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Autore: badlands    29/02/2016    0 recensioni
Aeterna e Rasgor, terre distrutte e poi risorte sulle ceneri della Guerra. Un combattimento durato per più di mezzo millennio e scaturito dall'assassinio di un'innocente bambina, Minwa, la cui sua unica colpa era di essere nata nella stirpe dei Ragewood. Ultima della sua razza, conservava il potere più puro e limpido dei suoi antenati e di tutta Elbios, un potere capace di distruggere definitivamente un popolo che da secoli si era stanziato tra gli angeli, macchiando la loro reputazione di Dei che gli umani gli avevano affibbiato. Un nome che racchiudeva in sé lo scopo della loro nascita: proteggerli a costo della loro vita. Ma arrivò un momento in cui furono incapaci di seguirli perché impegnati ad assistere alla scissione dei Dodici Signori con il silenzio. Un atto che, a distanza di secoli, li avrebbe trascinati in un vortice di segreti tormentati riportati a galla.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Ripara in principio;
troppo tardi siappresta la medicina
quando i lunghi indugihanno dato vigore al male
Ovidio

 

L'anno zero è stato l'anno in cui tutto, collassando, ha avuto un nuovo inizio. Dodici, tra uomini e donne, stavano facendo strisciare le loro vesti sullo sterrato che portava alle montagne del Nord, quando la Signora del Tempo si fermò. Con una mano stretta in quella della piccola, si chinò a raggiungere un fiore che tra l'erba incolta spuntava sul bordo della strada: lo ripulì dalla terra bagnata e dalla rugiada, ne strappò le radici infangate, per farlo poi scivolare con cura nella chioma scura di Minwa. «Un dono per la nostra salvatrice», sussurrò Siel facendo correre una mano sulla guancia paffuto.
Minwa ridacchiò, sfiorando i petali ampi e morbidi che le carezzavano i capelli; le ricordavano le piante di cui sua madre si era sempre presa cura, quelle che aveva iniziato a coltivare quando suo fratello le aveva lasciate per prendere parte alla Guerra. Dicevano che possedesse un dono speciale, uno in grado di permettere la vincita definitiva dei Phedrine sui Balkar. Eppure quelle parole non servirono perché pochi mesi dopo si trovarono a piangere sulla sua bara. Minwa sapeva che le stesse per capitare la stessa crudele sorte, così come era toccata a tutti gli altri componenti della famiglia Ragewood, uno ad uno. Sgozzati e svuotati di tutte le loro parti, tornavano indietro in un baule spoglio con una lettera che ringraziava per il servizio prestato a favore della comunità. Per molti mesi era rimasta a disegnare nella sua mente che forma potessero aver i mostri di cui tutti parlavano, gli stessi che avevano ridotto suo fratello in un rimasuglio di polvere. Solo allora capì, ed era frustrante sapere che nella sua realtà non esistavano eroi, perché quelli che avevano sempre venerato come tali la stavano scortando verso la morte. Si chiese se ci sarebbe stato qualcuno a piangere la sua scomparsa o se il suo piccolo sarcofago sarebbe rimasto davanti alla porta di casa in attesa di qualcuno che lo avrebbe custodito.
Fece scontrare le sue dita con quelle di Siel, stringendole vigorosamente. Un gesto che avrebbe dovuto infondere un po' di coraggio ad entrambe. «È bellissimo!», esultò gioiosamente. Fingeva. Nel suo cuore non c'era spazio per alcun sentimento simile; aveva paura, percepiva lo stomaco rivoltarsi dentro, insieme alla consapevolezza di un futuro offuscato dalle incertezze.

«Siel, Minwa! Muovetevi, non abbiamo tempo da perdere!», la voce di Zikel tuonò a distanza, anche più forte del temporale che si era preannunciato con qualche borbottio nel cielo scuro. I bordi del suo cappuccio tremarono al soffiar del vento, solleticandogli fastidiosamente il volto scarno e la mascella squadrata. Gli occhi neri come le montagne alle sue spalle donavano una nota malinconica allo sguardo severo, che non cessava di intimorire chiunque vi provasse a spiare dentro. «Andrà tutto bene, io e Israphel siamo qui per proteggerti». Siel sorrise ancora, benché la bambina non potesse vedere come le sue labbra si distendessero a mostrare i denti bianchi e come una calda lacrima le stesse rigando il volto scarno. Il tempo singhiozzò, si bloccò per poi riprendere a scorrere facendo tremare la terra sotto i loro piedi.
Un sospiro spaventato si divulgò tra i Signori, che arrestarono il loro passo per guardare l'angelo al fianco della donna stringerle una spalla, prima di sorpassarla. Afferrò la bambina per accoglierla in un abbraccio e la sollevò in aria guardandola attraverso gli ultimi isolati raggi che le incorniciavano il volto. «Tra poche ore sarai di nuovo a casa», sostenne. Minwa colse l'incertezza nel modo in cui la sua sicurezza vacillò sulla parola "casa", ma scelse di non obiettare:«Non vedo l'ora, voglio far vedere il regalo di Siel a Irina!».

