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Autore: sorridimilouis    25/02/2016    0 recensioni
Ti diranno che tutto passa. Ti diranno che tutto passa, ma non ti diranno dove. Passerà nelle vene, nelle ossa, tra i contorni del tuo viso, in ogni muscolo, in ogni goccia di sangue, tra i tuoi sorrisi, nelle tue lacrime, attraverso quel vuoto che scaverà nello stomaco. E passerà senza pietà, senza chiederti il permesso. E passerà, e ti cambierà. E resterai, e passerà.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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La pioggia picchiettava sul vetro dell'ufficio della psicologa scolastica. I muri bianchi e leggermente ingrigiti dal tempo, lo facevano sembrare una stanza di un manicomio. 
Non avevo nessuna voglia di stare lì. Non ero pazza. Avevo i miei problemi, ma non ne avevo nessuno a livello mentale da aver bisogno di una fottuta psicologa. 
La signora di mezza età seduta di fronte a me stava sfogliando il mio fascicolo. Come in un istituto psichiatrico, insomma. 
Mio padre, d'accordo con la preside e gli assistenti sociali, mi aveva fermamente obbligato a cominciare le sedute. Il motivo? Problemi di famiglia che non dovevano assolutamente incidere sul mio rendimento scolastico. 
Ovviamente, la scuola era sempre al primo posto. Sarebbe stato carino se, al posto di mandarmi per salvare il mio profitto, mi avesse mandato per evitare che impazzissi per davvero. 
La signorina Jenckins sollevò lo sguardo dal plico di fogli nelle sue mani per guardare la diretta interessata.

«Allora, Imogen.» disse, chiudendo la cartelletta in carta e unendo le mani. «Come mai sei qui?»

Che domanda era?

«Questo dovrebbe dirmelo lei.» sussurrai, non volevo sembrare scortese. Avrei voluto essere ovunque tranne che in quel posto, era vero, ma l'educazione veniva prima di tutto. Come diceva la mamma.
Nonostante la mia risposta, sorrise.

«Sappiamo entrambe il motivo per cui sei qui. I problemi che si sono presentati nella tua famiglia non sono passati inosservati. Soprattutto i problemi con tua madre. Dico bene?»
Annuii, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Vuoi raccontarmi cos'è successo?»
«Lo sa già.» 
«Vorrei sentirlo dire da te. Vorrei anche sapere come ti senti, cosa provi in questo momento, cosa vorresti tu.» piegò leggermente all'insù gli angoli della bocca, per infondermi sicurezza, penso. 
«Non c'è molto da dire. Mia madre ha fatto quello che ha fatto, io non provo niente e, ora come ora, vorrei solo uscire da qui.» non avevo voglia di parlare della mamma. Per rispetto nei suoi confronti. Aveva fatto una stronzata, anche due, ma questo non autorizzava nessuno a giudicarla.
«E cos'ha fatto, Im? Posso chiamarti Im?» chiese. No che non poteva, che diavolo di soprannome era, Im? 
Ma acconsentii lo stesso con un cenno del capo.
«Non ho voglia di parlare di lei, o degli sbagli che ha commesso. Ormai è passato, ora è in clinica e va bene così.» per la prima volta, guardai altrove. 
«Okay, va bene. Cosa mi dici di tuo padre e Abbie?»
«Per Dio. Non ho niente da dire su nessuno. La mia vita non è delle migliori, ma cosa ci posso fare? Nulla, assolutamente nulla. Non riuscirò mai ad andare avanti se continuate a farmi rivivere momenti del mio passato che sto cercando di dimenticare in tutti i dannati modi. Questo è il punto.» sputai, incrociando le braccia al petto e cambiando posizione sulla sedia. 
«Imogen» mi richiamò. Per quale motivo deve sempre ripetere il mio nome?
«Tuo padre e Abbie, sono il tuo presente. Che ti piaccia o no.» come se non lo sapessi. 
«Lo so, dannazione.» diedi un calcio leggero allo zaino.

