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Autore: Niruh    24/02/2016    3 recensioni
Andrea ha 23 anni e una vita monotona tra università, amici e bar in cui lavora per mantenersi lontano da casa. Un giorno però nel suo locale entra Vanessa, una ragazza solitaria dai tratti delicati e orientali. Vanessa è talmente persa nel suo mondo e così poco consapevole della propria bellezza che Andrea se ne innamora all'istante, ma sa così poco di lei che quando scompare per l’ennesima volta può solo aspettarla, o no?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Tè al Ginseng

Capitolo 5

“Cos’è questa storia che hai una ragazza?”
Ecco.
Andrea doveva aspettarsi il confronto con sua sorella Elisa. Quasi gli sembrò di essere sotto interrogatorio. Era andato in camera a posare i soldi che gli aveva dato suo padre, ma non era stato abbastanza veloce da evitare l’agguato della sorella.
“Ho improvvisato” rispose semplicemente alzando le spalle.
“Quando hai pronunciato il suo nome avevi una faccia da ebete, non mi sembrava che stessi improvvisando” gli fece notare con quell’espressione critica che Andrea conosceva fin troppo bene.
“Io…” Portò una mano dietro la testa.
“Sei imbarazzato” disse Elisa “Fai sempre così quando lo sei” e fece un sorrisetto.
Andrea le spiegò la situazione e la sorella ascoltò senza dire niente, cosa che il ragazzo apprezzò molto. Ma sapeva che alla fine avrebbe detto la sua e il problema era che Elisa aveva quasi sempre ragione.
Era molto logica e da sempre aveva fermato Andrea prima di fare scemenze. Una volta aveva persino salvato i suoi capelli dalla colla. Aveva dieci anni ed Ezio l’aveva sfidato, non poteva mica tirarsi indietro.
“Allora…” iniziò dopo un paio di minuti. Andrea la conosceva abbastanza da sapere che il suo cervello aveva macinato idee e pensieri a non finire in quel breve tempo.
“…per quanto sia romantico e per quanto so che devi aver preso questa decisione per un motivo molto valido, non puoi andare in un paese che non conosci per una ragazza con cui hai parlato davvero solo un paio di volte” Guardò il fratello con attenzione come se temesse di ferirlo.
Sono messo così male se persino lei si preoccupa.
Andrea sapeva che era azzardato, davvero tanto, ma quella sensazione nel petto non lo aveva lasciato un attimo da quando aveva aperto quel libro. Ogni parola di Vanessa sembrava sussurrare altro al suo orecchio. Come se lei sapesse perfettamente cosa aveva il bisogno di leggere.
In un capitolo, la protagonista, una ragazzina della provincia di Inaba, era andata in città per la prima volta e raccontava con parole commoventi quanto fosse stata colpita dagli sguardi della gente. Questa, pur se di poca cultura più ampia di lei, la considerava diversa, sbagliata, perché i suoi occhi erano più sottili dei loro ed i suoi piedi troppo grandi per poter diventare una moglie perbene.
Vanessa aveva scritto subito dopo l’ultima parola.

Inuki ha capito a otto anni quello che io ho capito molto più tardi, ma che ho sentito di sapere da sempre.
In Italia sono sempre stata
quella cinese. In Giappone una gaijin, una straniera.
Inuki non sapeva qual’era il suo posto. E neanche io ho mai saputo qual è il mio.

Andrea aveva pensato che avevano davvero tanto in comune. Lui, così inadatto ad ogni situazione. E negli altri scritti sentiva come se il destinatario fosse proprio lui. Come se lei avesse voluto dirgli quelle cose, ma senza farlo direttamente.
Qualche volta mentre scarabocchiava sul foglio, nei momenti morti del bar, poteva quasi scommettere di averla vista gettare sguardi nella sua direzione per poi mettersi a scrivere, ma non ci aveva dato molto peso. E se ne stava pentendo.
“Posso dire di conoscerla più di quanto pensi” disse infine ad Elisa.
Lei mosse leggermente le labbra e guardò il libro che il fratello aveva lasciato sul letto.
“E’ per quello?” chiese.
Andrea le aveva solo detto che Vanessa l’aveva lasciato al bar per sbaglio.
“Non hai mai letto un libro e non ne ho mai visti qui in camera tua” gli fece notare. “Non credevo che leggere ti avrebbe fatto questo effetto” lo schernì.
Andrea gettò uno sguardo all’oggetto e pensò che se era davvero pazzo non c’era nessuna persona più adatta di sua sorella per capirlo.
Prese il libro e sotto lo sguardo perplesso della sorella lo aprì direttamente alla fine per poi mostrarle ciò che Vanessa aveva scritto proprio lì, all’ultima pagina. Quella piccola parte sarebbe bastata a sua sorella mentre il resto sarebbe rimasto solo tra lui e Vanessa.
