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Autore: Nykyo    26/02/2016    2 recensioni
Derek conserva da una vita una copertina per bambini, un piccolo plaid rosso a scacchi gialli che è uno dei cimeli più preziosi della sua infanzia, fortunosamente scampato perfino all’incendio di casa Hale. Stiles conosce bene quel vecchio plaid: gli è capitato di tenerlo tra le mani durante una delle avventure più incredibili della sua vita.
Il plaid rosso e giallo ha resistito agli anni e alle avversità, conservando a lungo il profumo di una promessa formulata in un lontano passato da un viaggiatore venuto dal futuro. Ed è la promessa di un amore che non verrà mai spezzata.
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Racconto di nykyo e illustrazioni di piratesyebewarned.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'odore della luna.'
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«Stiles?»

Derek sapeva che era inutile chiedere. C’era poco da chiarire. Stiles si era fatto beccare, per così dire, con le mani nel sacco. Nel baule, in realtà, in quel caso specifico. Non che facesse molta differenza.

Derek avrebbe dovuto essere incazzato nero per l’evidente e smaccata violazione della sua privacy, invece era più che altro imbarazzato. A morte.

Stiles era curioso ed era un ficcanaso. Derek lo conosceva, non era sorpreso di scoprire che, in sua assenza, Stiles non si era fatto il minimo scrupolo a frugare tra le sue cose, fregandosene del fatto che “chiuso con un lucchetto” di norma significava “proprietà privata: state alla larga!”

Per essere del tutto sinceri, comunque, segretezza e lucchetti volevano dire soprattutto che Derek si vergognava ad ammettere di essere un gran sentimentalone. Anche solo quella vergogna, a pensarci bene, era stupida e ridicola. Che c’era di male nell’avere voglia e bisogno di conservare piccoli ricordi tangibili del passato e delle persone che uno amava? Non era poi così strano, un sacco di gente lo faceva. Non c’era nulla di immaturo in un simile comportamento, specie quando di cose belle da rammentare e di oggetti che le riportassero alla memoria ne rimanevano davvero pochi. Inoltre era importante non dimenticarsi mai nemmeno del dolore, serviva per non commettere altri errori, per onorare chi non c’era più e per fare ammenda.

Quello che il fuoco non aveva distrutto, Derek l’aveva raccolto con cura e conservato con amore e no, non se ne vergognava affatto, ecco! Anzi, negli anni aveva accumulato altri memorabilia che non erano legati alla famiglia ma che, nel bene e nel male, lo tenevano in contatto con il passato. Non c’era niente di strano. Derek era contento di averlo fatto. Stiles, però, doveva aver visto anche gli scontrini, i biglietti della partita dei Lakers, quelli del cinema, il tovagliolo di carta su cui in passato si era divertito a disegnare buffi lupi stilizzati, così poco somiglianti e così arruffati da sembrare semmai tante pecore nere un po’ imbronciate. Chissà se aveva visto anche… Ah! Cosa importava? Non c’era nulla che Derek gli avrebbe sul serio nascosto. Nulla di serio, se non altro.

Beh, imbarazzo o non imbarazzo, ormai era andata. E poi era anche colpa sua: peggio per lui che aveva scordato il baule aperto. Doveva averlo dimenticato spalancato, no? O Stiles aveva davvero seguito il corso online clandestino per scassinatori di cui non aveva fatto altro che blaterare un paio di mesi prima? No, era stato lui. Ora che ci ripensava l’aveva aperto proprio per cercare il plaid che Stiles stava stropicciando tra le dita. Chissà perché gli era venuta voglia di toccarlo, di annusarlo perfino, anche se non odorava che di lana, di vecchio e di chiuso. Era stato un impulso del momento, poi una volta spalancato il baule Derek si era sentito un po’ sciocco e aveva cambiato idea. A quanto pareva, era uscito senza riabbassare il coperchio e rimettere il lucchetto.

In ogni caso, a Derek restavano solo due opzioni: poteva fingersi comunque furioso, giusto per mettere i puntini sulle “i” e dare a Stiles una piccola lezione, oppure poteva capitolare e accettare il fatto che amava uno spudorato privo del senso della privacy e che non avrebbe smesso di amarlo solo perché non c’era verso che si facesse gli affaracci suoi.

«Mi arrendo!» Scelse la franchezza smaccata perché non aveva molta voglia di mettersi a battibeccare con Stiles riguardo al giusto concetto di proprietà privata e di spazi personali. «Solo, per favore, potresti rimettere a posto quel plaid anziché continuare a torcerlo come una diva del muto? So che sembra uno straccio vecchio e che sto per dire una cosa per cui mi sfotterai a morte, ma ci tengo parecchio, preferirei che non lo strappassi.»

Chiunque altro gli avrebbe risposto con un profluvio di scuse perché, ok, lui poteva anche aver deciso di non partire in quarta con il cazziatone del secolo, ma ficcare il naso senza permesso restava un modo di fare sbagliato.

«È la tua copertina di Linus? Hai una copertina di Linus, Derek Hale?»

Stiles non era mai stato un chiunque altro.

Derek alzò gli occhi al cielo e si lasciò cadere sul divano. Nonostante non sapesse spiegarne il motivo, la verità era che cedere le armi con Stiles era sempre sia snervante che liberatorio. Una volta che cominciavi a farlo non c’era verso di fermarti. Si creava il classico effetto palla di neve che diventa valanga. Era matematico.

«Più o meno…»

Ora sarebbero arrivate le prime battutacce, poco ma sicuro. Derek si massaggiò la radice del naso, raccomandando a se stesso di rimanere calmo, o per lo meno di mantenere un briciolo di dignità.

Con sua somma sorpresa Stiles lo squadrò con un’espressione serissima, malgrado fosse ancora inginocchiato sul pavimento. Odorava di un misto di insicurezza ed eccitazione. «So che… nulla di tutto questo… non sono affari miei, lo so, ma posso chiedere come mai tieni così tanto a questa coperta per bambini? È tua, giusto? Come hai… non ci sono segni…»

Di bruciature. Derek aveva capito perfettamente cosa Stiles stava implicando, per quanto lui non avesse finito la frase. Colse la nota di preoccupazione nel suo tono e l’inquietudine nel suo sguardo. Apprezzava il fatto che, nonostante il passare del tempo, Stiles si ponesse sempre il problema di non ferirlo, quando affrontavano certi argomenti. Non ci leggeva mai compassione, solo sincero desiderio di non fargli del male.

«Era nella macchina di Laura la sera dell’incendio» rispose senza remore. «La consideravo un portafortuna. Era rimasta nel borsone con la divisa da basket, dopo l’ultima partita.»

Stiles incrociò le gambe e si mise comodo, con la coperta sulle ginocchia. Seduto così sembrava un giovane capo indiano, gli mancava solamente il copricapo di piume in testa. E appariva sempre più elettrizzato, anche se Derek non capiva come mai.

«La portavi con te quando giocavi, per scaramanzia? Davvero? A tutte le partite?»

Derek annuì. Non aggiunse nessun dettaglio, però non si faceva illusioni: Stiles gli avrebbe tirato fuori l’intera storia, una domanda sfacciata dopo l’altra.

