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Autore: Stray_Ashes    29/02/2016    1 recensioni
"Hate me
Break me
I'm a criminal"
In città la gente mi indicava col termine di cacciatore di taglie, ma lo diceva con paura, perché nessuno voleva essere la mia prossima tela, su cui avrei appoggiato forse il pennello, forse il coltello. Ma andava bene, come nome, non era tanto male; il termine di cacciatore mi dava un’importanza che non avevo.
Guardai il nome della mia nuova tela, la mia nuova vittima: Frank Anthony Iero.
E il nome non mi comunicò niente.
Avrebbe dovuto..?
"What have I done?"
[Revisionato 04/07/16]
Genere: Avventura, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Secrets


 
 
Che altezza sarà stata? Uhm, dieci o sette metri, almeno. 
Probabilità di sopravvivere? Alte, ero pur sempre io, non certo un novellino.
Probabilità di sopravvivere, intero? Scarse, ma era un altro discorso.
Il mio sguardo saettò dal terreno brullo là sotto, alla mia destra: lì l’edificio si articolava scendendo più in basso, e mi sembrò una zona anche piuttosto trascurata. Mi chiesi cosa ci fosse lì, sotto quei tetti di legno consumato dal tempo e dalla pioggia. Vedevo delle persone muoversi, dall’alto della mia finestra, ma non mi giungeva alcun suono. Era tutto un ambiente tranquillo, eppure inquietante. Ero prigioniero, d’altronde, no? E in base a cosa, poi? Frank era pazzo, realizzai. Piccolo maniaco, ma perché gli avevo salvato la vita? E più che altro, perché non mi decidevo a reagire seriamente? Se ci pensavo, potevo risolvere quella situazione con violenza e intelligenza, anche rischiando... ma almeno risolvendola. Però... una parte di me si ostinava ad aspettare, quella curiosa, probabilmente, perché tutta questa storia non mi era chiara. Anzi, neanche avevo ancora scoperto perché mi trovassi lì, come mi fossi procurato la botta alla testa, e tutto il resto. 
Il braccio pulsava piano, e io mossi pigramente le gambe nel vuoto quando sentii il vento accarezzarmi i capelli neri e sfiorarmi la pelle del torso. 
Spostai lo sguardo a sinistra, adesso, e anche lì l’edificio si articolava scompostamente in tante piccole cascine, fino a sparire alla mia vista, perdendosi nel bosco, perché sì, eravamo da qualche parte persi nel bosco. L’avevo capito al primo sguardo appena alzatomi dal letto per sbirciare fuori dalla mia “gabbia”.
Era tutto qua? Era questo quello che avevano chiamato rifugio? Oh, no, io non ero uno stupido. C’erano troppe persone che passavano e sparivano, o tutti questi edificio qui, erano tropo malandati per assicurare una vera protezione. E siccome non ero uno sciocco, sapevo che tutto questo era una copertura, per qualcosa di più grande.
Era stato l’odore, a darmi il primo indizio. Appena Andrew e Frank se n’erano andati, avevo ragionato sull’odore che si erano lasciati alle spalle: odore di muschio, di qualcosa di selvatico, quasi di.. chiuso, in un modo impercettibile. E da lì e dagli indizi raccolti guardando fuori, ero arrivato alla conclusione che l’edificio non si articolava decentemente né a destra né a sinistra, né dietro, ma sotto. Quale modo migliore di passare in osservati se non agire sotto terra?
Mi chiesi esattamente come fosse organizzato tutto, metri sotto i miei piedi.. della serie, tunnel? O vere e proprie stanzone d’acciaio? Ma forse, stavo divagando. Era ancora colpa dei troppi libri che avevo letto? Forse.
