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Autore: Black Swallowtail    29/02/2016    0 recensioni
"C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro."
Minato Saito è stato un caso più unico che raro di sindrome di seconda media - del tipo peggiore, un così detto "Evil Eye". Deciso ad iniziare una vita diversa, intenzionato ad allontanare il passato che lo tormenta, si appresta ad iniziare un nuovo anno scolastico; tuttavia, quello che lo attende supera di certo le sue aspettative. Scoprirà, suo malgrado, che non si sfugge tanto facilmente dagli artigli di quella strana malattia e che, spesso, se ne rimane vittime per sempre, anche dopo che si è tentato di fare di tutto per sfuggirgli.
Quella ragazza che, seduta poco davanti a lui, è convinta di essere un'eroina imprigionata in una falsa realtà, lo trascinerà con sé verso un mondo fantastico che si nasconde sotto gli occhi di tutti - un mondo di vetro; un mondo d'immaginazione.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Chapter 2One thing I know about her

 

“Io vado a scuola, ci vediamo!”

Nella speranza che mia madre sia già sveglia per udirmi e che non sia rimasta in piedi fino alle tre di notte a lavorare, mi chiudo la porta alle spalle senza fare rumore, lo zaino sulla schiena che sembra un po' più pesante del solito. La primavera è nel pieno del suo splendore, ma da oggi inizierà il suo rapido passaggio verso l'estate, anche se l'aria mattutina appare più fredda di quanto non fosse qualche giorno fa; quando esco all'aria aperta, sento un brivido di gelo che mi attraversa, passando dal tepore di casa all'esterno. Ancora con un po' del sonno che inevitabilmente mi ritrovo a dover sopportare, mi stiracchio platealmente, per poi sfregarmi le mani con forza per riuscire a dare loro un minimo di calore; non ho di certo intenzione di tenere il manubrio della bicicletta con le dita intorpidite.

Come ogni mattina, da una settimana a questa parte, mi avvicino al garage, sollevandone la serranda con un forte rumore di acciaio stridente che aggredisce le mie orecchie e infrange l'aria sospesa di questa mattina particolarmente silenziosa; quando la luce dell'esterno filtra nello stanzino buio, la sagoma della nuova bicicletta di un banale color rosso scuro, o meglio “Cremisi come il sangue dei demoni feriti” secondo l'opinione di Mana, compare fiammante in attesa di essere cavalcata – esattamente come un destriero. Anche questo è un paragone della mia stramba vicina di casa, che ovviamente non ha esitato a darle un nome tipico del suo gusto distorto dalla sindrome di seconda media: Abaste II, che, come mi ha spiegato lei stessa in un complicato discorso di mitologia, altri non era che uno dei numerosi destrieri infernali appartenenti al Signore dell'Oltretomba Ade, una divinità greca che avrebbe regnato sull'aldilà di cenere e fumo destinato alle anime degli uomini. Ovviamente non le ho chiesto come sapesse tutte queste cose, né tanto meno il motivo per cui fosse documentata talmente tanto sulla mitologia occidentale, perché la risposta sarebbe stata un altro, infinito sermone su qualche mondo parallelo o su un viaggio nel mondo dei morti; in realtà, la semplice verità è che ogni cosa che abbia a che fare con la magia o l'occulto affascina in modo irresistibile tutte le vittime della sindrome di seconda media, ed io stesso ho tentato inutilmente di apprendere l'alfabeto runico delle popolazioni germaniche. Non c'è nemmeno bisogno di dire che si tratta di una conoscenza talmente superficiale da non andare oltre qualche nozione generica, ma che diviene più che sufficiente nel contesto del dover dissacrare, o nobilitare, dipende dal punto di vista, la mia bicicletta.

Abaste II ha una bella storia alle spalle; o meglio, il suo predecessore, Abaste I, ne ha una che inizia quando l'ho dipinta di nero e gli ho attaccato due finte ali di plastica con l'intento di dargli un'aura vagamente demoniaca, riuscendo solo a renderla ridicola e terribilmente sbilanciata verso destra, e che si è conclusa esattamente una settimana fa, quando ho deciso per la prima volta di non andare a scuola a piedi e di portare con me Mana. Quando lei ha visto la bicicletta, ovviamente è andata su di giri, indicandola teatralmente come se avesse appena poggiato gli occhi su una creatura incredibile, per poi lasciarsi scappare un commento ammirato, “Non mi aspettavo di meno da Nightmare Edge, cavalcare il destriero del Signore dei Morti. Lo hai domato grazie al tuo potere incredibile, vero?”

“Non so di cosa tu stia parlando, e smettila di chiamarmi in quel modo...” la mia protesta a quel punto era priva di volontà, rassegnato com'ero al fatto che per quanto la riprendessi, non avrebbe mai imparato; l'unica cosa che mi tranquillizza, ora come in quel momento, è che a scuola evita di rivolgersi a me in questo modo.

“Sali, forza,” ho detto stancamente, dando un colpetto al sellino. Subire fin dalla mattina presto un tale assalto psicologico è più stancante di quanto potessi immaginare. Mana si è avvicinata lentamente, piena di timore, ed ha sussurrato formule magiche in una lingua probabilmente inventata, prima di avvicinarsi al manubrio… e carezzarlo come avrebbe fatto con un vero cavallo.

Quell'azione ha risvegliato in me i ricordi di quando gridavo incitamenti alla bicicletta per mandarla più forte, ridendo follemente delle fiamme oscure ed ardenti che in teoria avrei dovuto lasciarmi alle spalle per via degli zoccoli del mio incredibile destriero demoniaco. Trattenendo tutto me stesso dal morire di vergogna, ho aspettato che Mana avvicinasse il suo esile corpo alla parte posteriore della bicicletta, la tastasse insicura, per poi guardarmi negli occhi con profonda solennità, “Sono degna di montare una creatura tanto potente?”

“—Ma certamente.” e così se n'era andato il primo sospiro della giornata.

“Hai già imposto il tuo Sigillo di Comando su di lui, per lasciarmi salire?”

