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Autore: Marilia__88    01/03/2016    5 recensioni
Abbiamo lasciato Sherlock ad affrontare il presunto ritorno di Moriarty. Ecco cosa immagino possa accadere dopo essere sceso dall'aereo.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” disse John mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary per cercare di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!”
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heart'
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                Ti brucerò il cuore


                                             


                                          Leinster Gardens




… “Sherlock…” lo chiamò Mycroft, sperando che almeno a lui desse ascolto.
Il fratello parve fermarsi con la maniglia della porta ancora in mano. Poi, senza neanche rispondere, sospirò ed uscì di corsa fuori dall’appartamento.
John era sbalordito da quel comportamento. Non poteva credere che le parole di Sherrinford lo avessero colpito così tanto. Lo avrebbe lasciato andare, per il momento, per farlo calmare. Sperava solo che, alla fine, sarebbe ritornato in sé senza fare niente di avventato.






Sherlock stava vagando per la città senza una meta precisa. Aveva mentito a John, dicendo di avere qualcosa da fare. In realtà, aveva solo bisogno di uscire di casa. Si sentiva la testa completamente intasata da mille pensieri e sapeva che solo un pò solitudine lo avrebbe aiutato a mettere ordine in quell’enorme caos. Le parole di Sherrinford lo avevano davvero colpito. In fondo, non si era mai realmente chiesto il motivo per cui il fratello ce l’avesse con lui. I genitori gli avevano sempre detto che, già da piccolo, aveva avuto dei problemi psicosociali, che lo avevano portato ad odiare tutto e tutti e che, successivamente, aveva preso di mira proprio lui, poiché era il membro più piccolo e debole della famiglia. Non aveva mai considerato l’idea che, invece, Sherrinford avesse sofferto a causa sua e che il suo odio non fosse altro che rancore accumulato per anni e anni. Con questo non intendeva affatto giustificarlo. Sembrava, però, delinearsi nella sua mente un quadro ben preciso: chiunque gli fosse stato vicino era destinato, inequivocabilmente, a soffrire o a morire. E gli eventi degli ultimi mesi ne erano la prova lampante. Questa volta non avrebbe coinvolto nessuno nella sua lotta contro Sherrinford. Nessuno avrebbe più rischiato la vita a causa sua. Avrebbe affrontato la sua guerra da solo e avrebbe vinto senza mietere altre vittime e sofferenze. C’era un unico problema: John aveva ragione. Non era per niente in buona forma. Si sentiva debole, sicuramente a causa di tutto il sangue perso ed il braccio gli dava delle fitte di dolore lancinanti. Nonostante tutto, avrebbe strinto i denti e si sarebbe avviato, quella sera, verso la chiusura definitiva di quella storia. Avrebbe chiuso i conti con suo fratello una volta per tutte.


Era il tramonto e l’ora dell’appuntamento era sempre più vicina.
John, ancora a Baker Street, con Mary, Greg e Mycroft, era irrequieto e preoccupato. Aveva provato a chiamare il suo migliore amico, ad inviargli numerosi messaggi, ma nessuno dei suoi tentativi aveva ricevuto risposta.
“Non capisco cosa gli sia preso…” borbottò tra sé e sé, mentre percorreva il soggiorno avanti e indietro.
“Dottor Watson, sa meglio di me com’è fatto mio fratello! Gli passerà…” rispose tranquillo Mycroft.
“No, il problema è quello che gli ha detto Sherrinford. Lo ha colpito più di quanto credessi” disse il medico pensieroso.
“Sherrinford!? Cosa gli ha detto?” domandò il politico confuso.
Solo allora John si ricordò che, quando i due ebbero quella conversazione per strada, Mycroft si trovava con Mary sul tetto a tenere a bada Moran e, naturalmente, non aveva sentito niente di ciò che si erano detti.
“Mentre Sherlock cercava di distrarlo, gli ha chiesto il motivo per cui lui lo odiasse così tanto…” iniziò serio il dottore “…e Sherrinford gli ha risposto che lui gli aveva rovinato la vita, che era felice prima che nascesse e che si era preso il tuo affetto e quello dei vostri genitori, lasciandolo da solo e senza niente a cui aggrapparsi” aggiunse cercando di ricordare, meglio che poteva, le parole esatte “…poi quando eravamo qui ad interrogare Moran, Sherlock mi ha detto che aveva ragione, che in fondo lui era la causa di tutte le morti e delle sofferenze che ognuno di noi aveva patito” concluse con tristezza.
“Oh, Sherlock…” esclamò Mycroft, passandosi le mani sul viso, in segno di disperazione.
“Che succede?” gli chiese John apprensivo.
“Conoscendo mio fratello, allora, andrà davvero da solo a quell’appuntamento. Penserà che allontanando tutti, nessuno rischierà più la vita a causa sua” rispose il politico, prendendo il cellulare e provando, a sua volta, a chiamare Sherlock.
“Il solito idiota!” esclamò il medico, sospirando pesantemente “…beh, che lui lo voglia o meno, noi andremo lì questa sera e gli guarderemo le spalle” aggiunse con fermezza, raccogliendo il consenso di tutti i presenti.


