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Autore: serClizia    28/02/2016    1 recensioni
UARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca.
Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. Alla UARK ci sono feste, matricole da controllare, etichette da rispettare. Quest'anno, però, la Prima Festa Primaverile non va come dovrebbe andare, e Clarke avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile. Anche di quello di un irritante e altezzoso sconosciuto di nome Bellamy.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Clarke
 
Lo squillo del cellulare mi sveglia di soprassalto, rannicchiata sulla seggiolina più scomoda di tutto l’Ospedale. Allungo la schiena per farla scricchiolare mentre infilo la mano in tasca e scopro che a chiamare è Wells, probabilmente con i risultati degli esami. Non ho tempo per lui, e ignoro la chiamata. Wick si stropiccia gli occhi davanti a me, dev’essersi appena svegliato anche lui.
Gli mostro il telefono. “Scusa, non volevo svegliarti.”
“Non fa niente,” si stiracchia apertamente, le braccia lanciate in alto e di lato. “Meglio un risveglio brusco di un’ernia.” Indica con un cenno le seggioline maledette. Riesce a farmi sorridere un pochino, per la prima volta dalla dannata telefonata di qualche ora fa. (“Clarke… sono all’ospedale.”)
Ci hanno relegato nella sala d’attesa perché ‘non della famiglia’. Che stronzata, sono io la famiglia di Raven. Abby è tanto mia madre quanto la sua. Infatti, mi ha già chiamato 5 o 6 volte, più che altro per assicurarmi di aver fatto assegnare i migliori dottori al suo caso. Anche dall’altra parte del Paese, la fama di Abby Griffin è un portale inarrestabile e una voce a cui non si può dire di no. Se c’è un momento per esserne grati – forse per la prima volta – è questo. Anche se mi ha assicurato che Raven sta bene – ma io ho bisogno di vederla con i miei occhi per sapere se davvero sta bene.
“Era una cosa di debiti? Un aguzzino?”
“Eh?”, riporto lo sguardo su Wick, che mi indica il cellulare che ancora tengo in mano. Lo rificco in tasca. “No. Più una cosa di Università.”
Fa una smorfia. “Stessa cosa.”
Il mio umore fa un’ennesima capriola quando si aprono le porte ed entra Finn, affannato, il cappotto slacciato e messo male, segno che si è alzato e vestito di corsa per precipitarsi qui come me. Raven deve aver chiamato anche lui, certo. Beh, se la sua presenza la fa stare meglio, ben venga.
Non appena mi vede, mi corre incontro. “Clarke… cos’è successo? Come sta?”
“Ehi. Tutto bene.”
Mi alzo in piedi. Sembra aver bisogno di più conforto di tutti, con quei vestiti buttati addosso a caso e gli occhi spalancati. “Sta bene. Qualche bruciatura, una gamba ferita, la stanno rimettendo a posto, ma starà bene. Mia mamma mi ha dato tutti i dettagli.”
Annuisce, rilasciando un po’ di tensione dalla linea delle spalle.
“Ora dobbiamo solo aspettare l’orario di visite ufficiale. Prima non ci fanno entrare. Non siamo della famiglia.”
“Che stronzata,” commenta.
Non posso che concordare con lui. Wick attira la mia attenzione mulinando una mano. Lo guardo, confusa. ‘Finn?’, mi chiede, senza parlare, puntandolo con gli indici da dietro la sua schiena. Annuisco, incerta, mentre lui rotea gli occhi e si risiede pesantemente contro lo schienale incrociando le braccia.
“Ti conviene sederti, comunque,” riporto lo sguardo sull’imputato. “Sarà una lunga attesa.”
“L’incendio?”
Non mi sembra per niente intenzionato a sedersi e rilassarsi finché non avrà saputo tutto.
“Ci stanno ancora lavorando, ma… pare che sia doloso.”
“È tutta colpa mia,” non è certo la risposta che mi aspettavo, ed è ancora troppo pallido, nonostante le buone notizie sulla salute di Raven. Si passa una mano tra i capelli, scostandoli dal sudore della fronte. “È tutta colpa mia.”
“Finn, cosa stai dicendo? Hai dato tu fuoco al suo laboratorio?”, lo apostrofo, scettica.
“No, certo che no. Ma…”
(Wick si drizza sull’attenti.)
Lo guardo dibattere con se stesso per un tempo che mi pare infinito, finché non esala un lungo sospiro. “Non posso dirtelo.”
“Come sarebbe a dire che non puoi dirmelo?”
“Ho fatto qualche ricerca per conto mio. E non avrei dovuto- non… non posso mettere in pericolo anche te.”
“Finn, di cosa stai parlando? Delle ragazze? L’incendio è collegato… oh, Dio. È collegato al favore che le ho chiesto, vero?”
Finn scuote piano la testa. “È tutta colpa mia. Ma sistemerò tutto. Te lo prometto. Tu non fare niente, non… lascia stare questo caso ok?”
Per quanto mi faccia piacere che prenda a cuore questa situazione, tanto da paragonarla ad un ‘caso’, da vero avvocato, non ho intenzione di lasciare stare proprio niente.
“Sai che non posso farlo.”
“Sì che puoi!”
“No, Finn, non posso,” taglio corto, incrociando le braccia.
Scalpita, si passa di nuovo le mani tra i capelli, non l’ho mai visto così agitato, nemmeno quando la sua ragazza – Raven, appunto – ha scoperto della nostra relazione. “Avrei dovuto immaginarlo. Puoi almeno… hai chiamato Bellamy?”
“Bellamy?”, sono sempre più confusa e allarmata. “No, dovrei? Finn, adesso devi dirmi cosa sta succedendo.”
“Non posso! E… non fidarti di nessuno. Promettimi che non ti fiderai di nessuno.”
Questa è una cosa piuttosto facile, non lo faccio già di mio. “Lo prometto.”
Sospira pesantemente, come se gli avessi tolto un enorme peso dal cuore. “Grazie. Devo andare.”
Le porte della sala si richiudono dietro al suo cappotto svolazzante, lasciando me e Wick a fissarci, sbalorditi.