“Sigillo di Comando..?” mi sono passato una mano sul viso per tentare di trovare la volontà di risponderle ancora, “Sì. Sì l'ho fatto, per chi mi hai preso?” A quel punto ero disposto a tutto pur di farla sedere sulla bicicletta, per evitare di fare tardi a scuola. Stavo già iniziando a rimuginare su quella mia pessima idea e su come avessi sbagliato anche solo a portare fuori la bicicletta dal garage, quando Mana ha annuito e, sempre con fare reverenziale, si è inchinata a Abaste I e si è seduta con fare timoroso. Finalmente, mi sono detto, si può partire, ed ho spinto il pedale, facendo sferragliare per un attimo la catena. A quel rumore sinistro, tuttavia, ne è seguito un altro, ed un altro ancora. Prima che me ne rendessi conto, l'intera bicicletta emetteva un basso rumore agonizzante, tremando da cima a fondo.

E poi, contro ogni mia aspettativa, mentre Mana gridava qualcosa sulla furia del destriero infernale… mi sono ritrovato a barcollare per evitare di cadere sui rottami della bicicletta. Purtroppo per lei, Maeda non aveva avuto la stessa fortuna o prontezza di riflessi, finendo per terra insieme alla ferraglia inutilizzabile che rimaneva di quello che fino ad un attimo fa era nella sua mente un potentissimo cavallo dell'oscurità e della morte.

A due settimane dall'inizio della scuola, Abaste I ha incontrato la sua indecorosa fine, dopo anni di onorato servizio. Mi sono sentito un po' malinconico, quando il pomeriggio seguente Mana ha organizzato una specie di funerale abbastanza ridicolo nel giardino di casa mia, prima di andare a gettare quel che ne era rimasto. Dopotutto, quella sgangherata e consumata bicicletta mi aveva reso un onorevole servizio e aveva sperimentato direttamente su di sé le conseguenze della mia sindrome di seconda media. È stato un po' come perdere un compagno e probabilmente mi sarei sentito un po' più emozionato se Mana non avesse disegnato un enorme cerchio di evocazione con il gesso in mezzo al vialetto che divide le nostre due case, adducendo come intento quello di voler evocare un nuovo destriero.

“Perdonami, Minato, è stata colpa mia se Abaste è morto...” in quel momento, la sua voce affranta e il suo viso accartocciato in un'espressione sinceramente e teneramente dispiaciuta mi hanno colpito come un pugno allo stomaco, e non ho potuto fare a meno di arrossire di colpo pensando che, alla fine, al di sotto della sua sindrome di seconda media, rimane comunque una ragazza talmente bella nella sua unicità da assomigliare ad una bambola.

“No, non devi preoccuparti. Avevo comunque intenzione di comprarne una nuova,” il che era una bugia solo in parte, così come dopotutto non era di certo stata lei a rompere la vecchia bicicletta, ma quelle parole l'avevano ispirata talmente tanto da spingerla a mettere insieme quella plateale messinscena della evocazione. Fortunatamente abbiamo cancellato il gesso prima che qualcuno venisse a darci dei vandali.

Comunque, dopo una settimana dalla “morte” di Abaste I, mia madre mi ha comprato come regalo per l'inizio della mia nuova e brillante vita scolastica una nuova bicicletta. Inutile dire che Mana ne è stata talmente entusiasta da commuoversi nel vedere riuniti cavaliere e cavallo. Ha insistito per gettare su di lui una quantità di incantesimi e sigilli di protezione, per renderlo ancora più forte, e poi mi ha nuovamente chiesto del Sigillo. Ancora una volta, le ho risposto di sì. Ancora una volta, lei è salita dietro con fare timoroso. Ancora una volta, ho spinto il pedale. E la bicicletta, tuttavia, questa volta, si è mossa senza crollare; anzi, al contrario, si è lanciata dopo qualche pedalata in una vera e propria gara contro il vento che mi ha preso ben più di quanto pensassi.

Per tutto il viaggio, tuttavia, ho avuto costantemente le braccia di Mana attorno al petto, per evitare di farla cadere, e quando sono arrivato a scuola probabilmente il mio viso era più rosso per quel contatto che per la pedalata.

Da quel giorno, di quando in quando, io e Mana andiamo a scuola in bicicletta. Quando non succede, semplicemente andiamo a piedi, coprendo la distanza tra la scuola ed il liceo chiacchierando come farebbero due normali adolescenti. O meglio, io ascolto le sue strampalate storie di magia, commentando di quando in quando, ostentando un fare disinteressato che non rispecchia esattamente la verità – i suoi racconti di sindrome di seconda media ancora fanno nascere in me ricordi imbarazzanti abbastanza da darmi l'istinto di prendermi a schiaffi; d'altra parte, quando si perde, in quei momenti, nella descrizione di una scena particolarmente importante, i suoi occhi iniziano a brillare intensamente e divengono due vortici, due pozzi di ombra che sembrano attraversare il velo della realtà per scrutarvi attraverso e osservare qualcosa che a me, a noi tutti, è stato precluso.

In classe, tutti hanno capito dopo poco che Mana è afflitta dalla sindrome di seconda media, e hanno iniziato ad osservare le sue stranezze ad una distanza di sicurezza; fortunatamente, nessuno vede come una cosa strana il fatto che io e lei passiamo tanto tempo insieme, probabilmente perché siamo vicini di casa, e per questo vederci andare e venire insieme da scuola non è qualcosa di insolito. Tra le ragazze, l'unica che ha avuto il coraggio di parlare con Mana e di stringere amicizia con lei è Nao; con la sua aura abbagliante da angelo, non ha potuto far altro che conquistare la piccola chunnibyou, che l'ha immediatamente annessa nella sua cerchia di compagni di avventure sovrannaturali, definendola come “The Fallen Angel”, nonostante non abbia assolutamente nulla che possa classificarla come rinnegata o caduta in disgrazia.

“Perdona l'attesa, Nigthmare Edge,” come apparendo dal nulla, Mana mi dà un colpetto al braccio per richiamare la mia attenzione, distogliendomi dal flusso dei miei pensieri e rivolgendomi uno sguardo dubbioso, “Ti vedo assente, sei stato vittima di un attacco mentale? Devono essere state le Streghe di Salem ed i loro incantesimi...”

“Assolutamente no! Piuttosto, sbaglio o avevamo deciso che mi avresti chiamato normalmente, d'ora in poi?”