Infatti un attimo dopo ecco il fuoco di fila che si era aspettato. «Perché? Come mai pensavi che portasse fortuna, intendo? E funzionava, tra l’altro? Non riesco mai a decidere se ci credo a queste cose ed è buffo, perché se esistono amuleti protettivi e Licantropi, druidi e rune e… lascia stare, dimmi come mai è la tua copertina di Linus. Ti prego, ora lo devo sapere. Come mai ci tieni tanto a un vecchio plaid? Perché proprio questo? Perché non un pupazzo, una macchinina o…»

Trattenendo a stento la voglia di alzarsi per recuperarla, Derek scoccò un’occhiata impensierita alla coperta e si strinse nelle spalle.

«Non c’è un perché. Sono quelle cose da bambini che poi ti porti dietro senza un motivo specifico o, appunto, per scaramanzia.» Chissà come mai Stiles sembrava un po’ deluso dalla sua risposta. Abbastanza deluso da far sentire Derek vagamente a disagio e da spingerlo ad argomentare. «Mia madre diceva che nient’altro riusciva a calmarmi quando ero molto piccolo e avevo…»

«La luna storta.» Stiles completò la frase al suo posto, ridacchiando divertito.

Seguirono un paio di battutine sui Licantropi con la luna di traverso e perfino una sulla saga di Harry Potter. Derek scelse di ignorarle. Le degnò appena di un’alzata di sopracciglia. Ecco quello che succedeva ad aprire il proprio cuore a un perfetto imbecille.

Eppure, parlarne con Stiles faceva meno male di quanto si sarebbe immaginato, anche se significava ripensare a sua madre, al periodo in cui la sua famiglia era stata ancora con lui, a tutte le volte che aveva litigato con Laura perché lei lo aveva preso in giro, chiamandolo appunto “Il piccolo Linus”.

Difficilmente avrebbe tollerato che chiunque altro ridacchiasse tanto apertamente mentre si parlava del suo passato, ma Stiles poteva permetterselo. Anzi, in qualche modo la leggerezza con cui stava affrontando la faccenda, con confidenza e senza pietismo, era rasserenante. Siccome c’era Stiles pronto a sdrammatizzare qualunque tragedia, le proprie comprese, era più facile decidere di non troncare il discorso e di affrontarlo nel modo giusto: con serietà, anche se con un minimo di levità.

«Remus Lupin non esiste, Stiles, te l’hanno mai detto?» Il tono era acido in maniera teatrale e si stemperò subito. «Comunque funzionava. Mamma diceva che quando ero molto piccolo, intorno ai sette, otto mesi, mi ero fissato con quel plaid e che da allora le bastava mettermelo nella culla o avvolgermici dentro per calmarmi e farmi tornare a dormire. Diceva che era un po’ come un portafortuna perché ogni volta che mi guardava giocarci si sentiva sicura al cento per cento che sarei cresciuto bene e che da grande sarei stato amato e felice.»

Stiles ora lo stava fissando con un’espressione davvero strana, come se la sapesse molto più lunga di lui e come se si sentisse orgoglioso, forse perfino un po’ commosso. Ma per quale motivo? Derek annusò l’aria, cercando di percepire con l’olfatto se Stiles gli stava nascondendo qualcosa. L’odore che gli riempì le narici non aveva nulla di allarmante, anzi, era odore di contentezza. Non conteneva più nemmeno un grammo del sentore acre di senso di colpa e imbarazzo che Stiles aveva emanato all’inizio, quando era stato colto in fallo, intento a frugare. Derek non aveva potuto fare a meno di sentirlo, eppure adesso era sparito. Anche l’incertezza era del tutto svanita. Il battito del cuore non risultò maggiormente rivelatore. Era giusto un filo accelerato, come a denotare un’emozione intensa. Nulla che Derek non riuscisse a leggere anche sul viso di Stilse.

Prima che potesse domandare chiarimenti, Stiles lo prevenne. «Ti ha anche spiegato come mai all’improvviso avevi deciso che era il tuo oggetto preferito? Di solito i bambini scelgono un peluche, un giocattolo, una cosa così.»

A Derek tornò in mente Cora, ancora minuscola, così piccola che a malapena camminava, con le manine strette sul braccio di una bambola di pezza dai capelli di lana color carota e con le minuscole zanne in vista a minacciare chiunque volesse provare a togliergliela, anche solo per riuscire a farle fare il bagnetto. Laura, invece, aveva fatto tesoro per anni di una tartaruga di peluche verde e gialla. Quel pensiero ne riportò a galla altri, alcuni teneri, certi dolorosi. Poi Stiles lo distrasse di nuovo mettendosi ad annusare il suo plaid, senza nessun ritegno.

Cosa diavolo stava facendo? Sembrava quasi che conoscesse già la risposta all’ultima domanda che gli aveva fatto.

«Secondo mia madre amavo molto l’odore che una persona gentile aveva lasciato su quel plaid. Una persona specialissima, la chiamava, oppure ogni tanto diceva che era del signor M. e che un giorno l’avrei conosciuto anche io» Derek non era nemmeno sicuro di sapere perché lo stava raccontando a Stiles. «Non mi ha mai detto chi fosse in effetti, immagino un qualche amico di famiglia, un lontano parente, un altro Licantropo venuto in visita, non ne ho idea, alla fine non l’ho mai incontrato… potresti smetterla di sniffare la mia coperta come se fossi tu il Lupo Mannaro? È… strano.»

Stiles, però, aveva già smesso di sfregarsi la lana sul naso. Si era bloccato all’improvviso, con le mani ancora sollevate, coperte dal plaid in modo tale che la stoffa gli nascondeva gli avambracci e parte del viso. Spuntavano solo gli occhi, decisamente sgranati.

Non appena anche il resto della faccia tornò visibile, Derek si chiese di nuovo cosa stava succedendo. Stiles aveva l’aria di uno che non sapeva se piangere o ridere. Ancora una volta Derek tentò di decifrare il suo stato d’animo usando i suoi sensi, e di nuovo dovette arrendersi. Non capiva. L’odore di Stiles era ancora più saturo di felicità e di commozione rispetto a prima, ma il perché rimaneva un’incognita.

«Certo che tua madre non te l’ha detto» annuì Stiles dopo qualche momento e lo fece con un cenno deciso del capo. «È ovvio. Non poteva mica. Era una cosa che aveva capito molto bene, me lo ricordo. Tutta la faccenda dei paradossi, il rischio di cambiare il futuro. Non te lo poteva proprio spiegare, anche volendo. Se ti avesse detto di chi era l’odore che ti piaceva tanto… sul serio non ci sei ancora arrivato? Davvero non sai chi era M. e pensi di non averlo mai conosciuto? Oddio, è una roba da matti!»

Derek intercettò il suo sguardo, occhi negli occhi, e a quel punto capì. Fu come se, dentro il cervello, gli si fosse accesa la proverbiale e metaforica lampadina.

«Tu» disse, e non fu una domanda. Una miriade di piccoli tasselli mentali corsero a combaciare l’uno con l’altro come spinti da una calamita. Alcune tra le tante emozioni provate negli anni, sia positive che negative, le sensazioni e gli avvenimenti, tutto iniziava a collimare e ad avere un senso. «Era il tuo odore. Ho sempre conosciuto il tuo odore. Sapevo di conoscerlo da una vita, ma…»

Stiles gli porse l’ultimo tassello con un largo sorriso che pareva brillare di una curiosa fierezza.

«Esatto! Quando sono andato a chiederle di marchiare il Nemeton per noi tua mamma aveva quel plaid. Era con te nel bosco quando sono arrivato, te l’ho già raccontato.» Sì, Derek lo sapeva. Stiles, nel fargli un resoconto esaustivo del suo viaggio nel passato, non era stato parco nei dettagli.