**

Alle sei e mezzo di mattina, finalmente, ci lasciano entrare.
Wick si infila nel lato davanti alla finestra, lasciando a me l’unica sedia della stanza, a sinistra del volto pallido di Raven, che da’ le spalle al resto della spoglia stanza. Le prendo la mano prima ancora di sapere cosa sto facendo; i suoi occhi, assonnati ma con ancora un debole eco di spavento, nei miei. Me la stringe, ma nessuno apre bocca finché l’infermiera non se ne va portando con sé il vassoio della colazione.
“Come stai?”
È una domanda idiota, ma è l’unica che sono in grado di fare, e la sola con cui posso valutare quanto tutto sia effettivamente a posto.
“Ah, una meraviglia. Mi conosci, sono una ragazza tosta. In un paio di giorni sarò di nuovo in piedi, così li potrò usare per prendere a calci in culo chi ha fatto saltare il mio laboratorio. A proposito, hai sentito Bellamy?”
Perché tutti continuano a chiedermi questa cosa?
“No, non l’ho sentito,” sospiro. “Dovrei?”
“Ehm, mi sembra ovvio, non sono loro la sicurezza del campus? Starà indagando sull’incendio, no?”
Non ci avevo minimamente pensato. Avevo assimilato le notizie di mia mamma passate da Kane senza farmi troppe domande.
“Giusto,” mi accomodo meglio sulla punta della sedia, un po’ a disagio per qualche motivo. “Lo farò.”
Sia Raven che Wick mi fissano con un cipiglio deciso sul viso, l’uno la perfetta imitazione dell’altro, che incontra solo la mia espressione confusa.
“Allora?”, mi incalza Raven.
“Ora? Lo devo chiamare ora?”
“A cosa mi serve che tu abbia un contatto all’interno se non lo sfruttiamo? Cazzo sì che lo chiami ora!”
“Ma… non è meglio aspettare che ti senti meglio?”
“Sto benissimo!”
“Sei un letto d’ospedale, non stai benissimo,” ribatte Wick, squadrandola male. “Ma ha ragione, non ha senso aspettare. Voglio sapere a chi devo rompere il naso. Per poi lasciarlo a lei, per farglielo prendere a calci in culo e tutto quanto.”
“Grazie, ma non ho bisogno della tua assistenza,” gli risponde con velato disgusto all’idea di aver bisogno di aiuto per malmenare qualcuno.
“E comunque…”, li interrompo. “Non credo che si occupi lui di un caso di incendio. Non sono addestrati per questo.”
Raven incrocia le braccia e piega un po’ il collo, in quel modo che hanno tutte le latine di farti capire che si stanno incazzando e non è il caso di andare oltre. Deglutisco un po’ di saliva, e Wick dall’altra parte del letto mi sta guardando come se fossi improvvisamente impazzita.
“Mi spieghi cos’hai che non va? Mi stai nascondendo qualcosa, Clarke?”
“Cosa… no, certo che no!”
Tranne quello che mi ha detto Finn. Ma non ho ancora capito nemmeno io che cosa sia, quindi meglio se me lo tengo per me, almeno per ora.
“E allora perché non vuoi chiamare Bellamy?”
“Non ho detto che non voglio chiamarlo…”
“Quindi perché non lo fai? Ti sto chiedendo una mano, qui, sorella.”
Boccheggio un paio di volte, prima di richiudere la bocca ed accettare la sconfitta. Sconfitta di cosa, poi, non lo so proprio. È che con Bellamy si è creata tutta questa atmosfera strana che non so esattamente come mi faccia sentire, a parte a disagio, e vorrei averci a che fare il meno possibile.
“Lo chiamerò. Sono solo le sei del mattino, non posso farlo adesso. Va bene?”
Raven annuisce, contenta, e si sporge per un abbraccio veloce, mentre Wick alle sue spalle annuisce con soddisfazione e mi fa un occhiolino amichevole. Quando la restituisco al suo letto, cominciano a guardarsi in un modo che mi fa sentire di essere di troppo nella stanza. C’è qualcosa che aleggia tra di loro, qualcosa di cui è evidente debbano parlare.
“Ok, allora. Esco un attimo qua fuori.”
“Cosa? No!”
Raven mi afferra la mano, allarmata. Quella cosa deve essere davvero importante, e forse in uno spirito di gratitudine verso Wick per aver salvato la vita alla mia migliore amica, per una volta lascio da parte la solidarietà femminile.
“Torno subito. Ho già ricevuto sei o sette telefonate da Wells, quindi mi sa che non ha a che fare con gli esami. Magari ha saputo di te e vuole sapere come stai.”
“Certo, come no,” fa una smorfia. “È molto più probabile la prima opzione. Salutami il noioso rompicoglioni, comunque. E digli che se è stato lui a far saltare il mio laboratorio, lo uccido.”
“Non credo proprio che a Wells freghi abbastanza del tuo laboratorio da dargli fuoco.”
“Appunto. Non ha chiamato per me.”
Non posso fare a meno di sorridere della sua espressione cocciuta. Il suo atteggiamento mi rassicura più di ogni cosa che è la solita Raven di sempre, e che sta bene.
Posso respirare di nuovo.



