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Autore: SimonQuestor    25/03/2009    4 recensioni
Oggi ho avuto una nuova ispirazione xD E' una storia che comincia con una scena piuttosto triste. Ma è come io vedo costellato il passato di Severus Piton, come lo immaginerei. Spero non risulti troppo noioso, e di poter aggiornare al più presto ^^ Buona lettura, e se vi va fatemi sapere come la pensate al riguardo.
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neville Paciock, Severus Piton
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Correva, correva. Correva senza mai fermarsi. Alto, allampanato, ingobbito, scardinato. Stanco, irritato, nervoso, incerto, impaurito, terrorizzato, desolato, devastato.
Severus Piton correva, come un serpente dalla coda mozzata può fare. Incespicando, cadendo, rimettendosi a stento in equilibrio senza mai fermarsi, un po’ strisciando, un po’ gattonando. Non era per nulla dignitoso, ma ormai non ci pensava più nemmeno. La sua dignità veniva offesa di continuo, e dimezzata giorno per giorno. Due lacrime roventi gli arrovellavano gli occhi, tentando di uscire. Ma gli veniva opposta una strenua resistenza.
Corse, corse. Corse senza mai fermarsi. Sudato, stremato,, offeso, raggirato, umiliato. Pelle biancastra, capelli neri ed unticci, occhi vacui, esile, magrolino, insignificante.
Severus Piton corse, e si fermò soltanto quando fu sicuro di non avere più fiato né forza. Soltanto allora i suoi istinti più animaleschi gli concessero di porre fine a quel tormento. Ben conscio che uno ancor peggiore lo attendeva poco oltre. Aveva superato la capanna del guardiacaccia, poi le serre, infine anche il Lago. Era sul limitare della Foresta Proibita, ma su un versante invisibile dal Castello. E lì si lasciò cadere in terra, quasi esangue, quasi esanime. Cadde ai piedi di un ontano maestoso, con una chioma ampia e protettiva. Non badò al sordo dolore che gli causava una grossa radice sporgente nella schiena. Anzi, quel dolore serviva a distrarlo, quel minimo che Severus potesse distrarsi.
La sua vita non era come avrebbe voluto. Non lo era mai stata.
Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto far tremare la terra e dimostrare a tutti quanto soffrisse, e quanto loro dovessero sentirsi in colpa. Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto scuotere le loro menti e turbarle finchè non gli avessero chiesto scusa. Tutti, dal primo all’ultimo.
Avrebbe voluto urlare.
Qualcuno diceva che quando si è tristi bisogna sforzarsi di pensare a qualcosa di allegro. Che tutto prima o poi passa.
Ma lui non era tipo che perdesse tempo con cazzate simili. Stupidaggini per ignobili adolescenti. Per adolescenti.
« Perché tu cosa sei? »
La solita crudele vocina si fece spazio nella sua mente. Era il suo demonio che veniva a riscuotere la pena. Lui non era nulla di simile a qualsiasi altro suo coetaneo. Era come una creatura a se stante, appartenente ad un proprio esclusivo mondo. E per questo non poteva che essere escluso. Una voragine si era aperta e si allargava sempre di più a separarlo dal resto del genere umano. Non voleva riempirla, comunque. Non sapeva come riempirla. Sospirò piano. Un gemito.
La sua non era tristezza. O almeno, non come veniva intesa dai più. No, era qualcosa di molto più grande. Perché qualsiasi cosa lo riguardasse era molto più profonda che per tutti gli altri, era ovvio. Ma a cos’era dovuto tutto ciò?
Potter. Black. Lupin. Minus. Minus…Quella nullità, si, anche lui. Lo accerchiavano, quasi quotidianamente. Aspettavano che fosse solo. Gli interessava solo lui. In quattro. Potter era partito con il suo solito Mangialumache. Eluso con un solo tocco di bacchetta. Per tutta risposta Piton aveva sferzato l’aria con la bacchetta, mandando a gambe all’aria Minus, e poi aprendo un grosso taglio sulla guancia di Lupin. Aveva attaccato i più vicini, ovviamente. Ma era comunque insufficiente. Non poteva fuggire, il corridoio non aveva porte nelle vicinanze, ne svincoli. E così, s’era ritrovato appeso al soffitto, la sua divisa tramutata in una gonna, la propria bacchetta per terra, i suoi libri distrutti insieme alle sue pozioni. Il pubblico astante sghignazzante.
Avrebbe voluto sparire. Avrebbe voluto che tutto si dissolvesse e rimanesse lui solo, nella pace dei sensi. Avrebbe voluto sparire. Avrebbe voluto che tutto ciò non fosse successo, che non fosse successo a lui.
Avrebbe voluto sparire.
E la voragine che aveva dentro di sé presto cominciò a trasformarsi in una vampata di lava d’ira. Sorda e cieca. Avrebbe voluto rompere le costole di Potter e di Black una ad una per sentirne il rumore e le sofferenze. E gioire dei loro patimenti. Fargli provare un solo giorno di quei bersagliamenti. Di non avere genitori pronti ad accorrere. Di non avere genitori minimamente decenti. Black aveva scelto di mettersi contro i suoi, anche se lui non lo sapeva. Lui non aveva avuto scelta.

Se ne stava lì, in preda alla disperazione, rannicchiato, tutto nero, ai piedi di quel magnifico ontano. Per ore ed ore, senza che nessuno venisse a cercarlo.





Severus Piton si svegliò e si mise a sedere al centro del letto. Portò una mano alla fronte. Era madida di sudore. Ancora una volta gli spauracchi del passato erano tornati a farsi vivi, ripescando a caso uno dei suoi peggiori ricordi.
Si ristese, ma non riuscì più a riprendere sonno.
  
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