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Autore: Black Swallowtail    27/02/2016    0 recensioni
"C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro."
Minato Saito è stato un caso più unico che raro di sindrome di seconda media - del tipo peggiore, un così detto "Evil Eye". Deciso ad iniziare una vita diversa, intenzionato ad allontanare il passato che lo tormenta, si appresta ad iniziare un nuovo anno scolastico; tuttavia, quello che lo attende supera di certo le sue aspettative. Scoprirà, suo malgrado, che non si sfugge tanto facilmente dagli artigli di quella strana malattia e che, spesso, se ne rimane vittime per sempre, anche dopo che si è tentato di fare di tutto per sfuggirgli.
Quella ragazza che, seduta poco davanti a lui, è convinta di essere un'eroina imprigionata in una falsa realtà, lo trascinerà con sé verso un mondo fantastico che si nasconde sotto gli occhi di tutti - un mondo di vetro; un mondo d'immaginazione.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Chapter 1 – Walking home with the Devil Eye

 

Il suono della campanella arriva come una sorta di benedizione, un tintinnare talmente atteso che, al solo udirlo, non posso fare a meno di scattare in piedi, pronto ad andarmene a casa il prima possibile, così da evitare ancora gli sguardi dei compagni di classe. Dall'episodio di questa mattina, non hanno ancora staccato gli occhi da me, continuando a lanciarmi occhiate di sottecchi; ovviamente non sono l'unica vittima delle loro attenzioni, e Mana ne ha ricevuto altrettante, se non di più, con il suo strano modo di fare.

Dopo l'accaduto, si è semplicemente messa a sedere, senza dire più nulla, cadendo in un silenzio profondo e totale; nessuno le si è ancora avvicinato, probabilmente troppo scioccati da quella presentazione tanto insolita per avere il coraggio di iniziare una conversazione. Seduta lì, da sola, con lo sguardo basso e le spalle leggermente piegate, mi ha riportato alla memoria, per l'ennesima volta, me stesso e la mia solitudine negli anni precedenti. Provo un po' pena, per lei, ma non me la sento ancora di approcciarla e tentare di parlarle, nonostante una parte di me muoia dalla voglia di sapere come faccia a conoscermi, ma sopratutto come faccia a sapere del mio oscuro passato e della mia sindrome di seconda media. Terminata la prima ora di lezione, ho messo a tacere i dubbi e mi sono, invece, dedicato a tentare di riparare alla pessima prima impressione che ho dato – e, grazie all'aiuto di Nao, penso di esserci riuscito. Quando gli altri mi hanno visto chiacchierare con una ragazza come lei, sembra che si siano convinti del malinteso; ho parlato con qualche compagno di classe, ho intrattenuto una conversazione senza lasciarmi sfuggire nulla di strano, mi sono morso la lingua quando ho quasi rivelato dettagli imbarazzanti, e nonostante ora abbia un leggero pulsare all'interno della bocca, posso dire di essere soddisfatto di aver quanto meno parzialmente raggiunto il mio scopo.

Ed ora, la pausa pranzo.

Nao si è seduta accanto a me, trascinando anche Kazuhiro con lei, ma il ragazzo ha declinato dopo qualche istante di profondo pensiero, preferendo rimanere in disparte; inutile dire che anche lui non ha attirato alcuna simpatia, esattamente come Mana. La differenza fondamentale è nel fatto che, mentre Maeda ha tenuto gli altri lontani con le stranezze che ha sfoggiato durante l'arco della giornata, prima tra tutte un complesso rituale di purificazione del cibo che ha incluso una preghiera dai toni macabri all'oscurità e al sangue e disegnare un cerchio di epurazione su un foglio di carta che poi ha poggiato al di sotto del suo banco, Kazuhiro incute in tutti lo stesso timore che ha soverchiato me, e perfino il professore. Non importa quel che Nao abbia detto di lui, rimane all'apparenza un vero e proprio teppista della peggior risma, una di quelle persone che ti aspetti di trovare su un cartellone da ricercato per una lista di crimini esageratamente lunga – insomma, un tipo non molto raccomandabile. A coronare il tutto, il suo carattere scorbutico di certo non lo aiuta.

“Quel Kazuhiro, a volte non riesco proprio a capirlo...” sbuffa per l'ennesima volta, portandosi il cibo alla bocca e masticando pensosamente, mentre tiene il mento poggiato al palmo destro, “Voglio dire, è il primo giorno delle superiori, dovrebbe tentare almeno di socializzare con qualcuno!”

“Credo finirebbe solo per spaventarli. Gli altri sono terrorizzati da lui,” ed io non sono da meno, ma è un pensiero che tengo per me. Poggio la scatola con il pranzo, ora vuota, sotto al banco e mi pulisco le labbra con un tovagliolo di carta, prima di appallottolarlo e di iniziare a giocherellarci pigramente, dandogli piccoli colpetti con l'indice, “Dagli un po' di tempo.”

“Se solo tentasse di essere più amichevole, forse non lo tratterebbero così...” Nao scosta il cestino del pranzo, anche il suo ormai vuoto, e inizia a toccare una ciocca di capelli, lasciando che scivoli tra le sue dita con lo sguardo chiaramente sovrappensiero, “Piuttosto, cosa mi dici di te? Sembra che gli altri siano passati sopra a quello che è accaduto questa mattina.”

“Ah, sì...” preso alla sprovvista, abbasso di colpo lo sguardo con fare imbarazzato e non posso evitare di sentire le guance tingersi appena di rosso, mentre annuisco nervosamente, “Ho chiarito tutto. È stato solo un malinteso.”

“Anche Maeda ha detto così, vero? Quindi non vi conoscete?”

Esito nel rispondere. La realtà, è che non lo so. Vorrei poter dire di no, ma a quanto sembra sarebbe solo una parziale verità – lei, chiaramente, mi conosce estremamente bene. Ma rispondere affermativamente significherebbe ammettere l'esistenza del mio passato oscuro che voglio tenere il più possibile a distanza, dopo tutta la fatica che ho fatto per cominciare d'accapo. È una domanda abbastanza ostica a cui dare una risposta.

Mi poggio l'indice sulla tempia, come nel tentativo di ricordare qualcosa, per poi scuotere la testa con aria confusa, “Non so cosa dire, in realtà.”

“Il professore ha detto che abitate vicini.”

