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Autore: DarkSide_of_Gemini    23/02/2016    1 recensioni
Due fratelli, un oscuro ammonimento, una divinità prossima a rinascere: questo è ciò che determinerà la sorte dei gemelli Hykarios.
Per salvare il fratello, Arethas sceglie di affrontare l’ignoto imboccando la via più oscura indicatagli dalle Moire quando era ancora bambino. Questa decisione rischia di dividere i due gemelli per sempre e scatenare una nuova battaglia contro i Cavalieri di Athena e il dio più brutale del Pantheon greco.
Dal testo: “Erano una coppia speciale, loro, la loro armonia di contrasti era ciò che li rendeva unici e complementari. Sosthenes era di gran lunga più bravo nell’agire, nel porre la sua forza a difesa dei più deboli; lui, Arethas, in compenso sapeva ascoltare, riflettere e donare i giusti consigli al momento opportuno. Insieme erano il braccio e la mente, il pensiero e l’azione. Erano unici e indivisibili. E poi erano gemelli, legati sin dal giorno della loro nascita da un vincolo misterioso quanto potente. Spezzarlo sarebbe stato impossibile. Dividerli sarebbe stato impossibile”.
Genere: Guerra, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ares Chronicles – Destini Spezzati

 

Arethas avvertì uno strappo allo stomaco ed ebbe come la sensazione di sorvolare l’intera Grecia in meno di tre secondi. Subito dopo fu lasciato precipitare malamente al suolo. Era pietra ruvida quella sulla quale era caduto, e quando il trauma per quel brusco viaggio dimensionale fu in parte assorbito il ragazzo si mise a sedere per cercare di capire dove mai fosse finito. Scoprì con sorpresa di non essere solo: attorno al lui si trovavano altri ragazzi più o meno della sua età, che a loro volta si guardavano attorno senza capire cosa fosse quel luogo. Si trovavano in una sala circolare come di un vecchio tempio, l’aria all’interno era fredda e l’illuminazione stentata di alcune torce era insufficiente per capire di più. I bagliori in continuo movimento delle fiamme danzavano sulla roccia spoglia riflettendosi su quei visi increduli.

Era ben intuibile il timore che aveva man mano contagiato persino i più spavaldi, rendendo ciascuno dei ragazzi una maschera atterrita da un terrore non specificato. Quello non presagiva nulla di buono: Arethas era sempre stato abile nel fiutare un pericolo, e quella situazione gli urlava di trovare al più presto una via di fuga.

“Codardo, sei solo un codardo” – non c’era via di fuga, quello era evidente. E qualcosa gli diceva che non gli si sarebbe prestata alcuna occasione per fuggire in futuro. Dunque avrebbe dovuto affrontare ciò che lo attendeva, avrebbe dovuto per la prima volta fare affidamento unicamente sulle sue scarse forze e l’istinto di sopravvivenza.

Odiava ammetterlo, ma avrebbe giurato di essere il più spaventato nella sala: si sentiva debole, esposto e il suo unico desiderio era filarsela da quel posto e ritornare a casa. Un pensiero, tuttavia, gli era di conforto: in quel momento al suo posto avrebbe potuto esserci Sosthenes. Chissà da quali insidie lo aveva salvato scambiandosi per lui. Sì, doveva essere fiero di quel suo gesto, continuò a ripetersi per darsi coraggio, fino a quando i suoi pensieri non vennero interrotti.

-In piedi!-

Una voce aspra risuonò tra le pareti della sala. All’unisono decine di teste si voltarono nella direzione dalla quale era provenuta: un uomo stava in piedi davanti ad una porta aperta che nessuno aveva notato; la sua figura era per metà inghiottita nell’ombra, le fiamme illuminavano solo l’orlo di una tunica color porpora.

-Non avete sentito? Seguitemi, subito-

I ragazzi si guardarono come a cercare aiuto, come a scovare il ribelle che avrebbe preteso la libertà opponendosi al carceriere. Ma nessuno osò protestare. Senza neanche fiatare tutti si alzarono incamminandosi nella direzione in cui l’uomo era sparito. Percorsero stretti corridoi illuminati a intervalli regolari da alcune torce fissate alle pareti. Le fiamme erano smosse a tratti da spifferi di aria fredda, segno che, in qualche modo, doveva essere stato costruito qualche impianto di areazione. Le mura erano corrose dall’azione di quell’aria e dall’acqua che filtrava da alcuni anfratti sulla roccia dando vita a piccole pozze o rigagnoli.