Sua sorella lesse in silenzio. Per più di una volta in realtà. Andrea lo capì dal movimento dei suoi occhi.
Poi arricciò le labbra.
“So che potrei pentirmi di quello che sto per dire, ma penso che dovresti partire”.

Vanessa gettò uno sguardo al cellulare mentre suo padre metteva del wasabi nel suo piatto. Erano in un ristorante per famiglie e Lara era sparita in bagno.
“Mangia” le disse il padre. In giapponese, ovviamente.
Vanessa doveva davvero sforzarsi a pensare in un'altra lingua, non era come la sorella che passava da un idioma all’altro senza problemi. Non l’aveva mai detto a nessuno, ma dopotutto ogni secchiona ha il suo piccolo segreto, quella cosa in cui non è affatto brava.
“Non ho molta fame” rispose.
Riguardò il cellulare. Appena aveva potuto leggere i messaggi di Andrea aveva sorriso. Le aveva scritto subito per rassicurarla e questo le confermò quanto fosse premuroso. Poi le aveva anche mandato gli auguri per Natale. Lei aveva ricambiato, sperando di essere ancora in tempo.
Era davvero sulle spine però perché lui aveva il suo libro e quelle pagine erano diventate una sorta di diario per lei. Aveva timore che leggendo qualcosa il ragazzo potesse capire che parlava di lui. Sarebbe stato davvero imbarazzante, ma non aveva colto l’occasione quando aveva potuto.
Ora è tardi.
Prese un po’ di riso con del pesce e masticò lentamente.
Sapeva di aver indugiato troppo per quei mesi. Inizialmente aveva deciso di prendere la situazione di petto. Dopo aver visto Andrea in piazza aveva una voglia matta di conoscere quel ragazzo dagli occhi blu.
Ma come fare a fermarlo e parlargli? Chiedergli un disegno era fuori discussione con quella mano fasciata. Poteva solo immaginare con quanta fatica avesse completato il ritratto alla coppia di anziani.
Vanessa tendeva a pensare troppo. O meglio, a pianificare troppo.
Stava lì a pensare ad ogni dettaglio ipotetico di una situazione perché sapeva da sempre che se riesci a capire qualcosa in ogni aspetto puoi controllarla. Ma capitava, a volte, che un piccolo tassello le sfuggisse. Come il particolare che il ragazzo dagli occhi blu veniva raggiunto da una bionda fin troppo empatica.
Però avrebbe scoperto solo un paio di settimane dopo che non stavano insieme.
Dopo quel periodo infatti fu l’amico del ragazzo a farle scoprire il bar. Lo vide entrare con uno di quei tubi porta disegni a tracolla e pensò che anche lui poteva essere un artista. Entrò nel bar e Vanessa vide la ragazza bionda con l’uniforme da barista. La curiosità fu troppa così pensò di prendere un caffè.
“…dai, solo un attimo” sentì dire dal ragazzo “chi potrà mai venire in cinque minuti? Arriviamo solo fino all’incrocio della piazza e ti riporto al forte”
“Ezio, non posso lasciare il bar incustodito! Perché non mi inviti per bene per una volta? Sempre alle undici del mattino”
“Questa è l’ora dell’oro, mia dolce Eva. Voi ragazze cambiate quando cala il sole”
Vanessa quasi rise per il tono che usò e per lo sguardo con cui la ragazza gli rispose.
“Vabbè, ho capito, vado che tra venti minuti ho lezione. Pensami!” poi si girò per uscire e diede solo una rapida occhiata a Vanessa sulla porta. Sembrava distratto.
“Buon giorno” disse lei semplicemente.
“Buon giorno” le rispose la barista con un gran sorriso. “Cosa posso fare per te?” le venne spontaneo il tu. E Vanessa la prese subito in simpatia, anche se non aveva eliminato i dubbi sul rapporto che aveva con il ragazzo dagli occhi blu.
Pensò che avrebbe capito solo chiedendo, ma le serviva qualche particolare.
“State insieme?” chiese facendo un cenno verso la strada dove ancora si intravedeva il ragazzo.
Eva abbozzò un sorriso. “Oh, no. Sarei matta”. Ma sembrava che desiderasse il contrario.
Forse il ragazzo le piaceva, ma si aspettava qualcosa di più principesco dell’invito di quella mattina.
Vanessa aveva da sempre avuto il talento di capire le persone e il suo intuito non aveva fallito né con Eva, né con Andrea.
“Potresti prepararmi un caffè?” le chiese.
“Certo” le rispose Eva mettendosi subito all’opera.
Vanessa cercò le parole adatte per formulare la sua domanda mentre la ragazza era di spalle.
“Senti, vorrei chiederti una cosa” quasi le parlò come se si conoscessero da anni, le uscì naturale.
“Dimmi” rispose Eva voltandosi un attimo.