**
 
Richiudo la porta alle mie spalle, e ripesco il cellulare dalla tasca.
Altre tre chiamate da Wells, dev’essere stato sveglio tutta la notte. Il senso di colpa mi stringe lo stomaco, il pensiero che possa essere qualcosa di grave che non ho considerato. Ma non aver ricevuto telefonate da mia mamma significa che va tutto bene. Noi e i Jaha siamo collegati, intersecati inesorabilmente, come una vera famiglia. Il Preside crede ancora che io e Wells possiamo essere qualcosa di più, cosa che io considero alla stregua di un vero e proprio incesto.
Premo il tasto chiamata e mi appresto a sentire cos’ha da dire il ragazzo che fino a qualche anno fa mi stringeva la mano mentre mi facevo i buchi alle orecchie, e teneva i bulli alla larga da me con la sua stazza. Gli Ospedali mi rendono sentimentale, fin da quando ci è finito papà.
“Clarke! Finalmente.”
Ha la voce carica di paura e di ‘niente di buono’. Quello che mi dice è la cosa che meno mi sarei aspettata al mondo da quel bambino che ogni pomeriggio mi costringeva a studiare rubandomi le matite colorate, e me le restituiva solo quando avevo finito tutti i compiti.

“Clarke?”
Bellamy mi viene incontro dall’entrata degli alloggi della Security, dove mi sono impuntata per incontrarci il prima possibile. Per fortuna era sveglio e sono corsa qui direttamente dall’ospedale.
“È Raven…? Sta bene?”
“No, non sta bene!” Si mette al mio fianco, adattandosi al mio passo affrettato. “È in un letto d’ospedale e qualcuno ha fatto saltare in aria il suo laboratorio e se non ci fosse stato Wick sarebbe morta. Possiamo entrare?”
Non aspetto una risposta prima di infilare la porta ed irrompere in una cucina stretta, di legno marrone chiaro, pregna dell’odore tipico di una casa abitata solo da uomini. Bellamy mi indica una sedia, ancora confuso ma attento, e ci sediamo, io al lato corto e lui a quello lungo del tavolo.
Una porta – credo di un corridoio – si apre, lasciando affacciare il corpo massiccio di Miller.
“Richiudi quella porta e vattene,” Bellamy lo apostrofa senza nemmeno voltarsi a guardarlo, non so nemmeno come facesse a sapere che si trattava di lui. Scuoto la testa, non è il momento per questioni futili e Miller ci ha lasciati soli come da ordine.
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
Bellamy si acciglia un po’ di più. “Ce l’hai. È successo qualcos’altro ad una delle tue ragazze o…?”
“No, non c’entrano niente. Non stavolta, per fortuna.”
Mi stringo le braccia al petto, so che non sarà una conversazione facile. “Ho bisogno che tu mi dica dov’è Murphy.”
Come sospettavo, non è contento. Si lascia andare all’indietro contro la sedia, contrariato. Lo sapevo perché è tanto protettivo con i suoi quanto io lo sono con i miei.
“Cosa ti serve da Murphy?”
“Una confessione, possibilmente.”
Ridacchia quasi. “Una confessione?”
“Murphy ha venduto a qualcuno che conosco delle copie dei midterm di Medicina. Erano dei falsi. W…”, sospiro. “Questa persona è stata beccata, e sarà probabilmente espulsa.”
“Peggio per loro. Si meritano l’espulsione, se si sono fatti beccare.”
Più o meno quello che penso io. Ma non perché è stato scoperto, solo perché è terribilmente ingiusto. E stupido. E cretino, imbecille, testa di…
“Non penso sia… il caso di buttare all’aria una prominente carriera universitaria – e medica – per questo.”
Bellamy si passa una mano sulle labbra, divertito. “Quindi si tratta di uno dei tuoi amici privilegiati. E dimmi, perché diavolo dovrei aiutarti ad aiutarli?”
“Perché te lo sto chiedendo. Perché mi serve per non pensare a Raven, e al fatto che l’incendio potrebbe essere colpa nostra. Per favore, Bellamy. Ho bisogno del tuo aiuto.”
Le pupille lavorano incessanti quasi quanto, credo, le rotelle del suo cervello. “Colpa nostra?”, chiede solo.
“Finn dice di sì.”
“Finn?”
“Quello che hai incontrato nella mia veranda. Non il figlio di Jaha.”
Non riesco a pronunciare il nome di Wells senza provare una fitta di rabbia e repulsione al ricordo delle sue ridicole scuse al telefono. (“Non avevo fatto in tempo a ripassare tutto! Sono entrato nel panico, Clarke.”)
Bellamy annuisce, si ricorda di lui.
“Non mi ha voluto dare spiegazioni, crede che mettano in pericolo anche me. Ma a quanto pare hanno distrutto il laboratorio di Raven per non farle analizzare quella fiala.”
Deglutisce, stringendo la mandibola. Alza un po’ il mento quando parla. “A cosa ti serve Murphy?”
“Se consegna lo ‘spacciatore’, gli faranno ripetere l’esame.”
Che mi sembra anche un accordo troppo equo. Ci credo che non abbia dormito tutta la notte per contattarmi. Solo tramite Bellamy – che intanto si alza in piedi, gira intorno alla sedia e si appoggia con le mani allo schienale – riusciremmo a trovare quel pallido pezzo di merda.
“Va bene,” dice infine. “Dopotutto, vendere gli esami è una cosa piuttosto idiota da fare, no?”