Dondolai ancora le gambe, e socchiusi le palpebre, quando un raggio filtrò tra le nuvole e mi colse in viso. Mi trovavo lì, seduto sul bordo della finestra, gambe a penzoloni nel vuoto, da... mh, tredici minuti, quasi quattordici ormai. Non molto, in effetti, ma abbastanza da farmi i ragionamenti che mi servivano. Era la cosa più vicina alla libertà che avessi, stare seduto sulla finestra, mezzo dentro e mezzo fuori in balia del vento, senza alcuna paura di cadere; anzi, stavo ancora soppesando l’idea di saltare. Avrei potuto farlo, me la sarei cavata, ma se mi fossi rotto qualcosa? Era un rischio considerevole, qualcosa di rotto avrebbe potuto  bloccare la mia fuga, e allora sarebbe stato inutile. Probabilmente, mi sarei slogato una caviglia, e se rotolavo di lato, forse una spalla. Ero già saltato da questi metri di altezza, grazie al mio “lavoro” e mi era anche andata bene, ma adesso mi sentivo un po’ meno sicuro, forse perché non avevo il pericolo serio a fiatarmi sul collo, avevo ancora tanti modi di sopravvivere. Tipo, rompere il collo  a Frank e andarmene tranquillamente. Oh sì, mi sarebbe anche piaciuto.
Ma non l’avrei fatto, dannazione a me. 
«No, non ti conviene buttarti, se a questo stai meditando.» 
Anche se non l’avevo sentito arrivare – sapeva essere silenzioso il moccioso, accidenti – non feci nulla per dimostrare la sorpresa, anche perché no, non ero sorpreso. Mi aspettavo una sua visita molto presto.
Mi chiesi più che altro se si fosse spaventato, entrando e vedendomi seduto sulla finestra, a pochi centimetri prima del vuoto. Glielo leggevo nello sguardo, da quando ci eravamo scambiati le prime parole, che mi considerava imprevedibile.  E mi piaceva saperlo.
Lo scorsi, con la coda dell’occhio, appoggiare le braccia incrociate su quel che restava del bordo della finestra, nello spazio non occupato da me, e lì mi rimase, vicino e tranquillo, persino pensieroso. 
Mi strinsi nelle spalle. «Ho buone possibilità di sopravvivere»
Mi parve di vederlo annuire con un sorriso amaro. «Oh, non lo metto in dubbio. Sono otto metri, e una buona percentuale di possibilità di slogarsi qualcosa, se la fortuna non sorride, e non sorride quasi mai. Il terreno sotto è troppo brullo, destabilizzerebbe l’equilibrio, rischiando di spezzarti le caviglie. Per quel che mi riguarda, potresti anche saper volare, considerando che, la prima volta che ti ho visto, ho pensato fossi un angelo... ma comunque no, non ti consiglio di saltare, per quanto so tu voglia»
Sollevai le sopracciglia, senza parole da dire, e mi voltai a guardarlo. Lui non mi guardava, fissava un punto imprecisato, là davanti, chissà cosa e chissà dove. Non seppi se essere più confuso dalle informazioni che aveva improvvisato, o dall’accenno al mio essere un angelo. Sul serio? Io? Angelo?  Nah.
Un altro sorrisetto amaro increspò le sue labbra. «Oh, sì. Mi sono già studiato un modo per saltare giù di qui. Avevo... dodici anni»
Strabuzzai davvero gli occhi, questa volta, fissandolo. Frank spostò brevemente le iridi su di me, poi di nuovo prese a osservare l’esterno. Sapevo che la mia confusione era palpabile, e che lo stava divertendo. 
«Tu...» biascicai, sbattendo ripetutamente le ciglia, insicuro su come continuare. 
Lui annuì. «Sì, anche io una volta sono stato rinchiuso qui e ho avuto voglia di buttarmi per fuggire...» fece una pausa, guardandosi intorno. «E invece adesso è casa mia»
Mi limitai a sospirare, distogliendo finalmente  lo sguardo da lui. Avevo un sacco di punti interrogativi nel cervello... ma non mi andava di chiedere, e non ero neppure sicuro che Frank mi avrebbe effettivamente risposto. E poi, meno sapevo di questo ragazzo, meglio era, l’avrei avuto meno sull’anima, una volta andatomene. «Perché sono qui?» domandai alla fine, scegliendo la domanda più assillante. 
