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Autore: Nykyo    29/02/2016    1 recensioni
«Voglio aiutare il branco» rifletté Stiles a voce alta, massaggiandosi con ferocia le tempie, per niente conscio di quanta forza ci stava mettendo. «Voglio fare la mia parte. Voglio che il branco resti unito. Voglio un Tramite perché ho bisogno di essere un buon Emissario. Posso essere un buon Emissario, ho solo bisogno di un consigliere meno criptico di quello stronzo di Deaton e di capire come usare il mio potenziale e… voglio un Tramite. Lo voglio, mi serve perché non posso continuare a essere un peso per tutti. Voglio un Tramite e lo avrò, alla faccia di Deaton e anche di Derek!»
Racconto di Nykyo e illustrazioni di Boll11
Partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Laura Hale, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questo racconto alla mia Lori e a CiciCe che, mentre io scrivevo di Laura, stava raccontando di una splendida Cora. Una Cora di cui la mia Laura andrebbe immensamente orgogliosa.   Ringrazio Lori per il supporto, il plottaggio, il betaggio e in sostanza perché esiste, se no dovrebbero inventarla ;)   Un grazie gigantesco anche a Boll11 che mi ha fatto l'onore di disegnare per me e mi ha resa immensamente felice anche solo per questo. Troverete le sue fanart sparse per tutto il racconto.

http://i749.photobucket.com/albums/xx135/eloriee/TWBBI/seconda edizione/BBI5/11 - Tramite_zpsjkfkvi0h.jpg

 

 

 

Tramite

 

 

tramite[trà-mi-te] s., prep.

• s.m. 1 non com. Via di comunicazione, passaggio;

2 Mezzo di contatto, elemento di collegamento o di raccordo; riferito a persone, intermediario.

 • loc. prep. per il t. di, attraverso, per mezzo di.

• prep. Per mezzo di qlco. o qlcu..

• sec. XIV

 

I. L’apprendista stregone

 

«Non sei pronto per evocare il tuo Tramite» cantilenò Stiles, imitando in maniera caricaturale il tono con cui Deaton aveva liquidato le sue richieste giusto una decina di giorni prima. La sua voce si fece ancora più stridula e teatrale, mentre Stiles rincarava la dose del suo sfottò solitario e aggiungeva un pizzico di polvere bianca agli ingredienti che aveva appena sminuzzato in una ciotola di rame. «Non sei pronto nemmeno per parlarne, anzi, scordati di aver letto che esistono i Tramiti, ci sono Emissari che non riescono mai a evocarne uno, mai, mai, mai in tutta la loro lunga, lunghissima esistenza da druidi saggi e potenti e misteriosi e bla, bla, bla e tu sei solo un ragazzino e un apprendista alle prime armi e io mi diverto un mondo a non risponderti, se non in modo arrogante e criptico e del tutto inutile, perché sei un povero pivello, Stilinski!»

Ovviamente Deaton non era lì per sentirlo, ed era quasi un peccato. Stiles sapeva di essere sul serio infantile quando iniziava a fare smorfie e boccacce ogni volta che Deaton si comportava come uno Yoda più stronzo e irritante e gli voltava le spalle blaterando su quanto lui non era pronto per cimentarsi in questo o quell’incantesimo.

«Non si dice incantesimo, Stiles.» Gli scappò da ridere mentre correggeva i suoi stessi pensieri, sempre nel tono saccente del proprio mentore. «Non siamo maghi o stregoni, siamo druidi, siamo palloni gonfiati discendenti più o meno diretti di un popolo le cui origini sono risalenti addirittura all’epoca precedente alla colonizzazione romana, siamo… Puttanate!» Certo, scimmiottarlo era una bambinata, ma Deaton, quando ci si metteva, era seriamente insopportabile. «É un incantesimo, è magia, lo chiamo come diavolo mi pare, ecco. Incantesimo, incantesimo, incantesimo!»

Se fosse stato presente Deaton avrebbe storto il muso in un’espressione disgustata di totale disapprovazione. Lui e le sue manie sul riserbo e sull’arrivare alla conoscenza per gradi.

