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Autore: Cami1507    23/02/2016    0 recensioni
Alexia Reed non è una ragazza come le altre: lei non parla. Ha smesso di parlare dodici anni prima, quando, a sette anni, ha avuto un incidente. Da allora la sua vita è avvolta nel silenzio.
Ma è a Manhattan, città in cui i suoi genitori hanno deciso di trasferirsi per lavoro, che Alexia comincerà a capire di essere speciale, di avere un dono. Un dono che lei non vuole possedere perché l'unica cosa che vorrebbe è essere una normale ragazza dell'ultimo anno.
Invece deve fare i conti con un passato che sente non appartenerle e un destino che non vuole avere.
E non le importa se ci sono altri quattro ragazzi a condividere con lei lo stesso destino.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Un ragazzo alto una buona ventina di centimetri in più di me aveva smesso di parlare con due ragazzi accanto a lui proprio nel momento in cui cozzammo.
L'inaspettato colpo mi fece cadere i libri e i fogli che poco prima avevo in mano e, istintivamente cercai qualcosa a cui aggrapparmi per non fare la fine dei miei libri. Un paio di mani calde mi presero poco prima che toccassi il pavimento e mi rimisero in piedi.
«Tutto bene?», chiese una voce maschile.
Io alzai gli occhi e guardai il ragazzo che mi aveva risparmiato una grandissima figuraccia. I capelli nerissimi gli ricadevano in riccioli sulla fronte aggrottata per la sorpresa, il naso era dritto e ben fatto, gli zigomi alti e le labbra carnose erano piegate in un amichevole sorriso. Quando distolsi lo sguardo da quelle labbra trovai due occhi verdi che mi scrutavano sorpresi e cercavano di capire se fosse tutto a posto. Io distolsi immediatamente lo sguardo da quegli occhi e arrossii violentemente per la vergogna di essere andata a sbattere contro quel bel ragazzo.
Abbassai la testa e feci scivolare i miei capelli castano dorati in avanti, in modo da coprirmi il viso che sicuramente era diventato bordeaux per l'imbarazzo e mi chinai a prendere i fogli che mi erano cascati.
Il ragazzo si chinò e mi aiutò a prendere tutte le mie cose.
«Mi dispiace», disse porgendomi il libro di matematica.
Mi azzardai ad alzare gli occhi per dargli un'occhiata e vidi che stava sorridendo, senza nessuna traccia di ironia sul suo sorriso.
Scossi la testa, come per dirgli che era tutto okay e che non c'era bisogno che si preoccupasse, e sorrisi mentre prendevo il libro che mi stava porgendo. Mi alzai e così fece anche lui.
In quel momento lanciai un'occhiata ai suoi due amici, il più alto fra i due aveva una carnagione color ruggine che non contrastava per niente con i corti capelli nero corvino e gli occhi castani come la terra bagnata, così scuri che quasi non si distingueva la pupilla dall'iride. L'altro ragazzo, poco più basso del primo, aveva la testa piena di riccioli dorati e due occhi azzurri come il cielo. Entrambi erano sorpresi di aver assistito a quel buffo incidente che coinvolgeva la nuova arrivata a scuola, ma, anche se erano piuttosto divertiti, non dissero nulla, magari per educazione, o forse perché si sarebbero divertiti dopo quando io me ne fossi andata. Ovvio, se dovevo fare una figuraccia dovevo farla con i ragazzi sicuramente più carini della scuola!
Poi il più alto parlò. «Certo che puoi fare più attenzione quando cammini, Jason! Farai scappare a gambe levate la ragazza se le piombi addosso con tutta questa mole che ti ritrovi!». I due risero, ma senza contagiare il ragazzo davanti a me, Jason.
No, lui non rise con gli amici, invece mi stava squadrando, con un altro tipo di sguardo: non mi squadrava come facevano tutti gli altri, con curiosità, e nemmeno con la sorpresa che aveva prima negli occhi... C'era qualcosa di strano, come se mi stesse studiando.
Abbassai di nuovo lo sguardo avvampando ancora per l'imbarazzo.
«Già...», rispose Jason all'amico. In quel momento la campanella suonò di nuovo e il ragazzo si affrettò a dire agli amici: «È meglio se ci sbrighiamo per andare a lezione». Poi si voltò verso di me. «Mi dispiace ancora», mi disse e s'incamminò coi suoi amici al fianco.
Io scossi la testa per cercare di schiarirmi le idee e continuai a guardare sulla piantina della scuola dove fosse l'aula del professor Burner e, dopo averla trovata ed essermi orientata, mi affrettai per raggiungerla.
Arrivai appena prima che il professore chiudesse la porta.
Per un momento il professore mi guardò, come chiedendomi perché fossi  lì, poi il suo sguardo cambiò, come se la sua mente fosse attraversata dalla risposta alla domanda che aveva espresso tacitamente.
Dopo aver firmato il foglio e avermi dato il materiale per la sua materia, nemmeno lui mancò di presentarmi al resto della classe.
Ovviamente, esattamente come era successo l'ora prima, avvampai e cercai con gli occhi un banco libero per poterlo raggiungere e evitare tutti quegli occhi puntati su di me.
Mentre attraversavo la stanza per arrivare al banco che si trovava in fondo all'aula, notai che era proprio dietro quel ragazzo di prima, Jason, il quale stava dicendo qualcosa a bassa voce all'amico bruno, davanti a lui, mentre entrambi mi guardavano con uno sguardo diverso da quello che aveva il resto della classe. Sebbene anche i loro occhi erano colmi d'interesse, come quelli degli altri, nei loro sguardi vidi qualcosa di più, come se mi stessero studiando e valutando. Mentre gli passavo accanto, presa dal nervosismo che il loro sguardo aveva scatenato su di me, accelerai il passo per raggiungere il banco il prima possibile. Quella, però, non fu una mossa geniale, poiché inciampai sui miei stessi piedi.