Lui ridacchiò sommessamente. «Sei scappato, prima, nel bosco... dopo che...» lo vidi deglutire «.. ti ho detto il mio nome. Non so perché, o forse, io... uhm, è difficile. Comunque, eri agitato e sei fuggito via. Dopo un po’ di ho seguito, per capire, almeno. Mi hai urlato da lontano di lasciarti in pace e poi...» fece spallucce, con nonchalance. «... sei cascato come un sacco di patate giù da una scarpata, siccome troppo impegnato a urlarti alle spalle, e hai battuto la testa contro un masso...»
Deglutii. Oh. Che figura di merda... Forse non avrei voluto sapere come era andata. Ebbi l’istinto di nascondermi, e invece guardai giù, sospirando. «Sai, credo che mi convenga davvero buttarmi giù, adesso» dissi. 
Lui ridacchiò, ma senza gioia. «Tanto scenderei comunque a raccoglierti di nuovo. E Johann scoppierà dalla felicità sapendo di potersi prendere di nuovo cura di te»
Mi accigliai. Non avevo capito se fosse ironico o meno. All’improvviso lo strano ragazzo accanto a me abbassò il viso, assumendo un’espressione cupa. «All’inizio pensavo fossi morto... perdevi un sacco di sangue. Io.. ho cercato di portarti fino a qui il prima possibile, ma... »
Scrollai le spalle. L’argomento non mi toccava granché. E se fossi morto davvero? Dov’era il problema? Dopo quella figura da idiota poi...
«Ehy, è ok. Anzi, credo di doverti la vita...» sospirai, perché in realtà l’idea non mi piaceva affatto, dovere la vita, intendo. 
«No, affatto. Io la doveva già a te...»
Oh, giusto, mi stavo dimenticando del cane. Quindi apposto, no? E inoltre avevo deciso di non uccidere quel ragazzo in cambio di soldi, quindi era come se fosse di nuovo lui a dovere la vita me, ma considerai comunque la questione come se fossimo pari. «E allora a posto» 
Frank mi avevo appena descritto suo prigioniero, avrei dovuto odiarlo... perché non ci riuscivo, allora? 
Vidi il ragazzo sciogliere le braccia in avanti, per poi incrociale di nuovo, in evidente disagio. «Senti, Gerard... io... Perché sei scappato quando ti ho detto il mio n-- »
«No» risposi, secco,  e inflessibile. Non gli avrei risposto, mai, mi ripromisi. 
Lui aprì la bocca e si irrigidì, poi invece la chiuse, e si arrese. Non disse più niente, anzi, nessuno di noi lo fece, e per diversi minuti. 
Fui io, alla fine, a dare voce ai miei pensieri. «Non so se lo capisci, Frank» scandii «Ma conviene a te e a tutti i tuoi compagni lasciarmi andare via da qui, e non mi rivedrete mai più. Tenermi chiuso qui, è un pericolo e basta» sentenziai, cosciente del rischio che correvo, perché temevo mi avrebbe posto un sacco di domande per comprendere questa mia affermazione. Ma almeno, dovevo metterlo in guardia... in qualche modo, avrebbe dovuto lasciarmi andare senza mettere su una guerra, in cui tanto avrei vinto io. Ma non volevo versare sangue, né il suo, né quello di Andrew, né quello di Johann. Tutte le persone che avevo visto lì, erano molto giovani... e la voglia di sapere cosa fosse tutta questa storia mi assillava.. nel senso, perché tutti questi ragazzi si trovano qui, con questa aria di segretezza, in mezzo al bosco, in una struttura che si sviluppava sotto terra? Però, se avessi chiesto e nel caso che Frank avesse anche risposto, avevo timore che non mi avrebbero davvero più lasciato andare. Chi sa troppo, diventava pericoloso, e io, oh, lo sapevo bene. Preferivo non sapere nulla, almeno per adesso. 