Come realizzando il suo terribile errore, Mana sgrana gli occhi, iniziando a scuotere la testa, “Ho commesso un errore imperdonabile che potrebbe metterti in pericolo. Hai ragione… Allora, buongiorno Nigh—” prima di sbagliare nuovamente, si morde la lingua, interrompendo a metà la frase, “Minato, perdonami. E buongiorno anche a te, Abaste.”

Niente da fare, non ci riesce proprio. Evito di sottolineare come sia inutile chiamare me per nome, se poi si rivolge alla bicicletta con quell'assurdo nome che le ha affibbiato, e la invito a salire, “Andiamo, o faremo tardi.”

Questa volta senza alcuna esitazione, Mana si accomoda e allunga le mani a stringermi la giacca, un compromesso che abbiamo trovato per evitare quel contatto fisico esagerato e fraintendibile, visto che qualche voce ha iniziato a circolare in classe ed ho dovuto fare di tutto per riuscire a metterla a tacere, con l'aiuto di Nao e di Haruhiko. Avere due rappresentanti di classe come amici ha i suoi vantaggi, dopotutto; nella seconda settimana, sono state effettuate le votazioni, scegliendo un ragazzo ed una ragazza per ricoprire questo delicato ruolo. Ovviamente tra i ragazzi l'unica opzione è stata Haruhiko, che ha ricevuto il cento per cento dei voti, grazie alla sua aria seria ed affidabile. Per le ragazze, la cosa è andata un po' diversamente. Da una parte, Hitomi Mori e dall'altra Nao Watanabe – ovvero, le due stelle della nostra sezione; la lotta è stata terribilmente accanita, e quando Nao ha ottenuto la vittoria grazie alla sua condotta diligente ed impeccabile ed al suo carattere che ispira fiducia e tranquillità, Hitmoi non l'ha presa bene. In realtà, credo che veda in lei una rivale, una sfidante al suo dominio, quando in realtà non c'è nulla di più distante dalla verità.

“Il tempo è volato, oggi inizia la terza settimana di scuola,” dico, voltandomi appena per rivolgermi alla ragazza che stringe saldamente la giacca e fa vagare il suo sguardo sul paesaggio che le scorre sotto gli occhi, “Piuttosto, hai già deciso se entrare a far parte di qualche club? La prossima settimana inizieranno le attività.”

“Ho già in mente qualcosa di utile al nostro scopo,” a quell'affermazione di Mana, non posso far altro che maledire la mia boccaccia per aver posto una domanda alla quale so benissimo che ci sarà una risposta terribile, “Ci basterà organizzare un club di magia per attirare a noi tutti gli altri guerrieri prescelti per sconfiggere l'Antico e riportare la pace nel nostro mondo. Distruggeremo quest'illusione!”

“Cosa fai?! Non metterti in piedi così di scatto, o rischi di cadere! E poi, è un'idea folle, nessuno accetterà mai.”

Giunti nel cortile della scuola, la mia prima preoccupazione è quella di dover sostenere questa ennesima follia che sta mettendo in piedi Mana; mentre, infatti, chiudo la bicicletta con la catena, lei non ha ancora smesso di illustrarmi un complicato e contorto piano che consiste nello sconfiggere una sorta di demone, il quale albergherebbe nella sala professori, utilizzando i docenti come marionette – e così facendo, una volta eliminato questa sorta di boss finale, la scuola diverrebbe una roccaforte dei valorosi guerrieri che si oppongo alla Nebbia.

“Buongiorno Minato. Mana, vedo che sei piena di energia fin dalla mattina,” il saluto accompagnato da un sorriso radioso non può che appartenere a Nao, seduta al suo posto con i libri di testo già aperto, a ricontrollare qualche esercizio con aria pensosa.

“Fin troppo piena...” rispondo, con aria esausta, ricambiando il saluto e andando a poggiare lo zaino al mio posto. Mentre frugo al suo interno, per estrarne qualche quaderno e qualche penna, un paio di mani si poggiano sulle mie spalle, seguite da una scossa energia che fa tremare tutta la sedia, e da una risata a stento trattenuta. Ho imparato a mie spese che questo è il saluto tipico di Makoto nei giorni in cui, a suo parere, hai bisogno di una carica in più; il più pacato Haruhiko, invece, mi si affianca, gettandomi il solito sguardo d'intesa che ci unisce come un filo rosso del destino: entrambi, infatti, dobbiamo portare un peso che ha la forma e la voce di una persona. Penso che nessuno meglio di lui riesca a comprendermi in momenti come questo.

“Makoto, Haruhiko…” sussurro, stropicciandomi gli occhi, “Sto morendo di sonno.”

“Hai fatto le ore piccole per finire i compiti?” chiede il rappresentante di classe, rivolgendomi un sorriso comprensivo.

“Ah, no, non è così, è solo che—” la mia frase viene troncata a metà da un improvviso sbadiglio che mi sale alla bocca.

Makoto, con l'aria di chi la sa lunga, mi allunga una lattina, poggiandola sul banco con un tintinnio, “Prendi questo. Ti terrà sveglio.”

“Mh? Concentrato di caffeina?” leggo ad alta voce, rigirandomi dubbioso la lattina tra le mani e osservandone l'etichetta nera sulla quale è disegnata una fiamma dal pallido colore azzurro, e che porta il nome del prodotto: E-Flame, o Energy-Flame. Una bevanda energetica dall'aspetto sinistro, “Bevi questa roba?”

“Solo in casi di estrema necessità. E questa mattina mi sembra una di quelle situazioni,” si siede sul bordo del mio banco, dandomi la schiena per metà, e mi prende dalle mani la lattina, allontanandola dalla mia presa prima che possa aprirla, “Cosa hai fatto ieri sera? Non dirmi che sei stato davvero in piedi fino a tardi a fare matematica. Ed io che pensavo fossi un tipo ragionevole, non come Haruhiko...”

“Guarda che sono qui.”