“Ho visto quel ragazzo in piazza un po’ di tempo fa ed era-”
Ma Vanessa avrebbe scoperto presto che Eva finiva le frasi nella sua testa troppo velocemente.
“Ti ha dato fastidio? Se ci ha provato e non ti ha chiamato per giorni sappi che l’ho conosciuto che era già così”. Sembrava nervosa però, come se sperasse di essersi sbagliata.
“No” le disse Vanessa alzando le mani. “Tendo a fare delle premesse forvianti quando parlo. Sono interessata al suo amico” le confidò.
Ad Eva iniziarono quasi a brillare gli occhi. O fu solo un’impressione di Vanessa. Forse si sarebbe dovuta allarmare in quel momento.
“Andrea? Lavora qui, di solito nel pomeriggio.” Era sorridente, ma Vanessa si sentì un po’ sotto analisi.
Come se cercasse di capire se era una brava ragazza o una pazza.
Comprensibile, pensò.
“Oggi dovrebbe venire a lavorare dopo pranzo”
Vanessa però per quel mese aveva sempre lezione nel pomeriggio. Eva fu gentile. Probabilmente all’inizio voleva solo inquadrare Vanessa per bene, per non mettere Andrea sotto le grinfie di una psicopatica, ma con il tempo le due ragazze divennero amiche ed Eva una valorosa spia e fonte di informazioni.
“Sembro una stalker” esordì Vanessa dopo un mesetto che si conoscevano.
“Una stalker seguirebbe il suddetto ragazzo, non l’amica e collega per estrapolare informazioni da usare in un piano dai tempi infiniti” e la guardò in modo davvero eloquente.
“Ti prego, fa’ parlare me con lui” la pregò Eva.
“No” disse Vanessa. “Sto pianificando la mia strategia” e arrossì.
Oh mio Dio pensò Eva esasperata.
“Il piano A è fallito totalmente?” chiese Vanessa. Aveva pensato di farsi presentare ad Andrea da Eva in un’uscita di gruppo. Semplice ed efficace.
“Sì, Ezio ha perso quei due neuroni che gli restavano guardandomi le tette tutto il tempo mentre gli parlavo. Non ha neanche capito che gli stavo dicendo che volevo presentare una mia amica ad Andrea” 
Vanessa prese una ciocca rossa tra le dita per scaricare lo stress.
“Forse non era un grande piano” considerò.
“Devi parlargli o lo farò io. Non mi piace questa regola della non-intromissione. Mi sembra di vedere una lumaca che insegue una tartaruga” e sbuffò.
Eva non aveva tutti i torti. Ma aveva chiesto ad Andrea di sostituirla il giorno seguente ed in quel modo quando Vanessa sarebbe andata al bar per incontrarla se lo sarebbe finalmente trovato di fronte.
Il piano aveva funzionato, ma Vanessa non aveva detto niente ad Andrea e le frustrazioni erano aumentate nella mente di Eva che leggeva harmony da quando aveva undici anni. Se non poteva vivere una storia decente con Ezio almeno avrebbe aiutato un nuovo amore a sbocciare. Ma quei due sembravano uno con meno speranze dell’altro.
Vanessa prese un gambero in tempura e ripensò con gioia alle chiacchierate insieme all’amica. Avevano parlato spesso di Andrea e Vanessa si sentiva più attratta del ragazzo ad ogni parola. Eppure Eva non era stata affatto magnanima descrivendogli anche brutte figure o lati negativi del ragazzo.
Era un imbranato dannatamente carino.
Vanessa però più il tempo passava più non si sentiva adatta a lui. E per quello i giorni passavano mentre rimuginava su se stessa. Se fosse andata bene con lui, l’avrebbe buttato in quella che era la sua disastrosa situazione familiare. Non avrebbe voluto che affrontasse tutto quello.
Se non decide di scappare prima.
“Eccomi” disse Lara sedendosi. Aveva raccolto i capelli con una bacchetta e si vedeva chiaramente il nuovo tatuaggio che aveva fatto sul collo. Suo padre si rabbuiò nel vederlo.
“La pelle va rispettata” usò un tono molto duro.
“Papà, la esalto ad opera d’arte. Più rispetto di questo” ed iniziò a prendere il riso.
“Non mi piace come ti stai comportando. E nemmeno quel coso con cui esci”
“Siamo fidanzati” gli fece notare sfidandolo.
Vanessa pensò che dire a suo padre di voler sposare un tatuatore con pezzi di metallo in luoghi mai visti sarebbe stato abbastanza per fargli scoppiare una vena. In effetti quella sul collo stava pulsando in modo poco rassicurante.
“Non puoi stare con uno così!”
“Ci sposeremo!” rincarò lei. Nel frattempo avevano attirato l’attenzione nel ristorante.
Suo padre divenne talmente rosso che Vanessa si preoccupò, ma poi sembrò calmarsi guardando la figlia maggiore.