Siel si sollevò da terra facendo muovere l'erba intorno alla sua armatura e si coprì i lunghi capelli biondi sotto il cappuccio di stoffa.
Alzò lo sguardo stanco, per incontrare quello impaziente di Azphel: stava facendo volteggiare la sua alabarda infiammata nell'aria, che al suo passaggio si colorava di disegni simmetrici di un azzurro vivo. La fece roteare dietro la testa, puntandola verso la Radura per scaricare un fulmine contro un albero; un tonfo sordo riempì il silenzio quando la conficcò nel terreno, facendo arretrare Zikel di qualche passo: «Mi sto stancando», sbuffò stizzito. Bastò un accenno rivolto a Triniel che quella annuì sparendo dalla loro vista sollevando una leggera brezza: seguirono la sua scia correre tra gli angeli che erano rimasti indietro, sollevandolo come privi di peso. Alcuni tentativi di ribellione da parte di Israphel furono evidenti quando delle scintille violacee apparivano a mezz'aria. Tra le urla, ci fu immediato silenzio. Solo il frosciare degli alberi era udibile, accompagnato dallo scorrere di una cascata oltre le montagne.
Triniel tornò pochi istanti dopo al fianco di Azphel, con la bambina inerme tra le braccia. Sorrideva soddisfatta mentre gliela porgeva in un inchino sottomesso, ed alle sue spalle il sangue dorato sgorgava dai corpi di Israphel e Siel, distesi nell'erba alta.
Un urlo prolungato sfiorò le labbra di Yutiel, Signora della Vita. Aveva il volto contratto in una smorfia di disgusto mentre si apprestava a trovar riparo tra le sue mani gelide. L'ultima sua sorella era distesa a qualche metro da lei, la schiena piegata in modo innaturale e la bocca rosea che sembrava ancora implorare aiuto. Aiuto per la bambina che aveva promesso di proteggere e per Yutiel che stava abbandonando. Avrebbe voluto dirle addio, invocare il suo nome per chiederle di ripararla dal freddo che aveva iniziato a scuoterle il corpo in violenti brividi. Ma il suo ultimo respiro bussava contro i polmoni, implorandola di lasciarsi andare a quell'ultimo gesto per trovare serenità. Per la prima volta scelse di arrendersi; aprì le labbra un'ultima volta, sussurrando il nome della figlia che non avrebbe mai potuto conoscere il volto della propria madre.

Un frullo d'ali improvviso irruppe tra gli angeli, persino il pianto sommesso di Yustiel si arrestò per scattare sulla difensiva. Una divisione naturale si creò nel cielo tra i dieci Signori rimasti: Ariel, Nezekan, Vaizel e Kaisinel si schierarono al fianco di Yustiel, mentre Triniel, Zikel, Lumiel e Marchutan a formare un semicerchio con Azphel a pochi centimetri da Ariel. «Consegnateci la bambina», ringhiò quella, scandendo ogni parola senza spostare l'attenzione dal Signore delle Tenebre. Lo sfidava, senza alcun timore. Se il loro Dio li aveva scelti tra migliaia di uomini per diventare Phedrine, nessuno era più forte dell'altro. Abbassò lo sguardo, sfiorando il naso della bambina:«Perché dovrei? È la nostra arma segreta». Sorrise beffardo, puntando gli occhi neri in quelli azzurri.
Nezekan poggiò una mano sulla spalla della donna, protendendosi verso il suo orecchio:«Dovresti dare l'ordine». Annuendo, Kaisinel acconsentì alla loro decisione senza alcune esitazione mostrando i denti aguzzi. Allungò una mano sopra la sua testa, il palmo rivolto verso il cielo blu:«Amo la guerra».

* * *

Fece roteare il suo bastone per aria, fischiettando una canzone che suo padre gli aveva insegnato secoli prima. La udiva spesso, cantata dai contadini mentre lavoravano la terra, un po' per farsi forza, un po' per passare il tempo. Come stava facendo lui in quel momento.

