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Autore: _Even    29/02/2016    4 recensioni
«Se una storia è finita, se un'amicizia si è rotta, è meglio evitarsi per ricucire le ferite. Solo così ci risparmiamo altro inutile dolore.»
E se non tutto il dolore fosse inutile?
E se evitarsi non fosse possibile?
E se una storia non fosse del tutto finita?
X Factor 10. Due giudici. Una storia finita nel peggiore dei modi. Un album che ne percorre il destino.
[Mirco]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elio, Marco Mengoni, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove siamo
 
«Oh, Marco Mengoni!»
La familiare voce di Michael tuonò a gran voce il suo nome al microfono.
Il primo giorno di bootcamp era trascorso in una relativa serenità, frammista a tensione e un pavido imbarazzo da parte di Marco che, per tutta la durata delle registrazioni, non riuscì a capacitarsi di essere stato brutalmente sedotto da Michael. Quest’ultimo, ogni qualvolta lo guardava o si rivolgeva a lui, esplodeva in una risatina soddisfatta, perfettamente consapevole di aver fatto capitolare Marco con quelle parole e quei gesti. Poi, una volta tornato a casa in limousine insieme a Elio, aveva ricevuto da quest’ultimo un messaggio nel quale gli faceva i complimenti: il disagio provato in seguito ai tentativi di Michael di conquistarlo sembrava aver consolidato il suo “personaggio”, ossia il dolce timidone, serio ma maldestro, che al pubblico sembrava piacere un sacco. Elio si era congratulato per la capacità di aver creato e fatto suo un archetipo.
Se solo avesse saputo che quello era tutt’altro che un archetipo, ma il suo lato più introverso, forse non avrebbe sfoggiato un tale orgoglio. Ma questo non glielo disse di certo.
 
Giuro, riparto da qualcosa
Che non faccia male

Il giorno seguente, per Marco, sarebbe stato la vera sfida: sarebbe toccato a lui e a Irene selezionare i sei concorrenti ciascuno che, agli Home Visit, si sarebbero giocati la possibilità di accedere alla diretta.
Il desiderio di Marco era stato esaudito: a lui erano capitate le band e i gruppi vocali. Il suo compito era un onore e un onere senza dubbio, ma anche un grande piacere. Agitazione a parte, era elettrizzato come un bambino al parco giochi.
Forse, però, le scosse elettriche che sentiva sottopelle erano causate da ciò che aveva fatto Michael il giorno prima: far crollare le sue ultime barriere, per poi tirarsi indietro e lasciarlo a bocca asciutta. In cuor suo, sapeva che avrebbe dovuto avercela con lui, come era giusto che fosse, eppure non ci riusciva. Una vocina insistente nella sua testa gli diceva che, sì, era così che le cose sarebbero dovute andare sin dall’inizio. Che tutti i dubbi, gli ostacoli, le perplessità e gli affanni non erano che piccoli intoppi, a ritardare un destino che ora pareva quasi inevitabile e che profumava d’amore.
 