“Almeno ho te” disse. “Tu sposerai un bravo ragazzo giapponese con un ottimo lavoro e renderai quest’uomo orgoglioso di te”
Non faceva che parlarne. Vanessa aveva voglia di fargli notare che lui era stato il primo a sposare un’occidentale. Ma quello avrebbe solo alimentato di più il fuoco perché lui gli avrebbe buttato addosso tutti i fallimenti e gli sbagli di quel matrimonio.
Sentiva che era ingiusto dover star male in quel modo. Aveva persino rinunciato ad Andrea per suo padre.
Infatti proprio quando aveva deciso che avrebbe buttato all’aria tutti i piani e che semplicemente avrebbe chiesto ad Andrea di uscire, il padre le aveva sganciato la bomba.
“Cosa?” aveva chiesto Vanessa quella volta al telefono. Temeva di aver capito male.
“Ho organizzato un omiai per te. E ti ho già prenotato un biglietto”
Vanessa era rimasta pietrificata. Un omiai era un incontro per pianificare un matrimonio combinato.
Non ne sentiva parlare da anni.
“Papà, non capisco. Perché l’hai fatto?”
Suo padre aveva sospirato. “I ragazzi occidentali non potranno mai capirti. Non potranno mai portarti abbastanza rispetto”
Vanessa aveva subito pensato ad Andrea e alla premura con cui le porgeva la tazza o la guardava mentre scarabocchiava sui tovaglioli.
“Ti sbagli” e sentì in quel momento di aver perso troppo tempo a guardare il ragazzo senza fare nulla.
“Ho promesso a tua nonna che l’avrei fatto” e così scagliò il dardo nel suo punto debole.
“Nonna non l’avrebbe mai detto”
“E invece l’ha fatto” disse solo il padre per poi chiudere la chiamata.

Vanessa volò in Giappone con il cuore tra le mani chiedendo al cielo perché sua nonna le avesse lasciato quel fardello. A nove anni ricordava che ne avevano parlato, ma sua nonna le aveva sempre augurato di trovare l’amore. L’amore e basta. Senza restrizioni.
Era un pensiero profondo per un’anziana cresciuta tra le regole e l’obbedienza. Ma sua nonna era speciale, in ogni contesto.
In aereo aveva ricordato i suoi nove anni tra lago e canti con la donna. Sua nonna infatti aveva una voce meravigliosa e Vanessa si sentiva male quando si rendeva conto che stata iniziando a dimenticarla.
L’incontro era stato un disastro. Il ragazzo che le avevano presentato non faceva che abbassare la testa e guardare la madre che parlava al suo posto. Se non l’avesse detto lei, Vanessa non avrebbe saputo neanche il suo nome. Quella sera, a casa, era piombato il silenzio tra lei e suo padre.
“Non avevo capito che non era il manager dell’azienda. Ora organizzerò di meglio, non preoccuparti” e prese un taccuino in cui aveva tutti numeri appuntati.
“Papà, fermo” gli aveva detto mettendogli una mano sul polso. “Non fa per me”
Vanessa si sentì come se avesse portato un brutto voto a casa per la prima volta.
“Tua nonna ha conosciuto tuo nonno così e sono stati sposati per cinquant’anni. Io ho sposato la donna che amavo e guarda dove siamo ora. A stento le parlo!
Non voglio che tu e tua sorella soffrite per qualcuno che non vi merita e non vi capisce”
Merita? Vanessa avrebbe voluto che l’uomo della sua vita la guardasse negli occhi. Voleva che dimenticasse il regalo dell’anniversario, ma che si facesse perdonare sotto le coperte. Voleva mangiare biscotti a letto guardando la televisione. Voleva essere guardata come qualcosa di speciale.
Eppure si sentiva sbagliata. Sentiva di non essere a posto in nessuno dei due mondi che la componevano. In Italia sembrava avere troppe pretese. In Giappone per niente adatta alla vita di coppia e troppo espansiva.
Ma aveva pensato a quanto era stata felice sua nonna e a quanto avevano sofferto i suoi genitori. Andrea non aveva lasciato un secondo la sua mente però. Si riempì di se e di ma. E le chiacchierate al cellulare con Eva non mancavano per rincarare la dose.
“Sei pazza perché il ragionamento è tutto sbagliato” aveva detto l’amica una volta.
“Lui che fa?” aveva chiesto Vanessa timidamente.
“Guarda la porta con la faccia da cane bastonato”
Poco tempo dopo si era tinta i capelli di nero, il suo colore naturale. E più mandava all’aria gli incontri più tagliava i capelli per sentirsi meno persa.
I pretendenti che suo padre le presentava erano senza animo, senza nulla che potesse attrarla.
Era assurdo che pensasse ad un ragazzo con cui non aveva mai parlato davvero?
