L’ ammirazione non è altro che la cortese
ammissione che un altro ci somiglia
( Ambrose Bieroe
)
Giorni in cui
apri gli occhi al mattino e vorresti solo chiuderli e riaddormentarti. Per non
sentire quel vuoto, quella solitudine che sai che ti rincorrerà in ogni tuo
gesto, in ogni parola che dirai pur non avendo nulla da dire. Per non rimanere
solo con te stesso.
Per non dover
ammettere che fa male; dannatamente male. E che persino tu, così forte, così
coraggioso, invincibile al punto tale da aver sconfitto il male stesso, non ce
la fai.
Quell’assolato 1
settembre, per il giovane Harry Potter, eroe dei maghi, era uno di quei giorni.
Si sollevò a
sedere sul letto, passandosi le mani sul volto stanco. Lo sguardo lontano non
assomigliava a quello di un vincitore, ma più che altro a quello di un ragazzino
stremato, che si è trovato costretto ad uccidere una parte di se stesso, per
permettere a un’altra di sopravvivere.
Si spostò i
capelli dal viso stanco, avvicinandosi allo specchio.
Niente. Non
vedeva assolutamente niente.
Una voce gli
impedì di mandare in frantumi quella superficie che gli rimandava l’immagine di
un ragazzo che non conosceva. Avrebbe gioito nel vedere le sue mani macchiarsi
di sangue. Avrebbe sopportato volentieri il dolore pur di poter sentire
di nuovo. Di riprendere i contatti con una vita che non era più sua.
- Harry, ti sei
svegliato finalmente! Ti confesso che mi stavo preoccupando –
Hermione Granger
fece irruzione nella sua camera con addosso solo una camicia a scacchi che le
copriva a malapena le gambe sottili.
Una camicia di
Ron, notò il mago, abbassando il viso. E quel pensiero ebbe
il potere di farlo sentire più solo che mai.
- che hai, Harry?
Ti vedo strano. Non stai bene? – gli chiese la grifoncina sinceramente
preoccupata, appoggiandogli una mano sulla fronte.
Con un balzo
Harry si sottrasse al suo tocco, come se qualcosa l’avesse scottato.
Ma più nulla
bruciava sulla sua fronte. Neanche un debole eco era rimasto di diciassette anni
di lotte e di paure. Avrebbe dovuto essere felice, ora era libero, Voledemort
era morto e finalmente poteva vivere l’esistenza normale che gli era da sempre
stata negata. Ma questo, invece che farlo sentire meglio, sembrava mettergli
addosso uno strano terrore.
- Harry, c’è
qualcosa che vuoi dirmi? –
Si. Ma cosa mi
diresti tu, se ti dicessi che lo cerco ancora? Che davanti a te non c’è nessuno,
che l’Harry che conoscevi non è mai esistito?
Sono rimasto
fermo al giorno in cui l’ho ucciso. Al giorno in cui l’ho trafitto con la spada
di Godric Grifondoro. Al giorno in cui ho perso la mia ragione di
vita.
Il mio unico
desiderio ora è di poter incontrare ancora una volta i suoi occhi, per vedere in
me qualcuno che conosco. Di vedere Voldemort in viso un’altima volta. Anche una
sola per potermi specchiare nei suoi occhi. Per poter leggere di me in
quell’anima nera che mi aveva distrutto la vita.
Perché la verità
è che nessuno, nemmeno quegli sconosciuti che chiami amici, potrà mai
conoscerti come il tuo nemico.
Sollevando piano
la testa il mago la guardò negli occhi giusto un secondo, per poi
ditogliere rapidamente lo sguardo. Non si poteva mentire a quegli occhi
dorati.
- no, va tutto
bene –
Bugiardo. Una voce
serpentina gli s’insinuò nell’orecchio, facendogli ghiacciare il sangue nelle
vene.
Sei un bugiardo,
Harry Potter. Ripetè la voce, facendosi più chiara nella sua mente.
- Non è vero! –
urlò l’ex grifondoro, alzandosi di scatto e prendendosi la testa tra le mani.
Invece lo era.
Era solo un bugiardo, di quelli che mentono addirittura a se stessi, sperando
che, se la bugia gli riesce bene, magari finiranno per crederci davvero.
Ma la verità è
un’altra, la verità è che quando l’ho ucciso mi sono sentito svuotato. Strozzato
da un sentimento che non aveva nome; ma non per questo faceva meno
male.
- Harry, calmati!
– si spaventò la grifoncina, vedendolo stringersi le dita contro le tempie –
cosa non è vero? Io non ho detto nulla -
Nascondendosi il
volto con una mano, usò l’altra per spingere Hermione fuori dalla stanza – scusa
Herm, sono solo un po’ stanco. Scendo subito –
- ma, Harry.. –
le proteste della bella Granger furono zittite dalla porta che le si chiuse
violentemente davanti al viso.