Un altro dettaglio che non ho ancora del tutto afferrato. Per quanto poco mi sia interessato alle persone attorno a me fino a non molto tempo fa, non sono mai stato tanto distaccato dal mondo dal non conoscere, almeno vagamente, le persone che mi abitassero vicine; una cosa certa, è che non ho mai visto Mana Maeda nel mio quartiere, né tanto meno abbiamo frequentato la stessa scuola media – cosa che tutti i ragazzi della mia zona hanno fatto, in un modo o nell'altro, e che rappresenta anche il motivo dello scegliere una scuola abbastanza lontano dalla mia abitazione.

Scrollo le spalle, senza sapere bene come dire che, effettivamente, questa è la prima volta che la incontro, “Forse abitiamo in una zona distante. Il mio quartiere non è troppo grande, ma comunque è abbastanza abitato,” è una giustificazione estremamente debole, ma Nao sembra accettarla, perché annuisce, prima di voltarsi a guardare l'esile figura di Mana che sta ora scrivendo con fare febbrile ed estremamente concentrato su un piccolo quadernino degli appunti. Da quel che riesco a vedere da qui, la sua calligrafia è estremamente artificiosa, e ogni lettera è accompagnata da numerosi ghirigori, motivo per il quale anche solo scrivere una sola parola le impiega una gran quantità di tempo. Probabilmente sta tentando di imitare qualche carattere gotico. Strizzo gli occhi, nel tentativo di riuscire a leggere almeno una parola, ma purtroppo non ho superpoteri di alcun tipo, e l'ho capito dopo molto tempo, quindi senza una qualche sorta di vista aumentata non riesco a distinguere bene nulla.

“Mi spiace per lei. È un po' come Kauzhiro,” aggiunge improvvisamente, spostando l'attenzione sul teppista dall'aria assonata che dorme con la testa abbandonata tra le braccia, sdraiato sul banco con tutta la sua stazza, “Incompresi. Sono sicura che, se solo ci provassimo...”

Oh, Nao, tu sì che sei una persona estremamente gentile. Sembra uno di quei personaggi creati per trovare del buono in tutti ed essere gentile con chiunque, che crederebbe in qualunque persona per via del suo ottimismo. È come se brillasse di una luce propria che si riflette nel suo sorriso e nei suoi occhi, talmente intensa da rimanere abbagliati. Si alza in piedi, stiracchiandosi leggermente e allungando le braccia in aria, emettendo un basso gemito di soddisfazione, “Sono ancora stanca, devo decisamente abituarmi ai nuovi ritmi scolastici,” mi rivolge un rapido cenno di saluto, mentre si appresta ad uscire dall'aula, “Vado in bagno, prima che torni il professore.”

“Uh, ok.” è l'unica cosa che riesco a rispondere, mentre la sua figura si perde nella massa indistinta dei ragazzi e del loro andirivieni costante nel corridoio, come una massa di zombie che—

No, non ancora. Devo smetterla, assolutamente piantarla con questi paragoni terribili e fuori luogo. Mi alzo in piedi, sovrappensiero, ed i miei occhi mirano automaticamente al cestino in fondo all'aula. “Basta, non sono più il Nightmare Edge, o quello che è...” la mia mano si muove automaticamente, seguendo il filo di quel pensiero, portando con sé il braccio in una torsione che fa girare il mio busto su se stesso, la stessa posa che ero solito compiere quando brandivo quella claymore da cosplayer che avevo comprato tempo fa, e che avevo soprannominato Black Zagan.

Solo dopo che la pallina di carta è caduta esattamente nel centro del cestino, mi rendo conto di aver compiuto due errori madornale. O meglio, due errori madornali ed una azione che dall'esterno, per le persone ignare, dev'essere sembrata incredibile, perché un ragazzo mi si avvicina emettendo un basso fischio di approvazione, “Bel lancio, Minato. Giocavi a baseball? Sembrava proprio una posa da battitore, quella.”

Come colpito alle spalle da un attacco a sorpresa, mi irrigidisco di colpo, voltandomi di scatto verso il mio interlocutore, che risponde al nome di Makoto Kobayashi, un ragazzo tranquillo seduto esattamente dietro a me, ed anche la persona con cui ho parlato di più, escludendo ovviamente Nao. Si è rivelato simpatico oltre che molto amichevole, ed è stato uno dei primi a chiedermi cosa fosse accaduto tra me e Maeda; anche grazie a lui, che poi ha diffuso tra gli altri la voce dell'equivoco, sono riuscito ad evitare la catastrofe.

“Baseball? Oh, no. Semplicemente—” semplicemente ho brandito la riproduzione in scala uno ad uno di uno spadone medievale da cosplayer, ritenendo che fosse un'arma demoniaca di qualche sorta, e portandola con me praticamente ovunque, “Giocavo con i ragazzi del mio quartiere, e finivo sempre a fare il battitore, ecco,” una spiegazione decisamente più accettabile della imbarazzante e terribile realtà.

“Ci sai fare. Hai intenzione di entrare nel club di baseball, allora?”

“Devo pensarci, non so ancora cosa fare. Tu, invece, hai già pensato a qualcosa?” le chiacchiere innocenti da normale studente, che non coinvolgono argomenti come il potere oscuro, invasioni di spiriti o l'attacco di società segrete, sembra quasi un sogno. Un sogno talmente fragile che sembra sia destinato ad infrangersi di qui a poco, perché, con la coda nell'occhio, ho intravisto Mana che si è avvicinata al secchio della spazzatura, osservando intensamente la palla di carta che vi ho tirato. Lentamente, volta la testa fino ad incrociare il mio sguardo; distolgo immediatamente il mio, per tornare a concentrarmi su quello che sta dicendo Makoto, “Uh, Minato? Chi stavi guardando? Ah, Maeda. Avete chiarito, poi, giusto? Sai, anche se è un po' strana, ha un aspetto davvero… come posso dirlo?”

“Lontana?” un aggettivo che probabilmente nessuno userebbe per descrivere una ragazza, ma che, per lei, è perfetto. Irreale, perché è come se non vivesse del tutto in questo mondo. Irreale nel suo aspetto, nel suo modo di essere. Un po' come lo ero io, prima? Davo questa impressione? No, sono sicuro che io apparissi solo più ridicolo… ma questo è il punto di vista di chi lo ha vissuto e se ne pente con tutto se stesso.

Kobayashi schiocca le dita, come se avessi trovato il termine perfetto, “Esatto. Sembra perennemente assente. E quel che ha detto stamattina…” sembra riflettere per qualche istante, prima di scrollare le spalle, “Mh, non importa, alla fine. Piuttosto, ho visto che stavi parlando con Watanabe. Qualcuno l'ha già definita come una delle migliori.”