Frank non rispose a lungo, mentre i miei pensieri correvano. Ebbi il dubbio che non mi avrebbe risposto mai, che sarebbe rimasto lì, appoggiato sul davanzale accanto a me per sempre. C’era qualcosa di teso e allo stesso tempo rilassato, in quella situazione. Molti punti di domanda viaggiavano fra noi, ma entrambe le nostre menti accoglievano le incognite e le conservavano tali, come muta salvaguardia. “Sapere” è molte cose, è bello, brutto, e tanto pericoloso. 
«L’ho saputo subito, che eri una persona... particolare. Che mi avrebbe causato problemi. Ma non mi è interessato... ti ho visto e ho..» mormorò alla fine Frank, come se stesse confidando un segreto. Si passò le mani sulle spalle, a disagio. «... ho pensato che avrei dovuto fidarmi di te. Ho creduto che avresti potuto aiutarmi, e... non so perché l’abbia pensato. Ma c’è qualcosa in te, che mi ha spinto a non volerti lasciare andare via. So che ora penserai che sia solo uno sciocco, e che vorresti torcermi il collo e scappare... te lo leggo negli occhi..»
Non gli risposi subito. Che avrei potuto dire, d’altronde? Non avevo capito niente, e quella di Frank era una supposizione molto sbagliata (quella del fidarsi, intendo. La supposizione sul rompere il collo, era azzeccata), forse l’aveva solo scambiata con la paura nei miei confronti. In effetti, non avrebbe dovuto provare altro, se non paura.  
Senza volerlo, sollevai una mano, andando ad accarezzare la chiave che mi pendeva al collo, indifesa, senza i vestiti a coprirla. «Non so aiutare le persone, Frank... dovrei andarmene a basta, e tu lo sai» ribadii, ancora, guardando il vuoto davanti a me. 
Lui sospirò e scosse la testa. «Non riesco a permettertelo»
Tacqui, e il silenzio ci avvolse. 

Aprii lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre per combattere la luce, mentre per un momento mi ritrovai a vedere tanti puntini bianchi muoversi nel mio campo visivo. Mi ero addormentato di nuovo... ero davvero debole, quel giorno, probabilmente a causa della perdita di sangue. O almeno sperai fosse solo per quello.
Ero appoggiato al muro, sopra la mia testa la finestra, da cui ero sceso diversi minuti prima, quando Frank si era congedato: ero ancora senza maglia, e il vento fresco aveva cominciato a stuzzicare la mia pelle, e così mi ero rifugiato a malincuore all’interno. 
Ora ero lì, le ginocchia strette al petto e le palpebre pesanti per il sonno. Oh, e poi c’era il ragazzo che mi fissava a gambe incrociate, la testa piegata da un lato, con i ciuffi blu e neri che gli cascavano sulla fronte e sulle orecchie. E gli occhi magneticamente color ghiaccio fissi nei miei, intenti a studiarmi con un'espressione strana: mi ricordò un animale selvatico intendo a studiarne un altro, altrettanto selvatico. Mi sentii in sintonia con lui, per un momento, ma allo stesso tempo, non gradivo essere osservato, né studiato. Ebbi improvvisamente una gran nostalgia del mio cappotto e del relativo cappuccio... c’era troppa luce, e io ero troppo inerme.
Sollevai un sopracciglio, ricambiando il suo sguardo immobile. «Vuoi un mio ritratto? Dura più a lungo»
Le sue labbra sottili, decorate dal piercing, si piegarono in un sorriso appena accennato. Ma in ogni caso ignorò il mio commento. «Ti sei svegliato, alla buon ora. Mi hanno spedito qui per farti mangiare» disse, ghignando con nonchalance. 
Mi accigliai un poco. Da quanto tempo mi stava fissando dormire? Da com’era comodo, seduto a gambe incrociate sul pavimento davanti a me, probabilmente da un po’. Com’è che si chiamava, poi? Uh, Andrew. 