Un deserto dalle centinaia di dune si estendeva per chilometri davanti ai suoi occhi, per poi essere inghiottito all'orizzonte dalle sfumature del tramonto. Gli ricordava casa, la locanda nella piazza centrale che vendeva le sue armi preferite: spade di legno. Le usava per combattere gli spaventapasseri di paglia nelle campagne circostanti, immaginando di essere un re a difendere le sue terre da un esercito sconosciuto. Diventava protagonista delle storie che lui stesso scriveva.
Gli ricordava la sua gente, quelle facce rindonanti nei pomeriggi noiosi. E, tra quelle monotone, ne appariva sempre una nella sua mente. Aveva lunghi capelli neri avvolti sul capo, adornati da foglie dorate ed ampie ali pallide come la sua pelle a sferzare l'aria; la sua mente l'associava alla Radura, ma in quel luogo non vi aveva mai messo piede. Lo conosceva attraverso i libri, i racconti di qualche demone in cerca di redenzione, ma non per quella ragazza che era spesso protagonista dei suoi sogni. Sentiva come se al puzzle mancasse un pezzo, ma non poteva concedersi altro tempo per pensare perché non c'era quiete. La sabbia era calpestata da anime oscure, perse, che gridavano. Alcune invocavano aiuto, altre si lasciavano andare a qualche imprecazione mentre abbandonavano il proprio peso al suolo, schiantandosi con un riecheggiare che gli procurò dei brividi lungo la colonna vertebrale.

Si sedette sul suo trono di teschi frantumati e batté il bastone con una tale forza da far tremare le terre di suo controllo; un velo di polvere si sollevò a mezz'aria, mettendo a tacere tutte le anime. Negli ultimi decenni non aveva visto altro che quegli esseri, con i loro atteggiamenti da finti innocenti; non meritavano alcun perdono, solo quello stesso Inferno che li aveva traditi. Avevano le loro miserabili esistenze, alla ricerca di qualcosa che li illuminasse e li guidasse alla vendetta, quasi ignorando il fatto che fosse impossibile uscire da lì.

«Mio Signore, mi dispiace disturbarla». Una voce pietosa si fece strada in quel rumore infernale, giungendogli all'orecchio come il tocco di un bambino. Certe volte dimenticava quanto potesse essere pura una voce umana, alcune capaci di accompagnarlo tra le braccia di Morfeo nelle notti più avverse.
Non abbassò lo sguardo, ma lo mantenne alto verso il cielo in subbuglio che procedeva lento verso la notte. «Azphel richiede la vostra presenza a Pandemonium».
Spostò uno sguardo curioso sulla figura esile, assottigliando gli occhi stanchi. «Pandemonium?», domandò cercando conferma. Avrebbe preferito sentir dire che si era sbagliato, che non era ciò che voleva intendere. Quando aveva accettato il trono di Westgate si erano accordati che non ci sarebbero dovuti essere richiami da parte di nessuna delle due fazioni, per alcun motivo. Anche in tempi di guerra.
«Sì, Signore, lui e gli altri quattro Signori della Notte vi aspettano con urgenza», ribadì protendendo le braccia che fino a pochi istanti prima aveva nascosto dietro la schiena. In una mano stringeva una lunga alabarda nera, mentre nell'altra un mantello di un oro sfavillante i cui ricami disegnavano onde oscure simili ad anime in fuga.
«Sai di cosa si tratta?», chiese ancora alzandosi dal suo trono. Alcuni demoni sollevarono un occhio curioso verso il guardiano, ma prima che potessero commettere un atto potenzialmente dannoso quello allungò un dito verso un uomo all'angolo della stanza. «Tu. Prendi il comando». Annuì, chinando il capo.
«Credo vi vogliano parlare della Radura, Signore». Harry si infilò il mantello sulle spalle macchiate d'inchiostro.
«Avevo detto che non ne volevo sapere di tutta questa storia, tantomeno di quella bambina». «Una delle protettrici è fuggita».


A/n
Sorpresa! Diciamo che non ero molto convinta di pubblicare, ma qualcuno mi ha costretta.
Spendo poche e semplici parole su questa cosa che dovrebbe essere un prologo: non so se sia confuso per voi, probabilmente sì dato che i nomi sono molti e diversi, ma diciamo che quello che doveva essere spiegato è stato scritto. Quello che invece non è specificato in particolar modo è perché rimarrà un segreto che sarà poi svelato a tempo debito.
Mi scuso per eventuali errori e, per qualsiasi chiarimento e/o insulto, sono sempre qui a distanza di un recensione! Grazie per il sostegno.

   
 
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