Infine entrarono in un’ampia sala circolare, il tetto era sorretto da antiche colonne in stile dorico. In cima ad alcuni scalini sui quali si trovava una sorta di palco rialzato era in piedi l’uomo che li aveva portati fin lì. Sembrava anziano, aveva lunghi capelli grigi che sembravano fatti di fil di ferro e occhi scuri come braci. Impugnava una sorta di scettro alla cui estremità inferiore era incastonata la punta senza dubbio affilata di una lancia da guerra; l’asta era imbrattata da macchie scure, era facile indovinare che quella verga non servisse solo come oggetto di arredamento. Doveva aver colpito almeno una volta, e nessuno si era curato di ripulirla dal sangue.

Arethas sgomitò tra la folla per cercare di avvicinarsi in modo da avere una visuale migliore.

-Scusa- chiese ad un ragazzo accanto a lui –tu sai cosa…?-

-Silenzio!-

La voce dell’uomo risuonò tra le pareti di pietra. I suoi occhi sembrarono squadrare il ragazzo con severità in un ammonimento che non aveva bisogno di parole. Era chiaro che quel tipo non avrebbe esitato a usare la sua arma se fosse stato necessario.

-Vi è stato concesso un grande privilegio, fortunati giovani- esordì subito dopo iniziando a passeggiare sulla sua pedana, ogni parola amplificata dal tetto a cupola –un futuro di gloria e potere vi attende. Voi siete stati scelti per formare un esercito, il più grande e eroico di sempre, il più terribile che sia mai stato assemblato nel corso dei secoli. Insieme creeremo una nuova epoca di terrore e prosperità il nome del dio che ci guiderà alla vittoria-

“Un dio…?”.

Un brivido freddo corse lungo la schiena di Arethas. Le fiamme illuminarono il viso scarno dell’uomo conferendo al suo sguardo un bagliore d’inferno mentre i suoi occhi vagavano sulla folla di ragazzi che lo fissavano attoniti.

-Permettete che mi presenti: il mio nome è Ktesias, Sacerdote di Ares Andreiphontês-

Un silenzio totale accolse quella dichiarazione. L’atmosfera della stanza non avrebbe potuto essere più pesante; i ragazzi si voltarono appena cercando gli sguardi l’uno dell’altro come a chiedersi se quello fosse solo un sogno o la realtà.

Ares lo sterminatore di uomini l’aveva chiamato il Sacerdote utilizzando uno dei tanti epiteti del dio. Ares, il dio della guerra brutale, amante del sangue e del terrore. Ares, che tra tutti i Dodici Olimpi era il più spietato e violento. Non era possibile!

Loro avrebbero dovuto formare l’esercito di Ares? Loro, le guardie prescelte di un dio che ancora non si era palesato?

Arethas aveva predetto giusto: pericolo. Quello andava ben oltre la sua immaginazione. Fino ad allora aveva pensato che suo fratello si fosse messo nei guai con gli ennesimi malviventi e che questi volessero dargli una lezione. Aveva pensato che fosse una questione risolvibile, un qualcosa sulla quale un giorno magari avrebbe anche potuto riderci su. Ma quello era troppo: lui, un guerriero di Ares?

-Adesso- continuò Ktesias –vi guiderò nelle vostre stanze: domani vi attende un grande giorno. Vi unirete ai vostri compagni e inizieranno per voi le sessioni di allenamento-

“I vostri compagni?” Arethas seguì il flusso di ragazzi senza badare a dove stavano andando “Vuol dire che ce ne sono degli altri?”.

Che cosa significava tutto quello? Ares – o chi per lui – aveva intenzione di rapire altri giovani per formare il proprio esercito? Quella strategia, a pensarci bene, era tipica del suo stile. Ragazzi forti e capaci da indottrinare al proprio culto al fine di dare inizio ad una nuova guerra per il potere.

Ecco perché quelle donne lo avevano messo in guardia, ragionò Arethas mentre entrava in una specie di dormitorio dove file di letti spartani da caserma percorrevano le lunghe pareti – certo, ecco perché avevano parlato di suo fratello: tra di loro, uno come Sosthenes sarebbe stato di gran lunga più adatto a diventare un guerriero di Ares.

Tuttavia Sosthenes non era lì, e lui avrebbe dovuto capire presto cosa si nascondeva in quel luogo e imparare quantomeno a sopravvivere.

*****

Gli era sembrato di aver appena chiuso gli occhi quando la voce di Ktesias donò un brusco risveglio agli occupanti della stanza. Dalle strette finestre poste vicino al soffitto filtravano i primi raggi dell’alba. Per quanto si guardassero intorno non c’era traccia del Sacerdote, eppure la sua voce era suonata ben chiara e aveva ordinato di ritornare nella sala dove erano stati accolti la sera prima.

Al loro arrivo nella notte quella stanza era fredda e spoglia: non appena rientrarono, invece, era stata imbandita con panche di legno e lunghi tavoli apparecchiati con ogni sorta di ben di Dio. Ktesias aveva parlato di addestramento: era logico che volevano averli bene in forma per poter restare al passo con i rigidi ritmi militari che sembravano vigere in quel luogo. Mentre i ragazzi prendevano posto il Sacerdote iniziò a illustrare come si sarebbe svolto il loro apprendistato.