Che non faccia male come noi
Io già lo vedo nei giorni tuoi

Così, perso tra i suoi pensieri, Marco venne risvegliato dal suono dolce e squillante della voce di Michael che chiamava il suo nome. Si voltò all’improvviso e forzò un sorriso.
Erano al banco dei giudici in quel momento, e toccava proprio a lui dare inizio alle danze: non poteva permettersi distrazione alcuna.
«Marco Mengoni» ripeté. «Fai tu gli onori di casa.»
Marco sorrise, stavolta in modo naturale, afferrò il microfono e proclamò:
«Il secondo giorno di bootcamp abbia inizio!»
Urla e scalpiccii di piedi accompagnarono il suo annuncio. Marco non si sarebbe mai abituato a quella foga, ne era certo: era estasiato nel vedere con quanto calore i giudici fossero costantemente accolti, anche lui che stava appena imparando e che, per ogni passo avanti, ne faceva due indietro. Aveva già tutto l’amore del mondo se solo guardava negli occhi uno solo dei suoi fan.
Allora perché essere così smaniosi per ottenere anche l’amore di un uomo che lo confondeva e basta?
Oh, no. Non si pensava a Michael. Il giorno prima era stato uno sbaglio, un gioco sporco di quel pazzo che si era messo in testa di amarlo, ma sarebbe stato diverso da quel momento in poi.
Preparatosi, a metà tra l’agitazione e l’eccitazione, Marco diede inizio ai suoi primi bootcamp.
Decise di valutare in modo il più istintivo possibile, d’altronde la musica stessa per lui era istinto puro. Si curò, tuttavia, dello stile e dell’originalità di ciascuna band e, ulteriormente preciso, fu attento a quanto fossero amalgamati i singoli elementi di ogni gruppo. Se non erano tutti sullo stesso livello, se una voce prevaleva sull’altra o due strumenti discordavano, li avrebbe mandati via e così fece, forse tentando di zuccherare un po’ troppo i suoi giudizi. I suoi colleghi criticarono il suo eccessivo tatto, poiché non faceva che rallentare il ritmo dei provini, tanto da guadagnarsi il soprannome di “lumacone”, da parte di Michael, ovvio.
Qualche turno dopo, arrivò la sua girl band preferita dalle prima audizioni, le Pop Coture. Furono strepitose, meglio, divine nella loro interpretazione di Behind the wall di Tracy Chapman, anche se Irene le giudicò dicendo di loro che avevano “troppa America e poca Italia”.
Marco rifletté seriamente su quel giudizio.
«Irene ha ragione» sentenziò, quando fu il suo turno. «Questa è una delle regole più importanti per me. Se verrete scelte per partecipare al programma, così come tutti gli altri concorrenti, prima della prima diretta dovrete trovare un nuovo nome per la vostra band, che sia in italiano.»
Sulle sedie, una squadra dall’improponibile nome americanizzato sbottò con sbuffi e polemiche tutt’altro che velate. Anche parte del pubblico si alterò, facendo piovere fischi sul nuovo giudice.
Marco strinse i denti: aveva incasinato tutto con quell’uscita azzardata. Fu sul punto di perdersi d’animo. La sua reazione istantanea fu quella di guardare Michael, giusto per vedere cosa ne pensasse: gli occhi nocciolati dell’uomo lo incitavano a prendere posizione; una volta fatta una dichiarazione, tale doveva restare e non si tornava indietro. Quello sguardo d’intesa gli diede la giusta carica per rilanciare. Tornò a osservare le Pop Coture e rispose al pubblico: «Mi dispiace se non siete d’accordo. Ma questo è X Factor Italia e le band devono avere un nome italiano. Questo è quanto.»
Il piccolo coro di fischi continuò per un po’, finché Marco non si sbrigò a decretare che le Pop Coture erano più che meritevoli di una sedia.
Alla fine, Marco si accasciò sulla sua poltrona da giudice e tentò di affondarvi dentro.
«Sei bravissimo» gli sussurrò Michael, chinandosi verso di lui. «Tu hai schivato un grande desastro
Annuì, mordendosi le labbra. L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Michael divenisse la sua ancora, soprattutto non voleva mostrargli le sue debolezze. Eppure si ritrovò a sorridergli di gratitudine: non solo era un giudice esperto e navigato, ma l’istinto, ciò che guidava sempre Marco nel bene e nel male, gli aveva detto che, se c’era una persona in grado di tirarlo su e indirizzarlo nel modo più appropriato solo con uno sguardo, quello era proprio Michael.
Dannazione a lui.
 
