggevole in mano, probabilmente uno dei modelli di nuova concezione arrivati in prova l'anno prima.

“Pronto Izawa?”

“Sì.”

“In guardia!”

Tutti avevano abbassato le loro armi e si erano fermati per osservare la sfida: Genzo Wakabayashi era un ottimo spadaccino e vederlo combattere anche solo pochi istanti equivaleva a parecchie lezioni di scherma.

Già dal primo colpo Mamoru si rese conto che non sarebbe stato un incontro semplice: il fendente del Capitano era forte e preciso. Genzo mirava ai punti più scoperti, obbligando l'avversario a manovre difensive, senza lasciargli la possibilità di tentare un attacco.

Il Vice Capitano fu costretto ad indietreggiare di alcuni passi, per non venire infilzato.

“Izawa! Non limitarti a difenderti, attacca!”

“Fosse facile.”

Pensò Mamoru, abbassandosi ed evitando per un pelo un colpo quasi all'altezza del viso, per poi rialzarsi fulmineo tentando di colpire il braccio armato di Wakabayashi, ancora intento a terminare la precedente mossa.

Andò a segno, lacerando la manica della casacca e tagliando la carne. Subito del sangue macchiò il tessuto bianco, ma Genzo non vi fece molto caso, le ferite superficiali non lo preoccupavano.

“Capitano io...”

“Continua a combattere! Non scusarti mai per un colpo ben piazzato, i tuoi avversari rideranno di te.”

Izawa ingoiò il rimprovero, muovendosi rapido sui piedi, spostandosi a sinistra.

Genzo intuì le sue intenzioni e parò l'attacco laterale, tentando poi un affondo sul fianco opposto, ma all'ultimo istante il suo avversario riuscì a deviare la spada, riportando la situazione in parità.

Wakabayashi allora decise di concedere l'iniziativa al vice. Questi non si fece sfuggire l'occasione ed iniziò una serie colpi sempre più frequenti, al punto che per un attimo credette di aver messo in difficoltà il Capitano.

Genzo, invece, colse l'esatto istante, una frazione di secondo tra un fendente e l'altro, per scattare in avanti e piazzare il suo colpo, sorprendendolo e sbilanciandolo.

Mamoru perse la presa sulla spada e rotolò per terra, ingoiando della polvere, completamente sconfitto.

“Izawa, dal mio Vice mi aspetto molto di più! Devo forse sostituirti?”

“No, Signore. - rispose, ricacciando indietro insieme alla saliva anche l'orgoglio – Farò delle ore di addestramento supplementari.”

“Me lo auguro. E voi tutti che fate immobili? Riprendete ad allenarvi!” Sbraitò.

“Ma il sole sta per calare!”

“E allora sfruttate la luce finché potete.”

Rinfoderò la spada e sparì all'interno della Caserma, mentre il rumore di metallo che cozzava si espandeva di nuovo nel cortile.

Mamoru, che nel frattempo si era rialzato, sfogò la sua rabbia su una piccola pietra, calciandola con tutta la sua forza.

“Dannazione!”

“Su Mamoru, non fare così. Il Capitano non ha ancora digerito la morte del Principe.”

Teppei gli mise una mano sulla spalla sinistra, mentre Hajime proseguì:

“Ti ricordi, è stato così nervoso anche quando c'è stato l'incidente di Kazuchi. Lui si sente responsabile per tutti.”

Izawa sospirò scuotendo la testa.

“Lo so bene. A volte credo che non mi riterrà mai all'altezza dell'ex Vice Capitano Sorimachi.”

“Non dire sciocchezze! - Questa volta fu Morisaki a intervenire, in tono fermo e duro, così diverso dal suo abituale, stupendo il terzetto – Sei un ottimo soldato, il Capitano non ti avrebbe mai scelto se non apprezzasse le tue qualità. La questione con Sorimachi è diversa: per lui Kazuchi non era un semplice sottoposto, era pur sempre il marito di sua sorella.”

“Yuzo ha ragione, con Kazuchi c'era anche un legame affettivo.”

“E sentiamo Teppei, che dovrei fare, sposare anch'io la sorella del Capitano?”

“Bravo, così forse la smetterai di frequentare bordelli!”

“Hajime, io ti...”

Si fermò a metà frase, notando i compagni sorridere divertiti, come ai vecchi tempi: quando era un semplice soldato come loro, stuzzicarlo era il loro passatempo preferito. Da quando era passato di grado c'erano state meno occasioni di scherzare insieme, dovendo spesso mantenere il necessario distacco. Decise di stare al gioco e cominciò a sua volta a punzecchiare gli amici, in fondo a quel modo erano riusciti a fargli dimenticare i suoi problemi.

 

 

 

 

 

Il tramonto era passato da poco, ma la Fortezza era già silenziosa: Kumi si era sempre stupita di come, all'interno del castello, con l'arrivo del buio il via vai di servitori diminuisse drasticamente. Solo in occasioni delle feste si potevano sentire musica, risate e chiacchiere fino a notte inoltrata, ma anche quelle ultimamente erano rare. Solitamente era la madre dei Principi ad organizzarle, anche allo scopo di trovargli delle mogli. Fortunatamente aveva fallito in questo.

Certo, Kumi non dimenticava che in fondo doveva ringraziare quella donna se ora si trovava praticamente a governare il regno: se non l'avesse scelta come Dama di Compagnia, l'unico modo per infiltrarsi a corte sarebbe stato quello di entrare come sguattera e poi, grazie alle sue arti magiche, avanzare nella gerarchia.