Al solo ripensarci Derek fece ruotare il polso sinistro così da poter osservare la runa che decorava l’unico bracciale che lui avesse mai indossato. Malgrado segni tangibili come quello e la prova ulteriore che gli veniva dai sensi riguardo al fatto che Stiles era stato sincero, Derek faticava ancora a convincersi che sua madre e Stiles si fossero conosciuti e che si fossero addirittura seduti a chiacchierare sotto il Nemeton come se nulla fosse. Ma forse, tra tutti i particolari del racconto di Stiles, quello che gli sembrava più difficile da prendere per vero – anche se lo era e lui non ne dubitava – era il fatto che a quell’incontro sotto il Nemeton Derek era stato presente. Aveva avuto pochi mesi, e non ne serbava memoria, ma Stiles aveva detto… Insomma, Derek si imbarazzava ogni volta che la cosa gli veniva in mente.

Non riusciva a immaginarsi come potesse essere stato, come doveva essersi sentito, così piccolo, stretto tra le braccia di Stiles. Sapeva bene quanto un suo abbraccio poteva essere caldo e protettivo; a volte rilassante, altre rassicurante, altre ancora feroce e sempre molto più saldo di quanto uno avrebbe potuto immaginare.

Derek però ora era adulto, e gli adulti avevano una diversa percezione del mondo e dei gesti altrui. Chissà come sarebbe stato tornare bambino e lasciarsi cullare da Stiles senza remore, senza i filtri mentali che, quando si era ormai cresciuti, imponevano un certo contegno.

Derek avrebbe pagato oro per potersi ricordare qualcosa di quel suo pomeriggio con Stiles, oppure per poter dare una sbirciatina nel passato dal di fuori e osservarlo mentre gli faceva da babysitter. Si guardava bene dal dirlo, specie da quando lui e Stiles avevano fatto uno specifico discorso sul futuro e sul formare una famiglia. Un discorso su cui Derek stava ancora riflettendo a fondo, fin quasi a spaccarsi la testa. Nel frattempo, anche se non lo dava a vedere, oltretutto era incredibilmente curioso: cosa avrebbe provato nell’osservare Stiles con un piccoletto poco più che neonato tra le braccia? Chiederselo in quel momento, mentre Stiles teneva tra le dita la sua coperta portafortuna, faceva ancora più effetto.

Per non pensarci Derek scosse il capo e si schiarì la gola. «Mi hai bombardato di informazioni su quella giornata, e ora che ci penso mi hai spiegato che la mamma ti chiamava Miguel… M., certo… ma non ricordo nessun accenno al mio plaid.»

Stiles se lo drappeggiò sulla testa, proprio come aveva fatto quel giorno, davanti a Talia, e poi scoppiò a ridere. «Scusa, ok. Scusa» disse, pur rimanendo incappucciato nella lana rossa e gialla. «So che non te lo puoi ricordare, è solo che è buffissimo. È la cosa più assurda del mondo… No, non te ne avevo parlato, avevo così tante altre cose da dirti, riguardo a tua madre e a te che eri minuscolo e, cazzo, Derek, avevi una tutina a righe e sopra c’era ricamato un coniglietto in barca a vela, capisci che il plaid mi era proprio passato di mente. Talia me l’ha prestato per asciugarmi. Sgocciolavo acqua e ghiaccio, te lo puoi immaginare. Sembravo un pulcino bagnato e non c’era altro a disposizione, quindi l’ho usato come asciugamano. Per i capelli, soprattutto… e nonostante l’acqua, deve esserci rimasto il mio odore. Forse dopo io e te ci stavamo sdraiati sopra, o forse no, non lo so, non me lo ricordo mica. Tu a un certo punto praticamente dormivi ed eri così carino, sul serio carino, sai? Come un cosetto… carino, insomma, quindi non ci ho proprio fatto caso. Ma sì, doveva esserci rimasto il mio odore.»

Derek si lasciò andare all’indietro contro lo schienale del divano. Appoggiò anche il capo, chiuse gli occhi, trasse un bel respiro e poi scoppiò a ridere di gusto.

Dio, era davvero pazzesco, Stiles aveva ragione! Tutto quadrava, ma era folle. In sostanza Stiles gli aveva quasi dato un imprinting, lasciando il proprio odore su di lui e sulla coperta quando lui era ancora un poppante. Era surreale. Derek l’avrebbe trovato anche disturbante, se non fosse stato per il fatto che non aveva alcun dubbio: non si era innamorato del cretino che aveva davanti perché era condizionato a farlo dal proprio naso. Si era innamorato di Stiles appunto perché era un imbecille capace di restarsene infagottato dentro un plaid sdrucito mentre gli riferiva nuovi dettagli di un viaggio nel tempo. Si era innamorato di Stiles malgrado tutto, il suo odore compreso, anzi, addirittura a dispetto del suo odore fin troppo familiare che l’aveva sempre confuso.

Beh, se non altro adesso Derek sapeva di non essere matto. Tutte le volte che l’odore di Stiles l’aveva fatto sentire a casa, ben prima che loro due avessero confidenza, non era successo perché lui sragionava o perché non gli funzionava bene l’olfatto, era successo perché una traccia del suo legame con Stiles era sopravvissuta comunque, se non nei suoi ricordi almeno nei recettori del suo naso e del suo cervello. La sua natura di Lupo Mannaro l’aveva registrata, conservata e poi interpretata correttamente fin dal principio. Una volta tanto il suo fiuto, in fatto di questioni di cuore, era stato perfetto.

In un certo senso saperlo era rassicurante e sì, anche ridicolo. A quanto pareva Derek aveva passato tutta la prima infanzia a consolarsi aggrappandosi alla fievole eco del suo amore per Stiles, traendo conforto da qualcosa che aveva avvertito con i sensi decenni prima che si avverasse. Aveva atteso per una vita di rincontrare Stiles e ritrovare in lui la fonte del sentimento che li avrebbe legati, e nel mentre aveva passato anni a litigare con Stiles, combattendo contro se stesso perché si sentiva stranito e, di conseguenza, non sopportava di esserne attratto. Quello sì era un paradosso con i fiocchi! Un paradosso che aveva del comico e nello stesso tempo era impressionante.

In quell’incredibile rincorrersi di sentimenti, sua madre aveva avuto la sua parte. Alla fin fine, anche dopo che l’odore di Stiles era sparito da un pezzo dalla lana del plaid e la sua immagine si era sbiadita nella memoria di Derek, Stiles era rimasto presente anche grazie a certe parole che Talia aveva rivolto al figlio.

Derek si era convinto che una copertina per neonati potesse portargli fortuna, puramente perché c’era affezionato, e dopo l’incendio gli era parsa ancora più preziosa: una reliquia di tutto ciò che aveva amato e perduto, la prova che c’era stato un periodo in cui era stato al sicuro, felice, circondato dalle cure di una famiglia e di un branco. E adesso scopriva che, in qualche modo, era merito di Stiles se aveva tratto un po’ di sollievo da quel semplice oggetto perfino in uno dei momenti peggiori della sua vita.

Era come se Stiles gli fosse stato accanto per tutto il tempo, da ben prima del loro primo incontro nella Riserva. Come se, tra tutti i fantasmi di cui la vita di Derek era stata disseminata, ce ne fosse sempre stato uno che non nasceva da un suo errore imperdonabile, ma dall’amore e dalla speranza, e che aveva sempre vegliato su di lui, aspettando solo il momento giusto per diventare reale e concreto.