Abbassai lo sguardo sul mio stomaco, e storsi le labbra. In realtà, non avevo affatto fame, ma il bisogno di uscire da quella stanza era impellente. Non restavo mai troppo a lungo nello stesso posto, l’avevo detto prima, no?. 
Buttai fuori l’aria dal naso ed annuì, aspettando che lui si alzasse; Andrew, invece, mi porse una camicia bianca, rimasta fino a quel momento abbandonata sulle sue ginocchia. «E’ meglio che tu ti vesta, ci sono troppe ragazze appena oltre questa porta»
Inarcai un sopracciglio per l’ennesima volta. E che me ne fregava delle ragazze? Che me ne fregava delle persone in generale? Ma sentivo freschino sulla pelle, e quindi lo assecondai, prendendo la camicia: era bianca, e sapeva di pulito, senza alcun odore particolare, e questo mi diede sicurezza, in un senso contorto del termine.
Andrew si alzò, tornando a essere quella figura magra e slanciata che ricordavo stare appoggiata allo stipite, e io lo imitai immediatamente; infilai un braccio nella manica della camicia, e in breve presi ad abbottonarla, lasciando però diversi bottoni liberi vicino al collo. Mi assicurai ti tenere la chiave nascosta sotto il tessuto, e ciò nonostante, continuai a sentirmi scoperto. Sollevai lo sguardo su Andrew, che mi guardava in silenzio. 
«Non è che potrei riavere la mia roba..?» gli domandai, guardandolo titubante da sotto i miei ciuffi di capelli neri. Lui incrociò le braccia sul petto: una posizione che doveva piacergli molto, notai. «Cappotto e tracolla...?» azzardò. 
Feci un gesto d’assenso con la testa, evitando di guardarlo in modo troppo speranzoso. 
Andrew fece spallucce. «Forse. La tua borsa ce l’ha Frank, ma il cappotto credo di potertelo permettere. Anche se non so come tu possa non morire di caldo... » mi rispose alla fine, gesticolando con una mano e voltandosi. Lui aveva solo una misera maglietta sbracciata, fui io a chiedermi come mai non avesse freddo affatto. 
Nonostante il turbamento nel sapere la mia borsa tra le grinfie di Frank mi abbandonai a un sospiro sollevato. Avevo bisogno della presenza nera del mio cappotto, per uccidere quella luce bianca e stomachevole. 
Dalla porta, Andrew mi fece un gesto per invitarmi a seguirlo, e senza avere molte alternative, lo feci. 
Lasciare quella stanza mi regalò una boccata d’aria più pulita, anche se era probabilmente era solo una mia impressione, poiché l’aria era sempre fresca uguale: ma avere la possibilità di attivare il mio cervello per studiare il nuovo ambiente, mi fornì un motivo per alleggerire la testa dalle domande che premevano sulle mie tempie e mi sfioravano le labbra. 
Appena oltre la porta, tutto ciò che vidi fu un lungo corridoio, con tante altre porte uguali alla mia, e da ognuna di esse filtrava la luce dell’esterno, sufficiente ad illuminare l’ambiente. Il pavimento era di travi di legno, mentre i muri, qui, contrariamente alla mia camera, non erano di legno scarno, ma ricoperti da una superficie simile all’intonaco. Che fosse? Ero stato talmente poco dentro spazi chiusi, che ero davvero poco esperto, e la cosa mi dava fastidio. Chiedetemi di analizzare una foresta, e sarei stato molto più pronto. 
Sospirai, mentre Andrew, davanti a me, mi faceva strada con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni scuri: studiai con rinnovato interesse i tatuaggi che gli ornavano le braccia, ma non ne trovai comunque un senso, così rinunciai. Piercing, tatuaggi, tinte ai capelli... mi stavo davvero cacciando in un brutto problema. E pensare che sarei dovuto arrivare lì, uccidere Frank, andarmene con i soldi, sparire. Mi chiesi dove fosse Bert, se avesse provato a cercarmi, o se le guardie l’avessero nuovamente contattato per sapere di me, perché in effetti non avevo più dato alcuna notizia a nessuno. E mi chiesi anche quante persone avessero assistito al mio “spettacolino” con il cane, e se avessero fatto passare le voci... e, oltretutto, io non sapevo chi fosse effettivamente Frank per quella città, d’altronde le guardie gli davano la caccia sufficientemente da aver contattato me... magari ora mi avevano marchiato come suo complice, e mi sarebbe toccato allontanarmi parecchio di più rispetto a come avevo previsto. 