“Uh?” piego la testa lateralmente, dubbioso, “A cosa ti riferisci?”

“Ma ovviamente alla lista delle ragazze più carine della classe!” il tono di solennità ed eroismo con il quale lo annuncia, tendendo il braccio verso l'alto e poggiandosi una mano sul fianco, con un sorriso sghembo sul volto, non bastano a nobilitare quello che ha appena detto, “Siamo davvero fortunati, comunque. Hitomi Mori è già considerata un mostro sacro!”

Non voglio sapere come abbia fatto in un solo giorno a divenire un “mostro sacro”; non dovrei essere io a dirlo, ma è un termine che suona terribilmente sbagliato quando associato ad una ragazza, sopratutto ad una come Hitomi, che appare come una di quelle ragazze perfette in tutto, baciate dalla fortuna con talento, bellezza ed intelligenza. Probabilmente, nei tempi a venire, diverrà oggetto di venerazione ed invidia di molti. Non posso negare che sia una bella ragazza, ma… “Kobayashi.”

“Chiamami pure Makoto, non c'è bisogno di essere così formali, siamo compagni di classe, Minato.”

“Oh, certo...” mi schiarisco la voce, “Non pensi che sia un po' troppo per il primo giorno?”

La sua risata fragorosa è sufficiente come risposta, ed equivale ad un grosso, pesante no – evidentemente, per lui, non è troppo. Probabilmente ha già squadrato ogni ragazza della classe, con la stessa precisione e dedizione di una macchina a cui venga affidato un importante incarico. Ci sediamo ai nostri posti, in attesa che si consumino gli ultimi minuti della pausa, mentre Makoto continua a sommergermi con le sue infinite opinioni e voci che ha già raccolto su questa o quella ragazza.

Una macchina. Una macchina specializzata nell'incamerare informazioni inutili.

“Hey, Makoto, stai di nuovo riempiendo la testa di qualcuno con quella strana lista?” la voce dal tono profondamente rassegnato che ci raggiunge, inserendosi prepotentemente nella conversazione, appartiene al ragazzo seduto nella fila a destra davanti a Nao. Si siede tra di noi, tenendo un libro aperto a metà in mano, l'indice che ferma le pagine in modo da non perdere il segno, ed il suo sguardo annoiato è indice del fatto che questa non è sicuramente la prima volta che deve sorbirsi i deliri di Kobayashi.

“Oh, tu sei Saito, vero? Piacere di conoscerti, sono Haruhiko Nishimura—”

“Basta con tutte queste formalità, Haru! Sai, Minato, io e lui andiamo in classe insieme dalle medie. È un vero genio, credimi.”

“Sono solo abbastanza assennato dal non mettermi a raccogliere informazioni sulle ragazze come un ossessionato,” risponde sistemandosi gli occhiali dalla semplice montatura nera, stringendomi la mano che gli ho teso nel frattempo, “Scusalo, ma non riesce a trattenersi, ha atteso l'inizio delle superiori per mesi.”

“No, non fa niente, un po' lo capisco,” scuoto la testa mentre rispondo, con un cenno di vago diniego, “Quindi vi conoscevate già da prima, eh?”

“Devo tenerlo al guinzaglio, altrimenti rischia di finire con qualche denuncia.”

“Sbaglio o mi stai facendo passare per una sorta di stalker?”

“—Ma non ti sto facendo passare per una sorta di stalker. Lo sei e basta. E quella lista lì ne è la prova.”

La discussione tra i due viene interrotta dall'inizio della lezione. Ognuno torna al proprio posto e, mentre poggio i libri di testo sul banco che il professore sta illustrando come necessari per lo svolgimento del programma dell'anno, mi ritrovo a sfogliarne pigramente le pagine senza davvero leggerne il contenuto, troppo preso dal pensiero di essere riuscito a farmi finalmente degli amici. Nonostante lo strano inizio della giornata, tutto sembra stare procedendo perfettamente, ancora meglio di quanto mi immaginassi. Fino a qualche mese fa, non avrei mai nemmeno pensato che tutto questo potesse accadere; quando ancora stavo uscendo dai postumi della mia sindrome, e mi sono ritrovato a pulire la mia stanza da tutti quegli oggetti che ho accumulato inutilmente, pieno della convinzione che appartenessero al mondo dell'occulto, che vi fossero collegati in qualche maniera, che possedessero poteri magici, il giorno in cui ho deciso che avrei iniziato una nuova vita al liceo, sembra così lontano.

Tuttavia, se non fossi così preso dalla mia malcelata felicità, probabilmente mi renderei conto che qualcuno non ha smesso di guardarmi dall'inizio della giornata; e che, dopo la pausa pranzo, i momenti in cui si è voltata a fissarmi sono aumentati esponenzialmente. Se non fossi così preso dal mio entusiasmo, sicuramente noterei che Maeda sta disegnando febbrilmente qualcosa sul suo quaderno e tutta la mia esperienza accenderebbe i campanelli d'allarme sparsi per tutto il mio cervello, a segnalarmi un imminente pericolo. Ma, quando Makoto mi dà un colpetto sulla spalla, per poi piegarsi leggermente in avanti sul banco nel momento in cui il professore si volta verso la lavagna a scrivere il programma di studi che affronteremo quest'anno, e mi chiede se voglio venire con lui ed Haruhiko a mangiare qualcosa dopo la scuola, lanciandomi automaticamente in uno stato d'incredulità che si traduce in un “...Ma proprio io?” che suona stupido perfino alle mie stesse sbalordite orecchie, perdo ogni possibilità di prestare anche solo un minimo della mia attenzione alla piccola ragazza-bambola dalla mano tatuata.

L'unica cosa a cui riesco a pensare, in questo momento, con un sorriso che incurva la mia faccia in un'espressione di pura gioia, è che finalmente le cose sembrano andare per il verso giusto. Finalmente, non sono più vittima della sindrome. Ed è pieno di entusiasmo che al termine dell'ultima ora di lezione, metto velocemente i libri al loro posto, gettandoli senza troppo riguardo uno dopo l'altro all'interno dello zaino, per poi gettarmelo sulle spalle e raggiungere Haruhiko e Makoto sulla porta, che stanno animatamente discutendo di qualcosa che non riesco a comprendere.