**


Maya mi sta fissando.
Non so perché, e non mi interessa nemmeno saperlo. Sarà qualche altra stronzata su Jasper e Monty e sul tenerli lontani dalle matricole mentre lei se li pomicia chiusa negli sgabuzzini, e forse percepisce quanto non sia in vena delle sue cazzate, perché passano i minuti e ancora non si è mossa dallo stipite della mia porta. Se si aspetta che la incoraggi a parlare, può aspettare in eterno.
“Clarke,” rompe finalmente il silenzio. “Stai bene?”
Abbasso la mano che stavo usando per rifinire il trucco. Mi sarei anche rotta le palle di sentirmelo chiedere. No, certo che non sto bene, la mia migliore amica è all’Ospedale e mi sto preparando per andare a una di quelle dannate feste a cui mi costringe a partecipare per tenere al sicuro le ragazze di cui lei rifiuta di occuparsi.
“Cosa vuoi?”
Alza gli occhi al cielo. “Sapere come stai, mi sembrava che la domanda fosse chiara.”
Non si è mai soffermata sulla mia soglia a preoccuparsi per la sottoscritta, e dubito abbia intenzione di iniziare ora. “Cosa vuoi, Maya.”
Sospira e incrocia le braccia. “Voglio chiederti qualcosa senza che ti arrabbi.”
Oh, ha scelto proprio il giorno giusto per una cosa del genere. Resto a fissarla finché non continua a parlare.
“Con tutto quello che sta succedendo… stasera, alla festa…”
Spero davvero, davvero tanto di non aver capito dove sta andando a parare.
“Ecco, lo so che sono finiti gli esami anche per te… e con Raven e tutto…”
Dio, dammi la pazienza, perché se mi dai la forza, la uccido.
“Volevo solo chiederti di non abbassare comunque la guardia, ecco.”

Non so come riesca a rimanere muta e perfettamente immobile. Forse batto un paio di volte le ciglia, perché sono e resto comunque un essere umano. Se fossi un cartone animato, mi vedrei bene con delle fiamme che mi salgono tutte intorno e i capelli rizzati in testa.
La odio. In questo preciso momento, la odio. Non la odierò domani, forse neanche tra venti minuti, ma ora sì, e il calore mi scalda le orecchie mentre la testa si affolla di recriminazioni e accuse che andrebbero, sicuramente, vane.
Mi alzo – mi da’ una soddisfazione perversa vederla arretrare leggermente per un secondo colta alla sprovvista, prima di ricomporsi – e afferro la maniglia della porta.
“Come se potessi mai abbassare la guardia,” è l’unica velenosa risposta che riceve, prima che le chiuda la porta in faccia.
Guardo il ritratto di Raven poggiato sulle coperte che ho abbozzato stanotte quando non riuscivo a dormire. Guardo lo scatolone nascosto sotto il mio letto, che oggi potrò finalmente aprire. E sarà meglio che non venga aperto per niente, che la serata scorra liscia e tranquilla, e soprattutto, spero che Murphy abbia voglia di farsi una bevuta con i suoi amici stasera, perché Clarke ha proprio voglia di giocare.