Sbuffai istintivamente, richiamando senza volere l’attenzione di Andrew, che mi spostò addosso uno sguardo indecifrabile, senza comunque dire nulla, e segretamente lo ringraziai per questo. Era un tipo schietto e sarcastico, ma riservato e perspicace. Mi ritrovai ancora una volta ad ammettere che mi andava a genio... forse sarei riuscito ad estrapolare più informazioni da lui che da Frank, senza tuttavia legarmi le mani da solo e condannarmi. 
Mi morsi l’interno della guancia, rimuginando assorto, e Andrew mi condusse giù per una rampa di scale, scendendo al piano inferiore. E lì, improvvisamente, sentii il disagio tornare al mio capezzale in modo violento. Ok Frank – o quasi- , ok Johann, ok Andrew... ma adesso, c’erano decisamente troppe persone. Senza neanche volerlo del tutto, i miei passi si bloccarono, e io mi ritrovai fermo lì, ai piedi delle scale, col respiro che cominciava ad accelerare, i miei occhi a schizzare da una persona all’altra della grande stanza. Nessuno badava a me, ma sentii l’irresistibile bisogno di afferrare il cappuccio che non c’era e nascondermi. Strinsi i denti, perché non avevo l’elsa di un’arma da poter stringere: mi avevano tolto tutto, persino la cinghia con gli stiletti che era sempre stata stretta alla mia coscia. Mai mi sentii nudo come in quel momento, con quella valanga di ragazzi intenti a parlocchiare per la stanza, con piatti fumanti in mano, ed i tavoli stracolmi di persone, e le luci soffuse, e le risate, e i discorsi, e le spallate, e le mani strette in altre mani.
Troppo. 
Andrew si accorse di non avere più i miei passi alle spalle, e si voltò a fissarmi con un sopracciglio sottile sollevato. Anche lì brillava un piercing di metallo. «Ehy, è tutto ok. Gerard, giusto...?» 
Spostai impercettibilmente lo sguardo su di lui, e poi di nuovo sulla sala, e non risposi. 
Andrew sciolse le spalle, con un sospiro. «Ehy, Gatto, vuoi mangiare o meno?» disse, guardandosi un attimo intorno «O sei vegetariano anche tu? Non sai che fatica aver fatto mangiare Frank le prime volt-- »
«Andy!!» 
Andrew non interruppe quella frase solo per l’urlo che risuonò nella stanza, ma più per il fatto che qualcuno gli collassò letteralmente addosso. La persona si avvinghiò al ragazzo, allacciandogli le braccia al collo, sotto il mio sguardo congelato e sì, terrorizzato. Ebbi quasi l’istinto di buttarmi in avanti e difendere Andrew, ma non avevo neanche armi... eppure, non poteva che essere aggressivo quel gesto, no? 
«Jack!» strillò Andrew, mentre barcollava scompostamene nel tentativo di non cadere sotto il peso dell’altro ragazzo. «Levati» intimò, la voce stridula a causa delle braccia che gli stringevano eccessivamente il collo. 
Finalmente il tizio, Jack, sciolse la stretta e scoppiò a ridere. Io, a pochi metri, mi limitavo ad osservare la scena, rigido come uno stecco. Andrew sembrava turbato, ma non allarmato, anzi giurai di scorgere una specie di sorriso, o di ghigno, sul suo volto. 
«Calma amico, ma sono giorni che non ti fai vivo» esordì Jack, senza neanche notare la mia presenza. 