«Vieni qui, Stiles.» Derek nel dirlo raddrizzò la schiena. Stava cercando di controllare il tono della voce, per mascherare almeno un po’ il bisogno che all’improvviso stava provando. Riuscì solo a sembrare severo e Stiles lo squadrò come se si aspettasse una sfuriata a scoppio ritardato. L’espressione sul suo viso era eloquente, e il modo in cui le sue dita nervose avevano ripreso a stropicciare la lana lo era ancora di più. Il suo odore era di nuovo venato d’ansia e da una punta di rimorso.

«Perché? Cosa ho fatto di male, adesso?» Derek non si stupì di sentirlo formulare la domanda a voce alta. «Credevo fosse una cosa tenera. In fondo non l’ho deciso io di lasciare il mio odore sulla tua copertina e non potevo mica sapere che sarebbe diventata la tua preferita, ed è buffissimo, ma non sto facendo il cretino, lo vedi. Nemmeno una presa in giro piccola piccola, sto facendo il bravo.» Stiles sollevò entrambe le mani e il plaid gli scivolò in grembo. Fece per riacciuffarlo, ma rimase bloccato a metà gesto e alla fine invece strinse i pugni, tamburellando sulle proprie ginocchia in modo ansioso. «Mi sembrava… beh, mi spiace se per te è un problema e ti ho rovinato un ricordo d’infanzia, Derek… forse non dovrei, se per te questa faccenda è fastidiosa, mi spiace tantissimo, ma io non riesco a trovarla una cosa brutta. Anzi, sono felice di sapere che qualcosa di mio ti ha fatto compagnia per così tanto tempo.»

Derek lo vide sospirare, ma quando Stiles rialzò lo sguardo, malgrado avesse gli occhi un po’ lucidi e l’aria incerta, nel suo sguardo riprese a brillare una luce orgogliosa. Aveva il cuore che batteva più svelto.

«Sono felice che quel pomeriggio tu non ti sia sentito abbandonato. Perché piangevi e strepitavi così tanto all’idea di lasciarmi andare che rimetterti in braccio a tua madre è stata una delle cose più difficili che abbia mai dovuto fare. E forse non ne ho il diritto, però sono felice che un oggetto che in fondo è un nostro ricordo si sia conservato fino a oggi. Oh! Passato, presente, è un tale casino. Eppure…»

«Stiles!» A differenza di poco prima Derek aveva appena indurito apposta il tono di voce. Non era incazzato, non lo era affatto, ma Stiles si meritava una lezioncina, anche solo per il fatto che nemmeno per un secondo aveva considerato la possibilità di scusarsi per aver ficcanasato dove non doveva. Non gli era passato neppure per l’anticamera del cervello che Derek ce l’avesse con lui per quello e non per la faccenda dell’odore. La realtà era che Derek non era arrabbiato, né per un motivo né per altro. Era felice. In una maniera sciocca e un tantino patetica, che gli riempiva il petto di calore. «Vieni qui, ti ho detto.»

Stiles raccolse il plaid mentre si alzava e avanzava verso di lui con una smorfia dipinta sul viso. Evidentemente si sentiva una vittima dell’ingiustizia dell’universo, o almeno dava tutta l’impressione di considerarsi tale. Iniziava perfino a puzzare di avvilimento. Idiota insicuro che non era altro.

Derek faticò a non ridere. «Per favore.» Addolcì voce e sguardo e si allungò per afferrare Stiles per un polso, non appena lo ebbe abbastanza vicino.

Stiles sedette sul bordo del divano, rigido e teso come se fosse pronto a scappare. Di colpo sembrava ritornato a essere un liceale pieno di complessi.

Ogni tentazione di Derek di tenerlo ancora un po’ sulle spine sfumò immediatamente. Un conto era metterci un pizzico di malizia e un altro era farlo sentire davvero a disagio. Derek non aveva intenzione di lasciare che Stiles si intristisse sul serio, men che meno in quel momento particolare. Prima di tutto gli fece cenno di sedersi a cavalcioni sulle sue ginocchia e, quando Stiles si decise, annuì soddisfatto. Poi gli sfilò il plaid dalle mani, ma lo fece con delicatezza, accompagnando il gesto con un sorriso. Quando Stiles finalmente riaprì le dita che, inconsciamente, aveva stretto sulla stoffa, Derek gli drappeggiò il plaid intorno al collo e si chinò fino a sfiorargli un orecchio con le labbra.

«Volevo che venissi qui solo per baciarti, idiota.» Nel soffiarlo sfregò con la punta del naso sul viso di Stiles e poi inspirò a fondo, riempiendosi le narici e i polmoni dell’odore della sua pelle. «Avevo bisogno di baciarti e di respirarti un po’.» Poi gli cercò la bocca, stuzzicandola con l’ombra di un morso, finché Stiles non la aprì, quasi con un gemito, dovuto al sentimento anziché all’eccitazione.

Il bacio fu lento e profondo, sempre sul punto di trasformarsi in qualcosa di più famelico, sempre contenuto da entrambi entro un limite tacito. Nulla impediva a Derek di infilare le mani sotto la maglia di Stiles e di farle scorrere sul suo torace o sulla sua schiena. Avrebbe potuto spogliarlo e farlo impazzire lentamente oppure far l’amore con furia, tanto per cambiare. Stiles non gliel’avrebbe di sicuro impedito, ma Derek in quel momento era più interessato a sentirlo vicino, ben oltre la foga della passione.

«Mamma doveva essersi fatta un’ottima opinione su di te.» Le gote di Stiles si fecero roventi, la sua espressione fin troppo animata. Il suo cuore perse un battito, o almeno alle orecchie di Derek parve che il ritmo si fosse fatto bizzoso. «Ogni volta che mi vedeva con quella coperta in mano, anziché rinfacciarmi che ormai ero troppo grande per certe cose, sorrideva in un modo che non ero mai riuscito a decifrare fino a ora. Come se affianco a me ci fosse qualcuno che nessun altro poteva vedere e lei si sentisse del tutto serena nel sapermi in sua compagnia.»

Stiles gli sfiorò il petto con le dita, all’altezza del cuore. Annuì, in modo chiaramente commosso, e quando parlò non tentò di mascherare la tristezza mista ad ammirazione. «Era una donna incredibile. Me l’ha detto, ha detto che le piacevo. Non mi perdonerò mai per non aver potuto…»

Esistevano rimorsi che, per quanto in pace potesse essere con se stesso, Derek avrebbe sempre portato con sé, per tutta la vita. Ne era consapevole e gli pareva che fosse giusto così, ma non voleva che quei rimorsi avvelenassero l’esistenza di nessuna delle persone a cui teneva, soprattutto quella di Stiles. In più quello non era il momento adatto per rinvangare un lutto. Prima che Stiles potesse proseguire, Derek lo zittì con un bacio. Gli accarezzò una guancia e sorrise sulle sue labbra solo perché Stiles potesse sentire che era sereno e che andava tutto bene.