Arethas notò che quasi nessuno lo ascoltava; alcuni dei suoi compagni scrutavano sospettosi il cibo quasi temessero che fosse avvelenato. La voce dell’uomo fu null’altro che un insistente ronzio per tutta la durata della colazione. Nessuno tra i ragazzi aveva ancora spiccicato una parola: era come se avessero paura di arrendersi all’evidenza di quello strano sogno, sarebbe stato come accettare di trovarsi alle prese con un dio megalomane e spietato. Si limitavano a scambiarsi occhiate furtive quasi volessero chiedere conforto l’un l’altro per scacciare, se non altro, la sensazione di vivere da soli in una realtà dalla quale a nessuno era concesso di scappare.

Dopo Ktesias li guidò lungo un altro dedalo di strette vie fino a giungere ad una porta che si affacciava su un ampio anfiteatro; altri ragazzi erano già seduti sugli spalti di pietra. Indossavano quelle che sembravano tenute da combattimento con rinforzature e pettorali in cuoio.

In quella sala, a detta del Sacerdote, li attendeva il loro allenatore. Non appena li lasciò un rumore di passi provenne da un luogo indefinito, e poco dopo quello che sarebbe stato il loro istruttore fece il suo ingresso sul palco circolare. Molti occhi si sgranarono e alcune teste si sporsero per vedere meglio: era appena entrata una bella donna dai lunghi capelli corvini che contrastavano con il colorito diafano della sua pelle. Malgrado si trovassero in una palestra la donna indossava un lungo vestito nero dal tipico taglio greco. I suoi occhi d’argento ispezionarono i nuovi arrivati e le labbra le si piegarono in un sorriso enigmatico.

-Vedo che abbiamo dei novellini- la sua voce vellutata aveva un che di autoritario; nonostante fosse una donna il suo tono metteva subito in chiaro che pretendeva il rispetto dovuto ad un qualsiasi guerriero –bene: per chi ancora non mi conoscesse io sono Enio, vostro personale istruttore di combattimento. Invito i molti visi adoranti a non lasciarsi distrarre da ciò che deve essere il vostro obiettivo principale: la guerra. Invito tutti ad essere puntuali e dare il meglio di voi: chiunque sarà ritenuto indegno di far parte dell’esercito di Ares… credetemi, i poveretti che finora si sono mostrati sgraditi ai nostri gusti lo saranno invece a quello dei vermi-

Qui inserì un’occhiata come a dire: intesi? – molti annuirono senza il bisogno che lei dicesse nulla.

Il suo sorriso si allargò –Perfetto. Cosa ne dite di un po’ di ripasso, oggi? Veterani, facciamo vedere a questi bambini di cosa siamo capaci-

Le iridi grigie della donna scrutarono la folla che pendeva dalle sue labbra. Arethas si accorse di trattenere il respiro e pensò ancora una volta all’ironia della sorte: per tutta la sua vita non aveva fatto altro che evitare i combattimenti, e adesso si trovava in mezzo a orde di aspiranti militari con l’unico scopo di mostrare la propria forza spezzando le ossa di qualcuno. Si passò una mano tra le ciocche scomposte di capelli neri, sperando che quel gesto non attirasse l’attenzione di Enio. Per un attimo gli parve che la donna si fosse voltata a fissarlo, ma poi comprese che stava guardando qualcuno seduto qualche fila sotto di lui.

-Chrysante- quel nome parve miele sulle sue labbra –vieni avanti. Mostriamo ai tuoi compagni la vera forza di un guerriero di Ares-

Un ragazzo tra le prime file si alzò portandosi al centro dell’arena. Era di una spanna più alto di Enio, aveva capelli biondi pettinati all’indietro anche se alcune ciocche gli scivolavano sulla fronte e più lunghi sulla nuca. Quando si voltò sembrò fare sfoggio di due cicatrici, una sul sopracciglio sinistro e l’altra sulla guancia. Arethas si chiese se le avesse da prima o se se le fosse procurate durante gli allenamenti. I suoi occhi verde pallido sembravano fluorescenti alla luce delle torce. Sul viso aveva stampata un’aria diffidente, un’espressione di secca superiorità che ad Arethas non piacque per nulla: aveva tutta l’aria di essere il gradasso di turno, e a lui non piacevano quel genere di persone.

Tutti osservavano con una malcelata meraviglia i due contendenti: Enio e Chrysante si squadrarono per alcuni istanti prima di dare il via allo scontro. Fu lei ad attaccare per prima: veloce come il pensiero indirizzò un destro dritto al viso del ragazzo, il quale si scansò con altrettanta abilità e rispose con un colpo diretto allo stomaco che però non andò a segno.