Appoggiando la
schiena contro il legno scuro, il maghetto si lasciò scivolare, fino a trovarsi
seduto per terra.
Il mento sulle
ginocchia e la testa tra le mani, mentre una lacrima silenziosa gli solcava una
guancia. Chiuse gli occhi e nel buio vide due occhi, rossi di sangue, puntati su
di lui.
Li riaprì
immediatamente, cominciando a sudare freddo.
Ma non la
felicità. La felicità a Harry Potter era preclusa.
Ripensò
all’ultimo sguardo che il Lord Oscuro gli aveva rivolto, prima di
morire.
Lui sapeva.
In quello sguardo
c’era tutto. Nella loro battaglia personale, Lord Voldemort aveva vinto, alla
fine.
Nessuno dei due
può vivere se l’altro sopravvive
Lo era dal
momento in cui i nostri occhi si erano incotrati per la prima volta; quando lui
era solo un moccioso e io avevo cercato di ucciderlo. È bastato un istante e il
mio cuore, quel cuore che nemmeno sospettavo di avere, smise di battere. E non
ci siamo persi più.
Allora rimasi
congelato; temevo che la tanto temuta morte fosse sopraggiunta per gettarmi nel
suo mondo di fiamme e di oblio.
Solo ora ho
capito quanto mi sbagliassi. Quanto fossi lontano dal cogliere la verià di quel
momento.
No, non stavo
morendo. Quella notte accadde qualcosa di molto più grande, di molto più magico,
della semplice morte.
Io stavo
nascendo. Respirando per la prima volta negli occhi verdi di un
bambino.
E allora lo
odiai. Lo odiai con l’intensità di mille soli. Lo odiai come non avevo mai
odiato nessun altro prima.
Ma in quell’odio,
c’era un leggero retrogusto di qualcosa che ne rovinava il dolce sapore.
Ammirazione.
Rispetto.
In quel giovane
mago giaceva una parte di me stesso.
Per la prima
volta trovai un mio pari. Non qualcuno da uccidere semplicemente, ma qualcuno da
combattere. E giurai di farlo, per poter tornare ad essere libero e
inesorabile.
A questo era
arrivato, dunque. A immaginare i parlare con l’oscuro signore, di sentire la sua
voce, di vedere i suoi occhi rossi nel buio..
Stava cercando di
rimanere aggrappato all’unico modo che conosceva per vivere. Come per un
naufrago a cui anche un misero pezzo di legno sembra sufficiente a rimanere a
galla par un po’.
La sua ancora di
salvezza, la stessa che gli aveva distrutto la vita.
A questo dunque
era arrivato l’eroe dei maghi. Ridotto all’ombra di se stesso, all’ombra di ciò
che era stato e che gli impadirà di essere qualcosa in
futuro.
L’ ho sempre
odiato, da che ho memoria. Mi aveva portato via tutto; i miei genitori, Siruis,
la mia infanzia..eppure, quando è morto e con lui se n’è andato anche il mio
desiderio di vendetta, mi sono accorto che non mi restava più nulla. Mi sono
reso conto che in tutti quegli anni era stato unicamente quello a permettermi di
camminare a testa alta, a darmi un motivo per non mollare tutto, per continuare
a lottare. Per cntiunare a vivere.
Senza nemmeno
accorgermene, avevo reso l’unica cosa per cui avrei dato la vita, l’unica per
cui avrei vissuto. Senza pensare a cosa avrei fatto dopo.
Che senso ha
vivere se non si ha nulla per cui morire?
Il desiderio di
vendetta mi aveva spinto a non morire, a rimanere vivo, in attesa del giorno in
cui avrei potuto vendicarmi. Ma poi, quando quel giorno è arrivato, quando
finalmente Lui è morto…non mi restava più nulla. Come quando una città subisce
un bombardamento. Dove prima si ergevano palazzi in ogni centimentro cubo, in un
secondo non rimane che il vuoto.
Avevo dunque
realizzato il mio desiderio. Avevo compiuto l’impresa per cui avrei sacrificato
me stesso. Ma nel farlo, con il sorriso sulle labbra avevo anche distrutto
l’unica cosa per cui valesse la pena vivere.
E ho capito di
non essere mai esistito davvero. Di avere sempre vissuto nell’ombra di
Voldemort.
Io ero il bambino
sopravvissuto, perché ero sopravvissuto a lui. Se non ci fosse stato Lord
Voldemort, non ci sarebbe stato alcun bambino sopravvissuto.
Allo stesso modo
io ero l’eroe dei maghi perché combattevo lui.
Dannazione, c’è
qualcosa nella mia vita che non sia legata a Voldemort? Una casa sopravvissuta
al bombardamento, ne basterebbe
una sola. E su quella ricomincerei a costruire.
