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Autore: Friliver    23/02/2016    4 recensioni
Sei del mattino di una grigia giornata d'autunno, la casa è silenziosa, tutti dormono, soltanto io sveglio, i ricordi mi assalgono, mi travolgono e mi trascinano in un tempo lontano.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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~~Non si può morire dentro



 

Sei del mattino di una grigia giornata d’autunno, la casa è silenziosa, tutti dormono, soltanto io sono sveglio, i ricordi mi assalgono, mi travolgono e mi trascinano in un tempo lontano. Davanti ai miei occhi come in un film passano immagini di un giorno che ha dato una svolta decisiva alla mia esistenza.

Frequentavo il liceo quando conobbi Luigi, eravamo due ragazzini. Il nostro fu un incontro banalissimo. Ci conoscemmo, infatti, durante una festa in casa di amici. Simpatizzammo subito e bastò uscire un paio di volte insieme perché la simpatia si trasformasse in amore

Ricordo come se fosse ora quel giorno, meglio quel momento: mi sentivo diverso.

Il mio essere pulsava vivido, insieme al suo cuore, poiché non volevamo cancellare o dimenticare quegli istanti. Volevo essere cosciente di ogni attimo, condividere, vivere.
Luigi mi sorrise, ancora, dolce, per rassicurarmi, dimostrarmi che aveva ben inteso il mio stato d’animo.

Si chinò così verso di me posandomi sulle labbra piccoli baci, mentre le sue mani mi accarezzavano il petto, facendosi strada sotto la mia maglietta, facendo scivolare le dita sulla pelle morbida, percorrendo il torace, suscitando tremiti emozionanti.

Cominciò a scorrere per il mio corpo, raggiungendo con le labbra il mio petto, ormai del tutto scoperto e cominciò a baciarlo, mentre si aiutò con le mani per alzare i due lati della maglietta, finchè la sfilò definitivamente, mostrando completamente l’ampio mio torace.

Furono baci sensuali, fatti di piccoli morsi sulla pelle, pressioni della lingua sul punti più sensibili, sui capezzoli turgidi di piacere.

Il mio respiro si fece pia piano più affannato, seguendo il ritmo dei suoi movimenti. Sentii continui correnti scaricarsi nelle mie vene, facendomi tremare.

Mentre Luigi mi baciava sul petto, io sollevai le mani, portandole sulla schiena del mio ragazzo, afferrando la camicia che indossava, sollevandola, per esplorarne la schiena. Ti guardavo, eri bellissimo e ti desideravo.

Con un colpo di reni, mi sollevai, distogliendo Luigi da quel lavoro, sorridendogli con una velata malizia carica di  dolcezza. Mi inginocchiai di fronte a lui e portando le dita fra le fessure della sua camicia bianca iniziai a sganciare i bottoni rimasti ancora sigillati, durante quei minuti sul divano. Le mie mani si insinuarono fra di essi, a palme aperti, scivolando sulla sua pelle vellutata.

Luigi intanto accarezzava le mie cosce, portandosi all’interno di esse, frizionando all’altezza dell’inguine. Mi lasciai sfuggire un gemito sotto quel contatto così intimo.

Mantenemmo ancora il controllo, riuscendo a sfilare la camicia del mio ragazzo, facendola scorrere sulle sue braccia, dietro la schiena, fino a confondersi con le bianche lenzuola.

Ci guardammo negli occhi, intensamente. Non una parola, non un suono, solo il blu e il verde delle nostre iridi fuse insieme, e  dei nostri respiri.

Senza distogliere lo sguardo, entrambi poggiammo le mani sul bordo dei pantaloni dell’altro, cominciandoli a sbottonare. Ci sollevammo un poco sulle ginocchia, per facilitare quel movimento di mani e dita bramose.

Luigi. Non appena sentì la stoffa allentata, si fece spazio con la mano fra questa e la mia pelle, superando i boxer, esplorando quel punto nascosto, arrivando a toccare il mio sesso eccitato.

“Aaah…” gemetti, mantenendo il mio sguardo incatenato al suo.

Ma fu solo un tocco furtivo quello del mio ragazzo, dopo il quale continuò l’opera lasciata in sospeso, sfilando definitivamente gli ultimi miei indumenti, facendo altrettanto con i suoi, aiutato dalle mie mani.

Eravamo uno di fronte all’altro. Eravamo completamente nudi. Eravamo completamente spogli, nel corpo e nell’anima. Eravamo completamente noi stessi. Ci siamo amati e dal quel giorno lo facemmo  tutti i giorni.



Trascorremmo mesi felicissimi, fino al mattino in cui mi telefonarono i suoi genitori, che nel frattempo avevo conosciuto, chiedendomi di andare a casa loro mentre il figlio era fuori. Quella telefonata mi mise addosso una profonda inquietudine che mi accompagnò finchè non arrivai, col cuore in gola, a casa di Luigi.

La scena che mi si presentò davanti agli occhi fece crescere la mia inquietudine e il mio desiderio di sapere, finalmente, cosa stesse accadendo: la madre era seduta sul divano e piangeva sommessamente, mentre il padre col viso pallido e gli occhi lucidi, mi salutò facendomi cenno di sedere.

Con lo sguardo li interrogai, dai miei occhi dovette trasparire la mia grande ansia di sapere perché  il padre di Luigi subito mi accontentò: a causa di disturbi che in questi ultimi tempi Luigi accusava sempre più spesso, aveva fatto delle analisi per scoprirne la natura. Quella mattina il medico aveva chiamato i genitori di Luigi e li aveva informati, con molti giri di parole, che il loro figliolo era affetto da un male incurabile che gli lasciava ormai poco da vivere.

Descrivere con parole ciò che provai dopo quella rivelazione è difficile: sembrava che  dentro di me stesse imperversando una tempesta, seguita poi da una profonda calma e un grande stordimento. Credo che andai via senza salutare, chiusi sbattendo la porta, scesi in strada e raggiunsi di corsa casa mia.

Arrivato, mi chiusi nella mia stanza e passai il resto della giornata a riflettere. Arrivai a un’importante conclusione: la morte non poteva far crollare il nostro amore, i nostri più profondi sentimenti, non dovevo corrucciarmi, tutto sarebbe continuato come prima e per sempre.

E’ passato un anno. Luigi è morto, ma l’amore è rimasto, ma quanto mi manca.

 

 

   
 
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