Da lì in poi i loro corpi parvero impegnati in una danza fluida e violenta al tempo stesso; un attimo prima si sfioravano e quello dopo erano già lontani per poi avvicinarsi di nuovo e stringersi o scansarsi in una sequela di mosse mai lasciate al caso.

Enio non sembrava in alcun modo impacciata dalle lunghe gonne che le volteggiavano intorno come lucide piume di corvo e a volte si sollevavano scoprendole le gambe e provocando una marea di acclamazioni selvagge e fischi di apprezzamento. Anche i capelli le svolazzavano attorno al viso e sulle spalle come fossero un lungo mantello di seta nera.

Arethas guardava la scena meravigliato; guardava i muscoli di quel ragazzo, Chrysante, guizzare sotto la pelle ambrata, il viso teso e arrossato sul quale spiccavano le cicatrici come due squarci su una tela immacolata. Anche lui sarebbe stato capace di combattere in quel modo? Conoscendosi lo riteneva impossibile. Era sicuro che, se solo si fosse trovato ad affrontare Enio in quell’istante, la donna lo avrebbe battuto in meno di cinque minuti. Davvero avrebbe potuto diventare come i ragazzi che già avevano iniziato l’addestramento?

Enio si fermò quando l’avversario rimase in ginocchio un secondo di troppo; ma lo scontro era tutt’altro che terminato: la donna prese una spada da una rastrelliera e la lanciò al ragazzo che si era prontamente rialzato nel frattempo. Aveva il respiro corto e la fronte imperlata di sudore, ma negli occhi gli balenò un lampo di determinazione, puro desiderio di vittoria. Chrysante doveva essere uno a cui la sconfitta non andava a genio.

I ragazzi notarono che Enio non aveva preso una spada per sé. Di fatto si limitò a passare una mano a mezz’aria: un bagliore argenteo scaturì dal suo palmo e solo un attimo dopo la donna impugnava una spada dalla lama in puro argento, dello stesso colore brillante dei suoi occhi. Era senza dubbio una gran bell’arma, e l’essere impugnata da quell’amazzone indomita le conferiva un che di leggendario e divino.

Il clangore del metallo riempì presto l’aria. Fendenti dalle velocità impossibile illuminavano l’aria di brevi lampi dai riflessi di fiamma. All’improvviso i due si bloccarono: la lama di Enio era ancora poggiata sulla guancia destra dell’avversario. L’argento si tinse di rosso, subito dopo le prime gocce di sangue colarono sul viso di Chrysante decretando così la vittoria della donna. Lei sorrise al ragazzo che aveva di fronte ostentando una secca aria di superiorità, poi gli strizzò l’occhio. Passò la lingua sulla lama insanguinata e sollevò la spada al cielo: quel gesto fu seguito da un coro sguaiato di urla trionfanti, decine di voci iniziarono a ripetere il suo nome in coro fino a che l’eco risultò essere solo un grido irriconoscibile.

Uno dei pochi a non partecipare a quel giubilo era proprio Arethas. Lui guardava ancora la donna e il ragazzo accanto a lei. Chrysante era forte, non c’era alcun dubbio: doveva avere una naturale inclinazione alla battaglia, e gli allenamenti lì con Enio lo avrebbero reso ancora più esperto e letale. Eppure neanche lui era riuscito a danneggiare la donna. E se non ci era riuscito lui, che era in pratica un guerriero nato, che speranze aveva qualcuno come Arethas di uscire vivo da lì?

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Bella gente, come va? Siete stati rapiti da qualche divinità pazza nel frattempo?

Ebbene, eccoci qui in quasi-compagnia di Ares. Che dire, anche se è un grandissimo antipatico è sempre stato un dio per il quale ho sempre provato un certo interesse, era inevitabile che prima o poi ci sarebbe scappata la fanfiction. Poi, su… si parla di guerra: chi meglio di Ares?

Come avevo annunciato ecco che entrano in scena due personaggi che adoro, sui quali si scoprirà di più andando avanti ;) ovviamente parlo di Enio e Chrysante, il Sacerdote mi sta abbastanza antipatico, anche se sarà utile pure lui. E sappiate che mi sono presa una cotta mortale per Chrys, voglio rapirlo io, altro che Ares!

Su: facciamo il tifo per Arethas, che da bravo ometto dovrà affrontare le sue paure e… ma che fai? *Arethas si è rintanato in un bunker di cuscini* - … ok, vedrò di farlo uscire da lì entro i prossimi capitoli <_<

 

Intanto ringrazio Aquarius no Leni e Jadis_ per aver inserito la storia tra le Seguite, e Jadis_ e winnie343 per le recensioni *inchino* :)

 

Ho finito anche per stavolta, alla prossima!

Kisses,

Rory_Chan

 

  
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