Era ormai sera e Sherlock era appena arrivato a Leinster Gardens. Si era fermato tra i numeri 23 e 24: se Sherrinford lo aveva attirato lì, sicuramente sapeva che quello era uno dei suoi nascondigli preferiti. Non dovette aspettare molto, prima che una figura uscisse dall’ombra con un malefico sorriso.
“William, sono contento che tu sia venuto. Devo dirtelo, fratellino…non hai una bella cera! Deve essere a causa del regalino che ti ha lasciato Sebastian…” disse divertito.
In effetti Sherlock non poteva negarlo. Non si sentiva affatto bene. Era quasi sicuro che la ferita si stesse pian piano riaprendo. Sperava solo che la sutura provvisoria di John, avrebbe resistito un altro po', almeno fino a quando non avesse concluso la faccenda.
“Sto bene, non preoccuparti! Beh, come vuoi procedere?” chiese il detective con freddezza.
“Sai, ho pensato molto a quello che hai detto l’altra sera e devo ammettere che hai ragione. Il nostro gioco è durato anche troppo, come hai detto tu, mi resta da fare solo una cosa per vincere la partita…ucciderti!” esclamò Sherrinford, prendendo la pistola che aveva nella giacca e puntandola contro il fratello.
Il consulente investigativo si rese conto, solo in quel momento, di essere uscito di casa, quel pomeriggio, senza neanche prendere la pistola. “Che razza di idiota!” esclamò tra sé e sé. Si disse che solo un imbecille si sarebbe presentato ad un incontro con un pazzo assassino semplicemente disarmato. Cercò, allora, di prendere tempo come meglio poteva, in attesa che gli venisse una qualche idea geniale che potesse salvarlo da quella situazione.
“Sai Sherrinford…così mi deludi! Chiudere la partita in un modo così poco elegante non è proprio da te!” disse poi, cercando di non far trasparire la preoccupazione che lo stava assalendo.
“Si, hai ragione! Non è per niente elegante! Ma devo dirtelo: mi sono stancato di giocare…quindi adesso, dì pure addio alla tua patetica vita, fratellino” rispose il secondogenito, caricando la pistola.
“Non azzardarti a sparare, bastardo, se non vuoi ritrovarti con un proiettile nel cervello!” esclamò John, uscendo dall’oscurità alle spalle di Sherrinford. Il nemico era così preso dalla conversazione con il fratello che non aveva sentito il medico avvicinarsi furtivamente dietro di lui.
“John, che ci fai qui?!” chiese Sherlock contrariato.
“Ti salvo la vita…come al solito!” rispose il dottore, accennando un sorriso.
“Bene, bene…anche il dottor Watson si unisce a noi…quale onore!” esclamò Sherrinford con sarcasmo.
“Getta la pistola a terra!” ordinò John con il suo tono da soldato.
“Beh, non lo so…fammi pensare un attimo…alla fine potrei comunque uccidere Sherlock…tu mi spereresti, lo so…ma tutto sommato morirei soddisfatto…almeno saprei di portare con me, all’altro mondo, anche il mio caro fratellino…è un’idea allettante, davvero!” rispose il secondogenito con un’espressione da pazzo sul viso.
John, nel sentire quelle parole, parve perdere momentaneamente la sua freddezza da soldato. Sapeva che avrebbe potuto farlo. In fondo, anche lui, come Moriarty, era capace di sacrificare la sua vita pur di raggiungere il suo scopo.


Mycroft e Greg, intanto, erano in giro a cercare Moran. Sapevano che Sherrinford non sarebbe mai venuto davvero da solo, almeno non senza il suo cecchino che gli guardava le spalle. Lo videro appostato tra alcune siepi, leggermente distante dal suo capo, con il fucile già pronto per mirare e sparare. I due si fiondarono su di lui, prendendolo alle spalle e immobilizzandolo al suolo.
“Eccoti qui! Ci rivediamo…” esclamò Mycroft “…questo è per aver osato toccare mio fratello!” aggiunse, sferrandogli un potente gancio destro sul viso che gli ruppe il naso.
Greg guardava il politico con un’espressione sorpresa. In tutti quegli anni, si era abituato a vederlo sempre calmo e pacato, nel suo costoso completo elegante, mentre dava semplicemente ordini senza muovere un dito. E ora, nel vederlo così aggressivo, non gli sembrava neanche più lui.
“Bel colpo!” riuscì soltanto a dire, non riuscendo a nascondere la sua espressione sorpresa.
“La ringrazio, ispettore!” rispose Mycroft “…beh, ora occupiamoci di lui, garantendoci che questa volta non possa più scappare” aggiunse con uno strano sorriso sul viso.