Stiles non l’aveva mai amato più di tanto e non si era mai fidato di lui fino in fondo. Avrebbe preferito farsi istruire da chiunque altro, ma ultimamente il branco era un po’ a corto di druidi. Non che quando a spasso per Beacon Hills ce n’erano stati almeno tre la situazione fosse stata granché migliore. Morell poteva passare - a Stiles non dispiaceva, se non altro lei non girava troppo introno alle cose - ma Jennifer Blake era stata un altro paio di maniche. Anche a non voler ripensare alle conseguenze del suo tentativo di riattivare il Nemeton – e no, grazie, Stiles non voleva proprio ripensarci – un Darach era comunque il tipo di compagno di giochi di cui potendo la gente faceva volentieri a meno. Beh, in ogni caso, Morell era sparita chissà dove e Deaton era il solo druido ed ex Emissario a disposizione. Da quando Stiles aveva capito di possedere il potenziale per diventare Emissario a sua volta, ossia di avere la Scintilla, come l’avrebbe chiamata Deaton stesso, imparare a gestire il proprio potere era diventata la sola opzione possibile.

Non era successo da molto. Era passato giusto qualche mese dal momento in cui Stiles si era ritrovato a gestire un’emergenza potendo fare conto solo sulla propria inventiva e testardaggine, nonché su un barattolo di vischio polverizzato. Non molto con cui arrangiarsi, ma Stiles se l’era cavata e gli era tornata in mente quella volta in cui era riuscito a chiudere un cerchio protettivo pur non avendo cenere di sorbo a sufficienza. Le rotelle che giravano e giravano nella sua mente avevano cominciato ad andare metaforicamente a una velocità doppia, cioè a correre impazzite fin quasi a grippare, finché non avevano iniziato a macinare davvero e un sacco di cose erano apparse più chiare. Messo alle strette Deaton aveva vuotato il sacco, ammettendo che fin dalla faccenda con il Kanima aveva sospettato che Stiles possedesse il dono. Il necessario per diventare un druido, insomma, e un domani un Emissario. E a quel punto si era offerto di essere il suo insegnante.

Stiles l’aveva sbranato mentalmente con le zanne che non possedeva, poi si era calmato un po’, e dopo incazzato di nuovo. Deaton era impossibile. Non aveva voluto giustificarsi per non avergliene parlato prima, non si era scusato, non si era mostrato contrito né niente di niente. Si era solo detto disponibile a prenderlo come apprendista. Stiles l’aveva detestato con tutta l’anima, però era l’ultima persona al mondo che potesse permettersi di sindacare la passione altrui per bugie e omissioni e, soprattutto, aveva davvero poca scelta, a meno di non voler ignorare le proprie capacità o rassegnarsi a cercare un mentore altrove. E, ovviamente, Stiles non aveva alcuna intenzione di lasciare Beacon Hills per chissà quanto tempo, allontanandosi da suo padre e dal branco. Non se ne parlava proprio, era fuori questione. Quindi, ok, Deaton era il suo maestro, e Stiles era disposto a dargli retta, ad ascoltarlo, a imparare quanto più possibile. Il che non voleva dire che fosse anche pronto a lasciarsi zittire o liquidare ogni volta che provava a porre domande intelligenti e un filo più curiose.

Deaton non voleva affrontare il discorso dei Tramiti? Perfetto! Stiles ne aveva preso atto e si era procurato tutte le informazioni che era possibile trovare senza il suo aiuto. Non erano poi molte e in alcuni casi erano contraddittorie, spesso lacunose e per lo più riportate da qualcuno che le aveva trascritte e tradotte copiandole da vecchi tomi in Latino o in altre lingue nella loro versione medioevale – per lo più Inglese e Francese, ma esistevano anche un paio di testi in Tedesco e uno in Russo – ragion per cui nessuna era davvero esaustiva. Ma il rituale per evocare il proprio Tramite era riportato sostanzialmente identico in tutti i libri e gli ingredienti non erano poi così complicati da reperire.

Con Deaton fuori città per chissà quale impegno che non si era degnato di spiegargli nel dettaglio, Stiles non aveva saputo resistere.

Era stufo del paternalismo del suo mentore e della lentezza estenuante con cui gli stava insegnando a controllare il suo potenziale druidico e a diventare una futura risorsa anche diplomatica per il branco. Deaton si comportava come se fosse ancora un Emissario e, nello stesso tempo, come se non lo fosse affatto. A Stiles dava sui nervi. Pensava che ascoltarlo e apprendere da lui fosse giusto, ovviamente, però non riusciva a non scalpitare. Alla velocità che Deaton aveva deciso di tenere per addestralo ci sarebbe voluta un’eternità prima che lui potesse essere di qualche reale utilità per i suoi amici.