**

“Come sarebbe, sparito?”
Mi sistemo il telefono nell’incavo della spalla mentre cerco di infilarmi una scarpa saltellando su di un piede solo.
“Sparito, volatilizzato. Non sono riuscita a trovarlo da nessuna parte.”
“È strano, no? Voglio dire, Bellamy non dovrebbe sapere sempre dove sono i suoi… sottoposti?”
“È quello che gli ho detto anch’io, ma mi ha risposto che ‘Cosa fanno quando non sono di turno, non sono affari miei.’”
Raven ridacchia. “Lo imiti piuttosto bene.” Faccio una smorfia alle ballerine bianche che ho deciso di indossare per camminare comoda.
“Non mi pare una coincidenza che sia sparito proprio quando è successo il casino, comunque,” commenta.
“No, neanche secondo me. Se stasera è alla festa…”
“Se stasera è alla festa, prendilo a calci in culo.”
“Lo sai che lo farò.”
Mi risponde solo il silenzio, ma so che dall’altro capo Raven sta sorridendo. Sdraiata, bruciacchiata e ferita, nel suo letto d’ospedale. Mi devo ricordare di chiamare Finn, cercare di capire cosa cavolo voleva dire ieri in sala d’attesa. Troppe cose da fare, per fortuna i midterm sono finiti e non devo preoccuparmi anche dello studio, per un po’.
“Ehi, Raven, sento le ragazze scendere. Devo andare.”
“Va bene. Divertiti alla festa più fantastica dell’anno a cui io non posso venire!”
“Non ci sarà da divertirsi, credimi.”
“Non rompere le palle e promettimi che ti prenderai almeno un drink.”
“Quello te lo posso promettere senza problemi, devo testarli.”
Riesco a sentire chiaramente la sua smorfia scocciata. “Sempre lavoro, con te. Buona serata, sorella.”
Stavolta sono io a sorridere. Da quando si è fatta male, il mio epiteto non è più ‘Principessa’. Mi ha chiamata altre volte ‘sorella’, certo, ma mai così spesso. “Grazie. Anche a te. Salutami Wick!”
Per quanto Raven si sforzi di nascondermelo, lo so che si presenta puntualissimo ad ogni orario di visita – grazie mille, informatori di Abby – e la sento borbottare un ‘Fanculo’ prima di riattaccare.
Infilo il cellulare nella borsetta e raggiungo le ragazze in fondo alla scalinata, dove Maya sta facendo il discorso di rito sull’eleganza e il portamento delle Theta Beta e blablabla.
Individuo Octavia tra la folla e le faccio cenno di avvicinarsi. Al riparo dalle schiene delle nostre consorelle, le consegno la ventina di sottobicchieri da distribuire in segreto tra le matricole, come stabilito.
Mi lancia solo una volta un’occhiata di traverso prima di allontanarsi, sistemando il perfetto abitino verdazzurro che le risalta tantissimo gli occhi, e lo considero comunque un miglioramento della nostra relazione.
Maya apre il portone. Prendo un lungo sospiro, si parte.

**

Sotto l’Old Main i ragazzi e le ragazze passeggiano, già nel pieno della festa. Coppiette, gruppetti di amici, quasi tutti col bicchiere in mano, la musica che arriva dal parco a fare da collante tra tutti, anche quelli che normalmente non si sfiorano nemmeno nei corridoi.
Mi avvicino al capannello formato dai bomber neri dei ragazzi della sicurezza, sembrano tutti tesi come corde di violino. Bellamy lo è sempre, quindi non ci sono grosse novità nel suo caso.
“’Sera,” saluto.
Mi rispondono con cenni del capo, e qualcuno (Atom?) si sofferma un po’ troppo a lungo a radiografarmi la lieve scollatura del vestito beige. Smette non appena incontra le mie sopracciglia alzate, e si volta, un po’ a disagio. Miller ridacchia, ed è l’unico a sorridermi apertamente guardandomi in viso.
“Buonasera,” persino da come lo dice, si percepisce la cupaggine di Bellamy. È inquieto perché non riesce a trovare Murphy. Continua a guardarsi intorno, come se lui dovesse comparire e aggiungersi al gruppetto di punto in bianco. Gli rifilo una gomitata sul braccio, rimpiangendo subito il gesto perché mi fa sentire una ragazzina delle medie che non sa come relazionarsi con i suoi amichetti maschi.
Facciamo che fingo indifferenza. “Come andiamo?”
Bellamy mi guarda in tralice, domanda del cavolo. “Hai dato quel che dovevi a O?”
Annuisco. “Matricole Theta Beta ufficialmente sottobicchierate.”
Sottobicchierate? Non so più parlare come un essere umano normale, ed io che credevo di essere una Laureanda in Medicina in un Campus Universitario prestigioso…
Un urlo disumano ci fa voltare di scatto tutti. È Jasper che, tenuto appeso a testa in giù da dei ragazzi con la felpa dei Razorbacks e gioiosamente ubriaco, guarda Monty alzare al pubblico astante il fusto di birra vuoto. A quanto pare, non si uniranno a noi stasera.
Scuoto la testa con un sorriso mesto che incontra il cipiglio infastidito di Bellamy. Alzo le spalle, rotea gli occhi. Che devo dire, sono ‘adulti’, e soprattutto non sono obbligati a fare quello che facciamo noi. Li invidio un po’ per questo, vorrei sentirmi altrettanto libera anch’io.
Bellamy smista il gruppo in coppie di due, e con mia sorpresa mi piazza con Dax anzi che con Miller. Deve notarla anche lui, perché mi prende da parte.
“Ehi,” comincia (e non capisco perché non lasci la presa dal mio braccio). “Ho preso Miller perché ne ho bisogno, ma tranquilla, sarai al sicuro anche con Dax.”
“Non mi serve una guardia del corpo. Sono solo stupita perché mi sembrava che Dax non fosse del tuo… circolo ristretto.”
Mi restituisce il mio arto e si piazza le mani sui fianchi. “Non lo è, è… proprio quello il punto.”
Sorrido. “Tanti discorsi sulla mia sicurezza, ma in realtà vuoi che lo spii?”
“Cosa? No, certo che no. Sono degli idioti, ma sono a posto.” (Breve mio sguardo scettico.) “Sono dei criminali ma sono a posto. È solo… è complicato da spiegare.”
(Breve suo strusciamento di piedi.)
Chissà cos’è che non vuole dirmi. Va bene, non farò domande, se non vuole che gliele chieda. Con un cenno di assenso, ognuno si riunisce con il proprio partner – nemmeno Dax sembra particolarmente entusiasta di avermi come compagnia, comunque – e siamo pronti a partire.