La verità, è che non mi sono reso conto dell'ora mentre portavo gli ultimi scatoloni rimasti in fondo all'armadio fino allo sgabuzzino; avrei fatto prima se, nel cercare qualcosa di utile rimasto in mezzo a quelle cianfrusaglie, non avessi iniziato a rievocare una quantità di memorie talmente imbarazzanti da arrivare a tormentarmi anche prima di dormire. Il risultato dell'intera operazione, sono state le appena tre ore di sonno che sono riuscito a dormire prima di dovermi svegliare di malavoglia per venire fino a scuola. Ho preso la bicicletta nella speranza che la pedalata potesse rinfrescarmi e svegliarmi del tutto, ma non sono stato così fortunato; anzi, forse ho ottenuto l'effetto opposto. Ma come posso spiegarlo ad Haruhiko e Makoto? La realtà dei fatti non è qualcosa di così facile da raccontare, nel mio caso… “Sì, erano compiti estremamente difficili. Dannata matematica.”

“Effettivamente hai ragione. Sono decisamente più difficili di quello che eravamo abituati a fare alle medie, ma sono sicuro che ci abitueremo presto,” afferma Haruhiko, sistemandosi gli occhiali sul volto, mentre annuisce vigorosamente alla mia affermazione, solo per essere ripreso da Makoto e da un suo schiocco di lingua contrariato, “Tu sei un genio, Haru, di cosa stai parlando? Non avrai il minimo problema. Prenderai di nuovo dei voti altissimi, eh, capoclasse?”

“Puoi anche smetterla di chiamarmi così...”

L'amichevole battibecco mattutino dei due, un vero e proprio rito, viene interrotto dall'arrivo del professor Mikuni, e tutti torniamo a sederci ai nostri posti. Infilo rapidamente la lattina nello zaino, con l'idea di non berla e di riconsegnarla a Makoto quanto prima; mentre ci sediamo tutti, dopo l'inchino, la mia attenzione viene catturata da un posto vuoto in fondo all'aula. La sedia di Kazhuiro oggi è vuota; non è la prima volta che succede, nelle ultime settimane. Questa dev'essere la terza o quarta volta, almeno, che non si presenta alle lezioni. Automaticamente, non posso che cercare Nao per vederne una reazione e, come mi aspettavo, il suo sguardo è colmo di preoccupazione ed una sorta di vaga tristezza, come se non sapesse bene cosa fare in questa situazione.

Non conosco esattamente quale sia il rapporto tra loro due, onestamente; Nao tenta spesso di parlargli, o di invitarlo ad unirsi a noi, ma lui rifiuta sempre con una risposta secca. Dall'inizio della scuola, esattamente come per Mana, nessuno gli si è ancora avvicinato a causa della sua presenza soverchiante e dell'aura intimidatoria che emana; quando è tornato a lezione, mostrando il suo permesso per l'assenza, il viso del professore per un secondo si è come piegato in un'espressione di stupore, ed ha accettato tutto senza dire nulla, ma limitandosi ad annuire. Una reazione che ha generato molti sussurri in classe.

Il professor Mikuni chiude il registro dopo aver segnato rapidamente le presenze, proprio nel momento in cui la campanella che segna la fine della homeroom mattutina tintinna, risuonando per tutti i corridoi; ed è nello stesso istante, che la porta della classe si apre. Simultaneamente, tutte le teste si voltano verso l'ingresso dell'aula. Quando alcuni riconosco la figura che sta sull'uscio, abbassano la testa o distolgono lo sguardo, ma la maggior parte rimane immobile, come congelata dall'improvvisa apparizione di Kazuhiro. Se è possibile, il suo volto sembra ancora più cupo del solito, increspata in un'espressione di disappunto e rabbia. Senza una parola, ignorando tutti gli sguardi che sono calamitati su di lui come attirati da una forza misteriosa, attraversa l'aula fino a raggiungere il suo banco, dove si siede tranquillamente, poggiando lo zaino come se nulla fosse, per poi voltarsi a guardare fuori dalla finestra, fissando insistentemente il cielo parzialmente scuro al di fuori.

Il silenzio è talmente pesante da essere insopportabile, e perfino il docente non sembra intenzionato a dire nulla, sorpreso e spaventato quanto noi dall'apparizione talmente improvvisa. Dopo un lungo istante di forte indecisione, come risvegliandosi da un improvviso stato catatonico, si schiarisce la voce con forza – ed è come se spezzasse, con quel singolo suono, l'incantesimo di sospensione caduto su tutti noi. Pur rimanendo in silenzio, tentiamo di smetterla di fissare il nuovo arrivato con tanta insistenza ed io, per conto mio, non posso che notare come l'intera figura di Nao sia presa da un leggero tremore, e se prima i suoi occhi erano pieni di preoccupazione, ora sembra volerla riversare tutta sul ragazzo silenzioso e dall'aria minacciosa che non sembra intenzionato a fare nulla.

“Ogawa..?” la voce del professore è esitante, quasi non sappia come comportarsi in una situazione come questa, con una persona come lui, “Il tuo… permesso?”

Quelle parole attirano l'attenzione di Kazuhiro, che distoglie lo sguardo dall'esterno per poggiarlo, dopo aver voltato la testa con estrema lentezza, in quello del professore. Nessuno ha il coraggio di incrociare quegli occhi. Nessuno ha il coraggio di guardavi all'interno per capire cosa stia passando nella sua testa. Per un istante, qualcosa in lui mi ricorda me stesso. Terribilmente solo. Lasciato in disparte.

“Il permesso dell'altro giorno è valido fino alla fine del mese,” la sua risposta secca è sufficiente a far irrigidire il professor Mikuni, “Può controllare anche subito.”

Resosi conto di aver commesso un errore madornale, allo stesso modo che se avesse stuzzicato un leone o una qualche altra bestia feroce estremamente pericolosa, disturbandone il riposo, il docente responsabile, come una statua portata alla vita che tenti penosamente di muoversi, annuisce meccanicamente, “Perdona la mia dimenticanza,” ed ancor prima di poter udire la risposta, esce dalla classe in una maniera che purtroppo non salva per nulla il suo decoro.

Kazuhiro schiocca la lingua, senza aggiungere altro, e si piega sul banco, poggiando la fronte tra le braccia incrociate, rimanendo lì immobile come una riproduzione in cera. Nao vorrebbe parlargli, ma purtroppo per lei, l'insegnante della prima ora è già entrato in aula, gettandoci anche uno sguardo pieno di curiosità nel vederci così silenziosi ed estremamente composti, ma non sembra badarci troppo, probabilmente convinto di possedere una sorta di aura che incute rispetto, o qualcosa del genere.