Già da un po’ di tempo Stiles si era rassegnato al fatto che, per quanto valevoli potessero essere i suoi consigli e la sua capacità di pensare fuori dagli schemi, in caso di combattimento il suo essere l’umano indifeso rappresentava una debolezza. Perfino Lydia, pur essendo uno scricciolo, stava imparando a cavarsela meglio di lui. Se non altro era meno scoordinata e più incline a rimanere nelle retrovie quando proprio non aveva modo di dare una mano. Stiles non ci riusciva. Il pericolo lo terrorizzava ma lo rendeva più incosciente che vigliacco. Aveva provato a imparare qualche trucchetto e fingeva che bastasse portarsi dietro una mazza da baseball per essere al sicuro, ma la verità era che la lotta corpo a corpo non faceva per lui, pistole e archi tra le sue mani rappresentavano solo un pericolo di eventuale fuoco amico e ad armeggiare con una spada, oltre a correre il rischio di tagliarsi via un piede, si sentiva nauseato. Gli tornavano in mente ricordi che gli appartenevano soltanto in parte, rivedeva il viso di Scott distorto dal dolore e il suo cervello andava in tilt. Kira era stata gentile a provare a dargli una lezione di scherma, diversi mesi prima, Stiles lo sapeva e non le dava alcuna colpa per la crisi di panico che l’aveva travolto all’improvviso, però non ci aveva mai più riprovato.

Aveva preso atto di essere un anello debole, se non proprio del tutto indifeso, quanto meno troppo vulnerabile. Non era stato poi così terribile ammetterlo con se stesso, ok, ma il motivo per cui ne aveva sofferto meno del previsto era stato la consapevolezza di possedere dentro di sé la Scintilla. Prima di rendersene conto con certezza, in effetti, Stiles non aveva mai voluto riflettere più di tanto sulle proprie fragilità e sulla possibilità di nuocere indirettamente al branco per il solo fatto di aver bisogno che gli altri lo proteggessero costantemente. Dopo aver scoperto in sé quel potenziale la sua prospettiva era cambiata. Si era sentito più sereno, come se dalle sue spalle fosse stato tolto un peso che non era mai stato del tutto conscio di aver sostenuto. Di macigni che gli gravavano sul cuore Stiles ne aveva sempre avuti fin troppi, che ce ne fosse uno in meno era già una grande vittoria. Significava non solo che non doveva per forza essere di intralcio al branco, ma che poteva diventare una vera risorsa per tutti gli altri.

Scott, Liam e Derek erano dotati di artigli, zanne, supersensi e forza da lupi, Lydia aveva un cervellino da genio e poteri che diventavano sempre meno ingestibili e indecifrabili, Kira poteva contare su fulmini, elettricità e abilità da spadaccina e Parrish possedeva… beh, nessuno l’aveva ancora capito con esattezza, Jordan compreso, ma qualcosa che riguardava il fuoco, ecco, sì, esatto! E Stiles aveva la potenzialità di diventare un druido e un Emissario, di essere di aiuto e di difendersi da solo, senza timore che le persone che amava potessero andarci di mezzo. Stiles poteva imparare e non avrebbe mai più sognato di ritrovarsi impotente durante una battaglia o, peggio ancora, di fronteggiare con terrore una qualche creatura pronta a usarlo come un’arma per distruggere e uccidere le persone che gli erano più care.

Non c’era da meravigliarsi se si sentiva impaziente. Specie da quando Malia era partita con Braeden e aveva deciso che non voleva che lui la aspettasse, sentendosi legato da questo o quell’impegno.

Stiles aveva investito così tanto tempo, dedizione e sentimento nell’essere sempre presente per starle accanto mentre Malia imparava da capo come essere umana, che dopo che si erano detti addio si era sentito svuotato e più inutile che mai. Sentirsi privo di un fine, alla lunga, l’aveva ferito e destabilizzato, era stato peggio della perdita o della sensazione che gli si fosse spezzato il cuore. Studiare con Deaton gli stava ridando uno scopo ed era qualcosa di cui Stiles era grato al destino e perfino a Deaton stesso. Ma tutti i “dico e non dico” e il continuo posticipare e la scelta di Deaton di tarare la velocità del suo apprendistato sulla quella di una tartaruga moribonda e sciancata era una cosa che mandava Stiles al manicomio.