Seduta sul trono, nella sala immersa nel buio, la donna fece una smorfia disgustata: una Strega Nera costretta a fare la cameriera non si era mai sentita. Tuttavia aveva svolto il suo compito con talmente tanto zelo, da guadagnarsi un posto fisso a corte anche dopo la morte della Signora.

Quando aveva incontrato Koshi Kanda, aveva notato subito l'affinità tra le loro anime malvagie e l'aveva scelto come suo alleato e oggetto di piacere. Avevano iniziato a cospirare per ottenere il potere e, con un piccolo aiuto del destino, nella persona di un vagabondo, c'erano finalmente riusciti.

Sospirò di soddisfazione: il suo signore Gamo, il suo unico padrone, sarebbe stato fiero di lei. Sentì una vampata di calore nella parte bassa della schiena, lì dove c'era il simbolo del suo legame al padrone.

La porta della Sala del Trono si aprì ed entrò il Reggente.

“Sei qui. Ti cercavo.”

“Ora mi hai trovata.” Gli sorrise.

“Che fai sul mio trono?”

“Godevo del nostro – calcò sulla parola – trionfo.”

La Strega si alzò e gli girò intorno: nel movimento un lembo della vestaglia di seta blu notte che indossava si spostò, lasciandogli intravedere la curva del seno e rivelandogli il fatto che non portasse ulteriori indumenti al di sotto di quella. Conoscendola, Kanda pensò l'avesse fatto apposta per provocarlo.

“Tu piuttosto, sei stato dal Capitano?”

L'uomo annuì, non togliendole per un istante gli occhi di dosso, fissando la scollatura.

“Non era molto entusiasta di accettare dei nuovi uomini nella Guardia.”

“Tu lo saresti stato al suo posto?”

Il Reggente ghignò:

“Certo che no! Ma è ora che i compagni di Makoto ricevano un riconoscimento ufficiale, dopo tutto quello che hanno fatto per noi in questi mesi, occupandosi dei villaggi.”

“È chiaro.”

All'ennesimo passaggio della donna davanti a lui, Kanda la afferrò per un braccio e la spinse contro di sé, facendo aderire i loro corpi.

“Ti diverti a farmi perdere il controllo?”

Premette la sua bocca su quella della donna, infilando anche la lingua.

“La verità e che lo vuoi anche tu, non negarlo.”

Gli rispose la donna, respirandogli sul viso. Dopo qualche istante indietreggiò, mantenendo però lo sguardo fisso nei suoi occhi. Le piaceva farsi desiderare, l'avrebbe reso più caldo.

Invece il Reggente parve averne avuto abbastanza, almeno per il momento. Si sedette a sua volta sul trono osservando la Sala da quella prospettiva nuova. L'indomani avrebbe avuto la prima udienza popolare come Reggente del regno: molto probabilmente i partecipanti si sarebbero limitati a rendergli omaggio, conservando i loro problemi per l'udienza successiva, tuttavia un dubbio lo colse.

“Kumi! – la chiamò a gran voce – Sei sicura che il Principe è morto? Non vorrei trovarmelo davanti domani.”

“Hai sentito che ha detto Sanada? Quando l'ha lasciato stava male. Dubito che i Ribelli abbiano saputo come curarlo e se avessero avuto intenzione di chiedere comunque un riscatto sul corpo, si sarebbero già fatti avanti.”

Kanda annuì rinfrancato, non voleva che il suo piano venisse rovinato nel momento del trionfo.

“Koshi, che ne dici di pensare a cose più gradevoli ora?”

Con un sorriso malizioso Kumi afferrò la cintura della vestaglia e ne sciolse il nodo, poi con un gesto fluido si liberò dell'indumento, restando completamente nuda. Si avvicinò a passi lenti al trono.

Non appena vide la seta abbandonare le sue spalle e scivolare per terra, quasi al rallentatore, Kanda deglutì a vuoto, sentendo il desiderio aumentare ad ogni passo della Strega: era ai piedi della pedana, saliva il primo gradino, il secondo, il terzo, gli era davanti, gli salì in braccio, poteva sentire il suo profumo.

Mentre lei lo baciava le sue mani si mossero da sole, accarezzandole la pelle, la schiena, scendendo lungo i fianchi e risalendo dal ventre, fino ai seni sodi: gli erano sempre piaciuti particolarmente, lo doveva ammettere, erano ciò che nella donna gli piaceva di più.

Lentamente si staccò dalla bocca e prese a baciarla lungo il collo, mentre le mani ancora agivano sulle sue rotondità.

Kumi godeva di ogni singolo istante e allo stesso tempo voleva sempre di più, era la sua natura. Velocemente gli infilò una mano nei pantaloni e lo sentì quasi pronto. Cercò di levarglieli, assecondata dall'uomo, che si sollevò leggermente, afferrandola per la vita.

Tornato seduto, la spinse ancora di più contro di sé e infine le entrò dentro, mentre lei rovesciava indietro la testa.

Il loro fiatone fu ben presto sostituito dai gemiti di piacere, che si mescolavano e si sperdevano in tutta la Sala del Trono.

Il tatuaggio della mezzaluna rivolta verso il basso, simbolo delle Streghe Nere, pulsava bollente appena sopra il bacino della donna.







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Se per il Principe le cose sembrano cominciare a filare per il verso giusto, alla Cittadella invece le cose si complicano per la Guardia Reale e Kanda e Kumi sono sempre più sicuri del loro successo. Intanto abbiamo fatto la conoscenza di altri membri della Guardia Reale: i vecchi componenti della Shutetshu, la prima squadra in cui ha militato il nostro Wakabayashi.

 
  
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