Cerco con lo sguardo Nao, e la vedo che scuote appena la spalla di Ogawa, svegliandolo dallo stato di profondo sonno catatonico in cui sembra essere caduto nel corso dell'ultima mezz'ora. Il ragazzo risponde con una scrollata delle spalle, mettendosi seduto sulla sedia con aria infastidita. Non riesco a sentire bene cosa si stiano dicendo, ma l'espressione sul volto del ragazzo sembra più truce del solito. Dopo una risposta esitante, Nao annuisce e si avvia verso di noi, dicendo qualcosa che suona come “Ti aspetto fuori.”

“Vai via, Watanabe?” chiedo, salutandola con un gesto della mano. Si ferma davanti a me, gonfiando le guance con un'espressione offesa, “Ti ho detto di chiamarmi per nome. Forza, ripeti con me – Nao. N A O.”

“Scusami, scusami, Nao.

“Molto meglio. Sì, sto andando a casa. Quindi, ci vediamo domani, Minato!” come se l'energia sprizzasse da ogni suo poro, nonostante abbia accusato della stanchezza che non sono riuscito a vedere né percepire in lei, si dirige verso l'uscita, facendo dondolare ritmicamente la borsa al suono della melodia che sta sussurrando a labbra strette, sparendo dopo un attimo nell'ambrato sole del primo pomeriggio.

Quando non riesco più a vederla, il mio sguardo passa invece a posarsi su Kazuhiro, che si sta lentamente alzando, con un'espressione che, seppur mezza intontita dal sonno, appare comunque terribilmente minacciosa – nei suoi occhi così affilati sembra palpitare una specie di furia omicida che mi manda un brivido freddo lungo il corpo, lo stesso che ho sentito stamattina quando me lo sono trovato improvvisamente alle spalle.

“Secondo voi, dovremmo chiedere anche a Ogawa di venire?” chiedo, esitante.

“Vacci tu, allora, a me fa paura,” sussurra in risposta Makoto, evitando di alzare lo sguardo verso l'alto teppista.

Haruhiko chiude il tomo con un tonfo, infilandolo in tasca dopo avervi messo nel mezzo un segnalibro dalla strana forma di un gufetto, “Per una volta, sono d'accordo con lo stalker.”

“Mi hai di nuovo dato dello stalker?”

Distogliendo per un secondo l'attenzione dai due che continuano a litigare scherzosamente, punzecchiandosi vicendevolmente in un continuo scambio di battute, per lo spazio di un singolo secondo, mi sembra di cogliere un movimento appena visibile al limitare del mio campo visivo, come se un'ombra si fosse mossa in fondo al corridoio, scivolando sinuosamente lungo il muro e nascondendosi dietro all'armadio dei trofei sportivi che si trova di fianco all'ufficio di segreteria del nostro responsabile di classe – il professor Mikuni. Che si sia trattato solo della mia immaginazione? Una parte di me, muore dalla voglia di andare a controllare, solo per togliersi un dubbio quasi divorante, come se non trovare nulla, come spero, scacci via due spettri in uno: il primo, è quello della mia sindrome che mi spinge ancora ad immaginare esseri sovrannaturali; l'altro, invece, è qualcosa di molto più reale, anche se forse non meno spaventoso. D'altra parte, andare fin lì significherebbe arrendersi nuovamente al lato che voglio respingere con tutto me stesso, e questo vorrebbe dire subire una sconfitta imperdonabile.

Dopo aver pensato per qualche istante, scrollo le spalle con noncuranza, decidendo che non si sia trattato di nulla di particolare e accodandomi ad Haruhiko che mi sta chiamando davanti all'entrata della scuola, con un rumoroso Makoto che agita le braccia come in preda a qualche convulsione estremamente plateale. Con un sorriso stampato in faccia, mi sistemo meglio lo zaino sulla spalla destra e mi avvio, lasciandomi alle spalle la classe e tutto quel che è accaduto oggi.

 

Quando decido di tornare a casa, sono le cinque del pomeriggio. Ho chiamato mia madre per avvertirla del ritardo, e nonostante sia sembrata un po' sorpresa di questa improvvisa uscita con i nuovi compagni di classe, fin dal primo giorno, mi è sembrata decisamente contenta che io mi sia ambientato fin da subito. A dire la verità, non ha mai dato troppo peso alla mia sindrome, né ha mai percepito quali problemi questa mi creasse: ai suoi occhi, appariva solo come una sorta di gioco che mi aveva coinvolto talmente tanto da indurmi a bizzarrie di ogni genere, come quando analizzavo profondamente la composizione del pasto per stabilire la quantità di mana che avrebbe ripristinato nei miei circuiti magici, o quando spruzzavo strani composti alchemici per scacciare via eventuali benedizioni o veleni negli alimenti per attaccarmi di sorpresa. Come ripetevo sempre, pur incarnatomi in questo corpo mortale, rimanevo sempre Nightmare Edge, colui che brandiva la Black Zagan, eccetera eccetera, e questo mi rendeva il bersaglio di una infinità di nemici diversi, talmente numerosi che non riesco nemmeno a ricordarli del tutto, ma sono sicuro che nei miei quaderni vi siano descrizioni accurati di ognuno di loro.

Comunque, il sole non è ancora calato, ma ha appena iniziato a tingere di un vago colore rosso il cielo quando saluto all'incrocio dove le nostre strade prendono vie diverse i miei due nuovi compagni; Makoto mi saluta con il solito entusiasmo quasi dirompente, e con una strizzata d'occhio che probabilmente è riferita alle numerose congetture che è andato a costruire attorno alla mia figura: nella sua testa, sono già conteso ferocemente tra Nao e Maeda, in una sorta di competizione che probabilmente ha costruito nella sua testa basandosi su fatti completamente casuali e parziali. Dopotutto, è impossibile che una ragazza si interessi a me di punto in bianco, a partire dal primo giorno di scuola. Certo, mi piace stare con Nao, ed oggi abbiamo anche pranzato insieme, ma non conosco nulla di lei, così come lei non conosce nulla di me; non che sia del tutto un male, visto e considerato cosa nasconde il mio passato, tuttavia la fantasia di quel ragazzo corre fin troppo. Haruhiko lo ha redarguito di trattenersi e di non sfoggiare troppo in classe questa sua attitudine, se non vuole cacciarsi nei guai, ma è stato un avvertimento che è entrato da un orecchio ed uscito dall'altro, a giudicare da come ha raccontato nei dettagli come si svolgerà lo scontro che dividerà la classe in due fazioni. Per dirla con le parole di Haruhiko, “Se non lo conoscessi abbastanza bene, direi che le sue delusioni siano molto peggiori di quelle di Maeda, all'apparenza,” un commento che mi ha ferito parzialmente, come vittima ormai guarita. Quanto meno, per la maggior parte. Ma ho incassato il colpo ed ho riso alla battuta, anche perché non sembra qualcosa di così improbabile.