Aveva letto dei Tramiti per puro caso, mentre faceva ricerche su una delle più antiche famiglie di druidi mai esistite – si diceva che il loro capostipite fosse stato Merlino in persona – e gli era parso più che naturale fare domande al riguardo, visto che a quanto pareva un Tramite era in grado di stabilizzare i poteri del druido a cui era legato, poteva esaltarli ed espanderli, e creava un legame peculiare e molto prezioso con il branco di cui l’evocatore era Emissario.

Cosa c’era di male nel volerne sapere di più e nel chiedere se Deaton aveva avuto un Tramite e se lo aveva ancora, malgrado non fosse più l’Emissario di nessun branco? Erano tutte curiosità legittime e Deaton le aveva ignorate e si era limitato a uno dei suoi soliti, insopportabili «Non sei ancora pronto. Non capiresti. Tutto a suo tempo». Come no? I tempi di Deaton erano praticamente biblici e Stiles era in grado di documentarsi anche senza le sue risposte troppo preziose per essere elargite a un povero pivello.

Come se non fosse bastato ci si era messo anche Derek. Ah, Derek il saggio. Era passato da Deaton per ritirare una qualche erba e aveva ascoltato la parte finale della discussione con Stiles e, naturalmente, si era sentito in diritto e in dovere di dire la sua, spalleggiando il veterinario. Stiles l’aveva odiato, lui e il suo «Tutta questa faccenda del diventare un Emissario comporta più rischi di quello che pensi, Stiles, non credo che dovresti correre troppo, se Deaton dice che è meglio aspettare penso che dovresti dargli retta».

Derek non si era neppure degnato di guardarlo dritto in faccia mentre contribuiva ad affossare il suo tentativo di convincere Deaton. Oh no, certo che no, Stiles secondo lui non si era meritato che un’occhiata di sbieco, da dietro il riparo di un paio di ciglia che, tra parentesi, non erano mica normali sugli occhi di un maschio, seriamente. Nere, lunghissime, incurvate in una maniera che una ragazza avrebbe ottenuto solo a prezzo di chili di mascara – non che Stiles sapesse granché di mascara, ma fin lì era facile arrivare anche solo con la visione di una paio di reality – che accidenti aveva avuto in mente l’universo quando aveva assemblato Derek Hale? Se almeno tutto quello sforzo avesse avuto un senso. Derek era il più grosso, e perennemente imbronciato, spreco di avvenenza che Stiles avesse mai visto. Uno spreco di avvenenza che di norma parlava per grugniti, monosillabi e alzate di sopracciglio, ma che aveva sentito l’urgente bisogno di rimarcare l’inesperienza di Stiles davanti al suo insegnante. Grazie mille! Come se altrimenti Stiles avrebbe mai potuto convincersi che Derek credeva in lui e nelle sue capacità. Se c’era una cosa in cui Derek era sempre stato chiarissimo era il fatto di considerarlo una palla al piede inutile e fastidiosa, sempre bisognosa di protezione. L’unica volta che Stiles aveva pensato che Derek stesse iniziando a considerarlo come un membro del suo stesso branco da trattare alla pari e in cui credere ciecamente era stato a La Iglesia quando, in apparenza moribondo, l’aveva esortato a salvare Scott.

Peccato che da allora Derek avesse ricominciato a trattarlo come al solito. Anzi, dopo la partenza di Braeden e Malia perfino peggio, quasi che avesse deciso per motivi imperscrutabili che se Braeden l’aveva mollato era colpa di Stiles. Beh, al diavolo anche Derek. Che cosa gliene importava, in fondo? Una volta tornato dal viaggio in cui aveva riportato Cora in Sud America Derek era diventato, in un certo senso, un po’ zen. Da quando aveva imparato a usare le proprie doti di Licantropo alla piena potenza, tanto da potersi trasformare in lupo, la cosa si era fatta ancora più evidente. Era un miglioramento per Derek, bisognava riconoscerlo, ma per Stiles a volte era insopportabile.