Andrew sollevò un sopracciglio, massaggiandosi il collo. « “Calma” a me...?» disse, con un sorrisetto beffardo, termine che sembrava essere stato coniato direttamente sul suo viso, pensai. 
Jack si strinse nelle spalle. «Ti sapevo in giro a fare casini fuori città, non sapevo neanche fossi tornato. Non intero, perlomeno» si difese. «E’ un gioia vederti» disse alla fine, sorridendo. 
Andrew ricambiò il sorriso, ostentando tutta quella vaga freddezza tipica di lui. Jack mi parve molto estroverso, invece, ma non pericoloso. Tuttavia, quel lanciarsi sulle persone, continuava a farmi rabbrividire. Se ci avesse provato con me, gli avrei smontato una spalla, poco ma sicuro. 
«Uh, Frank? Era con te» continuò Jack, dandomi ancora le spalle. Perlomeno, dagli sguardi sfuggenti, mi parve che almeno Andrew si ricordasse della mia presenza, e questo annullò l’idea di darmela a gambe subito e trovare un’uscita. 
«Mh? Sì, era con me, ma è una storia lunga. Comunque dev’essere da qualche parte nella struttura. Probabilmente è sceso...» disse, rimanendo vago, ancora una volta gesticolando con il polso magro. Era la seconda volta che glielo vedevo fare. 
Jack si passò la lingua sulle labbra, forse intuendo qualcosa che solo lui sapeva. «Ok, me ne farete sapere meglio dopo... già mangiato?»
Andrew lo fissò, poi piantò gli occhi chiari nei miei, vigili. E allora Jack si voltò, sollevando le sopracciglia. In quel momento notai che aveva i capelli neri ribelli, con diverse ciocche bianche, decolorate; avrà avuto pochi anni più di me, sicuramente.  
«Uh, e lui chi è?» domandò, con un gran sorriso cordiale, ma io continuavo a temere la sua espansività, e non mi fidai neppure per finta. Che avrei dovuto dire, di me stesso? Che poi in realtà, neanche l’aveva chiesto a me. 
Vidi Andrew stringersi nelle spalle. «Uhm, ottima domanda. Chiedilo a Frank... fatto sta che è arrivato qui perdendo sangue come uno scolapasta, fortuna che ho trovato Frank in mezzo al bosco mentre se lo trascinava tra le braccia» 
Oh. Che imbarazzo. 
Jack ridacchiò, sotto il mio sguardo di veleno.
«Potreste evitare di parlare come se io non fossi qui...» sibilai, con tutta l’acidità di cui disponevo. Avevo una dignità, io, nonostante mi gettassi addosso parecchia merda, quando pensavo a quanto facesse pena la mia vita di assassino. Ma non mi meritavo certo tutta questa mancanza di rispetto... oh, se solo avessero saputo chi ero. Invece avevo l’impressione che lì mi considerassero un fenomeno da baraccone, e la cosa non solo mi dava fastidio, ma mi faceva venire la pelle d’oca... ed ebbi bisogno di fuggire, da tutto questo.
Sentii Andrew rivolgere un'altra frase a Jack, e questo rispondere con una risata, ma la mia stizza mi spinse ad ignorare il fastidio di tutte quelle persone: era più importante allontanarmi da loro, e presi a vagare per la sala, evitando il contatto con le persone che mi passavo accanto, in mano piatti fumanti da un odore curioso. Da quanto non mangiavo, in effetti? Ok, avevo lo stomaco chiuso, ma avendo perso tutto quel sangue, mi conveniva mettere qualcosa sullo stomaco indipendentemente dai capricci del mio fisico... non potevo permettermi  di essere troppo debole, non in quella situazione instabile... ancora non avevo deciso cosa avrei fatto. Scappare? Aspettare che si decidessero a lasciarmi andare? Sentii il bisogno di parlare con Frank, e allo stesso tempo, ebbi il desiderio di non vederlo direttamente mai più. Ma questa speranza era altamente improbabile...




                                                                                     


Ci si vede al prossimo capitolo, bye!
_StrayAshes_
  
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