A questo punto a me non serve
Adesso più niente

Dopo un paio d’ore, le sei sedie erano ormai complete e Marco si trovò sul punto di decidere chi di loro si dovesse alzare per far posto alle due gemelle Di Specchio (palese nome d’arte). Nel pieno di quell’ardua decisione, Michael si chinò nuovamente verso di lui. Marco pensò volesse dargli un opinione tecnica, o complimentarsi di nuovo; di certo, non si aspettava ciò che gli giunse all’orecchio.
«Tu porti ancora gli slip che ti ho regalato io?»
Sussultò e avvampò. Oh, quegli slip.
Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno, Marco lo aveva passato insieme a Michael, il quale, tra molti doni pieni di dolcezza, gli aveva fatto un regalo più piccante rispetto agli altri: un paio di mutande color prugna, provviste di push-up. O, come recitava la confezione, una straordinaria e rinnovata tecnologia super push-up che avrebbe reso le sue notti magiche ancora più magiche.  
Chiuse immediatamente le gambe al solo pensiero.
«No» bisbigliò infine, cercando di mantenere la calma.
Michael sghignazzò. «Allora tu sei molto meglio di che ricordavo io.»
Tornò al suo posto sorridendo, Marco, invece, si deconcentrò.
Non sapeva quali fossero le intenzioni di quel pazzo adorabile, ma una cosa era certa: non gli stava rendendo le cose facili. Un giorno erano amici, quello dopo si concedevano teneri baci e adesso lui si metteva a decantare le doti delle sue, inconsuete quanto imbarazzanti, dimensioni? Le cose si stavano facendo decisamente troppo complicate.
Alla fine, Marco decise di far subentrare le Di Specchio al posto dei tizi con il nome improponibile, con un giudizio blando e tutt’altro che ben formulato. Sicuramente, la band eliminata lo avrebbe odiato a morte per il resto della sua carriera di giudice.
Sospirò, mentre decideva quali altri concorrenti tenere sulle sedie e quali sacrificare. Era dura, sì, ma dopo aver visto, nel corso delle passate edizioni, giudici piangere dallo strazio di dover fare alzare dei ragazzi che se lo meritavano, si persuase che fossero davvero soltanto trucchi televisivi. Erano tutti ragazzi meritevoli, ma l’obiettivo era trovare quel fattore X tanto nominato e, per quanto crudele fosse quel meccanismo, Marco ne apprezzava la metodicità.
«Sbaglio o tu non ha più la tua concentrazione?» soffiò all’improvviso Michael, in modo lascivo.
Ovviamente aveva ragione e le gambe di Marco si strinsero tra loro ancora di più. Si morsicò le labbra, lasciando che il rossore aumentasse sulle sue guance e formulando giudizi a malapena coerenti sulle concorrenti che passavano di fronte ai suoi occhi. Tenero, disse il pubblico. Timido, ma giusto. Forse,infondo, non era poi tanto male come giudice. Probabilmente era questo il suo modo, a detta del pubblico, di esprimere la tristezza per quel metodo di selezione così doloroso.
In realtà, Marco era semplicemente imbarazzato, esattamente come il giorno prima. Michael lo faceva di proposito, lo stuzzicava quando non poteva reagire e lo faceva morire di voglia quando questa non poteva essere sfogata. Cercò di ripetersi che faceva così solo perché sesso e amore, per lui, erano una cosa sola; e, a dirla tutta, ricevere le sue attenzioni lo mandava in estasi.
 
Ho perso tutto e tutto me
Ho davanti il futuro insieme a te
Ma poi, tutt’a un tratto, l’angoscia lo colse allo stomaco.
Si stava facendo guidare dagli ormoni o dal cuore? E con quale parte del corpo stava ragionando Michael, nel suo tentativo di riaverlo con sé?
A che gioco stavano giocando, esattamente?
«Sei così sexy quando ti agiti» gli sussurrò poco dopo, con voce roca.
Marco tentò di ignorarlo, insicuro su cosa volesse e sul perché lo volesse. Poi piantò gli occhi sull’ultima band da giudicare che, per quanto brava, secondo Marco non aveva sufficiente fattore X per meritare una sedia. Una volta concluse quelle difficili selezioni, si fermò a contemplare la sua scuderia, ricca di talenti variegati e particolari, ma anche di nomi americanizzati e di pessimo gusto.
Vi fu una breve pausa che consentì ai giudici di andare a rinfrescarsi, di prendere qualcosa da mangiare o, nel caso di Marco e Michael, di uscire fuori dagli studios a passo di marcia.
«Marco, Marco, Marco. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» sorrise, trionfante, una volta che furono usciti.
«Tu non mi ami, vero?» se ne uscì.
 
Su sentieri irraggiungibili
Sguardi fissi percorribili
Le parole di Marco stupirono perfino lui stesso. Non intendeva chiederglielo, si era imposto di attendere, di vedere come Michael si sarebbe comportato prima di affrontare quel discorso. Evidentemente, il suo cuore e la sua mente non parlavano la stessa lingua.
«Sì, invece» rispose Michael, come fosse la più ovvia e scontata delle verità.
L’altro sospirò e scosse la testa. «Mi dispiace, Michael. Io non ti credo.»
«Che cosa?»
Marco doveva pur trovare qualcosa che lo liberasse da quell’opprimente sensazione così piacevole che quell’uomo provocava in lui. Non era che un’illusione passeggera, destinata a svanire. Questo si disse e, pur pentitosi delle sue parole, non demorse neanche per un istante. «Prima ti ho consolato quando hai lasciato Tim e forse mi sei riconoscente. Magari ti manca il contatto fisico, può essere che tu abbia voglia di, ecco, di sesso. Mi sei grato e vorresti che noi... lo sai, ed è facile confondere queste sensazioni con l’amore a volte. Soprattutto visto che ora sei in un momento così delicato della tua...»
«Tu hai paura.»
Marco lo fissò, stranito, sul viso una maschera di puro caos. Era così confuso: dentro di lui, tenerezza e conforto e timore e rabbia e gelosia si mescolavano tutti insieme, vorticando a velocità supersonica e impedendogli di ragionare da essere umano qual era. Per un attimo, temette di svenire a causa di quel turbinio soffocante di sensazioni contrastanti. Marco voleva Michael, ma lo voleva vicino al cuore o vicino al desiderio? Lo avrebbe tradito come aveva tradito Tim, con lui? Si sarebbe pentito di aver scelto un italiano senza un nome importante al giovane rampollo Van Der Kuil? Non voleva tornare a essere il suo amante, ma si sarebbe accontentato di qualunque cosa pur di averlo di nuovo per sé.
Di certo, però, non provava paura.
«Cosa?»
«Questo è scuse, perché tu hai paura.»
«Non è vero» dichiarò con caparbietà.
Michael lo guardò negli occhi. «Allora tu guarda me e dici che non hai paura di amare me di nuovo.»
 