Non l’avrebbe mai ammesso a voce alta ma ogni tanto gli mancava il vecchio Derek, per quanto egoista fosse pensarlo. Almeno quel Derek quando lo trattava come una nullità non fingeva che fosse perché si preoccupava per lui, e poi quel Derek non li avrebbe mai lasciati. Stiles lo sapeva che era un pensiero mostruoso e inumano e da perfetti stronzi, perché il motivo per cui Derek fino a non molto tempo prima non avrebbe mai lasciato Beacon Hill – non ci era riuscito nemmeno per amore di Cora – era che non aveva nessuno ed era spezzato e aveva un bisogno disperato di espiare e di non essere più così solo e inutile. Ovvio che Stiles si rendeva conto che era orribile ragionare come se voler restare a tutti i costi per Derek fosse stato un bene, Stiles sapeva di essere una brutta persona, in alcune circostanze. Non sempre, ma a volte lo era anche senza essere posseduto da un demone, o almeno aveva sempre creduto di esserlo e probabilmente non si sbagliava, visto che era così infastidito dall’idea che ormai Derek avesse trovato pace al punto di non avere più necessità di nessuno di loro, men che mai di lui, se mai ne aveva avuta.

Era da un pezzo che Stiles si domandava se Derek sarebbe rimasto e perché diavolo avrebbe dovuto farlo, quando a Beacon Hills non aveva provato che dolori e delusioni oltre il limite dell’umana sopportazione. Non dubitava che a quel punto Derek fosse affezionato, a modo suo, a tutto il branco, ma a Beacon Hills non aveva che orribili ricordi, rimorsi, rimpianti. Ora che era più sereno pareva logico che prima o poi decidesse di andarsene, di ricominciare da capo altrove, accanto a Cora o comunque il più possibile lontano da lì.

Il solo ipotizzarlo a Stiles dava sui nervi. No, peggio, gli annodava lo stomaco e lo faceva incazzare e gli riempiva il cervello di pensieri odiosi. Si diceva che era perché il branco aveva subito già fin troppe perdite ed era una cosa che lui non riusciva più a sopportare, ma provare a razionalizzare non cambiava i suoi sentimenti e sentirsi dare contro da Derek mentre lui stava solo cercando di diventare un buon Emissario, per poter fare da collante e tenere più unito il branco, era stato sul serio insopportabile. Al diavolo Derek. Lui e le sue sagge esortazioni e la maniera in cui Deaton aveva annuito con solennità, come per dire che un pivello doveva sempre ascoltare i consigli di chi aveva maggiore esperienza. Deaton l’infallibile, lo si sarebbe detto, non fosse stato per il fatto che Stiles lo conosceva e non era proprio incline a vederlo senza macchia e senza difetti.

«Sai cosa, Yoda del cavolo?» sbraitò Stiles con una smorfia, infischiandosene del fatto che parlare da solo potesse renderlo ridicolo. All’improvviso, ripensare a Derek l’aveva fatto passare dal divertimento di chi sta per combinarne una grossa, con la convinzione che alla fine la passerà liscia e riceverà perfino una pacca sulla spalla, all’irritazione di un’insicurezza che non voleva confessare a se stesso. «É semplice!» sbuffò. «Sarebbe bastato spiegarmi un paio di cose e avrei aspettato, ma so leggere e questo rituale è talmente facile che perfino il novellino qui presente ha capito come si fa. L’ho studiato e che ti piaccia o no posso farlo anche da solo, ora e subito. Quando avrò un Tramite vedremo se pensi ancora che devo aspettare e aspettare e aspettare fino a quando non sarò vecchio come Matusalemme! Quando avrò un Tramite mi farò spiegare le cose che tu non ti abbassi nemmeno a nominare perché non sono ancora degno. É una caratteristica dei Tramiti: consigliare l’Emissario che li evoca. E io lo so perché so documentarmi e non sono stupido. Quindi avrò un Tramite tutto mio e poi vedremo chi è il pivello!»

Sì, Deaton avrebbe cambiato idea e Derek si sarebbe rimangiato le sue stupide esortazioni alla prudenza. Non che fossero del tutto sbagliate, e magari Stiles le avrebbe ascoltate, se fossero venute da qualcun altro. O forse no.