Per quanto lo riguardava, non c’era nulla che Stiles dovesse farsi perdonare o per cui dovesse sentirsi in colpa. Glielo sussurrò, tra un bacio e l’altro, fermandosi apposta per poterlo guardare dritto negli occhi. Poi, in parte per cambiare discorso e in parte perché ne aveva una gran voglia, strinse un lembo del plaid e se lo portò al viso. Inspirò e si lasciò di nuovo andare sul divano, riappoggiando la schiena e cercando una posizione comoda dalla quale osservare Stiles – che era di nuovo arrossito e odorava di imbarazzo come non mai – attraverso lo schermo delle ciglia abbassate.

«Doveva avere questo odore, quando ero piccolo. Il tuo. È l’odore giusto.» Trasse un altro lungo respiro e annuì convinto. Si stava davvero godendo sia la sensazione di essere protetto e al sicuro che in automatico, attraverso l’olfatto, gli si ripresentava al solo associare Stiles a quel cimelio d’infanzia, sia l’espressione vergognosa ma contenta che Stiles stava sfoggiando.

«Tu sei quello giusto» stava per aggiungere, ma tutto sommato preferiva dimostrarlo con i fatti e invece disse «Vieni più vicino» e aspettò che Stiles gli si accoccolasse addosso, con la testa su una spalla, come un grosso gatto spettinato.

Per un po’ Derek non fece altro che accarezzargli i capelli, in silenzio. Nella vita di un branco a Beacon Hills i momenti di quiete erano rari e preziosi, qualcosa di cui fare tesoro. Da quando aveva Stiles, però, Derek non si limitava più a sperare che il ciclone passasse oltre senza abbatterli e concedesse a tutti una breve pausa di riposo. Da quando aveva Stiles, ogni volta che era possibile, Derek cercava di ritagliare per entrambi attimi di tranquillità e perfino di normalità. Momenti come quello. Se fosse dipeso da lui sarebbero rimasti sul divano fino ad addormentarsi, o finché non avessero avuto così tanta voglia di un altro tipo di baci da mettere da parte le copertine da neonato e spostarsi magari sul letto a rotolarsi come due ragazzini. Invece, dopo appena un paio di minuti, Stiles saltò su come una molla, e si mise a picchiettagli un indice sul petto.

«A ogni modo, dove diavolo eri finito? Prima, voglio dire. Avresti dovuto essere a casa. Devi essere uscito come una furia per lasciare aperto quel baule. Ultimamente te ne vai un sacco a zonzo senza di me e senza il branco. C’è qualcosa che non va? Lo sai vero che puoi dirmelo.» Derek strabuzzò gli occhi, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca. «Tra parentesi, se tu fossi stato qui non mi sarei mai azzardato a impicciarmi e a frugare» aggiunse Stiles con una sfacciataggine che era da record perfino per lui e che lasciò Derek a occhi ancora più sgranati. «Si può sapere dove ti eri cacciato e perché? Mi hai fatto stare in pensiero.»

Derek si schiarì la gola. Era uscito per riflettere, su un mucchio di cose, tutte inerenti il fatto che Stiles, di recente, non faceva mistero di voler costruire con lui un legame ancora più solido e duraturo.

Gli avvenimenti di qualche mese addietro, la malattia legata al Nemeton e l’incontro con sua madre dovevano averlo spinto a ragionare sul futuro, perché al suo ritorno dal viaggio nel passato Stiles gli aveva detto chiaro e tondo cosa desiderava, anche se al matrimonio non aveva mai accennato. In un certo senso aveva parlato di qualcosa di ancora più impegnativo. Di una vera casa, di quanto era certo che loro due si appartenessero, di figli, perfino.

Figli! Lui e Stiles con una casa tutta loro e uno o più cuccioli che scorrazzavano ovunque. Era un pensiero… era un’enormità… Derek non riusciva ancora a crederci.

Perfino a voler mettere da parte il discorso bambini, gli sembrava quasi impossibile che Stiles gli avesse proposto ciò che lui aveva sempre desiderato, e che non avrebbe avuto problemi a realizzare, se la sua vita non fosse stata costellata da così tanti disastri.

Pace domestica, stabilità, radici; non erano aspirazioni stravaganti, quelle di Stiles. Erano sempre state anche quelle di Derek, almeno finché, a un certo punto della sua esistenza, si era convinto che non le avrebbe mai realizzate. Non aveva osato sperarci più di tanto nemmeno dopo che l’amore che lo univa a Stiles era riuscito a restituirgli la felicità e un buon equilibrio.

Un tempo sua madre gli aveva ripetuto un sacco di volte che un giorno sarebbe stato felice. Derek, però, si era come disabituato a credere che avrebbe potuto godere di nuovo di una vera famiglia, anche al di là del branco, al punto che aveva quasi scordato con quanta forza ne aveva sempre sognata una. Dopo averglielo ricordato con il suo discorso schietto e sincero, Stiles non aveva voluto risposte, anzi, aveva insistito perché lui si prendesse tutto il tempo per pensarci su con calma e Derek lo stava facendo, perché gli pareva che si trattasse di una responsabilità gigantesca, non di un capriccio che poteva concedersi alla leggera solo perché lo voleva tantissimo.

Che Stiles nutrisse un simile desiderio era prezioso e faceva un po’ paura. Appunto per quello Derek, negli ultimi tempi, ci aveva pensato e ripensato almeno un milione di volte. Ogni tanto, a furia di rigirarsi quelle idee nella mente, gli prendeva una specie di smania di mollare tutto e rifugiarsi nel folto della Riserva, quasi che tra gli alberi potesse ritrovare la calma, i consigli di sua madre o una risposta definitiva. Era come se i muri del loft gli si chiudessero intorno e Derek avesse bisogno di aria. Il buffo era che non si trattava di un istinto a fuggire dall’impegno che Stiles gli aveva richiesto. Era ansia, sì, ma d’altro tipo. Riguardava Derek, non Stiles o ciò che avevano costruito insieme.

Stiles meritava di avverare tutti i suoi sogni, di essere amato e circondato di affetti e viziato, persino, che chiedesse di esserlo o meno. Derek, d’altro canto si sentiva spesso inadeguato. Avrebbe preferito non domandarsi mai se Stiles non meritava di meglio, invece lo faceva di continuo. 

Il problema era lui, quindi, non Stiles. Ma come poteva spiegarglielo senza che Stiles fraintendesse e si convincesse che lui non lo amava abbastanza? Cosa poteva dirgli? Che se ne era andato a zonzo tra gli alberi per due ore buone, malgrado il buio e senza una meta precisa, solo perché quando aveva provato ad andare a letto presto il suo cervello aveva cominciato a macinare sogni a occhi aperti e relative incertezze? Derek si era ritrovato a immaginare come sarebbe stato addormentarsi ogni notte con Stiles accanto e gli era venuta voglia di correre da lui, svegliarlo e confessarglielo come il più patetico dei fidanzati melensi, quella era la verità. Era stato quasi sul punto di farlo sul serio e poi gli era venuto in mente ogni singolo fallimento del passato e il sonno se ne era andato definitivamente.

In più ora Stiles era lì, con quello specifico plaid intorno al collo e quel suo tipico odore che – ora Derek lo sapeva – era sempre stato sinonimo di amore e di appartenenza. Se i suoi vagabondaggi nella Riserva avevano aiutato Derek a tranquillizzarsi un po’, l’attuale situazione stava risvegliando in pieno il suo turbamento.

«Cosa te ne fai di uno come me, Stiles?» avrebbe potuto rispondergli. «Con te sono felice, ma non sarò mai integro o a posto del tutto. Puoi avere di meglio.»