Sono soddisfatto. No, non solo soddisfatto – sono felice di essere riuscito a raggiungere, almeno per oggi, gli obbiettivi che mi ero prefissato e per cui ho lavorato tanto a lungo. Oggi posso ufficialmente dire di essermi liberato definitivamente dalla sindrome di seconda media e dal mio passato oscuro. Se si esclude quell'incidente, tutto ha seguito dei binari perfetti, ancora migliori delle mie fantasie, come se fossi stato benedetto da qualche divinità. Insomma, ho avuto un primo giorno di scuola superiore degno di una commedia scolastica.

Eppure, non riesco a scrollarmi di dosso una strana sensazione che mi si è appiccicata alle spalle fin dal momento in cui abbiamo lasciato la scuola; anche solo pensarlo mi sembra imbarazzante, perché, neanche a dirlo, mi ricorda di quando facevo finta di essere pedinato da agenti nemici venuti a catturarmi, ma mi sembra di essere osservato da un bel po' di tempo. È come se avessi costantemente due occhi incollati alla schiena, che seguono ogni mio movimento dalla distanza. Quando mi sono voltato, tentando di capire chi o cosa potesse essere, non sono riuscito a vedere nessuno; mentre camminavamo per strada, al fast food, quando ci siamo fermati in libreria per controllare i libri di testo e permettere ad Haruhiko di comprare un nuovo romanzo da leggere, in ogni luogo e situazione, è stato come avere una seconda ombra perennemente alle calcagna. Un'ombra con un paio di occhi estremamente insistenti, abbastanza da arrivare quasi a sentirne il peso.

In un primo momento, ho creduto che si trattasse nuovamente dei rimasugli della mia sindrome, com'è accaduto a scuola, ma quando la cosa ha iniziato a divenire talmente insistente, non ho potuto fare a meno di provare una sensazione di fastidio e tensione al tempo stesso. Per quanto sia improbabile che qualcuno mi stia seguendo, ho comunque continuato a gettarmi occhiate di sottecchi tutt'attorno per praticamente tutto il giorno. Inutile dire, che i luoghi in cui siamo stati erano troppo affollati per riuscire ad individuare un potenziale… inseguitore, ed eventualmente ho smesso di prestarci troppa attenzione, preso dalla conversazione con Haruhiko e Makoto.

Ora che sono solo, tuttavia, la sensazione è comparsa nuovamente. Prima di arrivare a casa, devo camminare ancora per circa quindici minuti, anche se probabilmente ne impiegherò una ventina, perché voglio godermi il mio primo rientro da scuola da liceale, che sancisce l'inizio di una lunga serie; e, chi lo sa, un giorno forse tornerò a casa accompagnato da un amico, o da una ragazza. Mi do un colpetto alla guancia, scacciando via questo pensiero che dimostra come i discorsi insensati di Makoto siano stati abbastanza martellanti.

Mentre mi perdo in questi pensieri, attraverso la strada deserta, immettendomi nel vialetto che conduce al mio quartiere, relativamente distante rispetto agli altri. La strada è deserta e, visto che è un'area pedonale, ovviamente non devo preoccuparmi delle macchine; il cielo si sta scurendo e le ultime ombre serali iniziano a sbiadire nell'ancora tremolante aria crepuscolare, in quell'ultimo momento incerto di luce diurna.

Ancora una volta, sento uno sguardo fissarmi insistentemente la schiena. Questa volta non posso sbagliarmi, sono sicuro che non si tratti della mia immaginazione – anche perché, le fantasie non producono un leggero rumore di passi. Quindi, effettivamente, c'era qualcuno. Mi mordo il labbro, mentre il cuore inizia a battere ad un ritmo sempre più rapido. Domande su domande si affollano nella mia mente. Chi è che mi seguirebbe per tutto il giorno, con una tale insistenza? Non è che si tratta di Kazuhiro? Vuole farmela pagare per stamattina? No, no, cosa vado a pensare. Uno come lui spiccherebbe anche in mezzo ad una folla, lo riconoscerei al primo sguardo a causa della sua altezza e del colore dei suoi capelli. Deve trattarsi di qualcun altro… ma chi?

Mi fermo di scatto, ed i passi alle mie spalle fanno lo stesso, seppur con un attimo di ritardo. Colgo al volo l'occasione per voltarmi di colpo, senza alcun preavviso, lanciando un rapidissimo sguardo alle mie spalle, spaziando rapidamente per la strada. Quel che accade alle mie spalle, prima di riuscire a vedere, è abbastanza da confermare le mie ipotesi; con la coda dell'occhio, riesco a vedere di nuovo la stessa ombra che oggi, a scuola, ho intravisto di sfuggita. Con l'unica differenza che, questa volta, il suo movimento non sembra essere stato abbastanza sinuoso: un forte rumore di una testa che sbatte contro un oggetto metallico, seguito da un gemito di dolore, squarciano il silenzio della stradina deserta.

All'apparenza, sembra vuota – solo un lampione, che emette una flebile luce appena visibile ma che diviene più nitida man a mano che il buio si fa più fitto, e un secchio della spazzatura poggiato al lato destro della strada. Ed è proprio lì che cadono i miei occhi indagatori, verso quella sagoma bassa e tozza… ma sopratutto, su quella gonna a scacchi che sporge appena, insieme alla punta di una scarpa e ad un ciuffo di capelli corvini.

In un'altra situazione, forse sarei stato quasi felice che una ragazza provi interesse per me al punto da seguirmi per tutto il giorno con la dedizione di uno stalker. Ma così, è solamente inquietante, e non in un senso buono, ammesso che ve ne sia uno. Non sembra particolarmente pericolosa, anzi, al contrario, ora che siamo soli e senza una folla in cui rifugiarsi, appare decisamente più maldestra di quanto avessi immaginato. Non devo sforzarmi molto per richiamare alla mente l'unica persona che potrebbe aver fatto tutto questo.