In realtà Stiles si rendeva conto che forse sarebbe stato meglio chiedere una mano a Lydia, almeno su un paio di informazioni che avevano a che fare con il Latino o con l’Inglese medievale. Non tutte le notizie che aveva trovato sullo scopo effettivo dei Tramiti erano inequivocabili, per esempio non era poi così chiaro se, una volta evocato, il proprio Tramite potesse essere congedato o se il suo collegamento con l’Emissario che lo richiamava fosse destinato a durare per sempre. Nei testi c’erano un paio di riferimenti nebulosi ai branchi di appartenenza, a qualcosa che riguardava gli Alpha e ad almeno un paio di altri dettagli di minore importanza. Stiles se ne rendeva conto, ma a parte la tendenza di Lydia a essere anche lei molto prudente e a consigliargli di dare retta a Deaton, tutte le informazioni che Stiles aveva potuto reperire concordavano su un fatto fondamentale: il Tramite era un alleato per l’Emissario, un aiutante, un consigliere perfino. Il Tramite non era mai dannoso per l’Emissario o per il branco, era sempre e soltanto un’ottima risorsa. Non era un pericolo e Stiles non vedeva come provare a evocarne uno potesse cacciarlo nei guai.

A quanto aveva letto non era detto che l’evocazione riuscisse. Non tutti gli Emissari potevano contare su un Tramite. Non tutti erano abbastanza fortunati e potenti da averne uno a disposizione. Il peggio che poteva succedere era che il rito non funzionasse e, in quel caso, nessuno ne avrebbe saputo mai nulla. Se invece Stiles ci riusciva, bene, Deaton avrebbe dovuto iniziare a prenderlo più sul serio! Sì, ok, forse era da presuntuosi pensarla così, ma Stiles era davvero stufo di non servire a un bel nulla e di avere paura anche quando non lo mostrava. Era stufo marcio di sentirsi sempre in bilico, mai abbastanza sicuro, mai indispensabile fino in fondo. Aveva trovato il suo posto nel branco, o se non altro capito quale sarebbe stato in futuro, e non intendeva perdere tempo prima di raggiungere la meta. Non se lo poteva permettere e lasciare che altri membri del branco, per un motivo o per l’altro, si allontanassero o si perdessero. Come Emissario avrebbe potuto fare di più, proteggere quelli che amava, tenerli uniti.

«Ce la posso fare!» disse a se stesso, poi annuì e aggiunse una minuscola ciocca dei suoi capelli al mucchietto di polveri e foglie sminuzzate che giaceva nel piattino appoggiato vicino ai suoi piedi.

Seduto a gambe incrociate sul pavimento di camera sua, con le maniche di una delle solite camice di flanella arrotolate fino ai gomiti e i jeans un po’ consumati sugli orli, Stiles era consapevole di non avere un’aria solenne e ieratica, ma pazienza, in fondo nessuno dei druidi che conosceva aveva mai usato una tunica come nei film o nelle leggende. Non era mica Gandalf il Grigio e non aveva bisogno di esserlo per mostrare a se stesso e agli altri che finalmente c’era qualcosa in cui era davvero capace. Qualcosa che lo rendeva speciale e unico e non solo strambo e incasinato, troppo agitato e chiassoso per la media della gente normale.

Tutti i libri che riportavano il rituale dicevano che chi lo compiva doveva svuotare la mente di ogni pensiero che non fosse il branco e il motivo focale per cui si desiderava esserne l’Emissario. Per Stiles quella era la parte difficile dell’incantesimo. Sì, incantesimo, alla faccia di Deaton. Doveva ammettere che era complicato. Nessun concetto al mondo gli era alieno tanto quanto quello di un cervello svuotato quasi completamente da riflessioni o anche solo da flash troppo veloci per concretizzarsi in vere e proprie idee. Per lui evitare quel continuo sfrecciare di impulsi e di pensieri dentro la sua scatola cranica era un’impresa titanica più che per chiunque altro, per via della sua patologia. Il perenne rimbalzare di immagini e mezzi concetti mai del tutto coagulati era parte della sua natura e Stiles non poteva farci niente. In alcune occasioni si era reso conto che, probabilmente, se anche ci fosse stato un modo per farlo, non avrebbe comunque voluto porci rimedio. In fondo la sua malattia e il suo carattere ormai erano intrecciati così strettamente che non sempre era facile distinguere l’una dall’altro. Stiles non riusciva a immaginarsi senza quel ronzio fisso nella mente, senza il bisogno compulsivo di essere sempre in movimento. Se la sua iperattività fosse sparita lui chi sarebbe stato? Non era sicuro che uno Stiles guarito gli sarebbe piaciuto più di quello attuale, per quanto poco si amasse nei suoi momenti più bui, però quando si trattava di concentrarsi, cavolo, essere ciò che era diventava un incubo. Merda! Era stressante.