Si trattenne dal dirlo sul serio sia per egoismo sia perché, per quanto spesso si vedesse come fallato e pieno di difetti, sapeva che Stiles avrebbe protestato e che avrebbero litigato. Poteva immaginare benissimo le obiezioni di Stiles. Le aveva già ascoltate in passato, conosceva le sue argomentazioni e l’ultima cosa che voleva era che Stiles si mettesse a fare un elenco delle proprie mancanze pur di zittirlo una volta per tutte. Piuttosto che mettere Stiles a disagio era meglio mentire, malgrado Derek odiasse farlo. Peccato che, a differenza di Stiles, lui non fosse granché come bugiardo.

«Non ti preoccupare» rispose, socchiudendo gli occhi ed evitando lo sguardo di Stiles per nascondere il proprio impaccio. «Avevo bisogno di uscire, di cambiare aria. Non riuscivo ad addormentarmi e non sapevo che saresti passato. Lo sai… non sono uno che dorme come un ghiro, ogni tanto ho necessità di staccare prima la spina, di stancarmi finché non crollo…» ammise, sperando che Stiles fosse clemente e non gli rivolgesse ulteriori domande.

Vana illusione!

«Andiamo, Miguel, non cercare di rifilarmi cazzate.» Il tono era gentile, eppure era lampante che Stiles non intendeva mollare l’osso, neppure per compassione, anche se doveva aver intuito il suo imbarazzo. «Non funziona, lo sai, come contapalle sono più esperto e più allenato di te. Tu invece come bugiardo fai schifo. È vero che ogni tanto fatichi a dormire, ma non sparisci mica solo di notte.»

«È perché quando non ci sei ho problemi anche con la siesta pomeridiana.» Derek tentò di suonare scherzoso e seducente e si chinò per mordicchiare il collo di Stiles, sperando di distrarlo.

Stiles rabbrividì di eccitazione e represse a stento un mugolio compiaciuto. «Sleale, Miguel, slealissimo» cantilenò, spostandosi per sottrarsi. Si spinse fin troppo all’indietro sulle sue ginocchia e sarebbe caduto se Derek non l’avesse tenuto stretto per la vita. Stiles gli regalò un sorriso sbilenco che si allargò subito in uno niente affatto canzonatorio e decisamente caloroso. «Sul serio» disse a voce bassa, come a cercare di essere il meno aggressivo possibile. «Di solito non ti forzo mai, lo devi ammettere, ma inizio a preoccuparmi e se c’è qualcosa che ti assilla è come se assillasse anche me. Se poi non vuoi dirmelo e basta, ok, non dirmelo, anche se ti ricordo che sono un tipino ansioso con la tendenza al panico e a pensare troppo e a immaginarmi un milione di motivi per cui potresti andartene in giro senza di me e, sì, ok, come non detto: ti sto facendo pressione!» Un istante dopo averlo affermato, però, Stiles rise. Una risata incoraggiante, benché non fosse quella piena di quando era del tutto tranquillo.

A Derek venne voglia di baciarlo di nuovo, perché sapeva che Stiles non stava seriamente tentando di farlo sentire in colpa. Anche il fatto che lo stesse chiamando Miguel lo testimoniava. Stiles usava quel nomignolo soltanto quando voleva rassicurarlo. Quello era il suo modo per fargli capire che si era accorto che qualcosa lo turbava e che era pronto a stargli accanto. E magari anche per implicare che era capacissimo di combinare qualche casino per la preoccupazione. Stiles era protettivo verso quelli che amava in una maniera tanto feroce e totalizzante da ficcarsi spesso nei guai pur di fare ciò che riteneva giusto per aiutarli e per difenderli.

«Dove pensi che fossi? A un incontro galante?» Derek lo canzonò bonariamente, tanto per stare al suo gioco e un po’ nell’intento di prendere tempo e stemperare la tensione.

Stiles rise di nuovo, questa volta di cuore. Sapeva essere geloso e possessivo come pochi, Derek ne era consapevole, ma in quel momento non lo sembrava affatto. Il suo odore non aveva per niente il retrogusto amaro della sfiducia, e nemmeno quello ancora più acre della gelosia. Il suo battito era calmissimo.

«Naaa. Non sarebbe da te» strascicò allegro. Dopodichè aggiunse un perentorio: «Se ci fosse qualcun altro te lo sentirei addosso. A naso!»

Derek scosse il capo ma lo fece ridacchiando per quella risposta tanto categorica e spudorata. Come se fosse Stiles quello dotato di sensi particolarmente sviluppati.

«Tu dici?» lo stuzzicò, divertito al punto che stava ricominciando a sentirsi del tutto a proprio agio.

«Mh-mh» annuì Stiles, quasi ammiccando. «E poi con i tuoi gusti, che Dio ce ne scampi e liberi.»

Era una stoccata non da poco, eppure Derek scoppiò a ridere. Stiles poteva permettersi perfino quel tipo di frecciatina, e sapeva farla senza ferirlo.

«Tu rientri nei miei gusti, scemo!» lo redarguì senza vero rancore.

«Infatti sono un bugiardo patologico, ho un insano legame ormai pluriennale con il Nemeton che è una specie di spaventosa calamita druidica per creature della notte, e come tutti i geni sono pure un po’ svalvolato» dichiarò Stiles, in risposta e fingendosi serissimo. «Se tu guardassi Doctor Who, e dovresti, tua madre lo guardava, lei sì che aveva gusti impeccabili… beh, se lo guardassi ti direi che sono il tuo “sociopatico su misura” e tu riconosceresti la citazione, capiresti perché e la troveresti strepitosa. Specie ora che ho al collo questa particolare coperta che dimostra che sono un vero viaggiatore del tempo e che tra noi due era proprio destino. Ma pazienza, ti amo anche se sottovaluti il mio potenziale come malvagio di turno e non hai la minima idea di chi sia River Song.»

Derek alzò gli occhi al cielo, con fare volutamente esagerato. «Non si era detto che questa cosa delle citazioni nerd da film e telefilm di fantascienza doveva finire?»

Stiles rise ancora più forte. Un suono squillante che a Derek fece venire voglia di mordergli le labbra e di stringerselo al petto per poter annusare meglio la sua allegria scanzonata.

«Tu avevi deciso qualcosa di simile, mi pare, forse dopo la trecentesima volta che ti ho fatto notare che so cavarmela anche senza bisogno di fulmini o di un flusso canalizzatore. Oppure era quella volta che volevo comprare un fez su E-Bay?» A Stiles non mancava mai la risposta pronta e si stava di sicuro divertendo. «Io invece ero dell’idea di infischiarmene e continuare senza problemi. E poi si era parlato di smetterla solo con le citazioni da “Ritorno al futuro”. Nessun divieto sul Doctor Who, o me lo ricorderei.»

«Cretino» gli soffiò Derek sulle labbra prima di cedere alla tentazione e mordicchiarle per davvero. Stava per abbandonarsi al bacio, fiducioso che Stiles si fosse scordato di come era iniziato quel botta e risposta. Si sbagliava e lo scoprì immediatamente.

Stiles si tirò indietro con la stessa gentile fermezza di poco prima e con appena più grazia. «A parte le cazzate» lo inchiodò di nuovo, «Va tutto bene, Derek? Non mi piace non sapere cosa ti sta succedendo, ma se non te la senti dimmi solo se stai bene. Se invece hai bisogno di parlare per una volta posso chiudere il becco e stare ad ascoltare. A me puoi dire tutto, sempre, non importa quanto ti può sembrare difficile. Ti amo e ci conosciamo da una vita, qualunque cosa ti frulla per la mente o ti fa star male a me puoi raccontarla.»