**

Dovrei stupirmi di vedere Octavia ballare appiccicata a Lincoln, ma non lo sono nemmeno un po’.
Il ragazzo spicca con la sua massa tra la folla, e la maglietta nera che gli scopre i muscoli delle braccia fa un bell’effetto sotto le luci artificiali appese agli alberi del parco. Ha una pelle lucidissima, levigata. Octavia lo sta praticamente divorando, e sembrano fusi l’uno nell’altra. Direi che la sorellina ha deciso di smetterla con la segretezza e di uscire insieme al suo stalker alla luce del sole. Mi immagino già la faccia di Bellamy.
Dax cammina silenzioso al mio fianco, fortunatamente non ha intenzione di avviare futili conversazioni di circostanza. Continua solo a scrutare tra la folla con sguardo severo. Dopo una ventina di minuti deve rompersi parecchio le palle anche lui, perché mi dice di voler andare a prendersi da bere.
“Mi sembra un’ottima idea,” dico, visto che posso approfittarne per svolgere il mio secondo lavoro, e ci avviamo verso la fila di tavolinetti con fusti di birra e bottiglie da cocktail abbandonate sul tavolino da barman già troppo ubriachi per rendersi conto di quando qualcuno gliene ruba una. Sarà veramente dura testare questi aggeggi malefici che ho in borsa.
Mi prendo una birra, non mi fido delle capacità di questi tizi di mescolare alcolici in quelle condizioni. Va bene festa universitaria, va bene prendere un drink più che altro per controllarlo, ma a tutto c’è un limite.
Riempio il mio bicchiere e quello di Dax dal fusto, e ci incamminiamo di nuovo in silenzio.
La folla intanto si sbraccia e salta, l’aria fresca della sera che li esalta ancora di più e non li fa sudare – beh, non troppo, almeno.
Mi do una veloce occhiata intorno per vedere che Maya non sia nei paraggi, e tiro fuori il mio fedele sottobicchiere blu e bianco. Ne strappo un pezzettino e lo immergo nel drink con circospezione – anche se le istruzioni dicono che basterebbe versare un goccio, non voglio lasciare niente al caso.
Conto fino a 100, niente. Il mio drink è pulito - grazie a Dio.
Dax intanto sta continuando la sua ronda silenziosa, ma non fatico a tenere il passo. È comunque un po’ strano essere così a stretto contatto con qualcuno senza saperne niente, e rimare così in silenzio.
Non so davvero niente di lui. Avrà una fidanzata? E cos’avrà fatto per finire nel programma di Jaha? Cosa faceva prima di finire qui? Era uno studente anche lui, magari?
Mentre elucubro concentrata su questi pensieri, si volta a guardarmi; dapprima neutro, poi sorpreso, infine preoccupato. “Attenta,” esclama, mentre mi solleva con entrambe le braccia lontano da un ceppo gigante contro cui stavo per inciampare – uno di quelli su di cui di solito ci sono sopra delle persone, non è mica colpa mia se nessuno ha voglia di sedersi stasera!
“Grazie,” mi sistemo i capelli. “Non l’avevo visto.”
“Ho notato,” borbotta. Si guarda brevemente intorno. “Penso che dovremmo andare di là.”
Allungo lo sguardo verso il punto che mi ha indicato, tra gli alberi del parco, alle spalle della festa.
“Vuoi perlustrare il perimetro?”
Annuisce. “Potrebbe esserci qualcuno che si aggira al buio.”
Giusto. Mai aver paura di essere troppo previdenti. Gli faccio cenno di proseguire e lo affianco di nuovo mentre ci addentriamo nell’oscurità. Eppure… eppure c’è qualcosa che non mi torna.
Una strana sensazione che mi pungola alla base del collo, come se qualcuno mi stesse osservando da dietro. Non riesco a resistere alla tentazione di voltarmi, il fuoco dei falò sempre più lontano ad ogni passo, la musica per fortuna talmente alta da permeare nell’aria come un richiamo alla civiltà.
Alla terza volta che non resisto al controllarmi le spalle, inciampo di nuovo – beh, tecnicamente per la prima volta.
Il drink mi si rovescia per metà sulla mano – non sul vestito, sia ringraziato il cielo! – ma era un intoppo di poco conto e rimango facilmente in piedi. Dev’essere stata una radice appena affiorata, o qualcosa del genere. Dax ridacchia sotto i baffi e non commenta.
È quando mi liscio la gonna per controllare di non avere delle macchie di birra traditrici, che la vedo. Una piccola goccia blu, sul sottobicchiere che avevo tenuto in mano per tutto il tragitto.
Blu significa positivo. E significa anche che sono totalmente nella merda.