Persino quelli
che chiamavo amici, lo erano perché c’era lui.
Ron, Hermione, i
signori Weasley…Silente. Se non mi avesse raccolto quel giorno tra le macerie
della mia casa, se non fossi stato il bambino della profezia, per lui sarei
stato uno studente come cento altri.
Semplicemente, io
esistevo perché esisteva lui.
E quando il
Signore Oscuro è morto, ha smesso di vivere anche il bambino sopravvissuto.
Una risata
terribile, simile a un sibilo di serpente riecheggia per tutta la stanza e
quando ne sparisce anche l’eco…mi sento ridere; mi riconosco in quella risata e
mi accorgo che è spaventosamente simile a quella del Lord
Oscuro.
Tanto simile da
farmi tremare le vene nei polsi.
Forse è questa la
verità; io e lui siamo uguali.
Per la prima
riesco ad ammetterlo e questo mi mette curiosamente di buonumore. Siamo più
simili di quanto osassi pensare.
A partire dalle
nostre storie, da quei vuoti che abbiamo cercato di colmare come meglio
potevamo.
Quelle
aspettative che abbiamo creato attorno alla nostra persona per non rimanere
soli, sono le stesse che di fatto ci hanno tenuti prigionieri tutta la vita.
Allo stesso tempo
carcerati e carcerieri di una prigione dorata che abbiamo costruito con le
nostre stesse mani.
Come chi per
difendersi indossa una corazza che non potrà più togliere. Invece che
proteggerlo, gli si strignerà addosso, fino a togliergli il respiro, lasciandolo
comletamente solo.
E che valore
hanno i segreti sussurrati dalla voce sottile del silenzio, se non si ha nessuno
a cui raccontarli?
Che valore ha
un’esitenza priva di sofferenza, di dolore, se non si ha nessuno con cui
condividerla?
A questo punto
sui pensieri del giovane Harry cade una pioggia argentata, tanto sottile da
sembrare polvere. E in quella stanza, nel centro di Londra, si spegne ogni fonte
di luce.
Nel buio di
un’altra stanza una lacrima solitaria brilla da dietro un paio di occhiali a
mezzaluna.
Seduto alla sua
scrivania un vecchio mago allontana da sé con mano tremante una bacinella di
pietra colma di un denso liquido vorticante simile ad argento
fuso.
Accendendo una
candela si lascia cadere all’indietro, aderendo completamente con la schiena
all’imbottitura della poltrona.
Il suo volto
segnato dalle rughe è l’immagine stessa della stanchezza, solo i suoi occhi
celesti che fissano il languire della fiamma, sono rimasti gli stessi di un
tempo.
Di quel
tempo.
Aveva giurato a
se stesso che non avrebbe più scavato nei pensieri di quel ragazzo che gli aveva
cambiato la vita. E invece l’aveva fatto di nuovo.
Solo che questa
volta aveva visto più di quanto, forse, era in grado di sopportare.
L’aveva lasciato
solo. L’aveva lasciato a distruggersi con le sue stesse mani. Ad annegare nella
follia.
Ma d’altra parte,
non avrebbe potuto essere altrimenti.
Harry Potter e
Lord Voldemort…Il loro legame li aveva distrutti entrambi.
In ognuno dei due
viveva una parte dell’altro, che gli impediva di esistere facendo a meno della propria metà mancante.
Nessuno dei due
può vivere, se l’altro sopravvive.
Una volta
compreso il vero significato della profezia, l’unica cosa che Albus Silente
poteva fare era fare in modo che la storia continuasse a
vivere.
Muore davvero
solo chi viene dimenticato.
E lui, grazie
all’elisir di lunga vita, poteva fare in modo che Harry Potter vivesse per
sempre.
Raccontando a
ogni generazione la sua storia. Affinchè nessuno mai dimentichi il suo nome e
ciò che rappresenta per tutta la comunità magica.
Harry Potter,
eroe dei maghi.
Ma anche per se
stesso, per non dimeticare mai quello che per troppo tempo aveva ignorato
credendo di vedere. E cioè che quel giovane straordinario che era stato il
salvatore dei maghi… era anche solo Harry.
Io sono speranza.
Io sono Harry
Potter.
Ma sono anche…solo Harry.
Ricordatelo.
Sono bene, ma anche male.
Capitelo, perché in ognuno di noi c’è un eroe.
Un eroe a cui facciamo
appello.
Pensate a me come a una saetta nel cielo, nelle notti
buie di tempesta.
Pensate a me come quel breve istante di luce, quando
tutto sembra perduto.
E poi guardate in voi stessi.
Io sarò
lì.
Una saetta nel cuore.
( I bracciali del destino – Kysa - )