Mentre la lezione inizia e tutti tentano di concentrarsi e dimenticare quel che è appena accaduto, qualche commento si alza, a bassa voce, tra un banco e l'altro. Ma a Kazuhiro non sembra importare. Scrive tranquillamente sul suo quaderno senza distogliere lo sguardo dalla lavagna, senza curarsi di chi gli sta intorno. A volte, mi chiedo se non abbia ragione Nao – se sotto quell'aspetto possa esserci qualcos'altro che non riusciamo a vedere perché non vogliamo saperne di avvicinarci a lui.

Le mie riflessioni sono ancora una volta interrotte, questa volta da un bigliettino volante recapitatomi sotto la forma di una pallina di carta lanciata per la distanza di due banchi, come se fosse una sfera di energia, e che va a colpirmi proprio in mezzo alla fronte. Trattenendo un sussulto, alzo rapidamente gli occhi dal messaggio non ancora aperto per cercare il suo mittente, anche se so benissimo di chi si tratta. Il solo fatto che la prima frase del messaggio sia “Saluti, Branditore della Black Zagan”, circondato da una torma di ghirigori e disegnini gotici stilizzati è sufficiente a fornirmi l'identità del colpevole. A confermare i miei sospetti, Mana se ne sta a fissarmi con aria di trepidante attesa, le dita delle mani incrociate a formare una specie di complicato intreccio magico di qualche genere. Mi fa cenno di continuare a leggere, nonostante questa sia l'ultima cosa che vorrei fare…

“Saluti, Branditore della Black Zagan; io, la scelta dall'Occhio Maligno, ti annuncio che, quando la luna sarà al suo quinto plenilunio, e i pianeti allineati nel cielo mostreranno i loro volti pallidi e sanguigni, ed il cielo si tingerà di viola illuminando le stelle di bagliori cremisi, allora ci recheremo a fronteggiare il demone che si nasconde nelle spoglie del professor Mikuni per reclamare come nostra fortezza un'aula di questa scuola.”

Rileggo una seconda volta il foglio di carta, per essere sicuro di non essermi sbagliato nell'interpretare quel delirio condensato in poche righe, prima di tornare ad incrociare il mio sguardo con il suo. Ovviamente, ignara dei miei dubbi, nonostante penso sia ben chiaro dalla mia espressione che sembri tutto tranne una buona idea, lei stringe le piccole, delicate mani in due pugni, come ad incitarmi ad affiancarla in battaglia.

Per qualche strano motivo, ho come la pessima sensazione che finiremo in qualche guaio.

 

All'ora di pranzo, quando tento stancamente di riprendermi dalla pesantezza delle lezioni mattutine e vorrei davvero solo poter mangiare tranquillamente il mio pranzo tutti insieme, vengo letteralmente trascinato via da Mana. O meglio, prima di potermene accorgere, lei è già al mio fianco che mi prende la mano e mi incita a seguirla, continuando a chiedermi se sono pronto, perché “Si prospetta una dura battaglia. A proposito di questo, non vedo la Black Zagan,” aggiunge, uscendo dall'aula e lasciandoci alle spalle Haruhiko e Makoto che mi guardano con aria confusa.

“Dove vai, Minato?” chiede Makoto, indicando il mio pranzo abbandonato sotto il banco.

Haruhiko chiude il libro, poggiandovi il solito segnalibro nel mezzo, “Ti aspettiamo?”

“No, fate pure con calma, non so quanto ci metterò. Non so nemmeno se tornerò vivo.” La mia espressione funerea dev'essere stata sufficientemente esplicativa di per sé, perché entrambi sembrano perfettamente comprendere quali siano le circostanze, più o meno. Forse pensano che stiamo andando a parlare di qualcosa di estremamente grave con il responsabile di classe; non è esattamente sbagliato, dopotutto, ma forse è meglio non specificare il motivo di tutto questo trambusto. Il solo fatto che mi abbiano visto allontanarmi con Mana dovrebbe essere abbastanza per far comprendere loro la realtà dei fatti.

“Scusami, ma non avevi detto che avremmo dovuto aspettare il giorno in cui la luna è rosso sangue, o qualcosa del genere?” chiedo, quando arriviamo in prossimità dell'ufficio di Mikuni. Per qualche motivo, siamo accovacciati dietro all'armadietto dei trofei, in attesa di un agguato o del momento propizio per portare il nostro attacco. O almeno è stata questa la giustificazione con la quale se n'è uscita Mana.

“Il giorno è proprio questo.”

“Ma non c'è la luna, siamo in pieno giorno!” protesto, indicando il cielo al di fuori della finestra che si è schiarito, rivelandosi terso e sgombro da ogni nuvola – ma sopratutto, decisamente non viola. Anzi, è di un azzurro talmente intenso da chiedersi se non sia estate, piuttosto che un primo pomeriggio di primavera.

Mana si volta di scatto, ed i nostri visi si ritrovano a pochi centimetri l'uno dall'altro. I nostri occhi sono immersi l'uno in quelli dell'altra e mai come ora mi sono sentito assorbire dai suoi, divorare dall'oscurità che si muove in essi come una bestia famelica che strisci nell'ombra; se mai ho immaginato l'Abisso, nei giorni della mia sindrome, sicuramente lo avrei descritto così. Come i suoi occhi senza fondo, attraverso i quali il mondo cambia forma, aspetto e significato. Non posso che chiedermi, se anche io avessi gli stessi occhi, un tempo.

Il suo respiro caldo mi solletica il viso, e solo ora, quando riesco a distogliere lo sguardo, mi rendo conto di quanto siamo vicini. Un po' troppo vicini.

“Forse nell'illusione può essere giorno; ma di qua, nel mondo reale, è tutto perfetto.”

“—Avresti potuto scrivere semplicemente di aspettare la pausa pranzo.”

“Non so di cosa tu stia parlando; piuttosto...”

“E non cambiare discorso!”

“...non hai portato la Zagan con te perché puoi richiamarla, vero? Che cosa magnifica, proprio degno di un uomo che ha sconfitto la morte stessa,” sembra eccitata come una bambina anche al solo immaginare di poter richiamare un'arma dal nulla, estraendola dall'oscurità come ero solito pensare di fare io con la mia katana. Imbarazzante. Sopratutto quando tentati di farlo in cortile davanti a metà della scuola. Mi mordo il labbro per scacciare quel ricordo dolorosamente tremendo ed annuisco, “Ma certo, posso evocarla come e quando voglio...”