E dimmi dove siamo
Per volare più lontano
All’improvviso, gli occhi di Michael divennero troppo luminosi e il suo sguardo troppo intenso, troppo pesante. Si sentì schiacciato da qualcosa di più grande di lui e in qualche modo, seppe che qualcosa lo faceva star male dentro.
Avrebbe pianto molto volentieri.
«Chi è di scena!» urlò Irene, piombando all’improvviso alle spalle dei due innamorati, che subito si ricomposero e tornarono in sala.
Marco si morse la lingua. Avrebbe voluto parlare, dire di più, ma la sua bocca era arida di parole e la sua gola chiusa, sopraffatta dalle emozioni. Le parole, quelle giuste, ancora gli danzavano sulla punta della lingua, creando un prurito che chiedeva di essere liberato e Marco seppe che se non avesse aperto bocca per dare fiato alla sua verità, sarebbe esploso.
Scosse la testa, scacciando quegli inopportuni pensieri.
La trasmissione era ricominciata.
Il primo concorrente di Irene entrò. Si trattava di un ragazzino dal look punk e dalla voce disarmonica e molesta, il quale sentiva di essere già arrivato alla vetta.
Toccò a Marco l’arduo compito di commentare per primo quell’esibizione tremenda.
Non aveva la testa e il cuore al posto giusto per poter formulare un giudizio di senso compiuto, o per dire qualcosa che non fosse “Michael, sposami o uccidimi”. Un po’ estremo, ma rendeva l’idea di ciò che provava.
Prese un profondo respiro: lo spettacolo doveva andare avanti.
«Dobbiamo essere sinceri oggi. Se non siamo sinceri oggi, allora quando?» fece una breve pausa, per raccogliere le parole e disporle al meglio. «Ci sono delle situazioni nella vita in cui bisogna dare il meglio di sé, o se non altro bisogna provarci. Quando non si riesce, di solito è per due motivi: o perché te ne importa troppo, dunque l’emozione ti gioca dei brutti scherzi, oppure non te ne importa abbastanza.»
Guardò i suoi colleghi, i quali annuirono gravemente: sembrarono fieri della sua considerazione, come se tutti pensassero lo stesso. Tranne Michael, che sembrò completamente assente.
Il piccolo punk tentò di difendersi. «Ma che diamine ti inventi? Non è...»
«Impara ad ascoltare innanzitutto» sollevò una mano, interrompendolo. «In entrambi i casi, vuol dire che semplicemente non sei all’altezza della situazione. Questo non è che l’inizio di ciò che potrebbe essere, ma se fai questi sbagli adesso, che ancora la tua carriera non è iniziata, cosa farai quando questo accadrà? Manderai tutto all’aria perché non te ne frega abbastanza?»
Stava parlando del concorrente o di se stesso? Michael parve pensarla in quest’ultimo modo e, in un certo senso, anche Marco: il suo discorso era pregno della loro storia la quale, mai iniziata, era diventata una matassa confusa, piena di nodi e di fuliggine di un fuoco ormai spento. Per un attimo, temettero che l’unica cosa che li legava fosse quel vago ricordo di passione.
«Forse non sei adatta a essere qui, forse sei venuta qui pensando solo “Io ci provo, così, per gioco”. Beh, ti dico una cosa: se è così, stai sprecando il tuo tempo e il nostro e non solo, stai togliendo il posto ad altre persone che magari lo desidererebbero molto più di te. Dimmelo, tu ci credi in quello che stai facendo? Oppure stai solo giocando?»
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle

Il ragazzo non parlò, colpita dal modo in cui Marco si era imposto. Quest’ultimo neppure si era accorto che, nella foga, si era alzato dalla sedia. Si rimise al suo posto, vergognandosi profondamente.
Marco amava Michael.
 