“Sta uscendo con qualcuno?” chiese una sera.
“No, ma prima o poi succederà” le rispose Eva.
Avete mai visto la prima della classe rispondere al professore? E’ uno di quei momenti epici in cui non sai come reagire.
Vanessa se ne andò dall’incontro prima che la madre del ragazzo iniziasse a elencare i suoi voti a scuola. Quella donna le aveva detto chiaramente che non era adeguata al figlio. Non le importò di quanto fosse risultata sgarbata. Per il primo momento nella sua vita le importò di se stessa e comprò un biglietto per tornare in Italia.
Quasi non le sembrava vero di poter tornare nel bar al suo angolino per osservare Andrea lavorare. Ma le telefonate di suo padre la tartassavano e sentiva di avere ancora dei doveri da rispettare.
Andrea era lì, bello da togliere il fiato con quell’aria scanzonata. Lei non faceva che chiedergli caffè per trovare una scusa per vederlo.
“Tra voi due diventerò vecchia prima del tempo” disse Eva qualche giorno prima di Natale.
Vanessa invece pensò al suo libro. Era un tarlo. Sua nonna non avrebbe voluto quello per lei, non avrebbe voluto che si sentisse così triste.
Quel pomeriggio accarezzò il libro come se fosse una lampada. Quasi sperando che, nella disperazione, le risposte le sarebbero arrivate per magia.
Poi Andrea le portò il tè al ginseng e le sembrò che fosse quello il segnale che aspettava.
Si era sentita libera di flirtare con lui per messaggio e sentiva il petto pieno di aspettative per il giorno seguente e l’incontro. Fantasticò a lungo su come dovesse essere abbracciare il ragazzo.
Ma per quanto aveva ignorato le chiamate del padre nei giorni precedenti, una piccola speranza di chiarire si fece strada in lei, favorita dal buonumore.
La chiamata le portò via tutti i buoni propositi e ripensò a quanto poco adatta si sentiva. Voleva essere adatta per Andrea, lo sarebbe stata? O doveva solo fidarsi del padre e della sua cultura?
Qual è la mia cultura?
“Vane, è solo zuppa di miso” le fece notare Lara. La stava fissando da una vita probabilmente.
Il posto di suo padre era vuoto.
“E’ andato a prendere l’acqua. Che ti prende?” chiese poi.
“Mi ha organizzato un altro incontro”
Lara alzò gli occhi al cielo. “Non dovremmo più venire da lui”
“E’ tutto quello che ci resta di nonna, che ci lega a lei” le fece notare Vanessa.
“Beh, che bel lascito” considerò Lara.
“Ed è nostro padre”
“Ti sta manipolando. Come sempre” disse la sorella sospirando. “Mamma ha ragione. Non ascoltarlo”.
Le prese le mani tra le sue.
“Ti sta mettendo queste strane idee in testa che non mi piacciono per niente”
Quando il padre tornò si staccarono e finirono di mangiare. Con il padre non esistevano abbracci in pubblico né manifestazioni d’affetto. Potevano contarsi sulla mano.
Eppure Vanessa sapeva che doveva esserci qualcosa di più. Qualcosa che l’aveva fatto cambiare. C’era stato un tempo degli abbracci, un tempo delle braccia protese verso il cielo a contare le stelle. Sua nonna non aveva cresciuto un figlio così freddo e sua madre, così solare, non si era innamorata di un tipo così.
Non faceva che ripetere che non voleva farla soffrire, ma stava succedendo proprio a causa sua.

Quella sera lei e sua sorella uscirono per le vie di Osaka per poi rifugiarsi in un karaoke. E se ne stettero lì su dei divanetti comodissimi.
“Una cosa di cui non potrei fare a meno sono queste bibite. Se immagini un gusto assurdo, qui lo trovi” e tirò con la cannuccia la bevanda al sapore di anguria e yogurt.
Vanessa era pensierosa, ancora. Lara la vide prendere il cellulare, scrivere e poi cancellare. La cosa venne ripetuta per un bel po’ di volte. Non si accorse nemmeno che la sorella correggeva le bibite con l'alcol.
“Non capisco qual è il problema, sai?” esordì Lara per poi posare la bevanda sul tavolino.
Vanessa alzò lo sguardo.
“Papà ti organizza degli stupidi incontri e tu rinunci ad un ragazzo che ti piace?”
“Beh, immagina come reagirebbe a scusami se stasera non ti ho chiamato o non ci siamo visti ma mio padre mi ha fatto conoscere il mio futuro marito!” era irritata, eccome, ma anche disperata.
“E tu non presentarti. Non la trovo una cosa difficile” le fece notare la sorella.
“In modo che papà venga additato per disonore?”
Vanessa stava combattendo una lotta interna senza fine.
“Ma c’è qualcos’altro, giusto?” Lara non era una persona attenta, ma sapeva leggere tra le righe.