“Il piano è semplice. Evocherò il mio Sohn Der Nacht e lo attaccherò frontalmente, tenendolo occupato abbastanza perché tu possa strappare via la sua anima utilizzando la Black Zagan. Al mio segnale, entriamo, va bene?”

“No che non va bene! E poi, mi spieghi cosa vuoi fare con quella pistola giocattolo?” non so dove l'avesse nascosta fino ad ora, ma improvvisamente tra le sue mani è comparsa una riproduzione estremamente fedele di una revolver, proveniente probabilmente da qualche set di cosplay di quel famoso gioco da tavolo fantascientifico che non riesco a ricordare – qualcosa che aveva a che fare con asce e guerre. Ma non è questo quel che importa, perché… “Mi devi seriamente spiegare dove tenevi anche quella spada. Puoi davvero fare apparire le cose dal nulla? Aspetta, oggi, mentre non guardavo, sei venuta qui per nascondere tutto questo, vero? Anzi, non dirmelo. Ho paura della risposta.”

“Mh? Ho semplicemente evocato la mia arma. Ti presento—” con un gesto estremamente teatrale, accompagnato da un basso e continuo sussurrare formule magiche tra i denti, abbastanza da attirare sguardi curiosi di più di uno studente, incastra la pistola sul manico inferiore dell'arma, rendendola a tutti gli effetti una Gunblade, “—Sohn Der Nacht!”

Se prima si trattava solo di una impressione, ora sono più che sicuro che questa intera faccenda finirà estremamente male se non faccio qualcosa. Quindi, scuotendo la testa mentre raccolgo tutta la pazienza rimasta nel mio stanco e provato corpo, il cui stomaco continua a reclamare meritato cibo, mi alzo in piedi e mi preparo a fermare l'impeto di Mana. Non ho intenzione di prendere una nota disciplinare all'inizio dell'anno. Non dopo averne avute abbastanza alle medie per i miei tentativi di svolgere i compiti con la magia o di evocare demoni in classe – entrambe cose che non hanno mai funzionato.

“Ascolta, Mana—”

“Bene, ora è il momento: via!” Prima ancora che io possa dire qualcosa lei è già scattata in avanti, sgusciando via dal mio braccio teso, senza nemmeno voltarsi indietro, sicura che io sia al suo fianco in questa follia. Davanti ai miei occhi sbarrati, come se tutto il mondo fosse improvvisamente rallentato per mostrarmi secondo per secondo la scena, la vedo entrare nell'ufficio del professor Mikuni, la cui porta era socchiusa; non sono abbastanza rapido da riuscire a seguirla e tapparle la bocca prima che dica al nostro responsabile, guardandolo negli occhi con una espressione mortalmente seria e la Gunblade ben tesa in avanti,“Reclamo questo luogo come mia fortezza nella guerra contro l'Antico!”

L'espressione sul viso di Mikuni è talmente confusa che, in un'altra situazione, sarebbe anche potuta essere comica. Ora come ora, invece, l'unica cosa a cui riesco a pensare è risolvere questa situazione prima che precipiti più di quanto non abbia già fatto. Agitando la mano destra come un forsennato, e togliendole di mano quella imitazione dall'aria estremamente realistica, ignorando la proteste di Mana, riesco a riguadagnare il controllo della situazione; “Vuole fondare un club, un club, ecco cosa intendeva!” mi affretto a dire, tentando di correggere quell'enorme malinteso generato dalla divorante sindrome della mia compagna di classe, “Vero, Mana?” aggiungo, strizzandole l'occhio con complicità, piegandomi poi per sussurrarle, “Non possiamo vincere, siamo in pieno territorio nemico. Dobbiamo essere diplomatici, va bene?”

Comprendendo la situazione, Mana annuisce meccanicamente, prima incerta, ma poi come realizzando la veridicità delle mie parole, mi indica senza nemmeno voltarsi, “Esattamente come dice Minato.”

Mikuni riesce a ricomporsi abbastanza da ricostruire lo svolgersi degli eventi, tuttavia non sembra eccezionalmente disturbato dall'accaduto; anzi, si lascia scappare una risatina, come se avesse preso tutto questo per una sorta di scherzo, “Volete entrare a far parte del club di teatro? O uno di roleplay? Potrebbe essere un'idea. Ma non c'era bisogno di fare tutta quella messinscena.”

Ed ecco spiegata la sua mancanza di reazione. Ha frainteso decisamente le intenzioni di Mana. O meglio, ha solo pensato all'opzione più plausibile e normale tra le possibilità e non può che essere un bene. Effettivamente il comportamento di questa piccola ragazza affetta da sindrome di seconda media potrebbe essere scambiato per quello di una appassionata di teatro o di una fanatica di giochi di ruolo – ma la cruda verità forse sarebbe troppo da sopportare per il professore. Comunicargli così apertamente di avere un altro elemento problematico in classe, al di fuori di Kazuhiro, sarebbe traumatico.

Comunque, stando così le cose, forse il piano strampalato di Mana potrebbe trovare un senso; per una volta, la sindrome di seconda media potrebbe essersi rivelata utile al nostro scopo...

“In realtà, avevamo intenzione di creare una associazione di guerrieri per sconfiggere l'avanzare della Nebbia.”

...o forse no.

E con questa affermazione, possiamo dire addio ad ogni possibilità di fondare un club.

“Non credo che la scuola potrebbe accettare qualcosa di simile, purtroppo,” il professore ci porge un modulo da compilare per inoltrare richiesta, rivolgendoci allo stesso tempo un sorriso comprensivo, “Però potreste provare, no?”

Mentre usciamo dalla segreteria, impegnato come sono a consolare una abbattuta Mana che ha visto infrangersi i suoi piani per la creazione di un gruppo per affrontare qualunque nemico invisibile, incrociamo una Nao sovrappensiero e malinconica, che ad occhi bassi bussa alla porta dell'ufficio di Mikuni, senza nemmeno notarci mentre ci allontaniamo dalla direzione opposta rispetto a quella da cui è venuta. È impossibile che lei abbia fatto qualcosa; possibile che si tratti di Kazuhiro? Non c'è altra spiegazione. Mi riprometto di chiederle spiegazioni, non appena ne avrò l'occasione; ora, purtroppo, non posso far altro che continuare a tentare di tenere sollevato il morale a terra di Maeda, che stringe tra le mani il modulo per la richiesta con fare abbattuto.