«Ci conosciamo da una vita» ripeté Derek soprappensiero, le dita che sfioravano la lana rovinata del piccolo plaid ancora avvolto attorno al collo di Stiles. Le implicazioni di quella semplice frase al momento erano davvero tantissime.

«Beh» Stiles si strinse nelle spalle con fare vagamente esitante. «È vero, però. Sono anni che ci frequentiamo, ormai. Anche prima che finissimo a pomiciare come due ragazzini dentro l’armadio di tuo zio… e tra parentesi, io ero un ragazzino sul serio, ora che ci ripenso, ma non è questo che ti stavo dicendo, ecco. Insomma, sono anni che facciamo parte dello stesso branco e, dopo tutta la faccenda con tua madre, potremmo dire che ti conosco da una vita in senso letterale. Più o meno… eri così piccolo. Suona ancora folle, ma è vero. Ti ho tenuto in braccio, ti ho fatto giocare… se non ti va di confidarti con me in veste di fidanzato che ne dici di due chiacchiere con chi ti ha fatto da babysitter quando eri ancora un neonato?»

All’improvviso, durante quel piccolo monologo, Derek si ritrovò a pensare che Stiles era incredibile. Non esisteva altra persona al mondo che fosse capace di farlo sentire contemporaneamente sul punto di ridere e vicinissimo alle lacrime. Solo Stiles ci riusciva. Lui e i suoi discorsi in apparenza sconclusionati eppure quasi mai privi di senso.

Ciò che Stiles aveva appena detto era verissimo, perfino più di quanto Stiles stesso non vedesse. Non solo si conoscevano da anni, ma Stiles faceva sul serio parte della sua vita da sempre, anche se Derek stava scoprendo solamente adesso fino a che punto.

Non si trattava di un unico episodio in un pomeriggio di primavera, Stiles l’aveva cullato per tutta la sua infanzia, pur non avendolo potuto fare fisicamente. L’amore di Stiles, le sue premure, la sua devozione, si erano impresse nei sensi di Derek e, per quanto non gli avessero impedito di commettere errori, alcuni dei quali terribili e imperdonabili, avevano sempre alimentato una fiammella di speranza che non si era mai spenta. Nemmeno nei momenti più bui, quando Derek si era detto che non voleva amare mai più, che non poteva permettersi di farlo e non se lo meritava.

Non era riuscito a credere abbastanza nell’amore di Paige e non si sarebbe mai perdonato per ciò che la sua insicurezza aveva causato. In compenso si era sempre fidato troppo delle persone sbagliate. A un certo punto avrebbe dovuto arrendersi, dire a se stesso che non era fatto per l’amore, che era maledetto e pericoloso e che avrebbe dovuto smetterla di cercare qualcuno che gli stesse accanto. Invece, dentro di sé, aveva continuato a credere che, malgrado tutto, dovesse esserci una chance di felicità e di completezza, perfino per uno come lui, proprio come aveva sempre affermato sua madre.

Il motivo per cui Derek non aveva smesso di sforzarsi, e non si era mai arreso, a conti fatti, era Stiles.

«Ti amo» gli disse d’impulso, incapace di trattenersi. Affondò il viso nell’incavo del suo collo e inspirò con forza, riempiendosi il naso del suo odore.

Ok, il pensiero di un legame definitivo l’aveva spaventato, non si era sentito all’altezza, ma ora che tutti i tasselli del puzzle erano andati al loro posto, lì, con la fronte che sfregava sulla pelle calda di Stiles e sulla lana della coperta che aveva sempre considerato come un talismano, per la prima volta da mesi tutte le sue elucubrazioni stavano perdendo consistenza. Erano sensate, certo, ma Derek si stava accorgendo che lui e Stiles erano già legati per la vita, erano già una famiglia. Il resto erano solo formalità, al cui pensiero Derek si era frenato soprattutto perché era un idiota. Uno stupido, goffo, imbecille che non era capace di afferrare la fortuna quando gli passava accanto, e che non sapeva come chiedere a Stiles di diventare suo anche davanti al resto del mondo. E di certo, in un angolino della sua mente, continuava a ripetersi che non aveva il diritto di iniziare una nuova famiglia, proprio lui che aveva distrutto quella in cui era nato e che aveva mandato a catafascio il nuovo branco di cui era stato l’Alpha. Perfino in quel preciso istante Derek si stava ammonendo: se lo amava non avrebbe dovuto trascinare Stiles, che era tanto migliore di lui, in qualcosa di teoricamente definitivo e sacro come un matrimonio.

Malgrado ciò, l’idea di rinunciare a Stiles era intollerabile. Derek si sentiva egoista e contemporaneamente, dopo tante incertezze, gli pareva lampante: apparteneva a Stiles, era sempre stato suo e suo sarebbe rimasto per il resto dei suoi giorni. Punto e basta.

Se Stiles lo voleva per sé aveva ogni diritto di reclamarlo. Derek non poteva chiedere di meglio. Ammetterlo, almeno con se stesso, lo fece sentire sciocco, leggero e tutto accaldato. Mentre risollevava il capo si chiese se le sue guance stessero andando in fiamme, anche se in fondo non gli importava. Era contento che Stiles potesse vedere fino a che punto era capace di scombussolarlo.

Dio, era una follia quella che stava per fare! Non era sicuro che fosse il momento giusto anche per Stiles, non aveva idea di come esprimersi, gli sudava il palmo delle mani e gli sembrava di essere il più indegno incapace mai venuto al mondo. Il che, Derek ormai l’aveva capito, non sarebbe bastato a fermarlo.

Per un istante pensò a se stesso bambino, stretto nell’abbraccio di Stiles, aggrappato alla sua maglietta, disperato all’idea di lasciarlo andare – non lo ricordava, era stato Stiles a raccontargli cosa era successo e lui non faticava a credergli – e realizzò che separarsi da Stiles sarebbe sempre stato un dolore immenso. Che avrebbe fatto qualunque cosa, compreso l’impossibile, perché non accadesse mai.

Strinse forte i due capi del plaid, per darsi coraggio, e cercò di non assumere l’espressione minacciosa che tendeva a sfoderare d’istinto quando voleva mostrarsi particolarmente serio. C’erano cose che perfino uno come lui doveva riuscire a dire con dolcezza, anche se gli risultava difficile. Stiles valeva ogni possibile sforzo.

«Non sto male» esordì, deciso prima di tutto a tranquillizzarlo. «Avevo solo bisogno di riflettere.» Lasciò a Stiles a malapena il tempo di domandare su cosa prima di riprendere il filo del discorso. «A volte mi chiedo cosa ci fai con uno come me. Da quando sei tornato me lo chiedo più spesso… no, aspetta» disse, premendo la punta di due dita sulle labbra di Stiles per stroncare le sue proteste sul nascere. «Lasciami finire, ok? Lo so cosa stavi per dire, ma fammi finire.»

Stiles annuì e, visto che non gli era concesso di parlare, si morse un labbro e lo scrutò con uno sguardo che diceva più di mille parole.