Giuro, io lo aspetterò
Non lo avrebbe mai confessato ad anima viva, ne fosse andato della sua stessa vita. Ma era bastato pensare che lo rivolesse non come uomo, ma come amante, per far risvegliare in lui una furia cieca che era andata ben oltre quello che si erano detti, che avevano fatto, che lui aveva fatto a Marco. Non poteva più negarlo oramai.
Semplicemente, lo amava ancora e non poteva più nasconderlo. Era arrabbiato, perché temeva che Michael in lui vedesse soltanto quello che gli uomini avevano sempre visto in lui: un puledro da cavalcare. Ma l’emozione lo spingeva ben oltre quella convinzione, forse giusto nell’intento di illudersi ancora.
Le orecchie gli fischiavano per le urla che aveva emesso. Aveva creato silenzio attorno a sé e Michael, bloccato dalla fobia per i timori forti e forse dalla sorpresa, divenne paonazzo in viso. Nessuno degli altri giudici osò fiatare, se non Irene. Inutile dire che, per il primo concorrente degli under uomini tanto particolare non c’era posto sulle sei sedie vuote.
Marco fissò quelle, per non girarsi neanche una volta a osservare un Michael che, incredibile a dirsi, parve confuso tanto quanto Marco.
E, per tutta la durata delle riprese, gli occhi del più giovane oscillarono tra l’essere aridi e umidi, tra il deserto e il mare in tempesta.
 
Il mattino seguente, Marco bussò con insistenza alla porta di Michael.
Parve quasi che l’agnello andasse a bussare alla tana del lupo ma, per qualche strana ragione, Marco forse pensava di essere l’unico ad avere il diritto di sentirsi triste, deluso o amareggiato tra loro due. Il viso spento che il suo amato e odiato libanese aveva sfoggiato, la sera prima, lo aveva non poco seccato.
O forse, semplicemente, non sopportava l’idea attendere un mese per rivederlo, in attesa degli Home Visit. Questa era al verità che Marco celava al suo cuore: potevano anche litigare, darsele di santa ragione e insultarsi, bastava solo che lo facessero ogni santo giorno senza mai smettere.
 
Anche se a volte
Lascio dietro un po’ più di luce
Quando Michael gli aprì, Marco faticò a concentrarsi, visto che quell’uomo riusciva a mozzargli il fiato anche in t-shirt da notte e pantaloni della tuta.
«Marco.»
«Ok, che ti è preso ieri? Ti sei offeso? Ci sei rimasto male?» sbraitò, entrando in casa.
Michael rise. Sul tavolino da soggiorno, Marco notò una bottiglia di Jack Daniels vuota. «È così che fai colazione?»
«No, così io ceno» lo corresse, stropicciandosi gli occhi. Nel suo fiato, Marco non avvertì neanche un vago sentore di alcol, quindi dovette attribuire quella specie di intorpidimento a tutt’altro.
«Ti ho svegliato, forse?» domandò, con aria colpevole.
Annuì. «Sì, ma non è niente. Sognavo te.»
«Bene» commentò. «Cosa hai sognato?»
«I bootcamp di ieri» fece, amaro. «E come tu hai parlato di noi a quel ragazzo.»
Sì, ammetteva che non era stata una bella mossa scaricare sul ragazzo tutta la frustrazione che provava per Michael. Ma, per fortuna, solo loro due se n’erano accorti.
«Non ho parlato di noi» puntualizzò.
Come se la scenata del giorno prima non fosse già abbastanza, si prendeva addirittura il lusso di provocarlo, quando Michael sapeva benissimo che ogni singola parola di quel discorso troppo concitato era riferita a lui.
«Ah, no?» sorrise, tanto con le labbra quanto con gli occhi. «Quindi tu non è confuso perché tu ami me ma hai paura che io ti voglio solo per il sesso?»
Marco per poco non si ritrovò a urlare. Era insieme frustrato e sorpreso ed entrambe quelle sensazioni scaturivano dal modo in cui Michael aveva sondato perfettamente la sua anima.
 
Su quella scia io traccerò
L’irrazionale che c’è in me
«Ridicolo» borbottò appena, mentre lui si faceva sempre più vicino.
«Sicuro? Io ho pensato tutta la notte» continuò, avanzando lentamente, «a che tu aveva paura ieri. Ma non che tu ami me, no, tu hai paura che io amo te. Questa è la verità.»
Marco fece cenno di no con il capo, finché la sua schiena non incontrò la parete fredda. Oh, no, l’aveva di nuovo bloccato al muro?
Cercò di sfuggirgli, ma Michael lo prese per i fianchi e lo spinse contro la parete. Fatemi morire, vi prego, pensò Marco, perduto nell’inebriante sensazione che le mani di Michael, leggermente strette sui suoi fianchi, gli provocavano. Bella, era dannatamente bella.