Vorrei non fosse vero, ma—

“Ah, meno male che non c'è nessuno!” dico ad alta voce, in un tono che suona perfino alle mie orecchie come palesemente artificioso, mettendomi le mani in tasca e voltandomi nuovamente, “Così potrò trasformarmi senza alcuna remora!” Oh no, anche solo pensare a quel che sto per fare, è sufficiente a farmi stare male con me stesso. Perdonami, Makoto, sto per metterti di nuovo in imbarazzo come ai vecchi tempi… Mi schiarisco la voce, in modo da avere di nuovo quel particolare tono estremamente arrogante e distorto che impiegavo nei momenti in cui vestivo i panni di Nightmare Edge, “Oh, Regno delle Ombre, quanto mi sei mancato! Vieni a me, Zafkiel, Angelo Custode dell'Ultima Ombra del Crepuscolo, e recami tra le mani la luce morente di questo giorno!”

“Ah, sapevo che avresti rivelato i tuoi poteri, Nightmare Edge!”

Proprio come speravo.

No, non come speravo – come immaginavo. Stavo sperando che si trattasse di una allucinazione talmente realistica e persistente da avermi aggredito e manipolato abbastanza a lungo da spingermi a credere di essere seguito, ma purtroppo non sono così fortunato, perché la figura che balza fuori con una capriola maldestra, sgualcendosi l'uniforme da primina, è proprio Mana Maeda, che si stringe il polso destro con la mano sinistra, mostrando minacciosamente il pentacolo impresso su di esso.

“—Mi hai seguito davvero per tutto il giorno?”

“Sei riuscito a scoprirmi per via della tua capacità di percepire le aure, vero? Non lo avevo tenuto in conto, che errore imperdonabile...”

“No, sei solo maldestra!” la interrompo, avvicinandomi a lei e incrociando le braccia al petto con un sospiro rassegnato, “Quindi eri davvero tu. È da quando me ne sono andato da scuola che mi stai pedinando?”

“Stavo attendendo il momento giusto per vederti rivelare i tuoi poteri. So bene che non puoi farne sfoggio davanti a tutti, perché altrimenti diverresti un nemico dell'Antico e ti scatenerebbe contro tutti i Vuoti.”

Vuoti? Antico? Mi batto una mano sulla fronte, lasciando sfuggire il secondo sospiro della serata tra le labbra, senza riuscire a trattenermi dallo scuotere la testa. Sul serio, anche io ero così imbarazzante? Sì, probabilmente sì.

Come ho detto, mi sentirei sentito lusingato, forse anche felice, nel sapere che una ragazza trovi abbastanza interesse in me da seguirmi per tutto il giorno, in lungo ed in largo, fino a casa mia – ma non se quella ragazza è Mana Maeda, e lo sta facendo solo perché spinta da un tipo di “attenzione” ben diversa da quella che immaginavo. Qui stiamo sfiorando il ridicolo.

“Ascoltami, dovresti davvero tornare a casa, si sta facendo tardi. E poi, non ho alcun potere speciale, capito? Ho chiuso con quella storia. Ormai è acqua passata.”

Maeda alza il suo sguardo, così limpido, eppure allo stesso tempo tanto torbido per via del colore nero abissale che caratterizza i suoi occhi, e piega la testa lateralmente, confusa, “Di cosa stai parlando?” sembra riflettere profondamente sulla frase che le ho appena rivolto, come a sviscerala pezzo per pezzo nel tentativo di trovarvi un significato di qualche genere che le sia sfuggito, “Ah, ho capito!” il suo viso si illumina tutto d'un tratto, come se fosse arrivata alla conclusione che, qualcosa mi dice, non è decisamente quella giusta.

“Bene, se hai capit—”

“Non devi mentire con me, Nightmare Edge. Io sono una tua alleata. Anche se… temi che i Vuoti possano sentirci? Mhmh, hai ragione. Sei un tipo previdente – non per nulla sei stato scelto dalla Black Zagan.”

“Ecco, esattamente… No, aspetta, hai frainteso tutto. Ma sopratutto,” mi interrompo di colpo, la domanda che ho tenuto in serbo per tutta la mattinata che riaffiora improvvisamente nella mia mente e raggiunge le mie labbra in un impeto di morbosa curiosità, “Come fai a sapere tutte queste cose di me? È la prima volta che ti vedo, quindi...”

Maeda lascia andare una breve risata dalla sua bocca, portandosi la mano destra al viso, coprendo così il lato sinistro, lasciando scoperto solo un singolo occhio e metà del ghigno inquietante che si è aperto sul suo viso, “Ma certo, tu non puoi ricordare, perché nell'ultima battaglia hai perso la memoria dei tuoi ricordi passati. In realtà, noi ci siamo incontrati in altre vite, numerose volte, sempre con un solo scopo – combattere l'Antico e riportarlo al suo sonno,” il suo braccio sinistro si stende di nuovo in quel gesto teatrale che ha sfoggiato questa mattina in classe, indicandomi con l'indice ben teso nell'aria, “Siamo indissolubilmente legati, per questo il mio Occhio Demoniaco ti conosce e ti troverà sempre.”

“Mi stai dicendo che conosci ogni cosa di me per via del tuo… occhio?”

Se prima avevo qualche dubbio, ora ne ho la certezza schiacciante. Mana Maeda non è solo affetta dalla sindrome di seconda media, e dalla sua peggiore declinazione, l'Evil Eye, ne è totalmente assorbita, completamente parte. Esattamente come lo ero io.

“Esattamente.”

Questo non risponde minimamente alla mia domanda, ma so per esperienza che insistere è totalmente inutile. Per lei, tutta la sua conoscenza di me deriva esattamente da questo potere mistico che le è stato concesso per qualche motivo, e non c'è modo di farla ragionare o farle dire altrimenti. L'unica cosa da fare, per ora, è assecondarla, finché non riuscirò a capire come fa a conoscere il mio oscuro passato. Il lato positivo, è che non sembra intenzionata a dirlo a nessuno, cosa di cui non posso che esserle grato, seppur ovviamente lei non ne capisca il motivo – nella sua visione della realtà, le altre persone, questi “Vuoti” non devono sapere di me, altrimenti mi attaccherebbero. Se ci penso bene, non è altro che una interpretazione molto amara della realtà. Probabilmente deve essere stata emarginata e tormentata quanto me per via della sua sindrome, quindi è naturale che gli altri, coloro che la trattavano così male, ai suoi occhi siano mostri, esseri asserviti a questo Antico. Da questo punto di vista, lo ammetto, un po' mi fa tenerezza…

“Senti un po', tu...” le dico, piegando appena la testa lateralmente con un'espressione pensierosa, “Non ti bastava parlarmi quando siamo usciti? Non c'era bisogno di seguirmi fino a qui.”