Mary, invece, era appostata dal lato opposto della strada rispetto a dove si trovava Moran. Era armata e pronta, aspettando il momento in cui il marito gli avesse fatto cenno di intervenire. Per ora, si limitava ad osservare la scena a debita distanza.


Sherlock, Sherrinford e John erano rimasti immobili nelle loro posizioni. Ognuno era fermo, aspettando la mossa dell’altro.
Il medico cercò di pensare velocemente ad un modo per sbloccare quella situazione. Gli venne in mente solo un’idea: era decisamente pericolosa, ma rimanere fermi, in attesa che l’avversario si convincesse ad uccidere il fratello a sangue freddo, lo era maggiormente. Fece un cenno a Sherlock, sperando che capisse le sue intenzioni. Con uno scatto repentino, afferrò il braccio con cui Sherrinford teneva la pistola, facendogliela cadere dalle mani, poi lo afferrò da dietro, cingendogli il collo con il braccio libero e puntandogli l’arma alla tempia. Sherlock, intanto, si precipitò ad afferrare la pistola caduta al fratello e gliela puntò contro.
“Davvero un’ottima mossa, dottor Watson!” esclamò Sherrinford divertito “…peccato che non abbia considerato un elemento importante” aggiunse, facendo un segnale nella direzione di Moran. Nel momento in cui si rese conto che non accadeva niente, il sorriso sparì dal suo volto. Questa volta fu il turno del medico di ridere.
“Mi sa che il suo cecchino non è di nuovo disponibile!” rispose con sarcasmo.
Il volto del secondogenito si tramutò in una maschera di rabbia e frustrazione. Non poteva credere che fossero riusciti a fregarlo una seconda volta.
Mary, intanto, dopo aver assistito a tutta quella scena, uscì dal nascondiglio e si avvicinò a loro. Questa volta Sherrinford non aveva scampo. Lo avrebbero immobilizzato e lo avrebbero rinchiuso di nuovo in cella, assicurandosi questa volta che nessuno avesse potuto aiutarlo a scappare. Sembrava tutto risolto per il meglio, ma come spesso accade, anche i piani migliori a volte non riescono a prevedere tutte le eventualità.
Quello che accadde nei minuti seguenti, non era decisamente previsto. Sherlock, che fino a quel momento era riuscito a controllare il dolore della ferita, cadde a terra in ginocchio, gemendo e tenendosi il braccio, lasciando andare la pistola. John, nel vedere l’amico crollare, ebbe un attimo di esitazione, che permise a Sherrinford di disarmarlo e di colpirlo, con una gomitata nello stomaco, facendolo finire al suolo. Il secondogenito impugnò la pistola del medico puntandola verso Sherlock. John, allora, con uno scatto repentino, si alzò e si avventò sulle spalle dell’avversario, nel tentativo di fermarlo. Mary, che era decisamente vicina alla scena, cercò di mirare verso il nemico, ma con il marito su di lui, non poteva rischiare di sbagliare. Fu in quel momento che partirono due colpi a distanza di alcuni secondi l’uno dall’altro. Tutti si ritrovarono a terra senza capire, però, chi avessero colpito.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il diciassettesimo capitolo! Avevo intenzione, come da programma, di finirlo e pubblicarlo entro domani, ma se ad alcuni le notti insonni portano consigli, a me, a quanto pare portano ispirazione. Visto che l'ho finito prima, ve lo anticipo! Questa volta il finale è un pò cattivello... Ma un pò di suspense ci sta!
Comunque qui abbiamo, all'inizio, il punto di vista di Sherlock e successivamente, il massimo dell'idiozia che tutta questa storia gli ha portato! (se lo dice pure da solo, infatti!).
La scena di Mycroft che rompe il naso a Moran, come vendetta per aver ferito il fratello, è stata quella che mi è piaciuta di più scrivere! *.*
Il nostro caro John, come sempre, è quello adatto a salvare la situazione per quello che può naturalmente. Quindi, sono partiti due colpi: uno sicuramente dalla pistola di Sherrinford diretto al nostro consulente investigativo e l'altro? Mary ha avuto il coraggio di sparare alla fine? O è stato Sherlock? O qualcun'altro? Beh, questo lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Grazie come sempre a chi continua a seguire la storia. Alla prossima ;)
   
 
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