«Non è vero» balbettò. «Tu non mi ami. È tutta una cosa di ormoni.»
Si morse le labbra. Ogni volta che cercava di difendersi, faceva peggio. Infatti gli occhi di Michael si accesero di una luce furba e incantevole, poi fece aderire perfettamente i loro petti.
«Quindi se io ora ti bacio, tu non provi niente e nemmeno io?» soffiò, a un centimetro dalle sue labbra. Troppo vicino.
Marco, il viso in fiamme, le mani tremanti, il corpo teso che cercava in vano di sottrarsi alla presa di Michael, sospirò un flebile: «No, niente.»
 
E in equilibrio anche in bilico
Il vuoto sembra ancor più logico

Michael spostò le labbra e, invece di dedicarsi alle sue labbra iniziò a baciare il punto debole di Marco: il suo collo.
«Io ti voglio nel mio letto» sussurrò.
Quel gesto, quelle labbra umide e quel fiato caldo misero Marco al tappeto, facendolo mugolare e balbettare un poco convinto: «Smettila... per favore.»
«Io ti voglio con me, sul mio divano, a guardare film alla sera» proseguì, scivolando sempre più giù con la bocca. «Ti voglio con me la mattina che io preparo colazione. Ti voglio con me a X Factor. Ti voglio sempre. Io ti amo, io lo so e tu lo sai perche tu ami me.»
«No» gemette, sia per negare ciò che provava per Michael sia per via di quei baci, troppo sensuali ed eccitanti per permettergli di ragionare. Il suo cuore palpitava al ritmo della sua voce.
«So che quello che faccio ti piace» sorride, iniziando un percorso sulla sensibile pelle di Marco, fatto di ghirigori lenti e paradisiaci. «Dillo o non smetto mai.»
Non smettere mai, avrebbe voluto dirgli.
Serrando gli occhi, Marco trovò la forza di scostarsi dalle labbra di Michael, una dolce tortura, che sembrò non finire quando egli poggiò la fronte alla sua e parlò, quasi sfiorando le sue labbra.
«So che ti piace quello che faccio» ripeté, «come so che ti amo.»
Lo aveva detto, più volte, con convinzione e senza esitare.
Marco pensò di baciarlo. Lo aveva già baciato prima di allora, molte volte. Ma si trattava baci consolatori, dolci, baci da uomo infatuato. Quello sarebbe stato diverso.
In quel momento si sentiva nudo. Non era pronto a tanto.
«Tu mi ami, Marco?»
 
E dimmi dove siamo
Per volare più lontano
Schiusero entrambi le labbra, caldi nel viso e dolci negli occhi, pronti a un vero bacio d’amore.
«Mica!»
Un bussare impetuoso fece sobbalzare entrambi a un soffio dal bacio.
«I’ve got a good new for you, my darling
Michael se ne uscì con una parolaccia. Non lo aveva mai fatto se non per casi eccezionalmente rari.
A Marco mancò la terra sotto i piedi.
«Chi è?»
«Mia madre.»
Le ossa di Marco tremarono come scosse da corrente elettrica. La donna alla quale aveva scritto scusandosi e che gli aveva risposto a pesci in faccia, ora era lì, in Italia? E diceva di avere buone notizie per Michael?
«Nascondi» gli ordinò quest’ultimo. «Vai in mia camera, ora.»
Come un automa, sopraffatto dal timore e dall’angoscia, Marco corse nella stanza di Michael e chiuse la porta con un tonfo secco, come per sfuggire a quella situazione fin troppo complicata. Ancora aggrappato alla maniglia con entrambe le mani, si accasciò sul pavimento, mentre le voci di Michael e della sua dolce mamma si diffondevano nella casa, serpeggiando tra le stanze fino a scivolare sotto la porta di Marco e penetrare attutite alle sue orecchie. Le nocche livide mollarono la presa sulla maniglia, la quale non si richiuse perfettamente, ma lasciò aperto uno spiraglio, dal quale Marco poté assistere, pur nell’assenza, alla conversazione in un impeccabile inglese.
Nascosto.
Come un amante.      
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
«Ho ottime notizie per te» diceva, in inglese di Londra, la signora Jonni Penniman.
«Devono essere proprio belle se vieni fin qui per dirmele» udì una lieve risata da parte di Michael.
«Ho parlato con Tim. Dopo averci riflettuto a lungo, ha deciso di perdonarti e ha acconsentito a sposarti!»
«Che cosa?»
Marco dovette tapparsi la bocca, per non singhiozzare come un bambino in preda alla disperazione. Senza sapere bene perché, il pensiero di Michael all’altare con Tim lo distrusse più di quanto non avesse fatto la prima volta.
«Per fortuna ancora non abbiamo disdetto nulla» spiegò Jonni, concitata. «Quindi la data e il locale restano gli stessi e, beh, anche gli sposi! Oh, tesoro, non è stupendo?»
Dì di no, pensò Marco, quasi implorando silenziosamente. Ti prego, dille di no.
«No.»
Un tale sospiro di sollievo, Marco non l’aveva mai tirato in vita sua.
«Come dici, Mica?»
«Mamma, io ti sono grata per essere venuta qui, ma sai che io non voglio sposarlo. C’è un motivo per cui l’ho lasciato.»
«Sì, perché lui si era ingelosito per quell’italiano. Ma ora è tutto apposto.»
«No, mamma, non è tutto apposto.»
«Perché no?»
«Io non voglio il matrimonio, e non voglio Tim, non più almeno.»
Vi fu una pausa, nel corso della quale Marco poté constatare di aver pianto senza neppure rendersene conto.
«Mica, è per il ragazzo italiano?»
«E anche se fosse?»
 