«So perfettamente che questo discorso ti urta da morire, ma devi capire che tuo padre ora è felice. Sta per avere un bambino con lei. Devi fartelo andare bene.» 
«Ha ucciso la mamma, l'ha rimpiazzata, e ora vuole fare la stessa cosa con me. Come può andarmi bene?» mi alzai, posandomi lo zaino sulla spalla e dirigendomi alla porta.
«Dove stai andando? Abbiamo ancora un'ora, Im.» sentii la sedia strusciare contro il pavimento, provocando uno suono acuto e irritante, quasi quanto la sua voce. Si era alzata e mi stava raggiungendo. Non mi ero presentata alla seduta di mia spontanea volontà, figuriamoci se avevo voglia di farmi sbattere in faccia la verità.
«Non ho più niente da dirle. Arrivederci.»

Appena misi un piede fuori dall'edificio tirai un sospiro di sollievo. Ero fuori, finalmente. 
Inspirai profondamente e mi concessi una sigaretta, per rilassare nervi. Stronzate, fumavo qualche volta, solo quando avevo le palle piene di tutto e tutti, oppure perché mi andava. 
Non avevo nessuna intenzione di tornare a casa, e nemmeno di andare in clinica a trovare quello che rimaneva di mia madre. Sinceramente non ci potevo nemmeno andare, sarebbe stato leggermente illegale. Dopo l'ordine restrittivo, esplicitamente richiesto da mio padre, non avrei più potuto vederla. O meglio, lei non avrebbe più potuto vedere me.

Mio padre era il classico tipo di persona che rovinava tutto quello che era riuscito a creare. Costruiva qualcosa, si stancava, poi buttava tutto all'aria come se niente fosse. Come se le persone intorno a lui non avessero sentimenti. 
Non è mai stato un buon padre, negli ultimi anni avevo anche iniziato a dubitare che mi volesse bene. Non ha mai creduto in me, anche se ero la sua unica figlia. Ha sempre sostenuto che tutto quello che pensassi o dicessi fosse sbagliato, qualsiasi cosa, anche la più giusta. 
Poi, con la storia di mia madre, la situazione non aveva fatto altro che peggiorare. Una situazione che, in fin dei conti, aveva creato lui. 
Ora non voglio dare tutta la colpa a quell'uomo, ma se non si fosse fatto beccare con un'altra ragazza, magari mia madre non avrebbe alzato il gomito così tante volte e, magari, non avrebbe ingoiato ogni tipo di pillole esistenti su questo pianeta.

Mi diressi verso un parchetto, il mio parchetto. 
Non era niente di che alla fine, un parto abbastanza ampio dimenticato da Dio, con un'altalena, uno scivolo mezzo distrutto dagli anni e qualche albero sparpagliato qua e là. 
L'avevo scoperto per caso. Avevo sette anni ed ero in bici con il mio migliore amico dell'epoca. Ci stavamo facendo un giretto quando mi propose una gara, chi arrivava prima alla piazza centrale dalla gelateria in cui eravamo fermi per una breve sosta. Accettai, solo che era una sfida persa in partenza. Dopo un paio di minuti, Ian mi aveva già superato. Dovevo mantenere alto il mio orgoglio, quindi dovevo vincere a tutti i costi. Cercai una stradina qualsiasi, non importava dove mi avrebbe condotto, così, poco prima della piazza, svoltai in un sentiero sterrato e dieci metri dopo avevo scoperto quell'enorme parco.
L'avevo chiamato il Prato. 
Solamente io ero a conoscenza di quel posticino rilassante e immerso nella natura.

Quindi che cazzo ci faceva un ragazzo seduto sul tettuccio dello scivolo?

 





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Spazio autrice: 

Non ho molto da dire, è solo il prologo, spero vi piaccia come inizio. Ho deciso di concentrarlo solo sulla protagonista al momento, per presentarla. 

Lasciate una recensione in cui mi fate sapere cosa ne pensate e se è il caso che porti avanti questa idea, mi farebbe davvero piacere :) 

A presto,
un bacio.x

  
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