“Siamo stati sconfitti,” sentenzia funerea, entrando in classe proprio mentre la campanella suona la fine della pausa pranzo, senza che nessuno di noi due abbia toccato cibo. A quell'affermazione, Haruhiko mi lancia una occhiata interrogativa, alla quale rispondo con una scrollata di spalle, sufficiente a fargli capire che è una questione abbastanza delicata.

“Ascoltami,” le dico, dandole un colpetto sulla spalla, “Non c'è di certo bisogno di abbattersi così. Dobbiamo almeno provare ad inviare il modulo. Potrebbero anche accettarci, no?”

Come se quelle poche parole fossero bastate a riportare la luce della speranza nelle tenebre dell'abbattimento, rischiarandole l'animo, Mana annuisce vigorosamente, afferrando la mia mano con le sue piccole e affusolate dita, in un gesto che non passa inosservato, visto che ci troviamo nel bel mezzo della classe, “Hai ragione, Minato! Averti al mio fianco è decisamente un'ottima cosa.”

A quelle parole, un coro di voci sorprese si alza in un unico, unanime “Oh”, seguito da un'ondata di sussurri ed occhi sbarrati inevitabilmente raccolti attorno alle nostre dita intrecciate. Impiego qualche secondo a capire la situazione nella sua totalità e nelle sue implicazioni; arrossendo di colpo, libero la mano dalla presa di Maeda, nel vano tentativo di spiegare il malinteso, “No, non avete capito, non è come pensate! Mana, diglielo anche tu, per favore!”

“Dirgli cosa?” chiede lei di rimando con sguardo interrogativo, piegando appena la testa di lato, completamente ignara del putiferio che è scoppiato da quell'unico gesto.

“Beh, le mie congratulazioni, voi due,” Hitomi Mori si fa largo tra la folla, arrivando a piazzarsi tra di noi e stringendoci la mano con un sorriso entusiasta in viso, come se stesse osservando in diretta la scena più emozionante della sua vita; addirittura, sembra quasi che stia piangendo dall'emozione, mentre continua a parlare, “Non mi aspettavo di certo che… voglio dire, in così poco tempo, anche se innegabilmente mi sembrate molto affiatati. Allora quelle voci erano vere, alla fine!”

“Perché non mi hai detto nulla, Minato?! Pensavo fossimo amici!”

Makoto, sei il solito idiota, per favore non immischiarti anche tu, la situazione è già sufficientemente disperata in questo modo. Fortunatamente, Haruhiko ha molto più buon senso di lui, e lo mette a tacere con un colpo deciso del dorso del libro sulla testa, che risuona come una campana vuota, e mi fa segno di resistere, prima di sparire dalla classe alla ricerca di rinforzi con il suo compagno stordito al seguito; nonostante questo, non riesco a parlare a causa del continuo cinguettare deliziato di Hitomi, ancora impegnata a dipingerci come una coppia perfetta. L'intera classe sembra pendere dalle sue labbra e non posso fare a meno di pregare che arrivi il professore per mettere fine a questa che assomiglia quasi ad una visita allo zoo, dove io sono chiuso in gabbia e sottoposto ad una morbosa attenzione. Con la differenza che un animale riceve delle attenzioni per un motivo fondato, non per via di un pettegolezzo che ha allungato le sue radici ed è sbocciato in un malinteso derivato da un'azione innocente.

Tuttavia, la figura che entra in classe aprendo la porta di scatto, con una decisione tale da far irrigidire tutta la classe, non è quella di un professore, bensì di una ragazza – di Nao, per la precisione, che appare con le braccia incrociate e lo sguardo deciso della rappresentante di classe, affiancata da un ansimante Haruhiko, che alza il pollice in segno di vittoria al mio silenzioso ringraziamento. Guardandola ora, mi chiedo come potesse essere fino ad un momento prima così abbattuta. Sembra un'altra persona, come rinata, nel momento in cui è stata chiamata al suo dovere, e non posso che sentirmi rassicurato nel vederla arrivare fino a noi, chiedendo cosa stia accadendo. Il problema che sorge ora è un altro – ci sono tutte le carte in regola per uno scontro tra Nao ed Hitomi, uno spettacolo a cui non vorrei assistere per nulla al mondo. In questo preciso momento, mi ispirano entrambe un terrore soverchiante, e posso quasi avvertire la tensione schiacciante che gravita tutt'attorno alla coppia, quasi come se un'aura di energia vorticasse attorno a loro espandendosi nell'area circostante. Con la coda nell'occhio, vedo Kazuhiro che accenna ad alzarsi, seduto solo per metà, quasi come se stesse per intervenire nel momento in cui ha visto Nao farsi avanti.

Fortunatamente, Haruhiko riesce a mettersi in mezzo e a fare il ragazzo ragionevole abbastanza da riportare la serenità in mezzo a questo delirio in cui si è andata trasformando la classe.

“Mori, per favore, potresti chiedere scusa a Minato e Maeda?”

“E va bene, come vuoi tu, Nishimura. Perdonatemi, sembra che io abbia frainteso, eheh...”

Se solo ci fosse un briciolo di sincerità, al di sotto di queste parole, mi sentirei decisamente meglio. Ma l'importante è che tutto si sia risolto senza che nessuno sia rimasto ferito. La lezione inizia, dopo qualche istante di esitazione da parte del professore, che ha osservato le ultime battute dell'accaduto immobile sull'uscio, senza riuscire a comprendere del tutto cosa stesse accadendo. Seduto al mio banco, noto che Kazuhiro è tornato al suo solito atteggiamento; sono più che sicuro, tuttavia, di averlo visto reagire quando Nao si è fatta avanti. Era come se fosse pronto ad intervenire in qualsiasi momento per mettersi al suo fianco ed allontanare Mori. O forse lo ho solo immaginato? Con questo dubbio, passa il resto della giornata, priva di intoppi e stranamente tranquilla dopo tutti gli eventi della mattinata.