“E se avesse ragione? Non faccio che pensarci” ammise Vanessa.
Le sue relazioni passate avevano avuto la costante insicura delle montagne russe. Prima era tutto rose e fiori, i ragazzi venivano attratti dal suo aspetto e dai suoi modi gentili. Li conquistava con la sua battuta pronta e con la sua attenzione. Poi tutto crollava quando entravano un po’ nel suo mondo o conoscevano quelle che erano le sue tradizioni e le sue radici. Un suo ex, per caso fortuito, aveva persino conosciuto suo padre. Vanessa rabbrividì al pensiero. Aveva avuto poche relazioni in realtà, ma erano bastate per farle capire che non tutti sanno capirti se dici loro che per la tua famiglia è importante cenare con i defunti per onorarli.
A parte che i greci facevano lo stesso e nessuno si scandalizzava.
“Se un ragazzo non sa accettarti per quello che sei, non è quello giusto” disse Lara.
Erano parole fatte, ma le più giuste.
“Anche se per qualche trentenne giapponese può andar bene l’omiai perché è così presa dal lavoro che non ha tempo di trovarsi un marito, non vale lo stesso per te”
“Ma questa è la nostra cultura, no? Se non ha sbagliato per millenni…” provò Vanessa prendendo una ciocca tra le dita.
“Papà mangia le stesse cose da trent’anni. E’ legato alla sua cultura perché per lui è una zona sicura, ma noi non siamo come lui” nel parlare Lara si avvicinò alla sorella e le prese la mano. Vanessa veniva sempre rassicurata dal contatto, fin da quando erano bambine.
“Non ho ancora capito qual è la mia di cultura” confidò Vanessa alla sorella.
Lara la guardò un attimo, poi abbozzò un sorriso.
“Invece io la conosco bene. Rispettare le persone fa parte di te, ma trovi che sia sciocco inchinarsi solo perché chi ti sta difronte ha un lavoro più retribuito del tuo. Sei ambiziosa, ma hai rinunciato all’appuntamento con quel famosissimo professore per venirmi a recuperare alla centrale di polizia”
Vanessa spalancò gli occhi, ma Lara la precedette nel parlare.
“Sì, l’ho scoperto. E te ne sono grata, anche se mi avevano scambiata per un’altra”
“Ora fammi finire perché sento che sto facendo il primo discorso profondo della mia vita” disse alzando leggermente una mano. Vanessa rise, ma annuì.
“Sei sempre curiosa e cerchi di essere espansiva, ma ti chiudi un po’ in te stessa perché ci sono cose che vuoi tenere solo per te. Ami gli abbracci, ma solo a pochi li daresti in pubblico. E per te guardare negli occhi le persone è la cosa più importante”.
“Quindi” continuò prendendo la bibita sul tavolino e porgendola a Vanessa. “Sei quello che sei e prendere un poco da ogni mondo non è per niente un male. Papà ha rovinato il suo matrimonio non per la sua cultura in sé, ma per la considerazione che ne aveva”.
Vanessa venne colpita dall’ultima frase. Non pensava che sua sorella potesse davvero averci pensato su, ma invece l’aveva fatto.
“E ora cantiamo!”

Tornarono a casa poco dopo mezzanotte e Vanessa, sapendo che in Italia dovevano essere le quattro di pomeriggio, chiamò Eva.
“Grazie a Dio hai chiamato. E’ venuto a trovarci un mio zio che non vedo dal paleozoico e mio cugino a quanto pare non ha ancora perso il vizio di provarci con ogni cosa che respira” esordì facendo un verso disgustato alla fine.
“Dovrei chiamare Ezio. Si precipiterebbe da te in un attimo”
“Ah, sicuro. Per dare man forte all’idiota” e sbuffò.
Vanessa sapeva di essere senza speranze, ma anche l’amica non scherzava.
“Sai che non è vero. Da quello che mi racconti mi sembri troppo critica” le disse Vanessa.
Eva sospirò. “Forse”, ma si riprese. “Cosa hai deciso?”
Quello fu il momento di Vanessa per sospirare.
“Parlerò a mio padre e spero che questa situazione finisca” poi fece una pausa.
“Hai sentito Andrea?” chiese Vanessa.
“Sì, l’ho chiamato per gli auguri di Natale” rispose Eva, poi sentì una specie di fruscio, come se i capelli di Vanessa fossero stati toccati.
“Ti ha parlato del libro?” chiese, anche se con poca convinzione.
“No” e non fu una sorpresa come risposta. Perché non c’era motivo per Andrea di parlare ad Eva del libro, non sapeva che lei e Vanessa erano amiche. La ragazza continuò a torturarsi la ciocca.
“Chiamo Ezio e indago, ok? Prima che diventi pelata a furia di torturarti i capelli”
Vanessa, colta in flagrante, sorrise imbarazzata.