**

Per prima cosa, mantenere la calma.
Tornare a fianco di Dax, respirare, non dare segni di panico. Non fissarlo, Clarke, non fissarlo! Mi guardo i piedi. Con la scusa di essere inciampata, mi sembra credibile.
Cosa farebbe Raven in questo momento? Ok, lo prenderebbe a calci, ma non è il mio stile – né la mia forza fisica. Cosa farebbe la mamma? Penserebbe lucidamente a una soluzione rapida ed efficace. Posso fuggire? No. Non arriverei mai alla festa prima che uno della sua stazza mi raggiunga. Urlare con questa musica è fuori discussione.
Senza fare gesti bruschi prendo il cellulare dalla borsa e ci nascondo dentro il sottobicchiere, che mi strilla in faccia la sua blu-positività ed ho paura che mi tradisca. Digito il più velocemente possibile il numero di Bellamy nella casella dei messaggi, sperando che capisca. “SOS” d’altronde è un codice universale, no? No???
Lo rinfilo nella borsa, tanto anche se Bellamy mi chiamasse non credo che riuscirei a mantenere il tono della voce sotto l’isteria. Con un finto-inciampamento di fiducia rovescio il resto della mia birra a terra e getto via il bicchiere. Ne approfitto anche per cominciare a cercare un’arma, un sasso, un ramo bello grosso, qualcosa da usare in caso di necessità.
Dax si ferma all’improvviso, e per la prima volta mi rendo conto di quanto sia buio, di quanto mi abbia allontanato dagli altri.
“Te ne sei accorta, dì la verità.”
Mi sforzo di guardarlo in faccia, e di assumere un’espressione confusa. “Di cosa?”
Ridacchia quasi, una risatina di scherno, che usa come scusa per guardarsi intorno mentre si gratta il mento. “Stupida puttana.”
Non so se è perché non mi hanno mai chiamata così in vita mia o per la sorpresa dell’improvviso cambio di tono e attitudine, ma non mi accorgo per niente dello schiaffo che mi si spalma sulla guancia destra, facendomi barcollare pesantemente.
Il calore sale istantaneo alla testa, le mani salgono al viso, il respiro affannato, e anche se mi accorgo del secondo colpo non riesco comunque a fermarlo.
L’adrenalina mi sale improvvisa come un turbine nelle vene e in un secondo sono in movimento, i miei piedi che volano sul terriccio, e benedico una millesima volta la mia abitudine di non indossare tacchi.
Come avevo previsto duro molto poco prima che mi raggiunga, lo sento alle mie spalle ma non posso che continuare a correre, le luci lontane dei fuochi come stella del nord.
Ti prego Dio, ti prego, ho bisogno di rivedere la mamma, e Raven, e Monty e Jasper, e Wells, e parlare con Finn, non voglio morire ti prego fammi correre più veloce, ti prego, ti prego, ti prego…
Una mano nei capelli è tutto quello che gli serve per fermarmi. Credevo mi avrebbe placcata, stavo già considerando delle mosse di autodifesa da usare, ma non avevo pensato ad una grossa mano che mi afferra i capelli costringendomi allo stop immediato, le lacrime agli occhi e il sentore di qualche ciocca che abbandona il cuoio capelluto. Credo di aver strillato, non ne sono certa, sento solo il mio cuore forte nelle tempie. Con uno strattone mi tira giù, e crollo pesantemente seduta, e stavolta sono assolutamente certa di aver gridato.
In un attimo mi è sopra, colpendo dove riesce a colpire, e credo che parli ma non lo so perché quello che esce dalla mia bocca e dal mio petto sovrasta ogni cosa.
Dio, ti prego, se ci sei, fai che sia almeno veloce, fa’ che non faccia troppo male, ti prego, voglio il mio papà…
E poi il nulla.
Dax non è più sopra di me. Mi alzo velocemente a sedere, camminando con mani e piedi, alla ricerca del pericolo.
All’inizio c’è solo una mischia nera a terra, confusa nel nero.
No, riesco a distinguere due sagome, adesso. I grugniti e l’inconfondibile caschetto di capelli neri mi rivelano l’identità della seconda: Bellamy.
Se la stanno dando di santa ragione, due divise identiche, due stazze così diverse, e difatti c’è un grosso problema: Bellamy sta perdendo.
Il primo sasso più grande del mio palmo che trovo, si solleva facilmente sopra la testa e scende a colpire con piacere quella di Dax – “Lascialo stare!” – che si porta le mani alla ferita e osserva per un attimo il sangue che gli arrossa le dita.
Si rialza, barcolla leggermente. “Cazzo.”
Bellamy lo imita, si tampona il labbro inferiore contro la manica del bomber, ansimante.
Ci guardiamo, probabilmente due simili maschere di sangue. Sento che le orbite stiano per esplodermi fuori dal cranio per tutta questa tesa vigilanza della situazione.
“Che cazzo ti succede, Dax?”
Cerco altri sassi intorno a me.
“Cosa, sei sorpreso, grande capo? Pensavi che Murphy stesse facendo tutto da solo?”