Le mani calde che poco prima erano state pronte a prendermi al volo mi riafferrarono e io fui salvata per la seconda volta in meno di dieci minuti. Purtroppo ciò non mi salvò dal fare una figuraccia con Jason e il suo amico. Avvampai violentemente per la vergogna e stavolta la voce di Jason non era più preoccupata, piuttosto direi scocciata, quando mi disse «Stai attenta!» prima di lasciarmi.
Io arrivai al mio banco e avrei voluto sprofondare .
Per il resto della lezione non alzai lo sguardo dal mio libro di testo e, quando suonò la campanella, fui ben attenta a guardare la piantina per vedere come raggiungere l'aula di spagnolo della professoressa Gonzales.
La stessa umiliazione della presentazione che si era verificata nelle lezioni precedenti si ripeté anche durante l'ora di spagnolo e di storia, che si tenne dopo spagnolo con la professoressa Church. In entrambe le lezioni notai con sollievo che Jason non era presente, anche se in entrambe le lezioni era presente l'amico biondo di Jason e in quella di storia anche quello moro.
Notai che, durante la mia vergognosa presentazione alla classe, il moro diceva qualcosa al biondo e, dopo, vidi che anche il biondo mi guardava come mi avevano guardato i suoi amici prima di lui.
Era snervante essere osservata in quella maniera! Non ne capivo il motivo.
Dopo storia c'era l'ora del pranzo, perciò mi avviai insieme agli altri verso la mensa, senza dire niente a nessuno.
Dopo aver preso un vassoio con il mangiare mi avviai verso un tavolo vuoto e mi sedetti. Dalla parte opposta a quella in cui mi ero seduta io si misero a sedere due ragazze, il più lontano possibile da me e, dopo avermi squadrata, cominciarono a bisbigliare tra di loro, come se avessero stabilito tacitamente entrambe di ignorarmi e io fui grata per questo. Speravo che anche il resto della scuola prendesse la stessa iniziativa, ma in realtà sentivo gli occhi di molti puntati su di me. Mi sentivo come bruciare la pelle per quegli sguardi così indiscreti! A un certo punto alzai gli occhi e incontrai un altro paio di occhi verdi che mi fissavano con un espressione indecifrabile. Allargai la visuale e vidi che oltre a Jason c'erano i suoi due amici che mi guardavano con la stessa espressione indecifrabile ma con qualcosa in più. A differenza di Jason sembravano sconcertati, evidentemente non riuscivano a nascondere del tutto i loro sentimenti. Con loro c'era anche una ragazza dai capelli ramati i cui ricci arrivavano a sfiorarle le spalle,  la pelle era talmente chiara che sembrava di porcellana e gli occhi blu. Anche lei mi guardava, dapprima con curiosità, poi come se stesse cercando anche lei di valutarmi, poi, dopo aver scambiato due parole coi ragazzi, con l'espressione sconcertata degli altri due ragazzi.
Improvvisamente fui assalita da un attacco di rabbia! Perché si comportavano così le persone in quel gruppetto? Che cosa avevo fatto per ricevere quelle occhiate? Guardai intorno e vidi che le altre persone mi stavano guardando, sì, ma non nello stesso modo in cui mi guardava quel gruppo. Poteva esserci sorpresa, nei loro occhi, curiosità, magari anche interesse in qualcuno e persino divertimento – probabilmente stavano parlando della figuraccia che avevo fatto in corridoio o a letteratura –, ma di certo non c'era lo sconcerto!
Gli occhi mi cominciarono a bruciare, sentivo le guance andare in fiamme, stavolta non per la vergogna, ma per la rabbia! Serrai la mascella e i pugni e lancia un'occhiataccia carica di odio per quel gruppetto.
Improvvisamente sentii una stretta alla bocca dello stomaco e nello stesso momento le finestre della mensa si spalancarono portando all'interno della sala riscaldata una raffica di vento gelido. Quasi non me ne accorsi, rimasi a fissarli finché l'ultimo dei quattro, Jason, non distolse lo sguardo. Quando lo fece mi guardai intorno incredula: gli studenti stavano lottando contro le finestre per cercare di chiuderle e far rimanere il freddo invernale di gennaio al di fuori di quella stanza, ma invano; il vento continuava a entrare, spalancando le finestre quando stavano per chiudersi.
Fui attraversata da un'ondata di paura per ciò che stava succedendo. La paura mi chiuse la gola, come ogni volta quando succedeva qualcosa del genere. Cominciai a tremare e finalmente i ragazzi riuscirono a chiudere le finestre. Dopo un po' riaprii le mani che avevo chiuso a pugno e le sentii indolenzite per lo sforzo che avevo applicato su di esse.
Cercando di mantenere il controllo presi il vassoio in mano e andai a buttare il resto del mio pranzo nella spazzatura, dopodiché corsi fuori e m'infilai in bagno, lieta che fosse vuoto.
Mi lavai la faccia con l'acqua gelida cercando di calmarmi, ma ormai i ricordi delle fiamme che si alzavano tutto intorno a me avevano invaso la mia mente.
Respirai profondamente più e più volte per cercare di riprendere il controllo di me stessa e mi sciacquai la faccia di nuovo. Mi guardai allo specchio e vidi due occhi color cioccolato pieni di terrore che mi guardavano. Li chiusi e dopo qualche altro respiro li riaprii. Finalmente avevo ripreso il controllo di me stessa!

   
 
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