Come a volerci sbeffeggiare, dopo averci dato un istante di cielo terso, ora grandi nuvoloni grigiastri si ammassano su di noi, minacciando pioggia da un momento all'altro. Essendo venuti in bicicletta, sarebbe un problema se finissimo a dover pedalare sotto un temporale, ma non possiamo fare altrimenti. Mentre Mana aspetta con il foglio in mano, che si è rigirata nervosamente tra le dita talmente a lungo da sgualcirlo leggermente, io sgancio la catena di Abaste II. Il destino vuole che, proprio accanto a me, passi una certa ragazza dall'aria innocente e dolce, ma che probabilmente nasconde più spine di un rovo – Hitomi mi saluta con un cenno della mano, poggiandosi al palo che regge il piccolo telo teso sopra le biciclette, onde evitare di farle bagnare, e mi rivolge un mezzo sorriso, scusandosi di nuovo, questa volta con più sincerità, “Non volevo metterti in imbarazzo,” aggiunge, chinando la testa, “So come ci si sente ad avere un'amica afflitta dalla sindrome di seconda media.”

“Davvero?” lo stupore nella mia voce dev'essere più che evidente, perché scoppia a ridere di colpo passandosi una mano sugli occhi per asciugare una lacrima provocata da quello scoppio improvviso di ilarità, “Era una mia cara amica. No, anzi – la mia migliore amica.”

“Ed ora?”

“Ora non c'è più. È andata via per sempre,” il suo sguardo è perso nel vuoto, mentre lo dice, come se stesse guardando ad un ricordo lontano, attraverso il velo della realtà, dove i miei occhi non riescono a raggiungerla, ma le sue labbra si serrano di colpo in una piega di determinazione un attimo dopo, “Ma non posso dire di esserne scontenta. Anzi, forse il contrario.”

“Non è una cosa un po'… scortese da dire? Era una tua amica, dopotutto, o no?”

“Già. Lo era. Ma dobbiamo tutti svegliarci dalle nostre illusioni, prima o poi… Beh, ci vediamo, Minato, sembra che Maeda ti stia cercando. Posso chiamarti Minato, vero? Tu chiamami pure Hitomi.”

“Ah, c-certo...” perché sto balbettando? E perché sto arrossendo? Sono davvero caduto in una trappola di così infimo livello? Quando mi sono ripreso del tutto dal suo attacco psicologico, lei è già sparita, andata per la sua strada, e riesco ad intuirne la sagoma che attraversa il cancello della scuola, dirigendosi nella direzione opposta alla nostra. Un tuono romba potente in lontananza, come un araldo del temporale che si sta preparando a venire, e mi ricorda che non ci rimane molto tempo. Mentre pedalo verso casa, con Mana che se ne sta in silenzio, presa dall'ansia di aver consegnato quel foglio, anche se non lo ammetterà mai nemmeno insistendo, il mio pensiero torna ad Hitomi e a quello che mi ha raccontato. Nel parlarmi di quella sua amica, mi è apparsa terribilmente onesta. Non la conosco da molto, né ho scambiato con lei più di qualche parola, ma fino ad ora per me è come se fosse stata avvolta da una sorta di aura di falsa bontà nel tentativo di imitare quella genuina di Nao; è come se indossasse una maschera per apparire diversa agli occhi degli altri, più brillante di quanto sia in realtà. Ma prima, sono sicuro che non stesse mentendo, né che stesse recitando alcun ruolo. Era la vera Hitomi Mori, quella? Quella specie di malinconia, nella sua voce, quando ha parlato dell'amica perduta… non c'è modo che fosse falsa, vero? Domande che pongo a me stesso, ma a cui non trovo una vera risposta. L'unica cosa che riesco a pensare, è che forse, per qualche momento, ho intuito qualcosa di lei che non avrei altrimenti mai scoperto. Le persone attorno a lei, forse non riescono a vederle attraverso… esattamente come non riescono a vedere attraverso a Kazuhiro, o a Mana? “Ah, sto solo complicando le cose!” sbotto, aumentando la velocità con cui sto pedalando quando un altro lampo riempie la mia visuale con la sua intensa luce.

E poi, una goccia. Mi cade sul naso, inumidendolo; come se fosse stato un segnale, il cielo si incupisce ancora di più, ed in un momento, una fine pioggerellina inizia a cadere su di noi, come in un preludio a qualcosa di ben peggiore che sta per abbattersi con tutta la sua forza, e questo mi spinge a pedalare più forte.

“—Minato,” la voce di Mana arriva flebile dalle mie spalle, in quello che è poco più di un sussurro sospirato caldamente dalle sue labbra vicine al mio orecchio, carezzandole appena, “Potresti rallentare?”

Non so bene perché me lo abbia chiesto, ma la accontento, diminuendo sensibilmente la velocità della mia andatura. La sento che si alza in piedi, in equilibrio precario, minacciando di farmi sbandare di colpo, ma riesco in qualche modo a tenere il controllo della bicicletta.

“Cosa fai? È pericoloso!”

“Sai… a me la pioggia non dispiace.”

In quelle semplici parole, c'è una tristezza che non mi sarei mai aspettato di udire. Non posso fare a meno di voltarmi ed osservarla, per un secondo, in piedi, così esile, con i capelli che fluttuano al vento e le braccia tese verso l'alto, come a voler afferrare le gocce che le scivolano lungo il viso. Quei due abissi neri più della notte e dell'inchiostro sono rivolti verso il cielo, quasi a volersi perdere in esso.

In questo momento, immobile, tesa con tutta se stessa verso l'infinita oscurità del cielo, circondata dalla pioggia, lei è—

“Hey, Minato.”

“Dimmi.”

“Impegniamoci al massimo per riuscire ad avere la nostra base, va bene? Così riusciremo a combattere. A vincere questa guerra. Io voglio davvero… rivedere casa mia.”

Non so esattamente di cosa stia parlando. La sindrome di seconda media è qualcosa di strano. Per la prima volta, mi ritrovo a voler davvero vedere questo luogo d'immaginazione che mi è stato precluso. Vorrei davvero poter vedere casa sua.

“...Ma certo.”

“Grazie, Minato,” con queste parole di ringraziamento, sento le sue mani stringersi di nuovo sulla mia giacca umida.

Oggi, posso dire di sapere una cosa su di lei. Forse una cosa sola.

Non le dispiace la pioggia.

   
 
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