Scuote la testa con forza, abbassando lo sguardo che fino ad ora è rimasto ostinatamente in alto, e inizia a tormentarsi l'orlo della gonna con le dita, “Eri insieme a quei due ragazzi. Non potevo approcciarti senza essere sicura della loro natura ma...”

“Guarda che quei due ragazzi sono nostri compagni di classe!” rispondo, indignato dalla sua mancanza di considerazione.

“...ma se sei rimasto in loro compagnia, devo dedurre che non siano nemici. Non rappresentano un ostacolo, per Nightmare Edge!”

“Non dire ad alta voce quel nome, per favore. E nemmeno a bassa voce. Anzi, non dirlo e basta.”

“Ci siamo solo noi, qui, nessun Vuoto in ascolto, il mio Occhio non percepisce alcuna aur—”

“Oh, buonasera Sato!” come a voler smentire immediatamente i vaneggiamenti della ragazza, la figura del vecchietto che abita a tre case di distanza emerge da un vicolo laterale, impegnato in una delle sue lunghe passeggiate serali con il cane al guinzaglio.

“Buonasera, signor Fuji,” ricambio il saluto dell'anziano signore con un cenno del capo, “Dicevi? Non c'è nessuno ad ascoltarci, eh?”

Le guance di Maeda si imporporano leggermente, e storce la bocca come delusa, tant'è che per un secondo sembra davvero affranta dalla sua incapacità. Come colpita da qualcosa, cade in ginocchio, stringendosi convulsamente il palmo della mano ed emettendo un basso gemito di dolore, “Urgh, non di nuovo...”

“C-cosa c'è che non va? Ti senti male?”

“Le interferenze della Nebbia mi impediscono di utilizzare al meglio i miei poteri.”

“No, aspetta, ti stai solo giustificando per il fallimento di un attimo fa?!” e, con questa frase, il terzo sospiro della serata, uno dei primi di una ben più lunga lista, se ne va nell'aria serale, trasportato da un improvviso venticello. Nonostante sia primavera, le serate sono ancora abbastanza fredde, ed è solo ora che realizzo come il sole sia del tutto scomparso oltre l'orizzonte, lasciandoci a discorrere nella semioscurità di una stradina di un quartiere, sotto la luce pallida e biancastra di un lampione scrostato. Per di più, seguendo il ritmo di una conversazione senza un vero senso, dettato da una ragazza che conosco da poco meno di un giorno e che mi ha seguito come una vera e propria stalker; se lo raccontassi a qualcuno, non ci crederebbe mai. Le offro la mia mano per alzarsi e lei la accetta, seppur riluttante, tornando a mettersi in piedi con un'espressione affranta sul volto, “Perdonami per averti messo in pericolo.”

“Ah, non fa nulla, credimi. Piuttosto, si è fatto tardi e dovrei andare a casa, quindi...”

“Ti accompagnerò, allora,” sentenzia lei, ovviamente senza chiedere il mio parere, e iniziando a tracciare complicati arabeschi in aria con le mani, come a voler scagliare un incantesimo di qualche sorta contro un nemico invisibile. Anche se, guardando meglio… “Ma cosa fai, lanci una magia d'illuminazione?”

“Oh, l'hai riconosciuta?” sorride, lo scintillio negli occhi che dimostra tutta la sua ammirazione e soddisfazione nel vedermi analizzare una magia del genere ad una prima occhiata, “In modo da fendere le tenebre che impediscono il nostro cammino.”

Ignorando l'imbarazzo che mi ha stretto in una morsa e dandomi dello stupido per essermi lasciato sfuggire una frase simile che andrà solo ad alimentare le sue fantasie, indico perplessamente l'altro lampione della stradina, posto a qualche metro da noi e tristemente spento, probabilmente rotto – non mi pare di averlo visto funzionare negli ultimi mesi, nemmeno una volta, “Guarda che non basterà una magia per ripararl...”

Prima in modo esitante, poi sempre più deciso, il bulbo del lampione inizia a brillare fiocamente, aumentando gradualmente d'intensità, fino ad accendersi del tutto sotto il mio sguardo stupito. Come se avessi visto un fantasma, sposto lo sguardo incredulo da Maeda al lume funzionante e viceversa, lasciandomi sfuggire un impressionato “Incredibile...”

“Uhuh, ha funzionato alla perfezione.”

“No, non è possibile!” protesto, scuotendo la testa con un cenno di esagerato diniego, sventolando le mani a mezz'aria, “Si dev'essere trattato di un caso. Non è possibile che…”

Senza darmi tempo di continuare la mia incredula protesta, la mia compagna di classe mi precede, continuando a fare strani segni con le mani e a sussurrare formule arcane a mezza bocca, saltellando spensieratamente in mezzo alla strada. Il quarto sospiro segna anche l'inizio della breve camminata di cinque minuti che ci separa da casa mia. Durante tutto il tragitto, Maeda non fa altro che spiegarmi una qualche complicata storia fantasy secondo la quale, periodicamente, il mondo è minacciato dall'Antico e da una certa Nebbia che corrompe gli uomini e ruba loro l'anima, immergendoli in una potente illusione che fa dimenticare loro la realtà – ed il mondo in cui viviamo non è altro che frutto di questo incantesimo. Ovviamente, non posso far altro che starla ad ascoltare con tono accondiscendente, ed annuire meccanicamente ad ogni frase, aggiungendo un “Oh, ma davvero?”; in realtà, pur ostentando questa aria disinteressata, non posso dire che mi dispiaccia starla ad ascoltare. Se togliamo la parte in cui crede tutto questo estremamente reale, più vero della realtà stessa, si tratta solamente di una storia decisamente ben congegnata.

“Dovresti scriverci un libro,” dico improvvisamente, senza riflettere, ma la risposta che ricevo è ovviamente qualcosa sulla falsariga di “Non dare informazioni al nemico” o qualcosa del genere, esattamente come c'era da aspettarsi.