Derek gli sorrise e fece scivolare le dita in una lenta carezza lungo mento e collo. «È che quando sei tornato dal tuo viaggio nel passato eri così entusiasta e i tuoi discorsi… mi sono sentito… non sono una persona semplice, Stiles, sarò sempre un po’ sbagliato, avrò sempre il buio e un mucchio di rimorsi dentro il cuore, non sarò mai pulito, non importa se tu pensi che lo stesso valga per te. Forse è vero, ma a me hai sempre donato calore e luce. È…»

Dovette fare una pausa per prendere fiato e perché non riusciva più a distinguere il battito cardiaco di Stiles, coperto com’era dal tamburo impazzito del suo cuore.

Parlare non era proprio il suo forte. Era sempre un tale disastro con le parole. Più ne usava e meno gli pareva di risultare comprensibile. Voleva che Stiles fosse suo e che fosse felice, accidenti. Invece guarda che faccia. Stava ottenendo solo di intristirlo.

«Oh, Stiles, al diavolo. Vedi? Non sono capace» sbuffò frustrato. «Lascia perdere il fatto che sono un cretino e che avevo paura di perderti. È per questo che ogni tanto sparivo, per pensare… non è importante.»

Già da un po’ Stiles aveva preso ad agitarsi sulle sue ginocchia e a quel punto sbottò e quasi cadde di nuovo perché stava gesticolando troppo. «Certo che è importante, stupido musone!»

Curiosamente Derek si sentì sollevato, ridacchiò perfino. «No non lo è» ribadì afferrando Stiles per i polsi e stringendo per provare a calmarlo. «Sto cercando di dirtelo. Sei come quella copertina che hai intorno al collo: sei il mio portafortuna. Lo sei sempre stato. Ti amo, sei tutto quello che voglio. Magari è sbagliato, ma non c’è nulla al mondo che io desideri di più. Vuoi diventare la mia famiglia?»

Derek non aggiunse altro. Gli si era appena chiusa la gola.

Stiles si sporse all’indietro per avere modo di guardarlo in faccia. Derek sentì il cuore di Stiles perdere un colpo, mentre il suo odore diventava incredulo ma anche così felice che ci si sarebbe potuti ubriacare al solo respirarlo.

Derek arrossì un’altra volta. Doveva avere un’espressione da ebete stampata sul viso e si sentiva lo stomaco sottosopra, il petto sul punto di esplodere e la bocca secchissima. Ecco, ora non era più possibile tirarsi indietro e, se pure lo fosse stato, lui non lo avrebbe fatto lo stesso. In attesa della risposta di Stiles – anche se in teoria avrebbe dovuto essere scontata – gli pareva di essere in bilico su una fune tesa da un capo all’altro di un baratro. Ciononostante non era pentito di essersi finalmente esposto.

«La tua…» La sorpresa di Stiles era evidente. Come se avesse sul serio dubitato di poter mai ricevere una simile proposta. Se ne avesse avuto il tempo Derek si sarebbe infuriato per quella palese dimostrazione di quanto Stiles si sottovalutava. Se la sarebbe presa prima di tutto con se stesso, ovviamente, ma Stiles non gliene diede modo.

«Stai chiedendo la mia mano, Miguel?» gli domandò goffo, malgrado il tono scanzonato. Il suo odore aveva assunto una sfumatura speranzosa.

Derek pensava di essere stato chiaro, ma comunque prese fiato e annuì. «Sposami, Stiles. Mi vuoi sposare?» Assurdo quanto la frase gli fosse uscita di bocca fluida e corretta, senza esitazioni o balbettii. Derek stentava a convincersi di averla pronunciata senza combinare un disastro e rovinare tutto.

Del resto faticava anche a capacitarsi del modo in apparenza calmissimo in cui stava fissando Stiles dritto negli occhi, come se non avesse il terrore che, per il solo fatto di aver osato tanto, l’universo gli si sarebbe rivoltato contro per rimetterlo al suo posto.

Stiles intanto era ammutolito. Stava muovendo le labbra e non si era ancora sbracciato fino a cascare a gambe per aria per il solo motivo che sembrava essersi improvvisamente pietrificato. Il suo cuore stava pompando talmente veloce che Derek non sapeva se essere lusingato o preoccupato.

Stiles parve sbloccarsi tutto d’un tratto e fu come se un fiume in piena avesse travolto una diga tracimando in un ribollire di parole.

«Se rispondo di sì ti toccherà sopportarmi per tutta la vita, lo sai, vero?» esordì, per continuare a rotta di collo, senza prendere fiato. «Vuoi sopportarmi per tutta la vita, Derek? Ogni giorno e ogni notte, per un sacco di tempo perché conto di campare a lungo e di assicurarmi che tu faccia lo stesso, anche se non facciamo che finire in un mare di guai e mezzo mondo soprannaturale tenta sempre di farci la pelle e sto divagando e sparando stronzate, lo so, ma sono agitato, dico sempre cazzate quando sono agitato… ti rendi conto di cosa mi hai appena chiesto? Davvero? Vuoi sposarmi? Cioè, infilarmi una fede al dito, giurare di amarmi e di onorarmi e tutto il resto, mettere su casa e viverci con me tutti i santi giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, con me? Anche se blatero e ti rubo sempre le coperte e…»

Derek lo strinse tra le braccia con forza eccessiva perché doveva, ne aveva bisogno. Era un imperativo categorico kantiano. Cretino di uno Stiles!

«Sì, lo voglio» fu tutto ciò che riuscì a soffiargli in un orecchio, con un filo di voce resa rauca dall’emozione. Dopodichè le sue percezioni si ridussero all’essenziale. Il profumo della gioia di Stiles e il suono dei respiri di entrambi mischiati in un bacio languido da far quasi. Il resto non contava più niente. Il futuro non faceva più così tanta paura.

Fu Stiles il primo a sciogliersi con riluttanza dall’abbraccio. Derek lo guardò sfilarsi il plaid dal collo – era rimasto per tutto il tempo lì, simile a una sciarpa troppo grande e antiquata – e drappeggiarlo perché li circondasse tutti e due. Le mani di Stiles tremavano un poco mentre tentava in modo maldestro di formare una specie di nodo e Derek si affrettò ad aiutarlo. Non fu facile venirne a capo, ma nessuno dei due si arrese e alla fine l’ebbero vinta: il groviglio un po’ storto che avevano collaborato a creare non era elegante ma reggeva. La vecchia copertina rossa adesso cingeva il collo di entrambi, spingendoli a restare ancora più vicini.

Derek scosse il capo e Stiles ridacchiò e gli allacciò le braccia intorno al collo. «Sì, lo voglio» ripeté a sua volta, poi gli sorrise e il petto di Derek si strinse e si riempì di un meraviglioso tepore. Senza aggiungere altro, Stiles lo attirò verso di sé e ricominciò a baciarlo.

 

 

Derek lo lasciò fare e, mentre ricambiava, per un istante nella sua mente si formò l’immagine del viso di sua madre. Talia sorrideva e non diceva niente. Era giusto così, Derek capiva e le sole parole importanti quel giorno erano già state dette. Poi l’immagine sfumò e, per la prima volta da quando l’aveva perduta, anziché dolore nel lasciarla andare Derek provò una sensazione di pace. Il modo in cui Stiles lo stava baciando la rese ancora più intensa.

Derek sorrise sulle sue labbra e pensò che questa volta era tutto vero, questa volta sarebbe stato per sempre.

La mia meravigliosa piratesyebewarned ha realizzato due versioni dell'ultima fanart, ed erano entrambe così belle che non posso fare a meno di farvi vedere anche l'altra versione!

   
 
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