Ok, se non riusciva a non pensare a nulla di nulla forse poteva provare concentrandosi su un’idea sola. Era pur sempre ciò che il rito prevedeva, giusto?

«Voglio aiutare il branco» rifletté a voce alta, massaggiandosi con ferocia le tempie, per niente conscio di quanta forza ci stava mettendo. «Voglio fare la mia parte. Voglio che il branco resti unito. Voglio un Tramite perché ho bisogno di essere un buon Emissario. Posso essere un buon Emissario, ho solo bisogno di un consigliere meno criptico di quello stronzo di Deaton e di capire come usare il mio potenziale e… voglio un Tramite. Lo voglio, mi serve perché non posso continuare a essere un peso per tutti. Voglio un Tramite e lo avrò, alla faccia di Deaton e anche di Derek!»

Si punse il dito mentre ancora finiva di pronunciare le ultime parole e fingeva di non aver notato quanto erano suonate infantili e rabbiose.

Era buffa questa cosa del sangue da versare su tutti gli altri ingredienti, come nelle favole, come se non fosse un rito vero ma solo un cliché in un film sui druidi. Era ridicolo, eppure doveva funzionare e Stiles ci credeva al punto che non appena la goccia che si era spremuto da un polpastrello toccò la montagnola di polvere, erbe e capelli su cui l’aveva versata ci fu un piccolo scoppio, come di un petardo tutto scintille, e gli ingredienti presero fuoco. Durò un istante, fu una vampa rossa e alta al punto che Stiles quasi cadde all’indietro mentre si scostava di scatto per non ritrovarsi con le ciglia e le sopracciglia strinate e la punta del naso malamente arrostita. Sarebbe stato un bel problemino spiegare a suo padre, che al momento era fuori per uno dei soliti turni di notte, come mai era finito al pronto soccorso con il tipo di ustioni che aveva rischiato già una volta, da bambino, ficcanasando riguardo al meccanismo di un fornelletto da campeggio. No, spiegare un incidente del genere non sarebbe stato per nulla divertente.

Nel frattempo dalle ceneri già del tutto estinte degli ingredienti che Stiles aveva dosato con cura, secondo una ricetta antica di secoli, si stava sollevando una lenta spirale di fumo. Stiles la osservò preoccupato perché era nerissima e, malgrado tutto ciò che aveva letto sul fatto che un Tramite non era mai nocivo per chi lo evocava o per il branco di cui l’evocatore era l’Emissario, quel lungo ricciolo scuro non aveva affatto un’aria innocua. Sembrava un tentacolo. Aveva un che di… era da pazzi pensarlo, ma se una voluta di fumo poteva avere un che di vagamente nervoso, beh, quella lo aveva.

Stiles si era aspettato che dal nulla, dopo la fiammata, saltasse fuori uno spirito, una specie di fantasma, non sapeva bene in che forma perché su quel punto i testi non erano chiarissimi o forse lui non era poi così ferrato in Inglese medioevale quanto amava credere. Invece c’era solo fumo. Il fumo era nero come la pece e stava salendo e salendo, finché non arrivò a toccare il soffitto. Stiles non fece in tempo a preoccuparsi dell’eventualità di un alone bruciacchiato sul bianco dell’intonaco e di quanto male l’avrebbe presa lo Sceriffo. Non appena arrivato all’altezza della volta il fumo cominciò a riscendere verso il pavimento come una specie di assurda fontanella. Mano mano che raggiungeva il suolo prese a raggrumarsi e a cambiare, assumendo una forma sempre più distinguibile. O quasi. Per un istante a Stiles parve di scorgere un lupo, ma poi i contorni sfumarono e quella strana creatura che doveva essere il suo Tramite iniziò a mutare di nuovo, prima lentamente e poi a una velocità tale che, di punto in bianco, Stiles si ritrovò davanti una giovane donna. Incorporea, semi trasparente, dal viso familiare e dall’aspetto decisamente incazzato.

Stiles non riusciva a crederci. Non aveva senso. Ci era riuscito, aveva evocato un Tramite, era potente e determinato abbastanza da avere un Tramite senza essere ancora diventato ufficialmente un Emissario. Avrebbe dovuto sentirsi fiero e gonfio di orgoglio, ma non ci riusciva perché era troppo stranito. Era difficile non esserlo, quando ti ritrovavi di fronte uno spettro dall’aria infuriata che ti puntava contro un dito incorporeo strillando: «Tu! Brutto…»

 

   
 
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