Murphy?
“Murphy…?”, chiede Bellamy.
Dax ridacchia di nuovo. “Chi credi che ci informasse delle tue stupide ronde del cazzo?”
Bellamy si lancia in avanti con un grugnito, un secondo inning, ma alimentato dalla rabbia – e forse aiutato dall’essere in piedi – stavolta mette a segno più colpi.
Smette di avere la meglio quando Dax gli pianta un destro micidiale sulla tempia. Quasi cade a terra, rimane piantato sulle gambe per pura di volontà, ma sappiamo tutti che basterebbe un soffio a mandarlo al tappeto.
Dax allora si volta verso di me, armata di tre sassi con un quarto già pronto al lancio. E non esiterei ad usarne uno per spaccargli il cranio, lo giuro. Dopo un ennesimo sorriso del cazzo, sputa in direzione di Bellamy e si allontana al trotto nel bosco.
Uno.
Due.
Tre.
Sì, se n’è andato davvero. È finita. Sono viva. Siamo vivi.
Mollo i sassi nello stesso momento in cui Bellamy crolla sulle ginocchia. Cerco di aiutarlo a rialzarsi ma mi scaccia.
“Cazzo,” mormora. “Merda. Merda merda merda merda merda merda merda.”
Non posso che concordare.
“Merda! Come cazzo ho fatto a non accorgermene!”
“Bellamy…”
“No! Sono i miei sottoposti, avrei dovuto…”
“Sono i sottoposti di Kane.”
Mi lancia un’occhiata avvelenata. “È una cazzata e lo sappiamo bene entrambi.”
Alzo le spalle. “Lo so, ma non cambia niente. Non sono mai stati una tua responsabilità.”
“Nemmeno la tua.”
“Infatti non sono qui a cospargermi il capo di cenere, no?”
“Ma Murphy…!”
Faccio roteare gli occhi. “Come diavolo avresti potuto accorgerti di Murphy!”
“Si stava comportando in modo strano, avrei dovuto sapere… avrei…”
“Non riesci neanche a finire la frase, vedi? Non sai nemmeno tu cos’avresti potuto fare di diverso!”
“Avrei potuto indagare…”
“Certo, perché scommetto che Murphy fosse l’unico a fare la signorinella mestruata nel tuo gruppo.”
Prendo il suo silenzio come una conferma.
“Quindi la soluzione qual è, spiare tutti i tuoi colleghi alla minima avvisaglia per vedere chi è lo stupratore seriale?”
“Smettila,” prova a rimettersi dritto. Si accontenta di appoggiarsi al tronco dietro di noi con la schiena. “Di cercare di farmi stare meglio.”
“Non è quello che sto facendo.”
“Ah no? Non mi stai lisciando per convincermi a continuare la tua crociata del cazzo?”
Sembra impossibile, ma non riesco ad incazzarmi. Non con lui, non stasera. Il fatto è che capisco fin troppo bene da dove arriva quello che sta dicendo. Crede che sia colpa sua. Una falla nel suo sistema.
“Perché, stai pensando di smettere?”
“Non è ovvio? Cosa cazzo posso fare di buono, a questo punto, se non mollare?”
“E dargliela vinta?”
“Hanno già vinto, Clarke! Le carte sono scoperte, non scopriremo mai chi…”
“Sappiamo già chi.”
“Già, e guarda come ti ha ridotta.”
Vorrei abbassare lo sguardo a controllare i danni, non ne ho semplicemente la forza. La sto usando tutta per parlare con Bellamy, per convincerlo a restare con me.
“E come ha ridotto te. Vuoi lasciare che lo faccia a qualcun altro?”
Questa va dritta al punto, e accusa il colpo.
“Andiamo, Bellamy. Sappiamo che Murphy e Dax hanno lavorato insieme. Ha detto ‘ci informasse’, ‘ci’. Non sarà difficile trovare gli altri.”
Un piano mi si sta già formando nella mente. Non basteranno un paio di ferite a fermarmi, non quando ci sono le mie ragazze in ballo.
Mi rivolge uno sguardo abbattuto. “Clarke... come ho fatto a non accorgermene? Sono inutile.”
“Ehi,” gli stringo un braccio, forte. Spero che senta quanto io creda in lui e nel suo aiuto. “Mi hai appena salvato la vita. Sei tante cose, Bellamy Blake, inutile non è mai stata una di queste. Non puoi mollare adesso. Abbiamo tutti bisogno di te. Io… io ho bisogno di te,” meglio buttare giù un po’ di saliva. “Risolveremo tutto.”
Esala un sospiro, appoggia la nuca contro l’albero. “Possiamo risolvere tutto domani?”
Mi scappa un sorriso, chi l’avrebbe mai detto in una serata del genere?
Mi accomodo di fianco a lui.
“Domani,” prometto.



Spazio Autrice:
Lo so, lo so, avevo promesso di non tardare troppo. Thing is: ho cambiato casa, sono senza Internet (T___T), sto cercando lavoro… ah, la vita vera, che maledetta infame!
Comunque dai, il capitolo mi è venuto pure il doppio degli altri, è un premio sufficiente, no?
Vi lascio come sempre il link alla mia pagina Autrice su Facebook, basta cliccare
qui
, per updates e cose varie. (Tipo, se la seguiste, sapreste già dei miei problemi di linea, così eh, per dire! XD)
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensiate di questo capitolo, della scena finale in particolare perché :3
A presto!
 

 
  
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