Poco fa stavo pensando a come sarebbe stato tornare a casa con una ragazza, un sogno adolescenziale come tanti, ed una cosa è certa, sicuramente non avrei mai immaginato che sarebbe stato così. Maeda è estremamente, incredibilmente bella, nel suo genere, e il parco di espressioni che animano il suo viso mentre racconta, in un ciclone che ruota sempre attorno ad una piega entusiastica del volto, la rendono terribilmente affascinante, finché non ci si concentra sul motivo della sua eccitazione. In lei, persiste la stessa sensazione che ho avuto questa mattina – è come se non camminasse insieme a noi. È come se vivesse in un mondo diverso, e ci osservasse attraverso il vetro di uno specchio, probabilmente perché ne è lei stessa profondamente convinta.

“E questo è tutto quello che c'è da sapere,” conclude improvvisamente, fermandosi davanti a me, le mani poggiate sui fianchi in una posa che nella sua immaginazione dev'essere decisamente più eroica.

“Perché ti sei fermata?”

“Perché sei arrivato a casa,” risponde, improvvisamente confusa dalla domanda, “Non te ne eri accorto?”

Effettivamente, questo è il cancello di casa mia. Ero talmente preso dai miei pensieri e dal suo continuo, schiacciante chiacchierare da non rendermi conto di aver coperto in un così breve lasso di tempo tutta la strada fino a qui. Dopo una lunga giornata, arrivare a casa è davvero soddisfacente, penso proprio che ora mi rilasserò un po' e… “Aspetta, sai anche dov'è casa mia?!”

“Mh? Sì, perché?” risponde, con uno sguardo interrogativo, ed una espressione talmente ingenua da chiedersi se effettivamente si renda conto di quel dice.

“Non ammetterlo con quell'espressione innocente!” sbuffo, ancora più rassegnato di quanto non fossi prima; poggio lo zaino sul muretto e massaggio appena la spalla indolenzita, sulla quale ho portato per tutto il giorno il peso dei libri di testo – una accortezza inutile, visto che li abbiamo a malapena sfogliati e solo per dare una rapida scorsa al programma delle future lezioni. Dal canto suo, invece, noto solo ora come la borsa di Maeda sia estremamente leggera. Tuttavia, a ben guardarla, sembra che qualche strano oggetto dalla forma irregolare sia stato spinto dentro a forza, ma non voglio indagare, sono ben conscio del fatto che lì dentro potrebbe tenere una spada o la riproduzione di un fucile, come facevo io nei miei tempi bui.

“Piuttosto, ora dovrai andare a casa da sola. Pensi di farcela?” non è una domanda così scontata. Non è bene che una studentessa vada in giro da sola a quest'ora, e seppur la nostra città sia tranquilla, ed il nostro quartiere sia una zona particolarmente priva di pericoli sensibili, la sera non è mai una buon'ora per andarsene troppo a bighellonare. Inoltre, mentirei se dicessi di non essere preoccupato più per il fatto che, conoscendola e sopratutto conoscendo la sindrome di cui sono stato vittima a mio tempo, potrebbe perdersi sulla via del ritorno. Tuttavia, l'espressione di dubbio che aveva sul volto un attimo fa si acuisce di colpo a quella domanda, “Oh? Cosa intendi?”

“Beh, è tardi ed una ragazza che va in giro da sola...”

“Non preoccuparti di questo,” mi interrompe, “Abito qui vicino.”

Effettivamente, ora che ricordo, il professor Mikuni ha detto che siamo vicini, seppur non la abbia mai vista da queste parti. Vuol dire che abita nel quartiere, nemmeno troppo lontano da casa mia, una insolita coincidenza. Persiste ancora, in me, il dubbio sul non averla mai notata prima d'ora, ma forse potrebbe semplicemente essere stato un caso – potrebbe, magari, abitare all'estremo, rispetto a me, e aver frequentato un'altra scuola media. Non sarebbe nemmeno tanto improbabile.

“Davvero? E dove?”

“Lì,” il suo indice si tende verso la casa esattamente davanti alla mia.

La casa in cui, ieri sera, qualcuno si è trasferito. Quindi, mi sta dicendo che lei vive di fronte a me… e che si è trasferita solo ieri?

Effettivamente, avrei potuto pensarc—

No, aspetta, cosa?!

Il mio sguardo sbigottito si pianta su di lei, del tutto ignara della catena di pensieri che si sta dipanando all'interno della mia mente, e che mi porta alla conclusione ineluttabile – ho frainteso tutto. Non c'è alcuno studioso. L'ombra che ho visto stamattina, alla finestra… era lei. Tutti quegli scatoloni, contengono chissà quali strambi oggetti dalle supposte proprietà magiche. Ne sono sicuro, più che sicuro.

“Sembri sorpreso. Eppure, pensavo che ne fossi al corrente.”

“...Scusami, devo digerire la notizia,” sussurro con tono funereo, afferrando il cancello alle mie spalle, trascinandomi verso l'uscio di casa e salutandola con un gesto secco della mano, “Buonanotte, Maeda.”

“Mana.”
Mi volto lentamente, fino a poterla nuovamente guardare negli occhi, quegli occhi come un abisso, che sembrano volermi inghiottire, “Come?”

“Chiamami Mana,” tende la sua mano, a sfiorare il mio petto. Mi irrigidisco di colpo, a quel contatto improvviso, nel sentire quella piccola, calda mano poggiarsi su di me, “Ed io ti chiamerò Minato. Siamo legati da un patto indissolubile, dopotutto.”

Penso che, se fossi stato in un'altra situazione, avrei avuto le guance in fiamme.

Ma ora, con lei, mi sembra qualcosa di scontato.

“Buona notte, Mana.”

“Buona notte, Nightmare Edge.

“A doma… No, aspetta, mi hai di nuovo chiamato in quel modo?!”

Ma la mia protesta si perde nel buio della strada mal illuminata, perché lei è già sparita dall'altro lato, chiudendosi a sua volta il cancello dietro con un tonfo metallico che risuona come un tetro commiato.

Mentre rientro a casa, noto una lettera lasciata sul mobile dell'atrio, che annuncia la riparazione dei lampioni in tutta l'area e l'entrata in funzione di prova alle diciotto di questa sera. Ovvero, cinque minuti fa.

Non posso trattenere un sorriso.

Per qualche strana ragione, ho come l'impressione di aver iniziato qualcosa che sfuggirà al mio controllo ancor prima di iniziare.

Il quinto ed ultimo sospiro della serata, è rivolto ancora a lei, alla ragazza che vive di fronte a me e che è convinta di essere una maga demoniaca.

L'ultimo sospiro di oggi. Ma indubbiamente, uno dei tanti tra quelli a venire.

 

   
 
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