“A volte mi fai paura” ammise.

Eva poté chiamare Ezio solo dopo un’oretta perché sua zia trovò il suo bel nascondiglio nel ripostiglio e la riportò tra i parenti.
Ma appena poté, si scusò per andare in bagno e compose subito il numero del ragazzo.
“Ehi, Eva!” disse Ezio rispondendo subito con allegria.
Eva si sentiva sempre un po’ disorientata quando Ezio si rivolgeva a lei. Sapeva di interessargli almeno un poco, ma lui chiamava tutte tesoro, piccola, bellezza, mentre lei era solo… Eva.
“Grazie per gli auguri” gli disse.
“Avrei fatto di meglio se fossi stato lì” disse con fare sicuro.
Non ti emozionare, lo fa con tutte.
“Andrea l’hai sentito?” chiese la ragazza sentendo che era meglio iniziare subito le indagini.
Ci fu una pausa, impercettibile, ma Eva la percepì.
“Sto andando ora da lui” le rispose Ezio fermando la macchina.
“E il libro che quella ragazza ha lasciato al bar? E’ riuscita a contattarla?” chiese forse troppo apprensiva, ma aveva bisogno di notizie per Vanessa.
Ezio strinse leggermente la mascella, ma si riprese subito. Il ragazzo aveva sempre avuto qualche dubbio su quello che Eva provava per Andrea e ora lei gli sembrava troppo interessata a tutta quella storia.
“Non mi parlare di quel libro. Già ha fatto sbarellare Andrea. Ma anche se è diventato pazzo, lo aiuterò. E’ il mio migliore amico”
“Aiutarlo a fare cosa?” chiese Eva confusa.
“Ad andare in Giappone a conquistare quella ragazza” le spiegò Ezio.
La prima bomba era stata sganciata e Eva spalancò gli occhi.
Il ragazzo tamburellò sul volante, sentendo che la ragazza non parlava più.
E’ vero che il silenzio ti rivela più di mille parole.
“Eva, io ci tengo a te e quindi voglio che stai bene. Lui è troppo preso da lei e ti vede solo come un’amica. Non sperarci, ok?”
Ma che...?
Eva rimase intontita per un buon dieci minuti dopo aver chiuso la chiamata con Ezio.
Possibile che lui credesse che le interessava Andrea? Lei non aveva che occhi per quell’idiota e lui capiva male.
Devo assolutamente chiamare Vanessa!
Alla prima chiamata non rispose, così Eva riprovò. Era un’emergenza bella grossa quella.
Dopo un po’ ottenne risposta, ma non era Vanessa.
“Alla quarta chiamata ho pensato che dovesse essere importante. Sono la sorella di Vanessa”
“Oh, ciao. Sono Eva, ti ricordi di me?”
“Ah, sì. Vane si è addormentata, forse ho aggiunto troppo alcol alle bibite stasera. E’ successo qualcosa?”
“Cosa non è successo, vorrai dire” considerò Eva.
Aveva visto la sorella di Vanessa poche volte, ma l’amica ne aveva sempre parlato bene e sapeva che avevano un ottimo rapporto.
“Un certo ragazzo dagli occhi blu sta volando lì da voi”
Lara spalancò gli occhi. “Ho sentito bene?” cercò conferma.
“Ma come…?” chiese aggrottando la fronte.
“Non ne ho idea. Non credevo che fosse tipo da gesti così”
Lara ridacchiò. “Non ci credo. Sto provando a far decidere Vanessa da tanto di quel tempo a provarci con lui. Sai che impazzirà, vero?”
“Devi avvertirla subito” Eva sapeva che alle persone che pianificano tutto non piacciono le sorprese.
Lara però non era dello stesso avviso. “Ha deciso finalmente di parlare a papà. Forse è meglio se glielo diciamo dopo che l’avrà fatto”
Ad Eva non sembrava una buona idea, ma forse se Vanessa l’avesse saputo prima di parlare al padre, questo l’avrebbe condizionata.
“Ti mando il mio numero” disse Lara ed Eva capì di aver trovato un’altra alleata.

Il mattino successivo Vanessa si svegliò con un bel mal di testa e arrancò in bagno sperando che l’acqua portasse via quella sensazione.
Ma l’acqua non aiutò e trovare il padre seduto a fare colazione fece aumentare il dolore portandole anche un po’ di panico. Non aveva avuto le sue consuete quattro ore per studiare ogni singola parola da usare.
Lui le sorrise, carico di quelle aspettative che lo accompagnavano da quando Vanessa aveva iniziato a parlare.
Avrebbe aspettato qualche ora e sarebbe stata pronta. Ma quando lo sguardo le cadde sul vestito tradizionale posato sulla sedia, il cuore le sobbalzò in petto.
“L’ho ritirato in lavanderia, per l’incontro” le spiegò suo padre serafico.