Giuro io lo aspetterò
Vi fu una pausa interrotta da dolci sospiri materni.
«Lascia che ti dica una cosa, figliolo. L’amore è stupendo, la cosa più potente al mondo, la base del matrimonio. Ma dopo vent’anni che sei sposato capisci che l’amore non basta più: c’è bisogno di sicurezza, emotiva e finanziaria. Tim può darti tutto questo.»
«Sai chi mi dà sicurezza?»
«Indovino. Quell’italiano?»
«Sì, Marco. Con lui sono sicuro di quello che sono e di quello che faccio, non devo fingere né cercare di essere migliore, perché gli vado bene così come sono, anche quando faccio schifo con lui. Questo non si paga, mamma.»
«Le bollette si pagano. Il mutuo si paga. Il cibo anche si paga, Mica» alzò la voce. «Parli come se non sapessi come ci si sente a essere poveri.»
A quel punto, Michael venne zittito.
Jonni proseguì: «Forse credi di amare il ragazzo italiano perché è carino e divertente. Ma la sua non è una famiglia importante, non ha un conto in banca, ha solo... un bel sorriso e tanti soldi ammucchiati che ha guadagnato da qualche buona canzone e che un giorno perderà. Questo non costruisce un futuro.»
«È il presente che voglio costruire con lui.»
Il cuore di Marco palpitò talmente forte che temette gli potesse esplodere nel petto. Quelle parole lo stavano stravolgendo, distruggendo tutta quella fitta rete di pensieri formulati e consolidati fino ad allora. Sarebbe morto d’amore, di questo passo.
«Sai che non c’è nulla che mi importi di più della tua felicità.»
«Bene, mamma. Allora torna da Tim, digli che abbiamo passato dei bei momenti insieme, ma che se lo avessi amato tanto da sposarlo, non mi sarei innamorato di Marco fino a inseguirlo in capo al mondo.»
«Oh Mica, ma tu non vuoi proprio capire» si impose. «Tim ti ama, tu ami Tim e voi vi sposerete. Non butterai dieci anni di amore al vento.»
«Tim non mi ama. Forse crede di amarmi ma, se così fosse non arriverebbe a mandare te per convincermi a sposarlo. Io l’ho amato, mamma. Ma adesso non riesco più neanche a pensare a qualcuno che non sia Marco.»
«Ti spezzerà il cuore. È solo un lurido italiano!»
«Il mio Marco non è un lurido italiano» strillò. Silenzio. «E io cosa sono, allora? Io sono un gay. Un idiota dislessico. Un libanese. Tutte etichette che gli altri mi appioppavano e che tu hai passato la vita a distruggere, e adesso ne stai mettendo a Marco?»
Non poteva. Michael non poteva rinunciare al perfetto rapporto che aveva con sua madre soltanto per lui, che si era sempre dimostrato mutevole e lunatico nel carattere, oltre che ingiusto nei comportamenti. Era solo un brutto sogno, doveva esserlo.
Quando realizzò che lo aveva definito suo nel difenderlo, riprese a piangere più forte di prima.
«Lui ti ama?»
Sospirò. «Non lo so.»
Sì che lo sai, avrebbe voluto urlargli. Lo sai da sempre.
«Però, mamma» continuò, con decisione, «preferisco passare la vita a cercare di capire se mi ama, che sprecare un solo giorno sposato con un uomo tale da soddisfare il tuo interesse: far fare a uno dei tuoi figli un buon matrimonio.»
Sentì dei rumori. Passi, fruscii, chiavistelli... Jonni stava andando via?
«Quando capirai che l’unico interesse è quello del ragazzo italiano, quando lui ti deluderà e ti butterà giù, ricordati che io ci sarò ancora per te. Ma Tim no.»
La porta si aprì e si richiuse con forza.
 