Vanessa pensò che il suo stomaco, così spossato, avrebbe rifiutato tutto ciò che era sul tavolo. Aprì la dispensa sui fornelli e cercò qualcosa di confortante. Fortunatamente il tè al ginseng era ancora lì, dall’ultima volta che era stata in quella casa. Forse ne era diventata dipendente in quel periodo, ma le ricordava la nonna e ora anche Andrea.
Temeva che suo padre avesse buttato la scatola, ma non l’aveva fatto.
Mise a bollire l’acqua e si concentrò sulle bollicine mentre pensava a cosa dire. Era più forte di lei, dopotutto.
Solo quando il tè formò delle velature nell’acqua si sentì pronta. Fortunatamente suo padre mangiava lentamente al mattino.
“Non voglio andare a quell’incontro” iniziò.
L’attenzione del padre fu subito concentrata su di lei. Germogli e vermicelli di soia furono abbandonati a se stessi.
“Ci andrai” rispose il padre. Non c’era durezza nelle sue parole, ma sicurezza.
“No” e fu un sollievo dirlo. Vanessa pensò che la gentilezza l’aveva bloccata nel tempo. Accettava troppo facilmente ciò che gli altri decidevano per lei. Persino quella gara di grammatica italiana a cui la sua professoressa l’aveva iscritta a dodici anni.
Era brava con le parole e la migliore nelle analisi, ma non le piaceva stare sul palco a rispondere ad adulti che sapevano esattamente dove cadeva ogni accento. Inoltre si era sentita nel posto sbagliato quando una sua coetanea l’aveva avvicinata e le aveva chiesto cosa fosse una sinalefe, per poi alzare le sopracciglia e trattarla con sufficienza perché lei non ne aveva affatto idea.
Vanessa se ne era stata zitta, pensando a quanto fosse poco preparata, non sapendo che quella era una figura metrica e che con la sua gara non aveva nulla a che fare.
“Non fa per me, davvero. Ho sempre pensato che tutta la mia vita dovesse girare su quello che avrebbe reso te e la mamma felici, che del vostro matrimonio è rimasto solo ciò che Lara ed io rappresentiamo, ma mi sono resa conto che pensare alla mia di felicità non sarebbe affatto egoista” il padre provò a protestare, ma Vanessa fu più veloce.
“Se io sposassi chi dici tu, non riusciresti a riparare quello che è rimasto con mamma. Hai detto che un uomo occidentale mi farà soffrire, che non potrebbe mai meritarmi, ma sai una cosa?”
Era una domanda retorica e suo padre lo sapeva benissimo.
“L’unico uomo che ha meritato la mia attenzione fino a questo momento sei stato tu. Non solo perché sono la tua principessa, ma perché mi hai insegnato tutto quello che so e hai deciso di essere forte dopo la morte di nonna e la separazione con la mamma. Non dico di aver vissuto una vita triste fino ad ora, ma l’unico uomo che mi ha fatto soffrire non è affatto occidentale”
Fece una pausa che in un film sarebbe stata studiata, calcolata, per fornire più effetto alla frase successiva. Nel suo caso servì solo ad ingoiare il magone.
“Quell’uomo è nato proprio qui ad Osaka. Mi ha insegnato a guardare il cielo, per poi ritrattare e dirmi che la terra era più solida, decisamente più sicura”
Suo padre era ferito e non c’era bisogno di conoscerlo per capirlo.
“Le stelle sono imprevedibili” disse con una voce sottile, ma forte.
E’ sempre forte il mio papà.
“Non cambio idea. Ti chiedo solo di andare a quest’ultimo incontro.”
Vanessa pensò che era buffo leggere negli occhi di suo padre la muta domanda che non aveva aggiunto al resto.
Ci andrai?
Per una volta sembrava che la sua opinione contasse qualcosa.
“Dopo questo, sarò libera” disse solo Vanessa. Fu come un accordo sancito dai vapori del tè, il tè della sua nonna.

Lara quasi cadde quando Vanessa aprì la porta e le tolse quello che era diventato il suo appoggio. Vanessa vide la sorella con gli occhi assonnati e i capelli arruffati. Le sorrise, sentendosi leggera, anche se aveva usato delle parole un po’ dure nei confronti del padre.
“Ora sono pronta. Non vedo l’ora di tornare in Italia per parlare con Andrea”
Lara si morse l’interno della guancia per non ridacchiare perché non poteva fare a meno di pensare alla faccia che avrebbe fatto la sorella.
“A questo proposito…”








Note dell'autore:
In ritardissimo a causa dei problemi di connessione, mi scuso.
Spero che il capitolo vi piaccia. E' di transizione, ma fornisce delle risposte.
Per chi voglia saperne di più sull'omiai, consiglio questo articolo.
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite e che hanno recensito.
  
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