E non importa se poi cadrò
No, no, no, no

No, no, non poteva averlo fatto. Non poteva aver rovinato la vita a Michael.
Al suo Michael.
Non era neppure intervenuto per spalleggiarlo, o tirarsi indietro, non era riuscito a fare nulla se non ascoltare e frignare. Che un uomo terribile era Marco?
Si rimise a fatica in piedi, le lacrime che ancora bagnavano il suo viso e annebbiavano la sua vista. Arrancò verso il soggiorno a passo felpato: lì, Michael era accasciato sul divano con la testa tra le mani. Risentiva del duro alterco avuto con sua madre, nel quale aveva perso la sua stima e l’ultima opportunità di tornare con il suo promesso sposo.
«Michael» tartagliò, con voce lamentosa.
 
Ci proverò ripartendo da lì
Lui si girò di scatto e, nel vederlo sconvolto, capì immediatamente. Aveva sentito tutto e aveva capito, per lo meno a grandi linee.
«Oh, Marco, se io sapevo che mamma veniva qui, ti tenevo lontano da lei.»
Marco si sedette accanto a lui.
Tirò su col naso, mentre con il lembo della maglia, Michael gli asciugava le lacrime sulle guance, implorandolo di non piangere.
«Hai mandato a puttane la tua vita solo per me» constatò, sotto shock.
Michael fece spallucce e, così facendo, ripeté una frase che già una volta aveva persuaso Marco a tornare da lui. «Io ti ho detto. Io non vivo senza di te.»
Come esausto, si poggiò allo schienale del divano, mentre Marco gli poggiò la fronte sul petto, sorprendendolo.
Sospirò, liberando un singhiozzo. «Tu mi ami.»
Michael lo circondò con un braccio, facendogli sollevare il volto. Sorrideva. «Io cerco di dirtelo da quando io sono in Italia.»
Gli carezzò i capelli con l’altra mano, trovandoli sorprendentemente soffici.
«Me ne sono reso conto quando tua madre ha parlato.»
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
Marco, letteralmente circondato dal calore di Michael, con le sue mani attorno al corpo e la consapevolezza del suo amore, vero e incondizionato, in un modo che non sarebbe mai stato capace di spiegarsi, versò lacrime di commozione.
«Anche io.»
Avvertì il battito di Michael mutare sotto il suo viso, bloccandosi per poi accelerare di colpo. Un cuore che batteva al ritmo con il suo.
«What are you talking about?» chiese, temendo di aver capito male.
Marco sorrise tra le lacrime, finalmente felice di poterlo dire ad alta voce.
Era il momento di farsi forte delle sue fragilità. Doveva, e poteva farlo, rischiare tutto e scommettere sui suoi sentimenti: era il momento di essere libero.
«Io ti amo, Michael.»
 
Dimmi dove siamo
Per volare più lontano
Poi chiuse gli occhi, non potendo più reggere lo sguardo di Michael, troppo amorevole, troppo grande, semplicemente troppo. Ma questi fece altrettanto e con la bocca trovò la sua e, sentendosi l’un l’altro in un dolce sapore, gli diede quel primo bacio di vero amore tanto agognato. Un bacio che non sapeva di amanti e di sotterfugi, ma di amore alla luce del sole, di lacrime di gioia, di verità. Marco cedette, nel corpo e nel cuore, sicuro che le braccia di Michael lo avrebbero sorretto. Lo baciò finché non ne ebbe più respiro e anche quando non l’ebbe più, respirò Michael e si fece respirare a sua volta, senza neanche per un minuto pensare di interrompere quell’idillio.
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
E si maledisse, si maledisse cento volte. Ma non per essere stato così sciocco da cedere.
Bensì da aver tardato così tanto a capire.
 
Giuro, io lo aspetterò
 
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Inizialmente, questo capitolo doveva essere suddiviso in due capitoli. Ma poi la mia meravigliosa beta, comeunangeloallinferno94, mi ha convinta che un capitolo unico sarebbe stato meglio. E io penso che abbia avuto ragione.
Beh, cosa dire di più? Spero vi sia piaciuto (è il più lungo da me scritto fin ora), ancora grazie beta mia ♥
Baci.
  
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